BUONSOSTEGNI, Bencivenni di Tornaquinci (Bonsostegni, Buonsustenga, Bentivenga)
Mercante fiorentino del sec. XIV, fu tra i principali collaboratori della compagnia dei Bardi.
Fin dal 1266 troviamo attestati in Firenze, nel popolo di S. Stefano a Ponte, sesto di S. Piero Scheraggio, i "filii Bonsostegni"; conosciamo i nomi di due di essi: Tingo, noto da un documento del 1278, e Tomaquinci, padre del B., che nel 1280 era fra gli "expromissores pro Guelfis" in occasione della pace del cardinal Latino e nel 1290 era fra gli "officiales ad cavallatas". Quanto al B. la più antica testimonianza che di lui si abbia risale al 1301, quando già si trovava a Napoli con l'incarico - frequentemente affidato in questi tempi a fiorentini - di sovrintendere alla Zecca. Le relazioni che fin da allora dovette stringere con l'ambiente della corte angioina possono spiegare come il B., entrato nella compagnia dei Bardi almeno dall'ottobre 1306 (nel marzo dello stesso anno era a Firenze), e affiancato a Napoli fino al 1307 da Doffo di Bartolo Bardi, sia poi divenuto il massimo rappresentante della Società nel Regno, interessato per un triennio a tutte quelle numerose attività bancarie, mercantili e finanziarie che i Bardi esplicarono nel Regno. Accanto a lui operò suo fratello Iacopo, che ebbe uno stipendio annuo di 50 libbre e si licenziò dalla compagnia nel 1316, e un "Bertucius de Bonsustegnis" che nel 1307, su richiesta dello stesso B., otteneva da Carlo II, con altri due dipendenti dei Bardi, l'autorizzazione a portare anni proibite per difesa personale.
Il B., come rappresentante della compagnia (non sembra - almeno dai libri dei Bardi che ci sono rimasti, e nonostante la testimonianza in contrario di qualche documento non fiorentino - che sia mai stato fra i soci), fu spesso accanto a Carlo II, a Roberto, a Filippo principe d'Acaia, a Carlo duca di Calabria. Non stupisce perciò di trovarlo indicato fin dal 1308 come "dilectus mercator et familiarisnoster" in un ordine di pagamento di Carlo II, né stupisce che nel 1310, per i servigi resi dal B., suo fratello Iacopo sia stato creato ciambellano del re Roberto e che un religioso, Francesco da Firenze, parente dei Buonsostegni, sia stato fatto più tardi cappellano del re. Lo stesso B. ottenne dal sovrano altri riconoscimenti di prestigio: ad esempio nel 1315 egli tornò a Firenze munito d'una attestazione del re Roberto in cui veniva definito, oltre che "familiaris", suo "consiliarius": in quanto tale, sebbene fiorentino, gli dovevano essere risparmiati oneri di governo, e di incarichi amministrativi e militari. Ma già prima del 1315 il B. era stato a Firenze: del novembre 1313 è un contratto, stipulato appunto nella città, per l'acquisto di manufatti di ferro da parte dei Peruzzi, degli Acciaiuoli e dei Bardi, questi ultimi rappresentati dal Buonsostegni. Del maggio 1314 era una procura (analoga a quella del 16 apr. 1311) dei soci dei Bardi per vari loro fattori fuori Firenze, fra cui appunto, "licet absentem", il B., che a sua volta il 23 gennaio, alla vigilia della partenza, aveva nominato suoi procuratori a Firenze alcuni soci della compagnia.
Nel 1316 e nel 1317 il B. fu per i Bardi a Parigi: del 13 ott. 1316 è una lettera con la quale Giovanni XXII lo raccomandava al re di Francia, insieme con un altro fattore dei Bardi, "con non abituale solennità" (Caggese). Ritornato a Firenze, vi si fermò, ma non continuativamente (è certo che in questo arco di tempo fu di nuovo anche a Napoli), fino al 1325: percepiva qui annualmente dai Bardi 145 libbre, contro le 290 dei periodi trascorsi all'estero. Primo della sua famiglia, il B. venne eletto fra i Priori per il gennaiofebbraio 1319 e fu addirittura gonfaloniere di Giustizia l'anno seguente, nell'aprile-maggio; nel marzo 1319 è registrato come fornitore, in conto proprio, della compagnia di Calimala di Francesco del Bene. Il B. era a Napoli nel marzo 1326, ma già il 5 settembre era a Firenze, al seguito del duca di Calabria, divenuto signore della città. L'esperto mercante conosceva il duca da lungo tempo e ne riscuoteva evidentemente la fiducia se fu prescelto, con altri, a due posti-chiave, prima fra i cinque "officiales super forragio ad exercitum transmictendo", poi (febbraio-marzo 1327) fra i tre "officiales super procuranda grassa bladi et aliorum victualium" per Firenze, il suo contado e il suo distretto.
Prima ancora che la signoria del duca di Calabria terminasse, il B. aveva ripreso la via di Napoli, dove un documento del 30 nov. 1327 lo mostra di nuovo a capo della filiale dei Bardi. Del 12 genn. 1328 è un mutuo concesso al re Roberto e del 23 dello stesso mese sono le lettere dei Priori di Firenze al B. e ai due rappresentanti in Napoli dei Peruzzi e degli Acciauoli, con le quali essi venivano praticamente investiti d'una ambasceria al re Roberto che i Fiorentini non volevano inviare in forma ufficiale dal momento che le condizioni finanziarie della città non consentivano l'assunzione degli impegni che il re presumibilmente avrebbe richiesto: in un certo senso l'utilizzazione dei mercanti per esercitare pressioni politiche sulla città di provenienza si rivelava per l'Angiò un'arma a doppio taglio.
