BELLINO
Incerta la data di nascita: solo un'ipotesi arbitraria può fissarla al 1077. In effetti, il primo documento che riguarda B è del 1107, e lo dà "canonicus presbiter" della cattedrale di Padova. Quale che sia la provenienza e la genealogia della sua faniiglia, è però sicuro che essa va posta, se non tra le prime e le più antiche, almeno ira le più avanzate della città: i suoi fratelli - Valperto, Butrigello, Odo e Rolando sono tra i "boni homines" più in vista della "comimancia"; Valperto, nel 1138, diverrà anche console.
Come ecclesiastico, B. mosse i primi passi nell'intricato ambiente di una diocesi in crisi: l'eredità filoimperiale del vescovo Milone ancora si perpetuava nella lotta tra i due aspiranti al governo vescovile, Sinibaldo e Pietro. B. si schierò con il primo, ligio al papato; e poiché il secondo veniva nel frattempo deposto dal concilio di Guastalla e costretto a ritirarsi con l'arciprete Alberto e altri canonici nel guarnito feudo di Sacco, egli, fin dal novembre mog, poteva emergere, in veste di nuovo arciprete, come il più energico assertore, accanto a Sinibaldo, del "partito" filopapale.
Senonché lo scisma. vescovile era soltanto un aspetto di un contrasto di forze ben più ampio e profondo, che coinvolgeva l'intera società padovana: al di sotto della grande feudalità laica ed ecclesiastica, avanzava - come delineò anche il Bonardi - un ceto medio di piccoli possidenti, di mercanti, anche di artigiani, con propri interessi, i quali lottavano per conquistare un loro spazio - tra "potentiores" e "minores" - nella vita cittadina. Così, non sorprende che il dissidente Pietro potesse ben presto collegarsi con seguaci laici ed ecclesiastici rimasti, in città. per ricuperare, nel imo - complice anche il momento favorevole della discesa di Enrico V - la sua sede, scacciando Sinibaldo e R., che dovettero rifugiarsi a Este.
Lo scacco, tuttavia, durò poco, tanto quanto il trionfo di Enrico V sopra il papato: s'andava delineando in Padova un compromesso che rappresentava un indubbio progresso delle nuove forze cittadine: nel 1115, nella cattedrale di Padova, in un atto compiuto alla presenza di numerosi "boni homines" di tutti i ceti, compaiono affiancati il vescovo, anzi l'ex vescovo Pietro, in qualità di arcidiacono, e B. come arcíprete. Pertanto, la nuova discesa di Enrico V, che fu di passaggio per Padova il 18 e il 22 marzo 1116, si risolse in un insuccesso: la città rimase proterva; nessun ecclesiastico - né Pietro, né B., né Sinibaldo - venne a ossequiarlo. Donde l'ira dell'imperatore, che si sfogò in punizioni e rapine. Ira impotente: l'anno dopo Pasquale II poteva ringraziarlo per aver restituito alla città sia i beni sottratti sia i suoi favori. Era un indubbio, successo di B. e dei suoi fratelli, nonché di tutte le forze laiche ed ecclesiastiche locali che li fiancheggiavano.
Sfugge, o, per meglio dire, si confonde con quella di Sinibaldo, la successiva azione di B.; pare comunque certo che essa si sia svolta tra i contrasti dì gruppi politici e sociali che continuavano ad agitare la crescita del Comune patavino.
Neppure si può stabilire quando B. sia stato eletto- vescovo: il primo documento che lo menziona come tale è del 10 dic. 1128: due anni prima era ancora arciprete, come risulta da un documento del 10 ott. 1126.
