BELOCH, Karl Julius (Carlo Giulio), o più comunemente Julius (Giulio)
Tedesco di nascita, divenne cittadino italiano negli ultimi anni della sua vita, avendo insegnato storia antica nell'università di Roma dal 1879 al 1929. Nacque a Petschkendorf, nel distretto di Lüben, in Slesia, nel regno di Prussia, il 21 genn. 1854, figlio unico del benestante amministratore di tenute agricole (Landwirt) Karl Julius, e di Alwine Rösler, figlia del proprietario fondiario August Wilhelm Rösler di Hulm. La religione della famiglia paterna era da almeno tre generazioni la evangelica, e anche la madre era di religione evangelica. Le poche notizie che si hanno della giovinezza del B. sono contenute nel "curriculum vitae", attualmente nell'archivio dell'università di Heidelberg (datato 1° luglio 1875), e nell'autobiografia stampata nel 1926 nella serie Die Geschichtszvissenschaft der Gegenwart in Selbstdarstellungen (Meiner, Leipzig, II, pp. 1-27), che nel complesso è ricca di attendibili informazioni e osservazioni, ma lascia a desiderare in precisione. Il padre morì giovane. La madre - una scrittrice di versi in segreto - ebbe cospicua parte nell'educazione del B., che fu privata. Il fanciullo dimostrò precoce interesse per storia, geografia e statistica e imparò le lingue classiche eccezionalmente bene: già da allora la sua lingua favorita era il greco. Una memoria straordinaria lo sorresse poi per tutta la vita e in parte spiega la rapidità del suo lavoro. Da adulto il B. sapeva a memoria gran parte della Iliade e di Tucidide.
Una minaccia di tubercolosi lo fece migrare in Italia intorno al 1870 e gli diede un permanente amore per le assolate terre del Mediterraneo. Sua prima residenza fu Sorrento, che per lui rimase "il più bel posto sulla terra". Qui conobbe Bartolomeo Capasso, che lo incoraggiò a studiare antichità campane. Il suo primo lavoro sulla topografia di Sorrento (rimasto inedito?) costituì il nucleo dell'opera Campanien poi pubblicata nel 1879 e dedicata al Capasso. Da Sorrento si trasferì a Palermo dove prese la licenza liceale e si iscrisse nella facoltà di lettere nell'autunno 1872. Il B. afferma nella sua autobiografia di essere stato il primo studente regolarmente iscritto in quella facoltà e di aver seguito con profitto il corso di A. Salinas. La distruzione degli archivi dell'università di Palermo per quegli anni impedisce di precisare ulteriormente. Nell'anno accademico 1873-74 e per parte del successivo studiò all'università di Roma, dove tra l'altro seguì corsi di G. Lignana (glottologia), E. De Ruggiero (antichità romane), R. Bonghi (storia antica), al quale ultimo è dedicato come a maestro Der italische Bund (1880). Il Bonghi, ministro dell'Istruzione dal settembre 1874 al marzo 1876, interruppe l'insegnamento nell'anno 1874-75, ma continuò a mantenere rapporti paterni con il giovane tedesco così promettente. Questi, come in Sicilia si era interessato alla storia della grecità d'Italia e a Omero, così a Roma si dedicò all'epigrafia e alle antichità romane e italiche, e naturalmente frequentò l'Instituto di Corrispondenza Archeologica (poi Istituto Archeologico Germanico) e imparò a conoscere W. Henzen e W. Helbig. Dell'anno siciliano deve essere frutto il suo primo articolo, in italiano, comparso nella Rivista di filologia e d'istruzione classica, II (1873-74), pp. 49-62, su Bronzo e ferro nei carmi omerici (datato Breslavia, luglio 1873), in cui derivava conseguenze sulla composizione dell'Iliade dalla menzione del ferro: una rinnovata versione del saggio si trova in Griechische Geschichte, I, 2 (1913), pp. 109 ss. A questo saggio seguirono altri articoli sempre nella Rivista di filologia: Sulla popolazione della Sicilia antica, ibid., pp. 545-562 (datato Roma, aprile 1874); All'Antologia Latina (su una lapide di Frascati; datato Frascati, giugno 1874), III (1875), pp. 70-72; De Homeri carminum prima forma restituenda (datato Roma, ottobre 1874), ibid., pp. 305-327; Sulla costituzione politica dell'Elide, IV (1875-76), pp. 225-238; La battaglia di Tanagra, V (1877), pp. 453-472.
Nella primavera 1875, il B. passò alcuni mesi all'università di Heidelberg, dove seguì i seminari di H. Köchly, O. Ribbeck e W. Stark e le lezioni di K. Fischer. Il 7 ag. 1875 superò l'"examen rigorosum" "summa cum laude", avendo per soggetto principale la filologia classica e per soggetti secondari l'archeologia e la storia antica. Due giorni dopo, il 9 agosto, gli veniva conferito il dottorato per una dissertazione De Graecorum in Campania colonis. La breve dissertazione, manoscritta, di 56 pagine, era costituita da tre capitoli: "Origines"; "Graecorum in Campania res gestae"; "Graeci Campaniae sub imperio barbarorum".
I due referenti, Köchly e Stark, come si vede dai loro pareri conservati negli archivi dell'università di Heidelberg e datati rispettivamente 17 luglio e 6 giugno (quasi certamente errore per luglio), erano tutt'altro che soddisfatti della dissertazione. Per quanto elogiassero la dottrina e l'acume dell'autore, proponevano che la dissertazione fosse accettata solo dopo revisione. Dopo il successo del "rigorosum" il 7 agosto, la facoltà accettava la dissertazione a condizione che fosse parzialmente riveduta e risottoposta. Ciò non sembra sia mai avvenuto. Non solo la dissertazione non fu mai stampata, ma nessuna copia se ne trova sia nella Biblioteca sia nell'Archivio dell'università di Heidelberg. Il materiale per essa raccolto deve essere confluito nel volume Campanien.
Subito dopo il B. tornò in Italia a continuare a lavorare sulla storia della Campania. Ma se anche. non lo sapessimo dalla sua autobiografia, dovremmo dedurre dal seguito delle sue pubblicazioni che egli rapidamente si impadronì di molti campi delle antichità greche e romane. La risolutezza e la rapidità delle sue conclusioni turbarono i rapporti già amichevoli con i dotti che allora presiedevano all'Istituto di Corrispondenza Archeologica. Fu uno scontro sulla topografia della battaglia dell'Allia, che il B. poneva alla destra del Tevere, a provocare la rottura con lo Henzen che si rifiutò di accogliere lo studio del B. nelle pubblicazioni dell'Istituto (un riassunto della comunicazione del B. e delle obiezioni dello Henzen, in Bull. dell'Instituto di Corrisp. Archeol., XLVII [1877], pp. 55-56; un altro scontro con F. Duhn registrato ibid., XLVIII [1878], p. 67, dopoché il nome del B. sembra scomparire dalle cronache dell'Istituto).
La rottura con lo Henzen diventò tosto rottura con l'Istituto in generale: il B. ne diventò socio solo nel 1925, quasi alla vigilia della morte. Aggiunto all'ambiguo risultato della laurea di Heidelberg, il conflitto con il potente gruppo tedesco di Roma dovette avere influenza decisiva nel persuadere il B. a cercare di far carriera in Italia. Con le tendenze filo-tedesche della politica e della cultura italiana del tempo e con la protezione del Bonghi, non era difficile. Proprio nel 1876 diventò professore di storia universale a Palermo un altro tedesco, A. Holm, che tuttavia andò presto ad accrescere le fila dei suoi nemici. Nel marzo 1877 il B. prendeva la libera docenza di storia antica nell'università di Roma. Il 21 genn. 1879, a venticinque anni, succedeva per concorso come professore straordinario nella cattedra di storia antica al Bonghi, che aveva dovuto lasciare la cattedra come incompatibile con la sua posizione di deputato al Parlamento (su di ciò F. D'Ovidio, in Nuova Antologia, CXLIV [1895], p. 20). La commissione che gli diede la cattedra includeva P. Villari, M. Amari e D. Comparetti. Di quel tempo è il suo matrimonio con l'americana Bella Bailey di Washington, appartenente (secondo quanto scrive il B. stesso) a una famiglia di amici di A. Lincoln. Nacquero due figlie, che hanno avuto un posto proprio nella cultura italiana: Margherita, sposata Piazzolla, (già professoressa ordinaria di geometria analitica nell'università di Ferrara), e Dorotea (morta nel 1952, musicista allieva di P. Mascagni, compositrice di opere liriche e fiabe musicali). Dal matrimonio venne al B. una conoscenza di inglese e di cultura anglo-americana allora poco comune.
Il giovane professore importò a Roma i metodi del seminario tedesco e rapidamente vi fece allievi: tra i più antichi Federico Halbherr, poi esploratore di Creta e collega a Roma, e Vincenzo Costanzi, poi professore a Pisa. Ma i suoi metodi di lezione non erano esattamente quelli usuali in Germania: fidandosi della sua memoria, il B. arrivava alla cattedra senza note. Per sua stessa dichiarazione, egli non prese in quegli anni l'insegnamento troppo sul serio, e preferì Frascati a Roma. La promozione a ordinario, che allora non era a scadenza fissa, si faceva attendere; e perciò nel 1886 il B. decise di prendere parte al concorso per un ordinariato di storia antica a Catania. Dopo averlo vinto, preferì tuttavia rimanere a Roma come straordinario, ed ebbe infine la promozione a ordinario nel maggio dell'anno 1891.
