Bene da Firenze
Maestro di grammatica nello Studio bolognese, succeduto forse a Boncompagno, allontanatosi da Bologna nel 1215. Nativo di Firenze, compì probabilmente i suoi studi a Bologna, dove fu tra i più accaniti oppositori di Boncompagno; e a Bologna insegnò sicuramente dal 1218 alla morte, avvenuta fra il 1238 e il 1242. Non riuscì infatti a tornare in patria, sebbene lo avesse lungamente desiderato, né accolse l'invito di Federico II di seguirlo alla sua corte al posto che avrebbe occupato Pier della Vigna, discepolo dello stesso B. (vantandosi per questo onore ricevuto, scrisse che l'" aula principum " è come una " bellua multorum capitum " alla quale non intendeva soccombere).
Della sua attività di maestro rimangono alcune opere di carattere retorico e grammaticale, fra cui la più nota è il Candelabrum, un'ars dictaminis composta fra il 1220 e il '23, che ebbe più tardi una seconda redazione. Il significato simbolico del titolo e la divisione in otto libri, che vorrebbe riprendere quella del Nuovo Testamento, rivelano il carattere di novità che l'autore intendeva attribuire al suo insegnamento (" Octonarius igitur huius nostri Candelabri perfectioni quidem novi consonat Testamenti, quoniam vetera transierunt et ecce nova omnia iam clarescunt "). Dopo i primi due libri, dedicati ai fondamenti generali dell'ars dictaminis, cui convengono l'elegantia e le exhornationes verborum et sententiarum derivate dalla tradizione ciceroniana, il trattato sviluppa nel terzo e quarto libro la dottrina riguardante le parti dell'epistola. Dopo aver riassunto la materia (" causa rudium ") nel quinto libro, e aver esposto nel sesto la dottrina della scuola di Orléans, l'autore passa a trattare della " materia " e quindi dell'inventio, dell'amplificatio e dei modi " artificiali " secondo i quali può essere disposta. Infine la trattazione tocca anche della memoria e della pronunciatio.
Gl'interessi del maestro B. si spinsero anche nel campo della grammatica: in una Summa dictaminis (conservata nella Bibl. Marciana di Venezia, classe XI, cod. VII), che gli è stata attribuita e nella quale si è riconosciuta una fonte della Summa di Guido Faba, egli distingue le " species dictaminis " in " prosaycum, metricum et rithmicum " e fa rientrare nella grammatica la trattazione della metrica, alla quale appunto accenna in quest'opera prima di discorrere della elocutio e quindi dello stile orleanese, tulliano e della curia romana (caratterizzati dal modo di terminare i periodi), della punteggiatura e degli ornamenti retorici. Alla metrica ancora son dedicate due operette, il trattato de accentu e le Regulae de metris (Bibl. Nazion. di Parigi, Nouv. Acq. 353), la cui presenza in opere di grammatici più recenti attesta la grande considerazione in cui veniva tenuto l'insegnamento di B. ancora nella seconda metà del secolo.
L'operosità di B. negli studi grammaticali si rivela soprattutto nella Summa grammaticae, conservata in alcuni manoscritti (in quello studiato dal Marchesi, della bibl. Cateriniana del seminario di Pisa, segue ad essa un trattato sull'uso dei casi che va attribuito allo stesso B.), e contenente, in una trattazione poco organica, secondo l'uso medievale, dei modi verbali, inframezzata da altre questioni di ordine ortografico, morfologico e retorico, un interessante tentativo di fondare una sintassi dei modi secondo il metodo dialettico con cui all'inizio del sec. XIII i grammatici andavano studiando la constructio. Questa parte, che costituisce l'aspetto più originale dell'opera malgrado certe intemperanze dovute al metodo dialettico, rivela tuttavia che l'autorità di Prisciano, di cui B. fu lettore nello Studio, viene conservata e anzi inverata entro le nuove prospettive scientifiche.
Ma l'interesse che offre l'opera di B. nello sviluppo dell'insegnamento retorico del sec. XIII, cui fa capo D., riguarda soprattutto l'intimo rapporto che il maestro avverte, nella teoria dell'ornato, fra le norme relative alla constructio retorica e quelle che propriamente riguardano la metrica. La triplice distinzione della compositio in " naturalis fortuita et decora " tende a isolare la compositio artificialis (" decora "), quale prerogativa di un alto stile, in virtù dell'osservanza delle regole metriche, donde la trattazione ampia della teoria del cursus della scuola d'Orléans, di Cicerone e della curia romana (cfr. in VE II 1v come D. opponga coloro che poetano artificialiter a quelli che poetano casualiter, e come tenga distinto il primo genere di poesia da quello ‛ mediocre '). Ché se B. trasferisce alla prosa dettatoria le norme delle artes poeticae, egli non solo mostra di concepire il linguaggio prosastico strettamente congiunto con quello poetico secondo un principio da cui anche D. trarrà le mosse in VE II I, ma tratta espressamente anche del ritmo, definendolo in termini vicini all'uso dantesco (" Rhitmus certum numerum sillabarum et consonantiam finalem considerat ", Candelabrum V XVII; cfr. VE, dove rithimus vale " rima ").
L'insistenza di B. sui pregi musicali che il sermo deve acquistare attraverso l'ornatus, la relazione che egli pone fra l'eccellenza dell'uomo e l'armonia della sua più alta espressione, l'aequabilis ordinatio propria dell'artificialis compositio, l'analogia ch'egli istituisce perfino fra l'opera creativa di Dio e l'operazione retorica, per cui quest'ultima appare la più nobile fra le attività dell'uomo, avviano il maestro bolognese verso la delineazione di un'estetica di tipo soprattutto ‛ retorico ', in cui confluisce l'esperienza musicale della tradizione, per la via, cioè, che lo stesso D. percorrerà nel De vulgati Eloquentia. Un segno evidente dell'importanza attribuita da B. all'ordo artificialis quale fondamento che collega la poesia all'oratoria è il posto notevole assegnato al più tipico procedimento dell'ornatus difficilis, la transumptio, che D. assumerà come propria del modus poeticus. Ed è notevole che l'esempio dantesco di ornata constructio (VE II VI 5) risponda ai modi della permutatio enunciati da B. (per similitudinem, per argumentum, per contrarium), e che in D. si ritrovi la preferenza per quel genere particolare di transumptio volto a dar vita all'immagine traendola dal mondo animato, che B. già sottolineava (" Transumptio quam a nobis recipimus et familiarior et suavior esse videtur ").
Bibl. - A. Gaudenzi, Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da Buoncompagno a Bene di Lucca, in " Bull. Istit. stor. italiano " XIV (1895) 150-162; C. Marchesi, Due grammatici latini del Medioevo, in " Bull. Soc. filol. romana " XII (1910) 23-37; F. Forti, La " transumptio " nei dettatori bolognesi e in D., in D. e Bologna nei tempi di D., Bologna 1967, 132-137; P. Rajna, Per il " cursus " medievale e per D., in " Studi Filol. ital. " III (1932) 50-59; G. Vecchi, Temi e momenti d'arte dettatoria nel " Candelabrum " di B. da Firenze, in " Atti e mem. Deputazione st. patria Prov. di Romagna ", Bologna 1959, 113 ss.; M. PAllAGLIA, Il verso e l'arte della canzone nel De vulg. Eloq., Firenze 1967, 83, 93, 97-100.