bene pubblico
Il bene pubblico nella teoria economica
Il bene pubblico è dotato di due caratteristiche: la non rivalità e la non escludibilità. La prima indica la circostanza in cui l’uso di un bene da parte di un agente non incide sulla facoltà di goderne completamente da parte di terzi. La seconda rappresenta invece l’impossibilità di estromettere terzi dal consumo di un determinato bene. È, dunque, un bene pubblico puro, per es., un faro costiero o la difesa nazionale. Qualora la portata del beneficio dispieghi il proprio effetto a tutto il pianeta, si parla di beni pubblici globali: ne rappresentano un esempio la scoperta di una cura, la stabilità finanziaria, o quella climatica. Agli antipodi dei beni pubblici si trovano i beni privati puri, rivali ed escludibili per loro natura: rivali perché il consumo da parte di un soggetto rende il bene indisponibile per un secondo potenziale consumatore; escludibili perché ne può essere limitato l’uso, per es., attraverso il meccanismo dei prezzi, o per legge.
La realtà offre un ben più ampio spettro di beni che si collocano in una posizione intermedia tra questi due estremi, a seconda dell’intensità e della proporzione con cui le due variabili di rivalità ed escludibilità sono presenti. Escludibilità e non rivalità caratterizzano i beni di club o i beni pubblici locali, come per es. nel caso di particolari servizi offerti da un Comune esclusivamente ai propri cittadini. Sono invece caratterizzati da non escludibilità e rivalità i beni comuni, come per es. un pascolo.
L’importanza che la letteratura attribuisce ai beni pubblici è data dal fatto che, in loro presenza, si osserva un fallimento del mercato (➔ mercato, fallimenti del). In particolare, il meccanismo dei prezzi non riesce a determinare i corretti incentivi, né per la costituzione di un livello efficiente di bene pubblico né per il suo finanziamento. La creazione di questi beni apporta un beneficio non solo al loro produttore, ma anche alla collettività che può usufruirne liberamente. Si parla, in questo caso, di esternalità (➔) al cui effetto è collegato, il rischio di sottrarre l’incentivo a produrre il bene in questione. Infatti, se ogni soggetto può disporre integralmente (non rivalità) e senza impedimenti (non escludibilità) di un bene pubblico, questi preferirà usufruire gratuitamente di beni prodotti da terzi, anziché spendere in proprio risorse per produrne (➔ free rider). D’altronde, se tutti i soggetti adottassero una simile strategia, nessuno provvederebbe individualmente alla produzione del bene, con una relativa perdita di benessere sociale. Strategie cooperative potrebbero indurre la collettività a coordinarsi per la produzione del bene pubblico. Infatti, gli agenti economici potrebbero condividere i costi e godere del residuo vantaggio. Tuttavia, anche in questo caso, la presenza di soggetti free rider induce gli individui ad abbandonare una strategia pubblica di cooperazione, per intraprenderne una privata di opportunismo, nel tentativo di poter godere del bene pubblico senza sopportarne i costi di produzione.
Secondo E.R. Lindahl (➔), il problema della produzione di un bene pubblico, in una quantità efficiente, può essere superato sulla base della rivelazione delle preferenze individuali (1919). In altre parole, ogni consumatore potrebbe comunicare la propria domanda di bene pubblico, come funzione di un prezzo presunto dovuto per la sua costituzione; se ne determinerebbe così la quantità efficiente da produrre, nel punto comune alle curve di domande dei singoli individui (il cosiddetto equilibrio di Lindahl). Una corretta rivelazione delle preferenze risulta, però, un’assunzione alquanto irrealistica dato che, come osservato, ogni agente preferirebbe scaricare il costo della produzione sulla collettività, determinando così un livello di produzione subottimale.
Nel 1954 Samuelson, sulla base delle assunzioni standard sulle funzioni di utilità della teoria neoclassica, ha determinato la condizione di ottimo paretiano (➔ Pareto, ottimo di), in presenza di beni pubblici. L’uguaglianza tra la somma dei saggi marginali di sostituzione degli agenti economici con il saggio marginale di trasformazione rappresenta la condizione il cui rispetto assicura l’offerta efficiente di beni pubblici. Il risultato che ne deduce è l’incapacità del mercato di determinare il livello efficiente di beni di consumo collettivo. Pertanto, strategie cooperative che inducano un livello efficiente di produzione del bene pubblico sono perseguibili solo se fatte rispettare da un soggetto terzo che persegua la massimizzazione del beneficio della società, ovvero da un operatore di natura pubblica.
In realtà, W. Vickrey (1961), E. Clarke (1971) e T. Groves (1973), in lavori indipendenti, hanno elaborato un’asta di secondo prezzo per una risoluzione privata delle problematiche connesse alla produzione e al finanziamento del bene pubblico. Scopo del meccanismo è indurre gli individui, coinvolti nella produzione di un bene pubblico, a dichiararecorrettamente il valore che attribuiscono a esso, risolvendo così i problemi connessi al comportamento strategico di alcune delle parti.
Tuttavia, è stato successivamente dimostrato da J. Green e J.J. Laffont (1977) che meccanismi di questo genere consentono la creazione di un surplus, la cui spartizione ripropone gli stessi comportamenti strategici che il meccanismo si proponeva di risolvere. Dato che questo surplus non può essere redistribuito, deve essere catalogato come un costo del funzionamento del meccanismo di asta. Nella realtà, dove siano evidenti problemi di congestione che possano rendere escludibile il bene oltre a una certa soglia, potrebbe risultare efficiente la coordinazione tra un ristretto numero di individui, producendo il bene pubblico a livello locale o addirittura a livello di circoli. In quel caso, tuttavia, ammettendo l’escludibilità, ci si troverà in presenza dei già citati beni pubblici locali e dei beni di club.