Che cosa il B. fosse, che cosa volesse in quel periodo 1879-1890, è indicato dallo straordinario ciclo di opere: Campanien (Berlin 1879); Der italische Bund unter Roms Hegemonie (Leipzig 1880); L'Impero siciliano di Dionisio (Memorie della R. Accademia d. Lincei, classe di scienze morali, stor. e filol., s. 3, VII [1880-1881], pubblicato nel 1881, pp. 211-235); Le fonti di Strabone nella descrizione della Campania (ibid., X [1881-1882], pp. 429-448); Attische Politik seit Perikles (Leipzig 1884); Die Bevölkerung der griechisch-römischen Welt (Leipzig 1886). A queste bisogna aggiungere il rivoluzionario studio sulla invasione dorica in Rh. Museum, XLV (1890), pp. 555-598; la serie di ricerche sulla finanza ateniese (ibid., XXXIX [1884], pp. 34-64, 239-259; XLIII [1888], pp. 104-122; Hermes, XX [1885], pp. 237-261; XXII [1887], pp. 371-377); ricerche di storia siciliana e italiota (ibid., XXVIII [1893], pp. 481-488, 630-634; XXIX [1894], pp. 604-610; Jahrb. f. class. Philol., CXXXI [1885], pp. 366-368); l'analisi dei censimenti romani (Rh. Museum, XXXII [1877] pp. 226-248); lo studio sulla popolazione di Roma antica (Bulletin de l'Institut international de statistique, I [1886], pp. 63-79 poi riprodotto nel volume sulla Bevölkerung), e soprattutto l'inizio degli studi sulla popolazione dell'Italia medievale e moderna nell'articolo programmatico della Nuova Antologia, XCV (1887), pp. 48-61, e nel saggio sui secoli XVI-XVIII, in Bull. Inst. Stat., III (1888), pp. 1-42 (ancora insostituito nel 1959 quando veniva ristampato in C. M. Cipolla, Storia della economia italiana, I, Torino 1959, pp. 449-500), per tacere di tante altre classiche ricerche su punti speciali, come quella sulla economia delle storie di Timeo in Jahrb. f. class. Philologie, CXXIII (1881), pp. 697-706 (cfr. CXXXIII [1886], pp. 775-776) e quella sulla patria di Teognide, ibid., CXXXVII (1888), pp. 729-733.
In questi lavori vi è forse molta parte del B. più originale e duraturo; v'è certo l'applicazione più precisa del suo metodo in tutti i campi, compreso quello della storia greca arcaica, dove tale applicazione era più contestabile. Quattro doti spiccano in queste prime opere del B. e rimangono poi caratteristiche delle successive: la straordinaria capacità di tenere compresenti i dati delle fonti antiche, con cui era familiarissimo; l'abilità di usare i fatti noti come indizi di avvenimenti anteriori ignorati dalle fonti; competenza nel valutare questioni topografiche e demografiche; e infine acutezza di critica testuale (esempi di quest'ultima in Jahrb. f. class. Philologie, CXXIII [1881], p. 391; Hermes, XXVIII [1893], p. 630; Rivista di storia antica, V [1900], p. 603).
Per il B. importa anzitutto la precisa ricostruzione sul terreno delle condizioni di vita antiche. Su questa misura dell'ambiente fisico si inserisce la misura della popolazione che per tutta la vita il B. sentì come fondamentale non solo per la valutazione dei rapporti di potenza tra Stati, ma per la esatta raffigurazione di ogni evento interno d'uno Stato. In particolare il B. si rese presto conto che una idea anche solo approssimata della popolazione del mondo antico non era possibile senza conoscere e valutare i dati ben più ricchi e sicuri sulla popolazione del mondo medievale e moderno. E perciò egli cominciò negli archivi d'Italia quelle ricerche sulla storia della popolazione che doveva poi estendere a vari paesi d'Europa. Sulla duplice base della misura del territorio e della popolazione egli ricostruiva le istituzioni. Poco interessato a caratteristiche giuridiche di singole magistrature, si preoccupava invece della funzione amministrativa dei centri urbani, della struttura degli eserciti, della natura e consistenza delle finanze statali. Entro lo Stato lo interessavano particolarmente le classi commerciali e industriali, che valutava con franca modernizzazione in termini di capitalismo: meno si occupò di agricoltura, se non per determinare rapporti elementari tra produzione di cereali e popolazione. Rimase tuttavia al B. il gusto per la storia politica come tale: di lotte di individui e di partiti, anch'esse modernizzate in temi di ideologie nazionaliste e di contrasti tra conservatori (aristocratici) e riformatori (democratici), sono pieni i suoi libri. Ma è facile notare che questo interesse per la politica non è perfettamente armonizzato con l'altro interesse per la storia economico-sociale e per la geografia antropica. Nell'Attische Politik è evidente che la ricostruzione delle finanze ateniesi e delle liste degli strateghi serve poco alla interpretazione della politica. Perciò l'Attische Politik è in definitiva meno originale che l'Italische Bund e la Bevölkerung der griechisch-römischen Welt. Essa si muove nei limiti di quella discussione della politica ateniese del IV sec. stabiliti da A. Schaefer e G. Grote, con la differenza che il B. ammira i creatori di Stati forti e perciò preferisce Filippo di Macedonia a Demostene. Dalla medesima ammirazione per lo Stato forte è ispirato il saggio in italiano su Dionigi di Siracusa; ma qui per la prima volta era fatto un tentativo di studiare nella sua struttura costituzionale e nella sua estensione territoriale l'impero del tiranno siracusano. Ciò riconosceva, pur combattendo la tesi principale (tutt'altro che sicura) sui poteri a vita di Dionigi, la critica ostile dello Holm in Bursians Yahresber., XXVIII, 3 (1881), pp. 148-155. L'Italische Bund era invece qualcosa di assolutamente nuovo. Uscendo dalla lunga ricerca antiquaria e costituzionale sulla Campania - che del resto, soprattutto nelle aggiunte della seconda edizione (Morgenstem, Breslavia 1890), pone problemi importanti sulla cronologia delle colonie greche, sul dominio etrusco e sulla oschizzazione della Campania - il B. sentì il bisogno di comprendere in termini precisi di estensione geografica, di divisioni amministrative e di popolazione, la espansione di Roma in Italia. Tutti coloro che poi hanno lavorato su questo argomento (e in Italia precipuamente Plinio Fraccaro e la sua scuola) sono partiti dal Beloch. Altrettanto fu nuovo il volume sulla popolazione del mondo antico. Critiche dei dati tradizionali si erano avute sin dallo Hume (per altri particolari cfr. A. Momigliano, in Encicl. Ital., XXVII, Roma 1935, p. 915); e buone indagini parziali non erano naturalmente mancate, per es. di J.-A. Letronne e di H. A. Wallon (Histoire de l'Esclavage, I, Paris 1847). Nel 1840 K. G. Zumpt aveva anche cercato di dare sulle cifre tradizionali una idea generale del movimento demografico nel mondo greco-romano (Ueber den Stand der Bevölkerung und Volksvermehrung im Altertum, in Abhandl. Ak. Berlin, 1840, pp. 1-92). Ma il B. fu il primo a procedere criticamente a una revisione sistematica di tutti i dati antichi sulla base di un costante confronto fra cifre di popolazione, dimensioni del territorio occupato e mezzi di nutrizione: era anche il primo ad applicare consistentemente il principio che le cifre di eserciti o di partecipanti ad assemblee politiche, per quanto discutibili, hanno maggiore probabilità di essere veritiere che le cifre di intere popolazioni o di schiavi. Al B. stesso la critica dei risultati anteriori riusciva meglio che la formulazione di nuove cifre: su ciò basti rimandare alle osservazioni di E. Ciccotti nella introduzione alla traduzione italiana della Bevölkerung, in Biblioteca di storia economica di V. Pareto, IV, Milano 1909, nonché in Valore e utilizzazione di dati statistici nel mondo antico (1931). Ma il B. stesso aveva accentuato il carattere ipotetico delle sue cifre e aveva indicato il margine di errore (si cfr. anche il lavoro di J. C. Russell citato più oltre).
