SAULI, Bendinelli (Bendinello, Bandinello)
– Nacque a Genova nel 1484 circa, primo di cinque figli e due figlie di Pasquale di Bendinelli, facoltoso mercante e banchiere, membro di una delle più importanti famiglie popolari di Genova, e di Mariola Giustiniani Longhi di Giacomo.
In quanto figlio maggiore, Sauli fu inizialmente deputato a occuparsi dei vasti affari della famiglia, e in tal senso fu istruito e impegnato. Chiamato dallo zio paterno Paolo che lì si occupava degli affari di famiglia, il 14 luglio 1492 fu a Roma, per accompagnare i messi della famiglia Sauli incaricati della consegna di alcuni tessuti alla Camera apostolica, in relazione al cosiddetto Appalto degli spirituali.
Il contratto, siglato il 19 dicembre 1486, prevedeva un prestito di ben 216.000 ducati d’oro da parte di nove grandi societates di mercatores Romanam Curiam sequentes in favore di papa Innocenzo VIII, da versare in quattro annualità di 54.000 ducati d’oro, di cui due terzi in moneta e un terzo in mercanzie, a partire dal 1° gennaio 1487, da rimborsare proprio attraverso le rendite in spiritualibus, e in cui i Sauli, assieme con i soci Cicero, furono i principali creditori, seguiti da Capponi, della Casa, Usodimare, Cybo, Medici e soci, Ghinucci e soci, Centurioni e Del Bene. I Sauli mantennero il ruolo di primo creditore sia quando alcuni dei compartecipanti all’appalto decisero di cedere le proprie quote, sia quando il contratto venne rinegoziato, coinvolgendo un maggior numero di investitori.
Il 1° dicembre 1499, Sauli comparve a nome suo e dei fratelli in un atto per l’affitto di una proprietà vicina a un edificio appartenente alla famiglia presso Porta S. Andrea a Genova, dichiarandosi maggiore di quattordici anni e quindi legalmente adulto e responsabile. L’esperienza economica e commerciale fu apprezzata anche dalla Repubblica genovese, per la quale Sauli fu membro dell’Ufficio della moneta (1498), anziano (1499) e membro dell’Ufficio della mercanzia e dei Clavigeri (1500): cariche che ricoprì in età precoce, evidentemente anche in relazione al prestigio politico, economico e sociale della famiglia Sauli in ambito genovese.
La sua carriera mercantile si interruppe però bruscamente, per proseguire in ambito ecclesiastico. I motivi di questa scelta non sono del tutto chiari; probabilmente la decisione fu presa in relazione a due considerazioni, una di carattere specificatamente economico, l’altra più personale. All’elezione al soglio pontificio di Giulio II della Rovere, con cui i Sauli intrattenevano da tempo proficue relazioni politiche ed economiche, fece immediatamente seguito la nomina di Paolo Sauli alla Depositeria generale (già il 5 novembre 1503, in un motu proprio di Giulio II «ante coronationem nostram»): evento che apriva vaste opportunità economiche e nuove possibilità di promozione politica e sociale per la famiglia genovese all’interno della Curia, nella città e nel territorio di Roma. Allo stesso tempo un peggioramento della salute di Sauli, affetto da problemi di carattere motorio, rendendo difficile la cura degli affari di famiglia con il dovuto impegno, influì nella scelta della carriera ecclesiastica.
In questo contesto, i Sauli da una parte dilatarono enormemente i propri affari in ambito curiale, romano e internazionale, ottenendo numerosi uffici; dall’altra si impegnarono per favorire la carriera ecclesiastica di Bendinelli, avendo come obiettivo ultimo il cardinalato.