Prendendo possesso della nuova carica, B. sitrovò di fronte a uno "status" patrimoniale addirittura disastroso. La maggior parte dei beni, e cioè - come risulta dalla conferma di Innocenzo II del 1133 - il monastero di S. Giustina, quelli di Candiana, di Carrara, di S. Daniele, di Praglia, di Saccolongo, la chiesa di S. Croce di Montegalda, la cappella di Romano, la pieve di Limena, nonché tutte le altre chiese vescovili, era o dilapidata o abusivamente occupata. S'imponeva, perciò, un'azione di riscatto e anche, se possibile, d'incremento, che è utile seguire anche perché rivelatrice di una trama di rapporti con i diversi ceti cittadini. Poco dice un ricupero di terre e di diritti vescovili "in curte de Bussilaco", che un certo Dondidio, pare fraudolentemente, occupava. Molto più rilevante, invece, il fatto che B. accetti un "offersio" di beni a Tombiole, che il 3 sett. 1129 i "marisi" e procuratori della "patria" di Sacco gli facevano, col patto però che non venissero alienati a nessuno dei conti di Montebello o ai "capitanei", o ad altri "qui fecerunt virtutem hominibus de Saco de via eundi vel redeundi ad Cluzam vel alibi, et de capulo et pasculo evidente che i "consortes" di, Sacco vedevano nel B. il loro difensore contro la pressione dei grandi proprietari. D'altra parte, i Da Baone, i Da Carrara sono di continuo presenti tra i "boni homines" che sottoscrivono gli atti vescovili; nel 1138 B. confermò l'investitura dei beni ai figli del conte Maltraverso; in una disputa, nel 1132, con il Comune di Sacco proprio per la zona di Tombiole, egli, pur accedendo a una transazione, si trovò allineato con gli interessi fondiari dei Da Baone. In sostanza, un bilancio definitivo coglie più l'aspetto conservatore della politica patrimoniale di B. che non quello socialmente aperto. Ma interessa ora capire il rapporto tra questa politica e la "missio" pastorale. Una disamina dei documenti del Codice diplomatico padovano (nn. 213, 216, 227, 400, 431., 442, 497) offre prove più che sufficienti per affermare che il riscatto del patrimonio diocesano, lungi dall'essere fine a se stesso, obbediva a uno sforzo di sostegno e affiancamento del clero regolare e secolare più disagiato: B. distribuiva beni propri e lasciava autonomia nell'amministrazione dei patrimoni ecclesíastici. Soltanto avocava, gelosamente a sé, in quanto capo e pastore della Chiesa diocesana, le prerogative essenziali del ministero e del magistero, e cioè "ius parrochiale..., consecrationem clericorum et ecclesie, sacrum crisma et oleum sanctuin", e il potere d'intervento in ogni atto che riguardasse l'"ecclesiasticum officium" (diritto di sinodo, di visita, di giustizia).
Per questi scopi B. si servì anche della collaborazione dei monaci, in contrasto con una tendenza che si era affermata in ambienti riformistici (doc. n. 442). Ma, in effetti, per B. l'utilizzazione del monachesimo era in funzione di, una ripresa della vita clericale. Non per nulla predílesse i canonici della cattedrale, e avviò, pare - la notizia non è sicura, - la "Fratalea cappellanorum", mostrando di intuire nel clero il nerbo della futura chiesa cittadina. Secondo, queste linee, B., morto il 26 nov. 1147, può assumere un rilievo non esclusivamente locale: ma la fama di santità, che lo onorò dopo la morte, non dipese tanto dalla sostanza felicemente "gregoriana". del suo episcopato, quanto da pie incrostazioni di agiografi tardi.
Fonti e Bibl.: Padova, Bibl. civica, ms. B. P., 802, X, I. Brunacci, Acta S. Bellini episcopi et Martyris; Codice Diplom. Padovano, 1101-1183, I, a cura di A. Gloria, Venezia 1879, sub annis; F. S. Dondi Orologio, Dissertazioni sopra l'istori. a eccles. padovana, V, Tadova 1808; Id., Serie cronologico-istorica dei canonici di Padova, Padova 1805, p. 17; A. Bonardi, Le origini del Comune di Padova, in Atti e Memorie della R. Accad. di scienze, lettere ed arti in Padova, n. s., XIV (1897-98), pp. 209-254; XV (1898-99), pp. 11-48; A. Barzon, S. B. vescovo martire, Padova 1947 (con qualche indicazione utile, ma essenzialmente apologetico), e anche Id., Tratalea cappellanorum civitatis Paduae, in Scritti stor. in onore di Camillo Manfroni nel XL di insegnamento, Padova 1925, pp. 353-368; P. Sambin, L'ordinamento parrocchiale di Padova nel Medioevo, Padova 1941, pp. 24 s. e passim; Id., Aspetti dell'organizz. e della politica comunale nel territorio e nella città di Padova tra il XII e il XIII secolo, in Arch. ven., LVIII-LIX (1956), pp. 1 s. Valgono, inoltre, per inquadrare i problemi, c. Violante, Prospettive e ipotesi di lavoro, in La vita comune del clero nei secoli XI e XII...,I, Milano 1962, pp. 1-15; O. Gantier, Recherches sur les possessions et les prieurés de l'Abbaye de Marmoutier, in Revue Mabillon, LIV(1964), pp. 125-133.