In tutti questi studi (e anche, come vedremo fra poco, nel suo scetticismo circa i dati tradizionali in storia arcaica e nel suo tentativo di sostituirli con inferenze da fatti più tardi) non c'era nulla che non si possa dire specificamente tedesco. Tedesca era la preoccupazione per l'economia e la statistica, in cui egli direttamente reagiva alle teorie sul carattere "domestico" della economia antica di K. Bücher (si cfr. la sua polemica più tarda in Zeitschr. f. Socialwissenschaft, V [1902], pp. 95-103, 169-179; e Gr. Gesch., 2 ediz., III, 2, p. 419). Tedesca la esaltazione di Filippo il Macedone, che implicava il riconoscimento dei Macedoni come Greci, mutuata da J. G. Droysen. Tedeschi in genere l'apparato erudito (critica delle fonti) e l'armamentario ideologico con cui egli operava. Non è caso, per esempio, che J. Jastrow, Die Volkzahl deutscher Städte zu Ende des Mittelalters..., comparisse (a Berlino) nel medesimo anno della Bevölkerung, 1886. Ma se il B. era in armonia con certe correnti della cultura tedesca intorno al 1880, non si può dire che fosso intonato alla cultura e agli interessi prevalenti tra gli storici antichi della Germania. Non condivideva gli interessi per la storia amministrativa e la sistematica costituzionale di Th. Mommsen, era avverso al classicismo di E. Curtius, interamente ignorava la rivolta dionisiaca di F. Nietzsche ed E. Rohde, né mai si interessò agli sforzi di H. Usener per ricuperare attraverso tarde costumanze qualcosa dell'etica e della religione popolare prevalente nella Grecia e nell'Italia antica: si opponeva infine alla ripresa delle idee di C. O. Müller sulla mitologia greca patrocinata da U. Wilamowitz giovane. Per quanto grande fosse il suo debito al nazionalismo imperialista del tardo Droysen (ciò che, a tacer d'altro, sempre tenne lontano il B. da K. Marx a cui lo avrebbe dovuto avvicinare l'implicito materialismo), non aderì mai alla nozione droyseniana di Ellenismo e non ebbe mai simpatia per la esposizione troppo analitica di questo storico. Poteva certo richiamarsi all'esempio di A. Boeckh, ma solo in quanto la recente riedizione (terza ediz.) per cura di M. FraenkeI (Berlin 1886) della Staatshaushaltung der Athener, originalmente pubblicata nel 1817, era un indizio che la giovane generazione tornava a problemi di storia sociale ed economica. Altri indizi in verità non mancavano: più cospicuo forse di tutti l'apparire di R. Pöhlmann, che, tra l'altro, nel 1884 pubblicò una ricerca sulla sovrappopolazione delle grandi città dell'antichità (Die Ueberbevölkerung der antiken Grosstädte, in Preisschriften der Jablonowskischen Gesell., XXIV, Leipzig 1884) e recensì il B. in Deutsche Literaturz., V (1887), coll. 495-498. Ma si trattava di un riorientamento di alcuni giovani, che non diventò mai generale: il Pöhlmann come il B. rimase una eccezione. È anche notevole come il primo storico tedesco a riconoscere generosamente l'importanza delle ricerche sulla popolazione del B. e a proseguirle per conto suo fosse un coetaneo che veniva dalla storia orientale, Eduard Meyer (cfr. Forsch. z. alten Geschichte, II, Halle 1899, pp. 149-195; e l'art. Die Bevölkerung des Altertums, in Handwörterb. d. Staatswiss., II, 1891, p. 445).
Non è dunque sorprendente che il conflitto locale tra il B. e i capi dell'Istituto Archeologico Germanico di Roma si allargasse a conflitto con la storia antica ufficiale della Germania. Il Mommsen prese occasione da alcuni capitoli dell'Italische Bund per condannare il B. (Hermes, XVIII [1883], p. 208; XXII [1887], p. 101). Il giudizio crudele - "di rado una monografia è stata scritta con una tale trascuranza della ricerca specializzata e una spedizione nelle terre incognite della scienza è stata intrapresa con un bagaglio così leggero" - influì sul resto della carriera del B. (un riflesso della opinione del Mommsen è probabilmente anche la recensione di O. Seeck in Deutsche Literaturzeitung, II [1881], col. 402). Più è ora rivelato da una lettera del Mommsen al Wilamowitz del 1881 (Briefwechsel, 1935, p. 106). Secondo il B. stesso nell'autobiografia, il veto del Mommsen fu la prima ragione perché egli non fosse chiamato a un ordinariato a Breslavia nel 1889 (già nel 1885 era fallita una sua chiamata come straordinario a Lipsia). Che il B. desiderasse tornare in patria - tanto più quanto più grandi erano le ostilità degli ambienti accademici ufficiali - è confermato dalla strana decisione di presentarsi come candidato al Parlamento tedesco nelle elezioni del 1893 indette da G. L. von Caprivi. Quali fossero esattamente le opinioni politiche del B. nel 1893 non è facile dire. Nella sua autobiografia si definì un anti-bismarckiano e un repubblicano per tutta la vita. Per il mandamento elettorale di Rügen-Stralsund si presentò all'ultimo momento al posto di R. Virchow come candidato del partito progressista (Freisinnige Volkspartei). Ebbe contro di sé il deputato uscente R. von Keudell del Reichspartei (già ambasciatore in Italia), il socialdemocratico Rathmann e infine il candidato dell'Antisemitische Volkspartei von Langen, che riuscì eletto dopo un ballottaggio col von Keudell. Il B. tace nella sua autobiografia del candidato antisemita vittorioso che sedette poi nel Reichstag come conservatore-antisemita (Antisemiten-Spiegel, 2 ed., Danzig 1900, p. 40): e questo silenzio, per quanto si dirà poi sull'antisemitismo del B., pare significativo. Il B. fu evidentemente coinvolto nel disastro generale del suo partito. Personalmente aveva attratto voti, e a Stralsund città ottenuto la maggioranza. Si consolò con un viaggio in Norvegia, che lo attirava per le bellezze naturali a cui fu sempre sensibile, e tornò a insegnare a Roma con rinnovato vigore. Più tardi poteva polibianamente vantarsi: "Chi in una campagna elettorale sta per otto sere sulla tribuna impara più che in otto anni a tavolino" (Einleitung, in die Altertumsw., III, 2 ed., p. 156).
È mirabile come il B., che passò tutta la sua vita di adulto in Italia, sia riuscito a rimanere così impervio alla cultura italiana. Positivamente non c'è forse una idea nel B. che gli sia venuta da autori italiani, nemmeno dai suoi allievi. E tuttavia profondo fu il debito del B. alla sua residenza in Italia; e altrettanto profondo, e positivo, fu il suo effetto sulla cultura italiana.
Vivere in Italia intanto diede al B. una precisione di conoscenze ambientali che, con la eccezione del Mommsen, nessun altro studioso tedesco riuscì ad avere. La critica del B. alla Italische Landeskunde di H. Nissen "mezzo Baedeker, mezzo Corpus Inscriptionum Latinarum" (Römische Geschichte, 1926, p. 215) riflette questo suo senso di superiorità. Siffatta sicurezza di conoscenze ambientali il B. poi estenderà dalla Magna Grecia e dalla Sicilia alla Grecia con ripetuti viaggi, sebbene non potesse mai raggiungere per la Grecia la familiarità che aveva con la Magna Grecia (e se ne notano le conseguenze nei suoi lavori di storia greca); in Asia Minore e in Africa non pare che mai sia andato. Inoltre la vita in Italia diede al B. un vantaggio meno facilmente definibile: lo sottrasse alla pesante atmosfera di ossequio delle università tedesche e in particolare a quella "tirannia del Mommsen" che lasciò il suo segno sui contemporanei d'oltralpe. Infine è impossibile separare dalla sua residenza in Italia quella semplificazione della lingua tedesca, e forse ancor più delle idee, che è così caratteristica del Beloch. La lingua, la cultura tedesca del B. erano ridotte dalla distanza a strutture scheletriche. In minor uomo, sarebbero diventate rigide e improduttive: in lui acquistarono invece acutezza ed evidenza proprio da questo processo di semplificazione. Donde il suo vanto, giustificato, di non scrivere una parola superflua. In questa estrema chiarezza e decisione le idee del B., il suo metodo di ricerca, si comunicarono in Italia e trovarono favore. Del resto, se della cultura italiana non si interessava, il B. era prontissimo a dare il proprio tempo per tutte le bisogna, anche più umili, della scuola italiana: esami di licenza, ispezioni, commissioni di concorso. Ed era legato di amicizia con colleghi quali Antonio Labriola ed Ettore Pais, che a lui dedicò la sua Storia di Roma, I (Torino 1898).
Quando l'amico del Bonghi, L. Bodio, ormai di fama europea come segretario del nuovo Istituto internazionale di statistica, lo chiamò a collaborare al Bulletin de l'Institut international de statistique iniziato a Roma nel 1886, egli vi scrisse alcuni articoli (per gli interessi classici del Bodio cfr. F. Coletti, Studi sulla popolazione italiana, Bari 1923, pp. 218-30). Tra il 1890 e il 1900 la sua scuola trasformò gli studi di storia antica in Italia: ne uscirono G. De Sanctis (laureatosi nel 1892), E. Breccia, G. Cardinali, R. Paribeni, L. Pernier, ecc. Sono questi gli anni a cui si richiama il ricordo del De Sanctis per il maestro "alto ed eretto della persona, dignitoso nel lungo soprabito scuro, pronto negli atti e nei movimenti, gli occhi mobili e vivacissimi, il volto sereno, espressivo ed arguto ... con accento e con qualche frase lievemente stranieri ... la parola semplice, precisa e chiara" (Riv. fil. class., n.s., VII [1929], p. 141). Le migliori dissertazioni scritte alla sua scuola comparvero nei suoi Studi di storia antica: sono sei volumi, tra :il 1891 e il 1907, includenti 13 monografie, tra cui U. Pedroli, I tributi degli alleati di Atene (1891); G. De Sanctis, Contributi alla storia ateniese dalla guerra lamiaca alla cremonidea (1893); R. Corsetti, Sul prezzo dei grani nell'antichità classica (1893); E. Breccia, Il diritto dinastico nelle monarchie dei successori di Alessandro Magno (1903); G. Cardinali, Il regno di Pergamo (1906). Alcune dissertazioni, come quella di P. Varese sul Calendario romano all'età della prima guerra punica (1902) e di B. Bruno, La terza guerra sannitica (1906), di fatto svolgono tesi proprie del B. e hanno valore per le sue idee.