Ricordato con il titolo di magister già prima del 1503, egli giunse a Roma non appena Giulio II fu eletto, ricevendone immediatamente il favore: entrato in Curia in qualità di abbreviatore e protonotario apostolico numerario, oltre che cubiculario papale, il 19 dicembre 1503 fu nominato abate commendatario di S. Siro di Genova (antica cattedrale della città, prima di S. Lorenzo); il 29 ottobre 1504 ricevette in commenda la chiesa di S. Giacomo di Carignano; nel corso del 1505 gli furono accordati altri benefici nella diocesi di Genova e in quelle spagnole di Siviglia e Palencia. Nel concistoro del 1° dicembre dello stesso anno, Giulio II tentò di elevarlo al cardinalato, ma trovando la ferma opposizione del Collegio preferì rinunciare temporaneamente al proposito. Il tentativo, dopo appena due anni dall’arrivo di Sauli in Curia, evidenziava il peso e l’influenza già acquisiti. Di fatto i numerosi investimenti economici e finanziari e gli appoggi di alto livello presso la Curia romana, oltre che un personale legame con il pontefice, gli garantirono una veloce carriera ecclesiastica. Tra la fine del 1505 e il corso del 1506 ottenne diversi benefici nelle diocesi di Toledo, Siviglia, Cordoba e Mondovì; il 5 ottobre 1506 fu nominato vescovo di Malta; il 23 febbraio 1509 fu destinato alle sedi unite di Gerace e Oppido Mamertina. Il periodo successivo lo vide fuori dalla Curia, in visita a Genova e forse alla sua diocesi. Questo allontanamento può essere messo in relazione agli eventi della Lega di Cambrai, quindi a partire dalla fine del 1508, e al peggioramento delle relazioni tra Papato e Francia, essendo i Sauli filofrancesi, come molte altre famiglie genovesi che intrattenevano proficue relazioni economiche Oltralpe.
Finalmente, grazie alle capacità e prodigalità della famiglia nel finanziare il pontefice, oltre che alla raccomandazione della Repubblica genovese e all’interesse dello stesso Giulio II di avere sostegni a Genova, in quel momento sotto il controllo francese, nel concistoro del 10 marzo 1511 Sauli fu creato cardinale diacono, essendogli accordati la berretta il 13 marzo e il titolo di S. Adriano al Foro il 17 marzo. Nello stesso concistoro, furono tra gli altri creati cardinali l’inglese Christopher Bainbridge e lo svizzero Matthäus Schiner: il primo per incitare Enrico VIII contro la Francia, il secondo per il suo appoggio nella medesima lotta. In questo contesto di intermittenti relazioni politiche tra papa Della Rovere e la Francia, nelle quali Genova occupava un ruolo non indifferente, Sauli ottenne nuovi benefici, tra cui, nell’ottobre del 1511, la commenda del monastero di S. Simpliciano a Milano (una delle quattro fondazioni ambrosiane) e, nello stesso periodo, il titolo cardinalizio di S. Maria in Trastevere in commendam. L’ultimo dei benefici concessi da Giulio II fu la nomina a cardinale presbitero di S. Sabina, il 12 gennaio 1512 – titolo precedentemente tenuto dal cardinale René de Prie, scomunicato il 24 ottobre 1511 per la sua adesione allo scismatico concilio di Pisa.
Sauli partecipò quindi al conclave del febbraio-marzo 1513, in cui ebbe un ruolo importante, riuscendo a far convergere i voti dei cardinali più giovani a favore di Giovanni de’ Medici: un appoggio che, di fatto, permise l’elezione di papa Leone X. Grato per il sostegno, il nuovo pontefice non fece mancare il proprio favore alla famiglia genovese e al suo cardinale. La Depositeria generale fu confermata ai Sauli e, sebbene già nell’autunno del 1513 Filippo Strozzi si fosse proposto per l’ufficio, ottenendone la prerogativa nel maggio del 1514 e firmando il contratto nel giugno del 1515, gli investimenti e i profitti della famiglia genovese in ambito romano rimasero di entità considerevole e si dilatarono negli anni successivi. Nel corso dello stesso 1513, Sauli ottenne un numero notevole di benefici nelle diocesi di Malta, Toledo, Utrecht, Lodi, Mondovì, Milano, Salerno, Oppido e Messina; in modo analogo tra il 1514 e il 1515, nelle diocesi di Vicenza, Asti, Otranto e León; dal 5 agosto 1513 resse il vescovado di Albenga in qualità di amministratore apostolico e il 18 luglio 1516 gli fu confermato il titolo cardinalizio di S. Maria in Trastevere.
