BELLEGARDE, Enrico Giuseppe, conte di
Nato a Dresda il 29 agosto 1756, era figlio del generale Giovanni Francesco, ministro della guerra dell'elettore di Sassonia, e discendeva d'antica famiglia savoiarda. Nel 1772 entrò nell'esercito austriaco e vi combatté prima contro i Turchi, poi contro i Francesi. Fu alle battaglie di Wattignies (1793) e di Tournay (1794). Più tardi, addetto al quartier generale dell'arciduca Carlo, negoziò, insieme col Merveldt e col marchese di Gallo, i preliminari di Leoben (18 aprile 1797). Nel 1799 tenne il comando delle truppe che dovevano conservare aperte le comunicazioni tra il Suvorov e l'arciduca Carlo attraverso il Tirolo minacciato dai generali Dessoles e Lecourbe. Dopo le prime vittorie austro-russe, si portò per i Grigioni a Chiavenna e di là ad Alessandria. Fu battuto dal Moreau a Cascina Grossa (20-21 giugno), ma a Novi (15 agosto) contribuì brillantemente alla vittoria delle armi alleate. Dopo Marengo (14 giugno 1800) divenne capo di Stato maggiore in Italia. Nella breve campagna che condusse alla pace di Luneville fu sconfitto dal Brune a Pozzuolo e Valeggio (z5-26 dicembre 1800). Più adatto a combattere in sottordine, nel 1805, a Caldiero (30 ottobre), coimandando l'ala destra delle truppe dell'arciduca Carlo, si guadagnò la croce di commendatore dell'ordine di Maria Teresa, la più ambita onorificenza nell'esercito austriaco. In seguito fu governatore della Venezia e poi della Galizia. Nel 1809 partecipò alle battaglie di Essling e di Wagram e, dopo la pace, ebbe il grado di feldmaresciallo. Nel 1810 fu assunto alla presidenza del consiglio aulico di guerra e nel dicembre del 1813 prese il comando dell'esercito che fronteggiava in Italia le truppe di Eugenio Beauharnais. L'8 febbraio 1814 combatté con dubbio esito a Roverbella sul Mincio e poi rimase inerte, quasi nell'attesa che la guerra si decidesse, come infatti doveva decidersi, altrove. Il 16 aprile conchiuse col viceré il trattato di Schiarino-Rizzino, al quale seguì, pochi giorni dopo (23 aprile), la convenzione di Mantova. L'Austria occupò così, in nome delle potenze alleate, tutta la Lombardia, mentre le truppe francesi se ne tornavano in patria. Il B. entrò in Milano l'8 maggio, preceduto dalle sue truppe sin dal 28 aprile. Ristabilito ufficialmente il dominio austriaco (12 giugno), toccò a lui l'arduo compito di governare il paese nel passaggio dal vecchio al nuovo regime. Gentiluomo equilibrato ed onesto, si adoprò affinché la restaurazione non turbasse troppi interessi anche personali e, rendendosi conto dei mutamenti profondi avvenuti nell'ultimo ventennio, consigliò il Metternich di dare alle terre italiane qualche forma di verace, non finta autonomia. Per raccogliere intorno all'Austria le simpatie degl'intellettuali, in un momento in cui altrove infieriva una reazione non di rado persino ridicola, ebbe l'idea di fondare una rivista letteraria, che fu poi la Biblioteca, e tentò di valersi del Foscolo il quale dapprima parve acconsentire. Dopo la caduta di G. Murat e il secondo trattato di Parigi, il B. risiedette per qualche anno in Francia. Nel 1820 tornò a presiedere il consiglio aulico di guerra ed ebbe inoltre il titolo di ministro di stato. Nel 1825, colpito da una grave malattia d'occhi, si ritrasse a vita privata, e morì poi il 22 luglio 1845 a Vienna.
Bibl.: Von Smola, Das Leben des Feldmarchalls H. von Bellegarde, Vienna 1847. Brevi biobrafie, tratte dalla Storia dell'Ordine di Maria Teresa, del Hirtenfeld e da documenti degli archivî viennesi, si trovano in: H. Hüffer, Die Schlacht von Marengo (in Quellen zur Geschichte der Kriege von 1799 und 1800, II, i), Lipsia 1900, p. 33; M. H. Weil, Le Prince Eugène et Murat, Parigi 1902, III, p. 571; id., J. Murat roi de Naples. La dernière année de règne, Parigi 1909, V, p. 480. V. anche, in generale, le opere sulla restaurazione austriaca in Italia nel 1814.