Intanto il B. aveva deciso di scrivere una storia greca. Perché greca, e non romana, è presto spiegato. A parte il rischio di competere col Mommsen, il B. non amava i Romani che riteneva semi-barbari. Il disgusto per l'imperialismo romano (che egli comunicò insieme con l'idea della superiorità degli Indoeuropei al suo allievo De Sanctis) diventò sempre più preciso e prese forma classica nel vigoroso saggio del 1900, Der Verfall der antiken Kultur, in Histor. Zeitschrift, LXXXIV (1900), pp. 1-38, in cui la rovina della Grecia e più in generale della civiltà antica era attribuita ai Romani, mentre Firenze era esaltata come una nuova Atene. È forse giusto presupporre nel B. giovane quel sentimento che Ludwig Curtius definì nel B. vecchio: "non conosceva mondo più alto di quello della Pentecontaetia", cioè del periodo 480-431 a.C. (Röm. Mitteil., XLIV [1929], pp. IV-V). Credeva certo, con la maggioranza dei suoi contemporanei di Germania, alla comune origine indo-germanica dei genio greco e del genio tedesco. Le due storie greche, di cui si era da poco iniziata la pubblicazione, quella di G. Busolt (1885 ss.) e del collega-nemico A. Holm (1886 ss.), erano tali da convincerlo della necessità di una nuova storia greca. Del Busolt il B. rispettava solo le note; dello Holm, per lui interamente acritico, non rispettava nemmeno quelle (cfr. i più tardi espliciti giudizi di Griech. Gesch., 2 ediz., I, 2, p. 15; Anhang, p. 422). In un altro senso la sua nuova storia greca doveva essere la continuazione della sua lotta contro il classicismo di E. Curtius e il radicalismo dei Grote iniziata già con l'Attische Politik. Ma almeno per la storia arcaica il B. era posto di fronte a una serie di problemi e di tecniche di ricerca con cui poco finora si era cimentato. La civiltà micenea, era stata scoperta da H. Schliemann, ma ancora era di là da venire la scoperta della civiltà minoica che della micenea rappresentava il precedente e il contesto. Incertezze di datazione e di interpretazione erano inevitabili. Tanto più quando si tenesse di fronte alle leggende sulle origini greche un atteggiamento di scetticismo radicale, non dissimile da quello del Mommsen circa le leggende romane: per il B., come per il Mommsen, l'unico mezzo sicuro di sapere qualcosa sul periodo arcaico è di trarre inferenze dalle istituzioni di periodi più tardi. Con siffatte premesse la critica delle fonti letterarie non si riconciliava facilmente con l'analisi dei dati archeologici. La storia arcaica sarà quella che il B. dovrà rivedere più spesso e più drasticamente nelle varie versioni della sua Griechische Geschichte e rimarrà sempre la parte meno soddisfacente: la stessa teoria sui Dori subì forti modificazioni. Si veda la critica al primo volume nella seconda edizione, di M. P. Nilsson, in Götting. Gelehrte Anzeigen, CLXXVI (1914), pp. 513-547.
Un primo saggio in italiano (probabilmente connesso con la promozione a ordinario) apparve a Roma nel 1891, di 146 pp. con il titolo Storia greca, Parte Prima, La Grecia antichissima. Editore era lo strano dilettante dr. Fr. M. Pasanisi (su cui da ultimo P. Treves in Athenaeum, XL, [1963], p. 377 n. 28). Il Pasanisi fece precedere al libro del B. un "programma" così sconclusionato che il B. ritenne necessario aggiungervi: "l'autore rimane interamente estraneo ad esso; né gli piacerebbe che il lettore fosse indotto a credere essere egli d'accordo con le opinioni che vi sono espresse". Come ci si poteva aspettare, due anni dopo una versione modificata di quanto era già stato pubblicato in italiano e tutta la seguente storia sino al 416 a. C. comparvero in tedesco (Griechische Geschichte, I, Strassburg 1893, Trübner). Nella redazione italiana il B. sosteneva che il fiore della civiltà micenea era un po' più tardo di Omero e apparteneva al IX-VIII sec. a.C., mentre l'Iliade era datata in pieno IX sec. Le tombe a pozzo di Micene erano datate X-IX sec. a.C. Vi si negava, in conformità dell'articolo pubblicato poco prima nel Rheinisches Museum, XLV (1890), pp. 555-598, l'invasione dorica: i Dori sarebbero stati solo gli Achei con cambiato nome. La colonizzazione fenicia in Sicilia e altrove era dichiarata posteriore alla greca (cfr. il vigoroso articolo Die Phoeniker am aegaeischen Meer, in Rh. Museum, XLIX [1894], pp. 111-132). Il testo tedesco (almeno così ci pare) cambiava alquanto la prospettiva circa la civiltà micenea, che veniva scalata tra l'XI e l'VIII sec., con Omero datato a circa IX-VIII sec. Di siffatte tesi audaci (non tutte nuove: cfr. E. Meyer, Gesch. d. Altertums, II, Stuttgart 1893, p. 130) quella negante l'invasione dorica ebbe fortuna quasi solo italiana (De Sanctis, L. Pareti) e quella sulla cronologia del miceneo affondò sotto il peso degli scavi cretesi; ma quella sulla colonizzazione fenicia fu accettata da molti studiosi: si notino le recensioni dello Holm in Berl. Phil. Woch., XIV (1894), coll. 371-375, 400-404, e di B. Niese in Götting. Gel. Anz., XIV (1894), pp. 890-904. Questo primo volume, tuttavia, comprendeva ben altro. Esso dava una originale ricostruzione della vita economica nella Grecia arcaica e classica, con forte accentuazione degli elementi capitalistici (si cfr. anche Die Handelsbewegung im Altertum, in Conrads Jahrbücher f. Nationalökonomie, s. 3, XVIII [1899], pp. 626-631, e Die Grossindustrie im Altertum, in Zeitschr. f. Socialwissenschaft, II [1899], pp. 18-26). Caratteristica era la parte sulla religione, in quanto il B. si atteneva a una interpretazione naturistica delle divinità greche e vedeva culti solari dappertutto, più o meno al livello dei primi volumi del "Lessico" della mitologia greca e romana di W. Roscher: solo faceva qualche parte al culto delle anime dei morti sotto la influenza di E. Rohde. Privo di vero interesse per la grande poesia dell'età arcaica - se non per questioni cronologiche come quelle sulla data di Alceo, Saffo e Teognide (Rh. Museum, XLV [1890], pp. 465-473; L [1895], pp. 250-268) - seguiva con tutta simpatia il movimento "illuminista" di Euripide e Tucidide e l'inizio della ricerca scientifica. La generica predilezione della quantità sulla qualità, sebbene mai portata a fondo, gli faceva deprezzare le grandi personalità; e non mancava in questo il piacere di apparire iconoclasta: "Chi vede nella personalità individuale, nei grandi uomini la forza propulsiva dello sviluppo storico - invece che nelle masse dei popoli i cui sforzi si incorporano in quegli uomini - farebbe bene a tenere le mani fuori della storia antica" (I, p. 33). A Pericle si nega un pensiero creativo (I, p. 466); ovvia è l'antipatia per Socrate. Va però notato che la reputazione del B. per congetture audaci e poco solide è fondata almeno in parte su ipotesi posteriori alla prima edizione della Griechische Geschichte. La negazione della personalità di Draconte era riservata alla seconda edizione (I, 1, p. 350): nella prima Draconte esiste (I, p. 307). Così pure l'episodio di Cilone era ancora posto prima di Draconte (I, p. 352), non dopo Solone nel 552 (1, I, p. 370); e solo nella seconda edizione, e dubitativamente, fu attribuito a Pisistrato il sistema delle tribù così dette clisteniche.
Il primo volume della Griechische Geschichte precedette di poco il secondo volume della Geschichte des Altertums del Meyer. Il Meyer fece in tempo a riconoscere nella prefazione l'importanza dell'opera "meines Freundes Beloch" e a salutarla come affine in scopi e metodi, pur dichiarandosi più conservatore di fronte alla tradizione. Egli la recensì poi in Literar. Centralblatt (1894), coll. 109-114, in pagine memorabili per precisione di consensi e dissensi, in specie sugli influssi orientali e sugli sviluppi sociali.
In verità a distanza di settant'anni è ora forse lecito dire che il Meyer era di gran lunga superiore al B. nella trattazione della Grecia arcaica (un confronto di I. Bruns in Beilage zur Allgemeinen Zeitung, 21-22 giugno 1894, riprodotto parzialmente in Vorträge und Aufsätze, München 1905, pp. 31-47). Meno radicale nelle congetture (attribuiva il culmine della civiltà micenea al XV sec. e ammetteva la realtà della invasione dorica), il Meyer era soprattutto assai più sottile interprete della cultura e della religione: basti confrontare le due esposizioni dell'orfismo. G. De Sanctis ammetteva liberamente in conversazione che tra le due opere quella del Meyer gli era parsa subito più profonda e gli aveva rivelato la natura del Medioevo greco (cfr. A. Momigliano, Secondo contributo..., Roma 1960, p. 308). Resta tuttavia certo che il Meyer e il B. insieme crearono una situazione nuova nello studio della Grecia arcaica; e si potrebbe discutere se questa nuova situazione non influisse anche sui lavori contemporanei del Pais.
