MIGNANELLI, Beltramo.
– Nacque nel 1370 a Siena da Leonardo; il nome della madre rimane incerto.
Emigrò «juvenculus et pauper», esercitando la mercatura verso Tunisi, Egitto, Levante, India. Suo fratello maggiore Mignanello era intanto amministratore giudiziario a Caffa, colonia genovese sul Mar Nero. Il M. trovò fortuna e prestigio a Damasco, dove si stabilì e studiò la lingua araba – o ne perfezionò la conoscenza – che gli agevolava l’accesso personale ad autorità, quale Barquq, sultano circasso d’Egitto (1382-99). Nel 1394 a Damasco, Barquq – reduce da Aleppo, sotto le cui mura aveva respinto Tamerlano – ricevette Giacomo della Croce, ambasciatore di Gian Galeazzo Visconti signore (duca dal 1395) di Milano, alleata di Siena, e il mediatore M. tradusse la sua lettera e quella del sultano in risposta. Il Visconti chiedeva al sultano il permesso di restaurare la basilica di Betlemme e la protezione dei frati di Monte Sion in Gerusalemme. Il M. proseguì il negoziato diplomatico e ottenne il permesso con l’aiuto del patriarca abissino Matteo, dimorante al Cairo.
Da Damasco, nel 1395, il il M. riferì in modo accurato alla filiale barcellonese dell’azienda Datini l’andamento siro-egiziano del mercato delle spezie. Egli percorse Iraq, Arabia, Golfo Persico e forse la Persia, lungo la via terrestre degli aromata, Hormuz-Tabrīz-Trebisonda, e la marittima Hormuz-Bassora-Catiff (al-Qatif) risalente a Damasco attraverso deserti; nel ritornare dall’isola di Hormuz, egli fu derubato.
Defunto il padre Leonardo (1399), il M. si recò nel 1400 a Gerusalemme per il suo secondo pellegrinaggio mentre Tamerlano assaliva di nuovo la Siria. Fuggito al Cairo, base più sicura per i propri beni, il M. viaggiò in Egitto e via Cipro ritornò nell’autunno 1402 a Damasco, devastata dall’invasore.
Finiva allora il dominio visconteo su Siena, nel cui Studium il fratello Mignanello era docente di diritto civile e ars notaria (1399-1402). Tornato a Siena nel marzo 1403, passando per Genova, Milano, Pisa, il M. vi divenne ufficiale del Biado e membro del Consiglio generale, ma il 27 novembre, coinvolto nella fallita sommossa di Francesco Salimbeni, fu destituito. Affiliato alla Compagnia di S. Tommaso presso il convento di S. Domenico in Camporegio, sposato con Gemmina di Pietro Giovannutti (1406) e amico di Tommaso di Bartolomeo Agazzari, concittadino influente, il M. ricominciò una carriera di esperto in diplomazia. Entrò al seguito di papa Gregorio XII, Angelo Correr, che risiedette a Siena dal settembre 1407 al gennaio 1408. Tra i consiglieri intimi erano il nipote stesso del papa, Gabriele Condulmer (futuro papa Eugenio IV) e l’eminente domenicano Giovanni Banchini (Giovanni Dominici). Ambasciatore di Gregorio XII, rifugiato in Rimini, il M. compì missioni a Lucca, Firenze e altrove, ma il concilio di Pisa dichiarò sia Gregorio XII sia il papa avignonese Benedetto XII scismatici ed eretici (1409). Il M. fu poi podestà di Montalcino (1413-14).
Al seguito del Banchini, divenuto cardinale, delegato di Gregorio XII, il M. andò al concilio di Costanza (maggio 1415), indetto dal re dei Romani Sigismondo di Lussemburgo per porre fine allo scisma.
Problemi discussi essendo anche il dominio musulmano del Levante e la minaccia turca «in partibus Asie et Europe», il M. scrisse a Costanza nel 1416 due memorie storiche: Ascensus Barcoch, biografia del sultano Barquq fornita di frasi documentali arabe in trascrizione latina, e Gesta impiissimi viri nomine Thomorlengh, il conquistatore Tamerlano (1370-1405), l’etimo del cui nome spiega: turco Thomor «id est ferrum» e persiano «Lench id est claudus» (per ambedue: Piemontese, 1995 e 1996). Era probabilmente noto al M. il Themurlank, rapporto scritto nel 1403 da Giovanni (III), arcivescovo domenicano di Sultaniya (Persia). Il conclave che a Costanza elesse papa Martino V (11 nov. 1417), ristabilendo l’unità della Chiesa, fu descritto dal M., che vi prese parte come conclavista di Banchini (Piemontese, 1995). Egli seguì il cardinale legato pontificio in Boemia e in Ungheria (luglio 1418); Banchini morì a Buda il 10 giugno 1419.
