BENE da Firenze
Nacque, a quanto affermò egli stesso, a Firenze, in data imprecisata, ma sicuramente dopo la metà del sec. XII. È probabile che compisse gli studi a Bologna, dove negli anni intomo agli inizi del Duecento insegnavano retorica maestri illustri, come Buoncompagno da Signa. B. stesso, sicuramente a partire dal 1218, ma forse anche prima, insegnò grammatica e retorica nello Studio bolognese.
È possibile che egli succedesse nella cattedra proprio a Buoncompagno che, intorno al 1215, per motivi non del tutto chiari, aveva lasciato Bologna. Certo è che B., il quale non raggiunse minimamente l'eccellenza e l'originalità del suo predecessore, fu uno dei più accaniti avversari di Buoncompagno: nel Candelabrum lo accusò di poca serietà, congratulandosi con Bologna di essersi liberata dalle sue buffonate. Nonostante ciò B. si compiacque di trasformare il suo nome in "Bonus": in onore della dotta Bononia, secondo quanto ebbe a dichiarare egli stesso, ma, più verosimilmente, per suggerire un riferimento al suo più illustre collega.
Il 1° ottobre 1218 B. prestò davanti al podestà di Bologna il solito giuramento di ammissione nel corpo insegnante, col quale si impegnava ad opporsi risolutamente a ogni tentativo di trasferire la Studio in un'altra città e a non insegnare mai in altra scuola che quella bolognese; si riservava solo la possibilità di accettare un eventuale "offitium clericale" nella sua città natale, che gli consentisse di insegnare nella scuola del duomo di Firenze. Questo caso tuttavia pare non si sia mai verificato; ancora nell'anno 1226 B. si trovava a Bologna dove ebbe a ricoprire anche la carica di "scriba", di segretario, cioè, del vescovo.
La sua fama intanto aveva oltrepassato gli stretti limiti dello Studio bolognese: B. stesso si vantò di essere stato invitato varie volte a recarsi nel Regno dall'imperatore Federico II (probabilmente per assumervi una carica nella cancelleria imperiale), ma di aver rifiutato per non essere implicato nei ben noti intrighi di quella corte. Che B. fosse molto apprezzato negli ambienti letterari della corte federiciana, e che forse lo stesso Pier delle Vigne avesse studiato con lui a Bologna, risulta da una lettera attribuita in alcuni manoscritti al logoteta, in altri al maestro Terrisio, professore di retorica all'università di Napoli, lettera che fu indirizzata agli studenti e professori dell'università di Bologna in occasione della morte di "magister" Bene.
L'autore dell'epistola esprime enfaticamente il suo dolore per la scomparsa del maestro, che occorrerebbe chiamare non "buono" ma "ottimo", e lo esalta nei versi che chiudono la lettera come "doctor doctorum", "lux praevia grammaticorum", "norma Latinorum".
Riguardo alla data della morte di B. ci sono state tramandate notizie relative soltanto al mese e al giomo in cui essa avvenne, il 3 giugno; il Gaudenzi, basandosi su un'eclissi che, stando alla ricordata lettera, sarebbe avvenuta nel momento del trapasso, datò la morte del grammatico fiorentino al 3 giugno 1239. Anche se l'eclissi di cui parla la lettera deve essere intesa molto probabilmente non in senso letterale, la morte di B. dovette cadere tra il 1238, probabile anno dell'ultima redazione del Candelabrum, ed il 1242, quando in un documento relativo a suo figlio, Anselmo, il grammatico fiorentino viene definito come "quondam" .
B. è l'autore di una Summa dictaminis, da lui, con poca modestia, intitolata Candelabrum "quia populo dudum in tenebris ambulanti lucidissimam dictandi peritiam cognoscitur exhibere".
L'opera, inedita, ebbe larghissima diffusione, come è attestato dai numerosi manoscritti. Fra i più importanti sono quelli conservati nella Bodleian Library di Oxford (Canonic. 103), nella Bibl. Nationale di Parigi (ms., 15082), nella Biblioteca Nacional di Madrid (Aa 35). Il Candelabrum è diviso in otto libri: nel primo l'autore, dopo aver definito il dictamen come l'arte di scrivere in modo proprio ed elegante, tratta particolarmente della compositio come ordinatio verborum; nel secondo illustra le varie figure retoriche, i colores; nel terzo si occupa della salutatio; nel seguente disserta sulle quattro parti in cui si deve articolare e sviluppare un'orazione o uno scritto: exordium, narratio, petitio e conclusio. Il quinto libro, riassumendo sinteticamente la materia dei quattro precedenti, costituisce in sé un piccolo manuale di ars dictandi; il sesto, il settimo e l'ottavo libro sono dedicati all'esposizione della dottrina della famosa scuola di retorica d'Orléans, dai modi di scegliere e di ordinare il materiale, all'amplificatio e alla determinatio.