Il secondo volume della Griechische Geschichte apparve nel 1897. Era dedicato a Ettore Pais (dedica poi soppressa per buone ragioni nella seconda edizione) e andava dalla spedizione di Sicilia alla conquista dell'Asia di Alessandro Magno.
La interpretazione in chiave XIX secolo della politica ateniese già data nell'Attische Politik veniva ora trasferita alla storia greca in generale. Teramene è apprezzato come uomo della via media. Filippo il Macedone è lo Hohenzollern che unifica la Grecia. Ma il figlio Alessandro era troppo internazionale, romantico e, forse, crudele per i gusti borghesi del B.: Parmenione, antico von Moltke, era il vero conquistatore dell'Asia (II, p. 625). La parte più nuova era ancora una volta la descrizione della vita sociale ed economica. I due primi volumi furono tradotti in russo da M. Herrschensohn (Gersenzon) a Mosca nel 1897-99. Il traduttore, un ebreo, ottenne di eliminare alcune affermazioni antisemitiche (su cui vedi oltre) e incorporò anche correzioni fatte dallo stesso Beloch.
Mentre maturava il terzo volume, che doveva comprendere l'Ellenismo del III sec. a. C., il B. ritornò ai suoi studi sulla popolazione nel mondo medievale e moderno, in gran parte fondati su dirette ricerche di archivio in Italia, Francia, Belgio, Germania, Olanda: vi sono anche accenni a utilizzazioni di manoscritti nel British Museum.
Nel 1899 pubblicò un lavoro sulla popolazione della Repubblica di Venezia (Conrads Jahrbücher für Nationalökonomie, s. 3, XVIII [1899], pp. 1-49; cfr. Nuovo archivio veneto, I [1903], pp. 5-49) e nel 1900 un generale schizzo di storia della popolazione d'Europa durante il Medioevo e il Rinascimento (Zeitschrift für Socialwissemchaft, III [1900], pp. 405-423, 765-786), poi tradotto in italiano nella Biblioteca dell'ecommista, s. 5, XIX (1908). Si notino anche i suoi studi su Antike und moderne Grosstädte, in Zeitschr. f. Socialwiss., I (1898), pp. 413-423, 500-508, e Das Verhältnis der Geschlechter in Italien seit dem 16.Jhdt., in Conrads Jahrbücher f. Nationalökonomie, s. 3, XVI (1898), pp. 64-81. Circa lo stesso tempo polemizzava con O. Seeck che, in Conrads Jahrbücher f. Nationalökonomie, s. 3, XIII (1897), pp. 161-176, aveva attaccato le congetture del B. e si era atteggiato a difensore della tradizione. Il B. rispondeva (ibid., pp. 321-343) con una ragionata difesa del suo metodo e indubbiamente si mostrava nel complesso più competente dell'avversario in problemi demografici. Su problemi specifici di popolazione antica tornò ripetutamente: per es. sull'esercito greco a Platea, in Fleckeisens Jahrbücher für klass. Philol., CXXXVII (1888), pp. 324-328; sulla popolazione della Sicilia (Archivio storico siciliano, XIV [1889], pp. 1-83; XX [1895], pp. 63-70); sulla popolazione delle città italiane (Atene e Roma, I [1898], pp. 257-278); sulla popolazione della Gallia (Rh. Museum, LIV [1899], pp. 414-445); sui censimenti romani (Klio, III [1903], pp. 471-490). I calcoli per la Sicilia suscitarono particolarmente opposizione per cui cfr. Holm, Gesch. Siciliens, III, Leipzig 1898, p. 387. L'importanza che il B. attribuiva al numero nel determinare le sorti della civiltà, e incidentalmente nello spiegare la vittoria tedesca sulla Francia nel 1870, può essere indicata da questa affermazione: "[Nel Rinascimento] i Latini ("Romanen") avevano una superiorità numerica notevole sui Germani: la relazione era di 3 a 2. È principalmente fondato su questa superiorità numerica che la cultura europea nel Medioevo e nel Rinascimento sia stata essenzialmente romanza" (Zeitschr. f. Socialw., III [1900], p. 785).
Nel 1904 comparve il terzo volume della Griechische Geschichte in due tomi, l'uno di testo, l'altro di appendici di ricerca. L'opera, dedicata al Meyer, rinnovava nella cronologia, nella genealogia e soprattutto nel favorito campo della geografia storica, i risultati del Droysen e dei Niese, il secondo dei quali era disistimato dal B. (cfr. Hist. Zeitschrift, LXXXV [1900], p. 474).
La economia ellenistica era descritta per la prima volta in piena familiarità con la nuova scienza papirologica. La tendenza del B. per la modernizzazione, la simpatia per una società borghese-capitalista avevano ampio giuoco. Si capisce che la Griechische Kulturgeschichte di J. Burckhardt non gli potesse piacere (se ne veda la recensione in Zeitschr. f. Socialwiss., II [1899], p. 928; IV [1901], p. 479). D'altra parte il B. non era certamente l'uomo da apprezzare l'eleganza dell'arte e le ambiguità della religione ellenistica, né l'atmosfera sopranazionale di quella cultura. Ma sentiva il dramma dello scontro fra civiltà greca e potenza romana. L'implicito paragone della civiltà ellenistica con la civiltà tedesca del sec. XIX era riconosciuto e fatto esplicito da W. Otto in una lunga discussione ammirativa in Zeitschr. f. Socialwissenschaft, VIII (19o5), pp. 700-712, 781-794. Il giovane Otto riconosceva al B. la capacità di "dar forma" in rara misura. Anche il Wilamowitz, non benevolo al B. (e la antipatia era ricambiata), doveva riconoscere l'importanza della nuova opera: tipico il giudizio in Staat und Gesellschaft der Griechen, 2 ed., Berlin-Leipzig 1923, p. 213.
Il B. nella sua autobiografia poté giustamente notare: "E questa volta fu successo completo". Senza mai diventare una forza cospicua nella cultura tedesca, il B. aveva tuttavia trovato un pubblico: specialmente in riviste e manuali di sociologia e di politica. Si notino per es. il suo art. Zinsfuss im klass. Altertum del Handwört. d. Staatswiss., Suppl. II, 1897 e la sua recensione a R. Pöhlmann dal titolo Socialismus und Kommunismus im Altertum, in Zeitschr. f. Socialwiss., IV (1901), pp. 359-364. I giovani storici antichi studiavano le sue opere. Se la nuova voga di studi ellenistici per grande parte si connetteva alla papirologia ed era guidata da U. Wilcken, le opinioni del B. erano largamente discusse in Germania e fuori. Che in Germania si tornasse a guardare al B. veniva confermato dall'invito a contribuire con un sommario di storia greca alla Weltgeschichte diretta da J. v. Pflugk-Harttung, edita da Ullstein. Fu pubblicato a Berlino nel 1909 (I, pp. 139-395) ed era per il B. un'occasione di riscrivere la storia arcaica, introducendo la civiltà minoica, connettendola con la civiltà micenea e distaccando quest'ultima (XVI-XIII sec. a.C.) dalla omerica. La civiltà micenea era considerata non greca, per quanto i suoi "portatori" fossero di stirpe greca. Questo sommario - tradotto successivamente in svedese e in italiano (Milano 1912) - fu ripubblicato postumo in forma riveduta e aggiornata (talvolta abbreviata) nella Propyläen Weltgeschichte edita da W. Goetz (II, Berlin 1931, pp. 3-240) e nella nuova forma rappresenta l'ultimo pensiero del B. sulla storia greca. Il confronto dei due testi del 1909 e del 1931 è talvolta interessante: si noti per esempio il sottile cambiamento nelle pagine su Socrate (Ullstein, pp. 288-89; Propyläen, pp. 173-174). A sua volta E. Norden invitava il B. a scrivere per la sua Einleitung in die Altertumswissenschaft la storia ellenistica e quella della repubblica romana (1 ed., 194): l'operetta, che fu tradotta in italiano da G. Capone (Bari 1933), ha la sua importanza per la sezione su Roma, che riassume opinioni edite e inedite del B. e ha vigorose pagine di metodo, in specie sulla questione etrusca.