La posizione di grande rilievo del B. ha spinto a ritenere che fosse lui il "maximus mercator" presso il quale fu per sei anni a far tirocinio mercantile Giovanni Boccaccio, costrettovi dal padre che era anch'egli della filiale di Napoli dei Bardi nel 1328-29: possiamo citare ad esempio un documento del 22 marzo 1328, secondo il quale il B. insieme con "Bulcatius de Certaldo" importava a Napoli per i Bardi 4.000 tomoli di grano pugliese (Camera). Questa discussa identificazione sembra essere ancora la più plausibile; comunque è agevole veder rispecchiato nelle opere del Boccaccio il mondo stesso del B., diviso fra la condotta dei suoi affari e quella vita di corte ch'era accessibile ai mercanti non meno che ai nobili (per quell'"assai dilicatamente vivere, sì come noi fiorentini viviamo" di cui dirà il certaldese). E proprio da una delle novelle del Boccaccio sembra uscire un episodio di cui fu protagonista il B. nel 1336, quando, di nuovo a Napoli per il recupero dei crediti dei Bardi nel Regno, tenne la carica di console dei Fiorentini, e in questa veste disinvoltamente attestò prima il vero e poi il falso a proposito di una somma, depositata presso i Peruzzi, che un francese invano reclamava: sua moglie l'aveva abbandonato portandogli via i risparmi che poi aveva messo al sicuro presso i Peruzzi.
Nei periodici soggiorni fiorentini il B. fu eletto a diverse cariche: nel luglio 1329 fu "vexillifer societatum" e fu poi tra i consiglieri di Calimala; nel settembre-ottobre 1334 fu nuovamente dei Priori, e dal marzo al maggio 1336 sembra sia stato eletto fra i Dodici buonomini (ma nel 1336 era console dei Fiorentini a Napoli, come si è visto, e proprio nella primavera era impegnato nella grande spedizione di grano di Puglia in Armenia che Benedetto XII aveva commissionato ai Bardi). Dopo il 1338 il B., che aveva senza dubbio accumulato una discreta fortuna (si era ad esempio insignorito di Ruvo di Puglia, avuto in pegno per mutui, poi non restituiti), probabilmente non si mosse più da Firenze, anche se non può essere escluso che si debba identificare con lui il "Benthiveni" della società dei Bardi che nel gennaio 1343 era ad Avignone; certo è che nel novembre dello stesso anno egli si licenziava dalla compagnia; per di più aveva "curato assai i fatti suoi" e per questo si era visto decurtare della metà lo stipendio degli ultimi tre, quattro anni (in precedenza aveva invece avuto un premio di 300 libbre "per lo faticare che fecie per raquistare il debito verso il re Roberto"). Dal dicembre 1341 al febbraio 1342 era stato nuovamente gonfaloniere delle società, e infine ancora una volta fu priore, per il settembre-ottobre 1347. È questa l'ultima testimonianza che si possieda sul B. che venne forse a morte nella pestilenza del 1348.
I diversi Buonsostegni che operarono nella mercatura, specialmente nel Regno di Napoli, hanno indotto a ritenere che sia esistita una compagnia di questo nome; in realtà i Buonsostegni operarono quasi tutti fra i Bardi, dal Bertuccio sopra ricordato, allo Iacopo fratello del B., e infine a Taddeo che del B. era figlio e fu a Napoli col padre a partire dal 1332, e poi saltuariamente almeno fino al dicembre 1339. Ritroviamo Taddeo fra i Priori del gennaio-febbraio 1356; egli era forse ancora vivo nell'ottobre 1368, quando veniva sepolta, "cum habitu", in S. Maria Novella sua moglie Niccolosa; la residenza della famiglia era ancora quella d'un secolo prima, cioè nel popolo di S. Stefano a Ponte. Estraneo ad ogni attività mercantile fu invece un altro fratello del B., Tingo, che nel marzo 1306 addivenne a un accordo privato, ratificato davanti al notaio nel 1313 (Archivio di Stato di Firenze, Not. B 1950, c. 87), con il B.; i due "con grande e per grande amore dimesticamente come buoni fratelli" definivano questioni ereditarie e di debiti di Tingo nei confronti di Bencivenni. Ma fra il 1306 e il 1313 era intervenuto un fatto nuovo, registrato nel contratto del notaio: sotto il nome di Tingo il B. aveva investito denari in una compagnia di "Ser Gianni domine Marie de Selmona cuius est hodie caput et ductor Sostegnus Bonaccursi", notizia che lascia intravvedere l'esistenza di attività del B. anche al di fuori della compagnia da cui dipendeva.
Ai Buonsostegni appartennero infine anche un Perotto, salariato a 25 fiorini l'anno della compagnia Girolami-Corbizzi, ed attivo ad Avignone intorno al 1335, un Martinaccio, in relazione coi Peruzzi nel 1339 e un Uguccione, che era fra i membri del Consiglio del popolo nel 1346.
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