Leone X ebbe massima fiducia nel cardinale Sauli, al quale affidò numerosi e delicati incarichi politici, diplomatici e religiosi. Nel 1513 fu uno dei deputati alla discussione della Prammatica Sanzione di Bourges presso il Concilio Lateranense V. Nel dicembre del 1515, assieme con il cardinale Giulio de’ Medici, fu incaricato di accogliere Francesco I al suo ingresso a Bologna, in vista dell’abboccamento con Leone X per la firma del concordato del 1516 con cui il re di Francia approvava l’abolizione della Prammatica Sanzione, mentre il pontefice accettava di condividere con la Corona il controllo della Chiesa francese. Nella medesima occasione furono i cardinali Medici, Bibbiena, Sauli e Cybo – non a caso, due fiorentini e due genovesi, tutti considerati intimi del papa – a intrattenere il re in attesa dell’arrivo del pontefice. E tra l’aprile e il maggio del 1517 furono i cardinali Sauli e Marco Corner a fare da tramiti tra Leone X e il cardinale senese Alfonso Petrucci, riparato a Genazzano, sotto la protezione dei Colonna, promettendo al porporato un salvacondotto per rientrare a Roma e un risarcimento economico di ben 25.000 ducati in cambio di un giuramento di fedeltà e una formale rinuncia da parte del prelato e della sua famiglia a qualunque intento di ribellione o di sollevazione di Siena al controllo mediceo.
In realtà, nello stesso aprile 1517 Leone X aveva istruito un’inchiesta per indagare e procedere contro Alfonso Petrucci, arrestando e interrogando alcuni familiares del cardinale ancora a Roma. Dal procedimento emersero le sue responsabilità non solo nel piano per rovesciare il regime filomediceo di Siena, in accordo con la Spagna, i Bellanti di Siena, i Baglioni di Perugia, i Colonna e lo spodestato duca di Urbino Francesco Maria I della Rovere; ma pure nel tentativo di avvelenare il pontefice, con la complicità del medico Battista da Vercelli. Del complotto sarebbero stati a conoscenza i cardinali Sauli, Soderini, Castellesi e Riario. Le accuse erano molto probabilmente infondate, sulla base di testimonianze estorte con la tortura; l’imputazione dei cardinali faceva piuttosto parte della strategia papale per eliminare alcuni rivali pericolosi e parimenti ottenere un rinnovo all’interno della Curia e del Collegio cardinalizio, in direzione di una loro maggiore sensibilità verso gli interessi medicei. A ogni modo, i risultati dell’istruttoria furono mantenuti riservati, al fine di non pregiudicare il rientro di Petrucci a Roma, in seguito alla mediazione dei cardinali Sauli e Corner e al salvacondotto concesso da Leone X.
Il 17 maggio 1517 il cardinale Petrucci tornò quindi a Roma, ma il 19 venne immediatamente arrestato e condotto in Castel Sant’Angelo insieme con Sauli; il 29 maggio fu arrestato pure il cardinale Riario. I cardinali Castellesi e Soderini, dopo aver confessato, chiesero e ottennero il perdono papale, versando pure una grossa somma di denaro; ma di lì a poco, timorosi di ulteriori provvedimenti, preferirono allontanarsi da Roma. Nel concistoro del 22 giugno, Leone X decise la deposizione e la privazione di ogni titolo e onore dei cardinali Petrucci, Riario e Sauli, consegnandoli al braccio secolare. Il 25 giugno furono resi pubblici gli atti del processo e il 27 furono giustiziati Battista da Vercelli e Marco Antonio Nini, familiares del cardinale Petrucci; la medesima sorte toccò a quest’ultimo il 4 luglio.
Come il cardinale Riario, dietro il pagamento di una forte ammenda di 25.000 ducati e la dichiarazione di fedeltà al pontefice il cardinale Sauli ottenne invece il rilascio, l’assoluzione e il ripristino – parziale – dei titoli il 31 luglio 1517, in particolare il cardinalato, sed non ad vocem activam et passivam. Fu comunque costretto a ritirarsi a Monterotondo e il rientro a Roma gli fu concesso solo ai primi di novembre, mentre le piene funzioni cardinalizie furono ristabilite il 25 dicembre.
Affranto nello spirito, indebitato, malato e diffamato, il giovane prelato morì il 29 marzo 1518 nella stessa città, venendo sepolto in S. Sabina.
Importante anche il ruolo di Sauli come mecenate: protettore, tra gli altri, degli umanisti Giovanni Maria Cattaneo (suo segretario), Paolo Giovio (suo medico) e Agostino Giustiniani (illustre studioso, oltre che suo cugino), fu effigiato da Sebastiano del Piombo nel 1516 nel noto Ritratto del cardinale Bandinello Sauli, del suo segretario e di due geografi (forse anche nella Disputa del Sacramento del 1509 e nel Ritratto di cardinale del 1511 di Raffaello).
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