In tutto questo fervore di ricerca, che incluse un viaggio a Creta con la missione italiana nel 19o8 per studiare da vicino la civiltà minoica (si cfr. Ausonia, IV [19o9], pp. 219-237, dove tra l'altro si nega la conquista cretese della Grecia), il B. rimaneva un devoto insegnante. Dal 1900 al 1910 si assumeva per incarico anche l'insegnamento della geografia antica e fondava una Biblioteca di geografia storica, dove apparivano tre lavori di suoi allievi (G. Colasanti, Fregellae, 1906; Id., Pinna, 1907; E. Grossi, Aquinum, 1907: a cui va aggiunto il Fermo nel Piceno di G. Napoletani, apparso negli Studi di storia antica). Il B. pensava allora di comporre una versione moderna dell'Italia antiqua di Ph. Cluverius e approfittava dei suoi viaggi come commissario governativo per visitare e rivisitare ogni angolo d'Italia. I lavori dei suoi allievi erano evidentemente destinati a preparare quest'opera (si cfr. la polemica con H. Nissen in Woch. klass. Philol., XXV [19o8], nn. 6 e 12). Dal 1909 al 1912 tenne per incarico conferenze di storia antica nella scuola di magistero annessa alla facoltà di lettere di Roma. Egli stesso racconta nella sua autobiografia che doveva spesso sostituire lo Halbherr, attivo in Creta, nell'insegnamento di epigrafia greca a Roma (dai dati dell'università di Roma risulta che egli supplì lo Halbherr durante le assenze in tutti gli anni accademici dal 1897-98 al 1904-5 e poi di nuovo negli anni 1910-11 e 1911-12). Il B. continuava ad essere maestro ascoltato e influente, anche se il sorgere delle scuole particolari del Pais e del De Sanctis e i nuovi interessi culturali provocati dal movimento idealistico e dal modernismo (il secondo ben sensibile nella università di Roma) tendessero a ridurre l'attrazione del suo insegnamento. Nel 1910 i trent'anni del suo insegnamento furono celebrati con un volume in suo onore di Saggi di storia antica e di archeologia. Il principale allievo diretto del periodo 1900-1910 fu Giovanni Costa, a sostenere il quale - più come autore di dubbie ricerche sui Fasti che come intelligente indagatore del Basso Impero - egli rischiò di urtarsi anche con i fedeli allievi e amici, De Sanctis e Cardinali. I suoi corsi furono seguiti da G. Pasquali, G. Levi Della Vida, L. Salvatorelli e altri futuri maestri di discipline affini. I suoi studi di storia della popolazione erano ormai di esempio a molti ricercatori più giovani. Egli stesso continuava a pubblicare articoli - per esempio sulla popolazione della Sicilia sotto il dominio spagnuolo e su Modena (Riv. ital. di sociologia, VIII [1904], pp. 28-45; XII [1908], pp. 1-48) che più tardi confluirono nella Bevölkerungsgeschichte Italiens. Ma soprattutto ebbe la sua scuola alimentata da allievi del De Sanctis. Con fedeltà che contrasti di idee religiose, differenze di temperamento (più che di metodo) storico e vivacità di reazioni personali non mai sminuirono nemmeno per un momento, il De Sanctis sempre considerò l'insegnamento del B. come necessario complemento al proprio. Diventò abitudine che gli allievi migliori della scuola torinese passassero per almeno un anno di perfezionamento a Roma. Così il B. ebbe modo di influire direttamente su Luigi Pareti che al De Sanctis e al B. congiuntamente dedicò, come a maestri, i suoi Studi siciliani e italioti (1914), e fu forse per mentalità razionalistica e scetticismo di fronte alla tradizione più affine al B. che al De Sanctis. Al B. si legò pure A. Ferrabino, che del pensiero del B. doveva diventare poi l'interprete più penetrante (Riv. fil. class., n. s., III [1925], pp. 247-261, poi in Scritti di filosofia della storia, Firenze 1962, pp. 61-74) e che da lui ricevette particolare stimolo sia nello studio della economia e della organizzazione militare greca sia nella formulazione dei problemi sulla unità nazionale nella Grecia antica. Era poi a Roma insegnante di scuola media negli anni prima del 1914 P. Fraccaro che ebbe per il B. amicizia e comprensione profonda fatte di simpatia intellettuale e morale. Tanto più notevole è la indipendenza con cui il Fraccaro giudicò il B. in Riv. fil. class., n. s., VI (1928), pp. 551-569; VII (1929), pp. 267-276 (si cfr. su Fraccaro e il B., A. Momigliano, in Rend. Acc. Lincei, s. 8, XV [1960], p. 363). Ma nessuno di questi allievi e amici continuò il lavoro più caratteristico dei B. sulla demografia ed economia del mondo classico. Coloro invece che in Italia più si interessavano ai medesimi problemi - E. Ciccotti, G. Ferrero, C. Barbagallo - furono da lui divisi: egli li disistimava come dilettanti, mentre essi diffidavano di lui, come rappresentante dell'erudizione e dell'antidemocrazia tedesca.
Intanto, preparata ed accompagnata da una lunga serie di articoli (parecchi dei quali pubblicati nella rivista Klio), la nuova edizione della Griechische Geschichte cominciò ad apparire nel 1912 (I-II, Strassburg 1912-14, Trübner; poi il terzo e il quarto volume, Berlin 1922-1927, De Gruyter). I tre volumi erano dunque diventati quattro, e ciascun volume includeva ora due tomi, uno di testo l'altro di discussioni (spesso già pubblicate precedentemente in riviste, ma sempre rielaborate): in altre parole, la struttura del volume terzo della prima edizione veniva ora estesa a tutto il resto.
Il valore della nuova edizione in confronto alla prima era in questa immensa somma di ricerche particolari, che equivaleva a una revisione di tutti i dati delle fonti per la storia militare, le genealogie, la cronologia, la geografia politica del mondo greco.
L'opera così organizzata diventava per chiarezza metodica, sistematicità, brevità, acume uno strumento indispensabile di ricerca e di insegnamento finora non superato. Non è naturalmente pensabile che il B. potesse cambiare la sua concezione collettivistica e nazionalista della storia greca: la formulava anzi più recisamente in ispecie nella nuova introduzione su "La Personalità nella storia greca", che fu tradotta anche in italiano in Rivista italiana di sociologia, XVI (1912), pp. 1-15. Non era nel temperamento del B. di accedere a nuove mode e di introdurre colore locale o finezza di psicologia nella sua narrazione (per tali esigenze si cfr. la recensione di H. Berve, in Gnomon, IV [1928], pp. 469-479; per altre critiche R. Herzog, in Hist. Zeitschrift, CXXXIV [1926], pp. 554-561). Anche i criteri per la storia arcaica erano di poco cambiati, sebbene fin dal 1897 (Hist. Zeitschrift, LXXIX [1897], pp. 193-223) il B. fosse giunto ad ammettere, sotto la influenza delle ricerche linguistiche di P. Kretschmer, che altri Greci avessero preceduto i Dori nel Peloponneso. Né era pensabile che il B. riconoscesse gli impliciti conflitti tra il suo liberalismo e il suo nazionalismo, tra il suo anti-romanesimo e il suo filo-macedonismo, tra il suo razzismo e il suo culto del numero. La nuova introduzione alla Storia Greca non va separata dall'articolo, press'a poco contemporaneo, Die Volkszahl als Faktor und Gradmesser der historischen Entwicklung, in Histor. Zeitschrift, CXI (1913), pp. 321-337 che fu la sua prolusione a Lipsia nel 1912.
Il B. stesso scriveva nella sua autobiografia: "infine, quando ero ormai quasi sessantenne, a Lipsia si ricordarono che io ero ancora al mondo". Gli era stata offerta la successione di U. Wilcken, ma la chiamata, in cui ebbe rivale C. Cichorius, non fu incontrastata. Chiesta l'aspettativa per motivi di famiglia dall'università di Roma, il B. passò a Lipsia l'anno accademico 1912-13, in cui gli fu assistente F. Oertel. In questo tomo di tempo, se non prima, incontrò U. Kahrstedt, che lo ammirò sempre e fu forse l'unico suo discepolo tedesco, anche per quanto riguarda la questione dell'invasione dorica (cfr. Neue Jahrbücher, XLIII [1919], pp. 70-75; Deutsche Literaturz., XI-V [1924], c0ll. 802-813; XLVII [1926], coll. 16-24). Ma alla fine dell'anno accademico il B. decise di tomare in Italia e riprendere la cattedra di Roma. A parte le ragioni familiari, tra cui l'avversione della moglie americana a trasferirsi in Germania, la decisione di abbandonare la cattedra di Lipsia appena accettata - come quella precedente di accettarla - era il riflesso di una complicata situazione culturale di cui occorre qui indicare gli elementi essenziali.
L'idea lanciata intorno al 1911 di chiamare Guglielmo Ferrero per merito straordinario a una cattedra di storia romana all'università di Roma scatenò polemiche, le quali, soprattutto per opera del Pais, finirono per coinvolgere il Beloch. Il Pais e il B. erano in sostanziale accordo nel non volere il Ferrero in cattedra, e in ciò erano sostenuti dall'opinione autorevole di D. Comparetti (si cfr. del medesimo Poesia e pensiero del mondo antico, Napoli 1944, pp. 555-556).
In un articolo in Rivista d'Italia, XIV, 2 (1911), pp. 868-873 (Gli studi recenti di storia romana in Italia), il B. aveva indicato il Ferrero a esempio di tradizionalismo acritico; anzi lì già accennava a una idea, che diventò poi dominante nella sua Römische Geschichte del 1926, che la storia non deve essere raccontata: la parte analitica è la sola capace di trattazione rigorosa (cfr. anche Storiografia e scienza storica, in Riv. ital. Sociol., XVI [1912], pp. 427-432, in replica a C. Barbagallo). Ma il Pais colse l'occasione della candidatura dei Ferrero per porre la propria a una cattedra di storia romana a Roma e per attaccare subdolamente il B. come "un ospite benevolo, un dotto rappresentante della scienza alemanna", che non ha mai preso la cittadinanza italiana e nemmeno scrive in italiano i suoi libri (Rivista d'Italia, XV [1912], pp. 43-61, 693-754; cfr. Studi storici per l'antichità classica, IV [1911], pp. 415-454; ibid., V [1912], pp. 194-221). Pais faceva capire che il nuovo nazionalismo, scatenatosi nella guerra di Libia, era sufficiente ragione per dare a un italiano la cattedra della storia di Roma all'università di Roma. Le risposte del B. (Rivista d'Italia, XV [1912], pp. 535-537, 881-882) sono di grande dignità e fermezza; tra l'altro rammentava al Pais la sua qualità di allievo del Mommsen, "che non mi fu mai amico", e concludeva: "io credevo di essere diventato qualche cosa di più di un 'ospite' in lunghi anni della mia dimora in Italia che considero come mia seconda patria". La decisione di accettare una cattedra in Germania non era evidentemente estranea alla situazione che in tale polemica si esprimeva. Il nazionalismo, di cui il Pais, rompendo la vecchia amicizia, si faceva portavoce, disturbava e personalmente offendeva lo storico ormai anziano e conscio dei suo valore. E forse si aggiungeva la sensazione di trovarsi in qualche modo isolato anche rispetto ai propri allievi.
