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BELFORTI, Paolo, detto Bocchino

di Ottavio Banti - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)
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BELFORTI, Paolo, detto Bocchino

Ottavio Banti

Primogenito di Ottaviano, assieme al fratello Roberto (o Uberto), successe al padre nella signoria di Volterra dopo la sua morte avvenuta nel 1348 o all'inizio del 1349. Già negli anni precedenti, tuttavia, aveva preso attivamente parte alla politica e alle lotte combattute dal padre contro la fazione a loro -avversa capeggiata dalla famiglia Allegretti e fu tra coloro che parteciparono all'assalto del castello vescovile di Berignone, ové aveva trovato l'estremo rifugio, insieme con i propri fratelli, il vescovo di Volterra Rainuccio Allegretti.

La successione al padre nella signoria avvenne senza troppe difficoltà poiché, nell'estate del 1348, poco prima di morire, Ottaviano aveva fatto riconoscere dal popolo volterrano al B. e a Roberto gli stessi poteri di cui egli era stato investito nel 1343. Ma Roberto, che non aveva autentiche capacità politiche, lasciò il gover no in mano al B., contentandosi della parte di ministro o vice-agens, del fratello. Il B., divenuto in tal mddo unico erede del padre, riuscì assai presto ad imporre la sua signoria sulla città, piegando anche le resistenze che non mancarono di sorgere all'intemo della sua stessa fazione.

Sui Belforti grava la condanna del cronista fiorentino Matteo Villani, il quale qualificò come "tirannico" il regime da loro instaurato in Volterra e li accusò di aver tradito la parte contro il loro stesso interesse: "quanto che fussono Guelfi di nazione, per la tirannia dichinavano ad animo ghibellino come mettesse loro bene". Un esame spassionato dell'azione politica dei B. pone in rilievo tuttavia il fatto che, al di là delle non sempre inevitabili prepotenze e "tirannie", egli mostrò la volontà di trasformare la incerta signoria ereditata dal padre in un potere saldo, capace di amalgamare e dare unità e ordine a quel complesso e caotico organismo che era nel sec. XIV lo Stato cittadino di Volterra.

Al B. si opposero (e contro di loro egli si rivolse con intempestiva irruenza) all'interno gli interessi e gli egoismi dei gruppi particolari e all'esterno la forza espansionistica di Firenze, ormai irresistibilmente portata dal processo storico a estendere il proprio dominio su tutta. la Toscana e perciò naturalmente avversa ad ogni tentativo di rinvigorire le antiche autonomie cittadine. Da qui la necessità, da parte di signori come il B., di "dichinare ad animo ghibellino" - per usare l'espressione del cronista - per contrapporre al guelfismo di Firenze un'ideologia che, per quanto indebolita, aveva ancora seguito.

Il B., che aveva sposato la gentildonna fiorentina Bandecca de' Rossi, sorella di quel Pino de' Rossi che era stato podestà di Volterra nel 1341, pur mantenendo, come suo padre Ottaviano, rapporti di amicizia con il Comune di Firenze, continuò ad appoggiarsi al Comune di Pisa (che in quel tempo era retto dalla fazione dei "Raspanti" di tendenze antifiorentine) in modo da porre un freno, con la forza dei Pisani, all'eccessiva invadenza fiorentina. Tuttavia, quando in Pisa, cacciati i "Raspanti", prevalse la fazione dei "Bergolini" favorevole a una politica di intesa con Firenze, tale sistema di alleanze fondato su una politicà di contrappesi rimase privo di una delle sue basi; per di più il B. non poté evitare di urtarsi con il nuovo regime dominante in Pisa, avendo dato ricetto in Volterra ai Della Rocca e al conte Gherardo della Gherardesca, capi della fazione "raspante". Questa circostanza offrì l'occasione al governo pisano di tentare, il 18 maggio 1350, un'azione militare contro Volterra che, per quanto sventata dal B., ebbe poi gravi ripercussioni all'intemo; infatti a più riprese i suoi avversari, fidando negli aiuti esterni, non mancarono di. organizzare sommosse e congiure per rovesciarlo. Naturalmente il B. reagì con sempre maggior violenza nei confronti dei cittadini; infine, per garantire meglio la sicurezza propria e quella della città da assalti estemi, cercò di assicurarsi il possesso di alcuni castelli che - come quello di Monteveltraio, allora in mano a Francesco Belforti (cugino del B.) - dominavano le strade di accesso a Volterra.

Questa politica provocò in Volterra nuove lotte e disordini che, verso il 1360, divennero tanto aspri da indurre i Comuni vicini, e in special modo quello di Firenze, a intervenire per pacificare i contendenti. La pacificazione fu raggiunta, ma durò poco tempo; ben presto le lotte si riaccesero con maggior violenza, mentre il B., contravvenendo agli impegni assunti con i Fiorentini, si impadroniva delle persone dei suoi avversari. E poiché, a questo punto, i Fiorentini tentarono di imporre con le armi il rispetto dei patti convenuti, il B. ricorse per aiuto ai Pisani. In tale precaria situazione, con i Pisani entro le mura e i Fiorentini alle porte, si sparse la voce che il B. trattasse per vendere Volterra ai Pisani per la somma di 32.000 fiorini. Tanto bastò perché tutto il popolo volterrano, cacciata la guamigione pisana, assalisse tumultuosamente il B. nel suo palazzo per obbligarlo a rinunciare al potere. Questi, al contrario, narra il cronista Matteo Villani - "con lunga e composta diceria" esortò i concittadini "a difendere la loro libertà e franchigia". Tuttavia prevalsero nei Volterrani i risentimenti e insieme la speranza di poter sbarazzarsi del B. con l'aiuto dei Fiorentini senza rinunciare alla libertà. Alcuni poi pensavano di liberarsi dai Fiorentini con l'aiuto dei Senesi.

Ma il governo di- Firenze era orm ai deciso a impadronirsi di Volterra e non gli fu difficile, dopo aver respinto un debole tentativo di Siena, di portare aiuto ai propri partigiani e di costringere i volterrani a venire a patti e ad aprire le porte della città. Il B., fatto prigioniero dai Volterrani, il 5 sett. 1361, insieme con la moglie e i figli, e consegnato ai Fiorentini, fu decapitato il 10 ottobre dello stesso anno". Nel suo testamento, rogato proprio il 10 ottobre, nominava suoi eredi il fratello Roberto e i figli Giovanni, Corsino, Filippo, Attaviano e Bartolomeo. Con la rovina del B., però, anche gli altri Belforti persero in Volterra ogni autorità.

Fonti e Bibl.: M. Villani, Cronica, in Croniche di Giovanni, Matteo e Filippo Villani, II, Trieste 1857, l. IV, c. 63, p. 147; l. X, c. 67, pp. 353 s.; I capitoli del Comune di Firenze, I, Firenze 1866, n. 78, p. 268; L. A. Cecina, Notizie istor. della città di Volterra, con note, ed accresciuta da F. Dal Borgo, Pisa 1758, pp. 124, 127, 158-164, 167-170; A. F. Giachi, Saggio di ricerche sopra lo stato antico e moderno di Volterra, I, Firenze 1786, pp. 132 s.; R. Maffei, Storia volterrana, a cura di A. Cinci, Volterra 1887, pp. 469, 472 s., 477, 480-485; G. Volpe, Volterra..., Firenze 1923, pp. 200, 202 s., (ora in Toscana medioevale, Firenze 1964, pp. 308 ss.).

Vedi anche
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