Ripreso il corso di cariche istituzionali senesi, il M. fu console dei Pupilli (1423), uno tra i provveditori di Biccherna (1426) e i Regolatori (1428), ancora podestà di Montalcino (1429). Ambasciatore straordinario senese presso il duca di Milano, insieme con Memmo Agazzari, il M. accompagnò Sigismondo di Lussemburgo da Piacenza a Siena, dove egli risiedette (12 luglio 1432 - 20 apr. 1433). In vista di questo soggiorno, l’agostiniano milanese Andrea Biglia, docente nello Studium senese, completò i suoi Commentarii historici de defectu fidei in Oriente, nei cui libri VI e VII inserì le biografie di Barquq e di Tamerlano fornitegli dal M. (Piemontese, 1995).
Ufficiale del Biado e addetto alle trattative di pace con Firenze a conclusione della guerra di Lucca, il M. fu accusato di condotta perniciosa e confinato a Piombino (gennaio 1433) per un anno. Mantenne il filo delle proprie relazioni e missioni estere, sovente notificate al governo senese. Così egli incontrò (Genova, 6 ott. 1439) Filippo Maria Visconti duca di Milano, cui fornì informazioni sul Levante.
Il M. funse da interprete per l’arabo con le legazioni di Giovanni (XI) patriarca copto e di Nicodemo abate etiopico di Gerusalemme al concilio di Firenze (1441-42) indetto da papa Eugenio IV. Per committenza del pontefice nel 1443 il M. scrisse l’Informacio contra infideles (Piemontese, 1995), relazione politica, militare e commerciale che considerava essenziale la coesione del Regno di Ungheria «pro muro contra Turcos» e rispondeva al progetto pontificio di promuovere un’offensiva antiturca e recuperare la Terrasanta, la cui predicazione era affidata al francescano senese Bernardino degli Albizzesi.
Per Eugenio IV, che soggiornò con la Curia in Siena dall’8 marzo al 14 sett. 1443, il M. compose il Libellus (ibid.), un saggio filologico sullo Psalterium che segnala varianti testuali nelle versioni affrontate latina e araba, questa desunta da un codice cristiano-orientale da lui posseduto. La prefazione reca un’importante descrizione scientifica della lingua araba, comparata con l’ebraica, la latina, la greca, e inoltre la persiana e la turca, in efficace modo contrastivo. Il M. aveva nozioni di ebraico, aveva studiato la Victoria adversus Iudaeos del certosino genovese Vittore Porchetto de’ Salvatici (m. 1315) e come Pietro de’ Rossi, biblista e docente di filosofia nello Studium senese, partecipava alla disputa concernente la dottrina ebraica. Rispetto alla disputa dottrinale antimusulmana, il M. apportava alcuni chiarimenti sulla figura storica di Maometto. I suoi opuscoli Liber Machometi e Opinio perfidie Iudeorum (ibid.) sono abbinati, dopo il Libellus e le Gesta di Thomorlengh, nel codice senese esemplato dal sacerdote Antonio Dominici (1446).
Poggio Bracciolini, segretario di Eugenio IV e già avverso a Giovanni Banchini, presenta «Tambellanus» (Tamerlano) in De varietate fortunae, ma ignora il M. e quasi come sua controfigura esalta il viaggiatore veneto coevo Niccolò de’ Conti, formatosi a Damasco.
Nell’ambito di osservatori politici il M. rimase un vegliardo autorevole. L’amico mercante veneto Giovanni Antonio gli inviò (Venezia, 3 sett. 1453) una rilevante relazione circa l’assedio turco di Costantinopoli e la sua caduta. Sigismondo Tizio riporta nelle Historiae Senenses tale epistola e la biografia di Tamerlano attinta dal M., che chiama il mercante «latina graeca hebraica arabica lingua ornato». Egli può considerarsi il pioniere degli studi arabistici prodotti nell’Italia umanistica.
Morì a Siena il 26 genn. 1455, a ottantacinque anni, e fu sepolto nella tomba di famiglia in S. Domenico.
Sono da chiarire vari periodi e aspetti della multiforme attività del M., le cui opere attendono l’edizione critica e integrale.
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A.M. Piemontese