Ma in Germania il B. doveva trovare altre difficoltà. Egli aveva in Germania la riputazione di essere di origine ebraica. Se questa opinione fosse o no fondata, poco importa. Nonostante che fosse pubblicamente smentita a nome del B. dal suo comitato elettorale nelle elezioni del 1893, essa era condivisa da tutti, anche da chi, come il Wilamowitz, non era certo incline a indulgere a discriminazioni di questa sorta. All'origine ebraica allude come a fatto certo F. Oertel in Gnomon, V (1929), pp. 461-464. Vi dava qualche credito la figura fisica del B. dal nobile profilo semitico. A questa riputazione di essere ebreo il B. reagì parlando a ogni piè sospinto dei "nostri antenati indogermanici" e facendo sfoggio di antisemitismo. Già nella prima edizione della Griechische Geschichte dichiarava: "Un negro che parla inglese non è perciò ancora un inglese, e un ebreo che parlasse greco passava nell'antichità altrettanto poco per greco quanto un ebreo che parla tedesco passa oggi per tedesco" (I, 1893, p. 34 n. 1: la parte concernente gli Ebrei è eliminata nella traduzione russa, I, p. 27, ma conservata nella seconda edizione tedesca I, 1, p. 67). Siffatti sentimenti antisemiti spiegano la particolare animosità con cui egli più tardi valutò l'opera di F. Muenzer nella Römische Geschichte del 1926 e colorano tutta la sua autobiografia: nella sua opera storica hanno poco campo da esplicarsi e si confondono con il suo anticristianesimo. Ora questi sentimenti non passavano certo inosservati in Italia, e si sapeva con quanto poco riguardo egli parlasse di uomini universalmente rispettati come l'egittologo G. Lumbroso, il suo collega nella facoltà di lettere di Roma Emanuel Loewy, e il suo antico scolaro e poi direttore della Biblioteca Nazionale di Firenze, S. Morpurgo. Ma in Italia, dove non c'era problema ebraico, l'antisemitismo del B. appariva una di quelle sue peculiarità ultramontane, come l'eccessivo amore per il vino dei Castelli, di cui si poteva sorridere. E del resto gli Ebrei non erano le sole vittime della sua lingua tagliente (aveva risposto a G. De Sanctis, che gli citava B. Croce: "ma sai che quello è un asino!"). Solo dopo la campagna razziale imposta dai nazisti si ebbero in Italia espliciti commenti su questo aspetto della sua personalità (E. Breccia, Uomini e libri, Pisa 1959, pp. 231-243, con lettere del Beloch). In Germania era naturalmente altra cosa. Coloro che avevano a disdegno l'antisemitismo lo avversavano perché antisemita. Gli antisemiti lo spregiavano invece in quanto lo sospettavano di celare in questo modo la sua presunta origine ebraica. E il B. fece circolare a Lipsia uno di quegli epigrammi antisemitici di cui si compiaceva, quello contro O. Hirschfeld come editore del Mommsen: "Jude, was treibst Du? / Je nun, ich handle / Mit Mommsens abgelegten Kleidern". Un "Geheimer Regierungsrat" locale gli rispose per le rime: "Und Jude, was treibst Du? / Je nun: ich veralbere Leipzig" (ulteriori particolari in O. Th. Schulz Bursians, Jahresber., 254 [1936], pp. 62-65). Non sorprende che il B. riprendesse tosto la via dell'Italia. Egli finiva per essere in Germania vittima di quell'antisemitismo che per tutta la vita aveva alimentato.
Al ritorno in Italia il B. veniva nominato commendatore della Corona d'Italia in data 30 nov. 1913 (era già cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro dal febbraio 1911), a significare la soddisfazione ufficiale per la sua ripresa della cattedra di Roma. È solo da aggiungere che durante l'assenza del B. era tramontata non solo l'idea di creare una nuova cattedra di storia romana, ma anche l'idea successiva, a cui si oppose tra gli altri B. Croce, di costituire per il Ferrero una cattedra di filosofia della storia a Roma.
Nel 1914-15 il B. fece sentire la sua voce, come era suo diritto, per consigliare la neutralità all'Italia. Nel Giornale d'Italia del 9 febbr. 1915 pubblicò un articolo Lo spettro germanico, in polemica contro l'interventismo di Arturo Labriola, e non aveva difficoltà a dimostrare che il Labriola era male informato sul pangermanesimo. Ne seguiva una curiosa polemica, in cui alla risposta del Labriola (ibid., 11 febbraio) il B. replicò ancora il 12 febbraio e poi intervennero fino al 26 febbraio B. Croce, N. Colaianni, P. Papa, P. Bonfante, con grande correttezza e anzi finendo nell'aneddoto politicamente irrilevante. Quando scoppiò la guerra, che del resto non era ancora con la Germania, il B. conservò la cattedra, ma per decisione del Consiglio accademico della università di Roma, il suo corso fu sospeso "per ragioni d'ordine pubblico". Con lettera nobilissima dell'11 genn. 1916 (conservata ora negli archivi della università), il B. chiese al rettore di avere almeno il permesso di fare un corso di esercitazioni su un autore antico: "Dopo quasi 40 anni che appartengo a questa Facoltà mi riuscirebbe assai grave non trovarmi in mezzo a quei giovani che ho guidato per tanto tempo, che io amo, e dai quali ho avuto tante prove d'affetto. Un vecchio insegnante per vivere ha bisogno dell'insegnamento". Il rettore con lettera 18 febbr. 1916 gli rifiutò questa richiesta. La vigilanza degli amici, e il buon senso di F. Ruffini, ministro della Istruzione nel gabinetto Boselli, evitarono per altro che egli fosse seriamente molestato. A testimonianza del De Sanctis e del Breccia, fu anzi fatto sapere nel 1915 al B. che se avesse voluto la cittadinanza italiana gli sarebbe stata data senza formalità: anche per consiglio del De Sanctis, il B. decise di non chiederla. Dopo la dichiarazione di guerra alla Germania dell'agosto 1916 non mancarono attacchi contro il B., tra cui quello in Parlamento dell'on. G. De Felice-Giuffrida il 9 marzo 1917: a giudicare dal resoconto parlamentare non risulta che fossero presi troppo sul serio. La situazione precipitò dopo Caporetto, e pare che imprudenze verbali del B. facessero il giuoco dei suoi nemici. Egli fu messo in pensione d'autorità l'11 genn. 1918, internato a Siena, mentre la sua casa e i suoi libri di Roma erano posti sotto sequestro. Alla cattedra di Roma succedeva il Pais ormai suo aperto nemico. Cominciarono per il B. anni duri, tanto più che la moglie che era rimasta a Roma morì il 2 apr. 1918 (al B. era stato concesso di tornare a Roma ad assisterla e, per sua stessa dichiarazione nell'autobiografia, a Siena fu sempre trattato con riguardo). Nel 1919 gli venne concesso di trasferirsi a Firenze, ma fu ancora considerato come suddito di paese nemico (del che egli attribuì stravagantemente la colpa a S. Morpurgo). Più tardi ricuperò la casa e i libri di Roma, dove tornò a risiedere. Prima B. Croce e poi A. Anile come ministri della Istruzione si interessarono per fargli restituire la cattedra. La pratica (oltre a resistenze psicologiche e burocratiche) fu ostacolata dal fatto che intanto era divenuta obbligatoria la cittadinanza italiana per essere professori di università. Infine, con R. Decreto del 20 dic. 1923, gli veniva concessa la cittadinanza italiana. Nello stesso tempo una nuova cattedra di storia greca era istituita nella università di Roma. Per guadagnare tempo, ne veniva affidato al B. l'incarico per l'anno accademico 1923-24, e poi il 30 nov. 1924 egli era restituito nella posizione di professore stabile con tutta l'anzianità ininterrotta dal 1879. Benché vecchio e malato, il B. tornò all'insegnamento con l'abituale impegno. Pochissimi erano ormai gli studenti, ma tra questi almeno uno, A. Gitti, gli diventò discepolo e portò poi sulla cattedra le teorie del maestro sulla storia greca arcaica. In questi anni si venne fissando per la nuova generazione l'immagine del vecchio grande storico che ogni sera, concluse le ore dell'intenso lavoro e rimesso ogni libro negli scaffali, usciva dalla sua casa di via Pompeo Magno 5, curvo e trasandato nel vestire, per salire sul Pincio a contemplare il tramonto: poi, se gli si offriva compagnia, amava sui boccali "porre un muro tra la scienza della sera e quella del mattino". Fece ancora lezione il 2 febbr. 1929: nella notte del 6 febbraio morì assiso al suo scrittoio, dopo aver lavorato tutto il giorno.