Controversa è la datazione del Candelabrum. Lo Hauréau, seguito dal Gaudenzi, ha proposto come periodo di composizione gli anni compresi tra il 1220 ed il 1223, sulla base delle sottoscrizioni imperiali, regie e pontificie contenute nei documenti e nei diplomi citati nel manuale; nuovi elementi, emersi successivamente, hanno tuttavia riaperto la questione, spostando il terminus ad quem: sino al 1238.
Di B. ci resta un'altra Summa dictaminis (manoscritta presso la Biblioteca Marciana di Venezia, classe XI, cod. VII) meno voluminosa del Candelabrum, ma assai interessante per la conoscenza delle opere degli autori classici antichi che in essa egli dimostra; pare che a questa seconda Summa abbia attinto Guido Faba per la sua Summa pubblicata nel 1229, sicché si dovrebbe desumere che B. avesse composto la sua prima di tale data, forse addirittura, come ha proposto il Gaudenzi, prima del 1210.
Di maggiore importanza è la Summa grammatice la cui tradizione manoscritta è ancora assai incerta. Un codice conservato nella Biblioteca Cateriniana del Seminario di Pisa fu studiato dal Marchesi; un secondo fu segnalato dal Rockinger nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (Cod. Lat. 6911, ff- 55v-93v); un terzo si trova nella Biblioteca Marciana di Venezia (classe XIII, cod. VII).
Seguendo il metodo dialettico, la Summa offre alla rinfusa un'ampia trattazione di problemi grammaticali - gerundi supini, aggettivi, prefissi, ortografia e morfologia - e si distingue per l'indipendenza di giudizio su varie questioni assai discusse nel Medio Evo come, per es., quella del participio assoluto e dell'ablativo assoluto; notevole anche la sua trattazione dei modi.
Nel codice pisano segue alla Summa grammatice un trattato anonimo sull'uso dei casi, che, per la corrispondenza del metodo e del linguaggio con quello della Summa, probabilmente è anche da attribuire a Bene.
Si conoscono altri due trattatelli grammaticali di B., il De accentu e le Regule de metris, conservati in un codice della Bibliothèque Nationale di Parigi (Nouv. Acq. 353), dei quali si servirono ampiamente due grammatici dei Duecento, fra' Giovanni Marchesini nel suo Mammotrectus e Giovanni Balbi nel Catholicon.
Fonti e Bibl.: L. V. Salvioli, Annali bolognesi, III, 2, Bassano 1795, pp. 196, 198; A. HuillardBréholles, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Paris 1865, pp. 300-302; Chartularium Studii Bononiensis, I, Bologna 1909, pp. 23 s.; L. Rockinger, Briefsteller und Formelbiicher des elften bis vierzehnten 3ahrhunderts, in Quellen und Erórterungen zur bayerischen und deutschen Geschichte, IX, Múnchen 1863, p. 98; C. Thurot, Notices et extraits de divers manuscrits latins pour servir à l'histoire des doctrines grammaticales au moyen dge, in Notices et extraits des manuscrits de la Bibl. Impériale..., XXII, 2, Paris 1868, pp. 414 s., 483-48s; T. Casini, La coltura bolognese dei secoli XII e XIII, in Giorn. stor. d. letterat. ital., I (1883), pp. 18-20; B. Hauréau, Notices et extraits de quelques manuscrits latin: de I. Bibliothèque Nationale, IV, Paris 1892, pp. 259-263; A. Gaudenzi, Sulla cronol. delle opere dei dettatori bolognesi da Buoncompagno a Bene di Lucca, in Bullett. d. Ist. stor. ital., XIV (1895), pp. 86, 90, 104, 110 s., 121, 124, 126, 150-162; R. Davidsohn, Geschichte von Florenz, I, Berlin 1896, pp. 805, 812 s.; IV, ibid. 1927, pp. 121, 131, 133, 156 s.; C. Marchesi, Due grammatici latini del Medio evo, in Bullett. d. Soc. filol. romana, XII (1910), pp. 23-37; F. Torraca, Maestro Terrisio di Atina, in Arch. stor. per le Prov. napol., XXVI (1911), pp. 235-237. 242; C. S. Baldwin, Medieval Rhetoric and Poetic (to 1400), New York 1928, pp. 216-223.