LERCARI, Belmusto
Figlio probabilmente di Ido, nacque forse a Genova intorno alla metà del XII secolo.
I Lercari appartenevano alla più antica nobiltà genovese. Una fantasiosa leggenda seicentesca attribuiva alla famiglia un'origine armena (forse riconducibile ai rapporti che, nel Trecento, ebbero numerosi membri del casato con gli imperatori di Trebisonda), ma essa era quasi certamente di antico ceppo cittadino e, forse, di ascendenza viscontile. Nel 1145 un Alberto "Lercarius" (cognome la cui origine è stata messa in relazione con un termine altotedesco che avrebbe significato "mancino") figura tra i consiglieri del Comune di Genova e nel 1166 è ricordato un Alberto, primo della famiglia a rivestire l'ufficio di console. Con la seconda metà del XII secolo i Lercari si affermarono, grazie soprattutto all'attività mercantile, tra le prime famiglie dell'aristocrazia genovese, costituendo uno dei più numerosi e agguerriti clan familiari della città. Sede originaria del consortile fu l'area accanto all'antica chiesa di S. Pietro "de Porta" (oggi S. Pietro in Banchi), all'esterno di una delle porte urbiche che separavano l'antica civitas romana e altomedioevale dal burgus, di più recente formazione. Qui essi ebbero piazza e loggia, estendendosi nel Duecento verso le vicine contrade degli Orefici e degli Indoratori, in una zona - quella tra S. Pietro e la cattedrale di S. Lorenzo - dove avevano le loro "curie" altre importanti famiglie, come i De Camilla, i Malocello e i Di Negro, non a caso tutte annoverate in seguito tra le principali della fazione guelfa, alla quale i Lercari aderirono fin dai suoi inizi.
L'esistenza di almeno due Belmusto (il L. e suo figlio Belmusto "iuniore") rende difficile distinguere i due personaggi, tanto più che entrambi - in anni più o meno coincidenti - furono consoli ed esercitarono importanti cariche civili e militari all'interno del Comune. È certamente il L. quel "Belmustus Lercarius" che nel 1180, e poi il 2 febbr. 1200, giurò, con altri cittadini, di prestarsi a ogni richiesta quale testimone degli atti più importanti del Comune. Mentre è invece suo figlio, Belmusto "iuniore", uno dei testi che, con il fratello Ugo (il futuro ammiraglio di Luigi IX), nel 1190 presenziò in Tiro alla concessione del diploma con il quale il marchese Corrado di Monferrato, signore della città, riconosceva libertà di commercio e privilegi fiscali e giurisdizionali ai Genovesi. Dei due omonimi, la carriera più prestigiosa fu certo quella del L., anche perché egli si trovò a ricoprire le supreme cariche del Comune in momenti di notevole importanza per la storia di Genova.
Più volte consigliere, nel 1196 fu eletto, in rappresentanza dei quartieri ("compagne") del borgo, tra gli otto rettori che, a fianco del podestà forestiero, avevano cura delle entrate del Comune, della flotta e delle fortezze. In questa veste, nel marzo di quell'anno, si recò con altri tre ambasciatori genovesi ad accogliere a Lerici il cardinale Pandolfo Masca, che papa Celestino III aveva incaricato di cercare un accordo tra Genova e Pisa, allora in guerra. Tre anni dopo, tra il marzo 1199 e il gennaio 1200, il L. fu nuovamente eletto nel Consiglio dei rettori che affiancarono, come consiglieri, il podestà Beltrame Cristiani, pavese. Sotto il suo governo, il Comune ottenne la sottomissione dei marchesi Malaspina e di quasi tutta la Riviera di Ponente e il L., quale rettore in carica, fu presente alla stipula delle convenzioni con le Comunità di Diano (20-24 settembre), Albenga (23 settembre), Oneglia (29 settembre), San Remo (16 ottobre), Porto Maurizio (24 genn. 1200) e con i signori della Lengueglia. Nel 1200 fu nominato tra i consoli dei Placiti per le quattro "compagne verso il borgo" e nel 1202, eletto nuovamente nel Consiglio dei rettori, è ricordato quale testimone nelle convenzioni stipulate in quell'anno con il marchese Ugo Del Carretto, podestà di Savona (aprile) e con i marchesi Guglielmo e Raniero di Gavi (18 settembre). Nel 1203, insieme con Lamberto de Fornari, fu inviato quale ambasciatore al principe Boemondo IV d'Antiochia che, nel dicembre di quell'anno, accogliendo le loro richieste, concesse ai Genovesi ampi privilegi commerciali e giudiziari.
Di ritorno da questa missione, il L. incrociò davanti all'isola di Candia una flotta genovese diretta in Egitto, sulla quale viaggiava anche il figlio Belmusto "iuniore", destinato ad assumere l'ufficio di console ad Alessandria. Fermatisi a tenere consiglio, essi decisero - su suggerimento, pare, di Alamanno da Costa, famoso corsaro - di dirigersi tutti insieme alla volta di Siracusa.
La città, importante scalo portuale assai frequentato dai Genovesi, era stata più volte promessa loro sia da Federico I sia da Enrico VI di Svevia, desiderosi di ottenere così l'aiuto del Comune per spezzare le resistenze della fazione filonormanna, ma nel 1196 i Pisani se ne erano impadroniti e, dopo avere cacciato il vescovo e molti nobili locali, ne avevano fatto una base per le loro incursioni corsare nel Mediterraneo centrale.
La flotta genovese comparve davanti a Siracusa il 6 ag. 1204 e, dopo aver catturato due grosse navi pisane, pose l'assedio alla città che, dopo sette giorni di violenti combattimenti, fu espugnata. Ciò fatto, il L. e il collega, quali maggiori di grado e autorità, convocarono tutti i nobili genovesi partecipanti alla spedizione e, con una procedura del tutto insolita, in nome del Comune di Genova diedero la città in feudo ad Alamanno da Costa, che era stato l'ispiratore dell'impresa. Rientrato a Genova, nel marzo 1205 il L. è ricordato tra i nobili che affiancavano, quali consiglieri, il podestà Fulcone da Castello.
Questa è l'ultima notizia che abbiamo su di lui, sicché si deve credere che egli sia morto pochi anni dopo.
Il Belmusto Lercari che compare nell'atto con cui in Acri, il 1° maggio 1219, il conte Ugo di Ampurias concedeva ai Genovesi protezione e aiuto nei suoi territori catalani deve infatti ritenersi quasi certamente suo figlio, che morì poco prima del 1251.
Dal suo matrimonio con Alda (di casato ignoto), il L. ebbe numerosi figli tra i quali, oltre i già citati Belmusto "iuniore" e Ugo, Giovanni, Ido, Guglielmo e Rubaldo.
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