Negli undici anni, così duri e agitati, dal 1917 non aveva fatto che lavorare sempre più tenacemente, con quell'amore della verità e della chiarezza che gli era innato e in cui si bruciava e purificava ogni scoria di rozzezza. Nel lavoro aveva trovato conforto alla crescente solitudine e al dolore per la sconfitta della patria lontana e poco benevola, a cui dedicava parole appassionate nella conclusione della sua autobiografia. (Sulle sue opinioni politiche degli ultimi anni, fondate negativamente su odio contro "Francesi, Ebrei, e Socialisti", vedi U. Kahrstedt, in Nachr. Gesell. Wiss. Göttingen, Geschäftl. Mitt., 1928-29, p. 81, e cfr. anche il caratteristico passo di Griech. Geschichte, IV, 2, 1927, p. 291). Nel domicilio coatto di Siena (secondo le informazioni del De Sanctis) aveva in gran parte composto una Wirtschaftsgeschichte Athens, ricordando a memoria i testi letterari ed epigrafici che non poteva consultare. L'opera (come molto altro) è finora rimasta inedita. Completò, come si disse, la Griechische Geschichte nel 1927, e anche aggiunse una appendice alla seconda edizione del I volume, per aggiornarlo dal 1912. Scrisse poi parecchi articoli di storia greca (per es. sull'autenticità delle liste olimpiche, in Hermes, LXIV [1929], pp. 192-198; su Temistocle, ibid., LV [1920], pp. 311-18; e su testi epicurei in Riv. fil. class., n.s., IV [1926], pp. 331-336), varie discussioni di cronologia ellenistica e romana, di cui l'ultima è in Klio, XXII (1929), pp. 464-466, ancora ritornando nel 1927 all'amato Omero (Hermes, LXII [1927], pp. 447-452). Un paio di ricerche sulla seconda guerra punica e le sue fonti pubblicate nel 1915 (Historische Zeitschrift, CXIV [1915], pp. 1-16; Hermes, L [1915], pp. 357-372) non ebbero continuazione, forse anche perché tosto apparve la storia delle guerre puniche del De Sanctis. Ma il B. cominciò negli anni della guerra e pubblicò a Berlino nel 1926 un grosso volume di storia romana arcaica dedicato ai colleghi vivi e morti dell'università di Roma (Römische Geschichte). Il libro era fatto di ricerche, non di narrazione. In queste ricerche il B., che antimommseniano era stato sempre, al Mommsen solo si riportava, con ostentata e deliberata trascuranza di quanto si era scritto in Italia non solo da parte del Pais, ma anche del suo allievo De Sanctis. È vero che in parecchi problemi il B. riprendeva conclusioni già raggiunte molti anni prima: per es. sulla dedica della Lega Latina alla Diana di Aricia aveva già scritto in Fleckeisens Jahrbücher, CXXIX (1883), pp. 169-175, e sulle presunte reduplicazioni nelle guerre sannitiche in Studi storici di E. Pais, I (19o8), pp. 1-13. La prima parte presenta una revisione sistematica della tradizione e offre opinioni sulla dittatura (come la magistratura normale di Roma dopo la fine della monarchia), sui tribuni consolari, sulla data del foedus Cassianum, ecc., che sono state il punto di partenza per innumerevoli discussioni e hanno avuto nuovi sviluppi nella scuola svedese di K. Hanell. La seconda parte è un completamento e una revisione dell'Italische Bund. I problemi di sviluppo economico e di vita culturale sono assenti. Il libro, che fu sottoposto in Italia alla critica del Fraccaro, in Germania a quella di F. Muenzer (Gnomon, III [1927], pp. 595-599) e in Francia a quella di A. Piganiol (Journ. des Savants, [1928], pp. 104-113), basterebbe da solo a fare la fama di uno storico: il vecchio B. non aveva perduto nulla della sua chiarezza, brevità, indipendenza e penetrazione.
Egli era intanto venuto continuando ed elaborando le ricerche di tutta la vita sulla popolazione dell'Europa medievale e moderna. Ad esse riprese a dedicare i suoi viaggi estivi in Italia e fuori.
Alla sua morte la storia della popolazione dell'Italia era pressoché finita e fu lentamente edita prima dal De Sanctis (Bevölkerungsgeschichte Italiens, I-II, Berlin, De Gruyter, 1937 e 1939), poi da L. Pareti (vol. III, 1961, e 2 ediz. del vol. II, 1961), con assistenza finanziaria di professori dell'università di Pavia. Così il sogno giovanile di dare all'Italia una storia del suo movimento demografico attraverso i secoli era realizzato. Il B. stesso, non forse esageratamente, attribuiva a questo lavoro una importanza pari a quella della Griechische Geschichte. Non più portata a compimento fu la storia della popolazione di tutta Europa, per cui rimangono materiali inediti. Sui meriti eminenti del lavoro demografico del B., che naturalmente va giudicato in relazione ai metodi usati in siffatte ricerche quando l'autore era vivo, si cfr. R. Mols, Introduction à la démographie historique des villes d'Europe, I, Louvain 1954, p. 144; J. C. Russell, Late Ancient and Medieval Population, in Trans. Amer. Philosoph. Society, n.s., XLVIII (1958), e P. J. Jones, in The Engl. Hist. Rev., LXXVII (1962), pp. 723-727. Le ricerche demografiche del B., apparse così tardi, non hanno ancora esercitato che scarsa influenza sui lavori di storia sociale dell'Italia. Ma in un certo senso tutto il lavoro del B. ha ancora un futuro imprevedibile. Egli come pioniere della storia sociale ed economica "quantitativa" dell'antica Grecia si trovò presto isolato. Quando pubblicò la seconda edizione della Griechische Geschichte, l'interesse generale ormai si dirigeva a quegli aspetti della civiltà - come religione, teorie politiche, "stile" di vita - in cui egli era ovviamente troppo debole. D'altro lato coloro che in Germania presumevano di sostituirlo (che non fu mai la intenzione del De Sanctis) portavano solo all'estremo il suo razzismo in tempi in cui il razzismo non era più una maniera di pensare, ma una maniera di uccidere, e lo rivestivano di eleganze e sottigliezze. Le storie greche o "dell'uomo greco" di H. Berve, F. Schachermeyr e M. Pohlenz non valgono certo quella del Beloch. La vera costruzione rivale rimane, per la età preellenistica, quella di E. Meyer. Fuori di Germania le opere del De Sanctis e di G. Glotz rappresentano, almeno parzialmente, delle alternative. Solo a più di trent'anni di distanza dalla sua morte le opere del B. cominciano a essere studiate da una generazione precipuamente interessata alla storia sociale.
Bibl.: Non esiste finora né una biografia né una bibliografia del B., e gli scritti minori non sono mai stati raccolti. Si noti che il B. fu recensore di libri in svariate riviste quali Literar. Centralblatt, Historische Zeitschrift, Deutsche Literaturzeitung, La Cultura, Rivista di Filologia, Zeitschr. f. Socialwissenschaft. La bibliografia dovrebbe naturalmente includere una concordanza tra gli articoli, numerosissimi, del B. e i suoi libri. Nella impossibilità di provvedere siffatta bibliografia, si è cercato di indicare, nel corso della voce, almeno gli articoli più importanti con preferenza per quelli il cui contenuto non è stato rielaborato nelle opere maggiori: ci si è valsi per questo della collezione degli estratti del B. conservata dalla figlia professoressa M. Piazzolla Beloch. Per la ricostruzione della cultura del B. e dei suoi rapporti scientifici è importante la grossa "Miscellanea Beloch" (una raccolta di opuscoli inviati al B.) in possesso dell'Istituto di archeologia e storia dell'arte in Roma. Per le vicende elettorali del 1893 si sono consultati i giornali locali di Stralsund.
I più importanti necrologi del B. sembrano essere i seguenti: G. De Sanctis, in Riv. di filologia, LVII (1929), pp. 141-151, ristampato con utile commento da P. Treves, Lo studio dell'antichità classica nell'ottocento, Milano-Napoli 1962, pp. 1231-1246; E. Breccia, in Bull. Soc. Archéol. Alexandrie, VII (1929), pp. 79-81; U. Kahrstedt, in Nachr. Gesell. Wiss. Göttingen, Geschäftl. Mitteil., (1928-29), pp. 78-82; C. F. Lehmann-Haupt, in Klio, XXIII (1930), pp. 100-106; E. Täubler, in Zeitschr. Savigny Stift., Rom. Abt., XLIX (1929), p. 700. Si cfr. Deutsches Biogr. Jahrbuch, XI, 1929, p. 344. Tra i caratteristici giudizi sul B. si notino per esempio B. Croce, Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, 3 ed., II, Bari 1947, p. 247, già in La Critica, XXVII (1929), p. 253, su cui G. De Sanctis, Riv. fil. class., VII (1929), p. 567; U. Wilamowitz, in Mommsen-Wilamowitz, Briefwechsel, Berlin 1935, p. 487 (del 1894); R. Pöhlmann, Grundriss der Griech. Geschichte, 3 ediz., Berlin 1906, p. 8 (con altre indicazioni); H. Bengtson, in Il Veltro, II (1962), pp. 288-290.