Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Scultore dei più attivi in ambito padano, Benedetto Antelami sa coniugare il linguaggio classico con quello naturalistico d’impronta francese, arrivando a risultati di grande modernità. È l’unico tra il XII e il XIII secolo che riesca a proporre non solo un linguaggio stilisticamente nuovo ma anche di profondo significato politico e religioso, come si coglie nella ricostruzione dei complessi, oggi smembrati, del pulpito e del Ciclo dei Mesi per la cattedrale di Parma, o nella struttura architettonica del battistero della stessa città. La portata dell’innovazione antelamica è tale che il suo linguaggio trova diffusione anche oltre i limiti dell’Emilia, arrivando persino in Veneto. In Romagna un artista anonimo di grande levatura, detto Maestro dei Mesi di Ferrara, formatosi sull’insegnamento dell’Antelami ne proseguirà i temi scultorei sviluppandone l’aspetto naturalistico.
Benedetto Antelami è la figura di trapasso tra l’arte romanica di Wiligelmo e Nicholaus e quella gotica che porterà ai cambiamenti radicali di Giotto, di Nicola e Giovanni Pisano, di Arnolfo di Cambio.
““Anno Milleno centeno septuageno octavo scultor pat(ra)vit m(en)se secu(n)do antelami dictus fuit hic benedictus ”” (Nell’anno 1178 nel mese secondo [aprile] lo scultore compì [l’opera] questo scultore fu Benedetto detto Antelami). Con questa iscrizione che corre lungo i bordi di una lastra con la Deposizione, conservata nel Duomo di Parma, l’artista tramanda nome e status professionale. A questa lastra va connessa quella raffigurante la Maiestas Domini del Giudizio Finale con l’Eterno entro una mandorla, i quattro simboli degli Evangelisti, i quattro Dottori della Chiesa e due angeli, dei quali uno è perduto (Parma, Galleria Nazionale). L’ipotesi che le due lastre facessero parte di un pulpito è la più plausibile. Esse ne formavano probabilmente la parte superiore, sorretta da quattro leoni ancora conservati nella cattedrale di Parma, uno di marmo antico e gli altri di marmo bianco e rosso di Verona.
La particolare iconografia della due lastre è stata messa in relazione al diffondersi dell’eresia catara, dilagata dalla Francia meridionale nell’Italia settentrionale. La Chiesa romana ha il problema di arginare un’eresia che nega la divinità di Cristo, considerato un semplice angelo sconfitto dal demonio. I catari rifiutano il culto della croce in quanto simbolo di quella sconfitta, e credono nella predestinazione alla salvezza dei pochi “puri”, vale a dire loro stessi, senza bisogno dell’intercessione di sacerdoti. Strumento della Chiesa in questa lotta è anche l’uso strategico delle immagini, attraverso un’iconografia rinnovata degli arredi sacri.
In quest’ottica va letto il carattere fortemente simbolico del bassorilievo parmense, che comprende oltre 20 figure. La croce, costituita dall’arbor vitae, allude alla Resurrezione, e dunque al carattere divino di Cristo. Il Sole e la Luna collocati alle estremità della scena sono i simboli della dimensione cosmologica della Crocifissione, a ricordo della redenzione umana attraverso il sacrificio di Dio fatto uomo; mentre le personificazioni della Chiesa e della Sinagoga, accompagnate dalle rispettive iscrizioni, conferiscono alla raffigurazione della Deposizione quell’importanza che solitamente spetta alla Crocifissione. La solennità della composizione è esaltata dall’ordinamento simmetrico dei personaggi, eccezion fatta per l’angolo inferiore destro in cui si trova un gruppo di soldati che, secondo un passo del Vangelo di Giovanni (19. 23, 24), sorteggiano la tunica di Cristo. Anche questa scena è un’interpolazione narrativa legata alla Crocifissione e conferma la lettura complessiva del bassorilievo: la tunica di Cristo, poiché ricavata da un unico pezzo di stoffa, priva di cuciture, non tagliata neanche dai soldati, raffigurava l’unità della Chiesa, che a quelle date veniva minacciata per il sorgere di movimenti ereticali.
All’attenzione con la quale si accosta al tema iconografico Benedetto Antelami unisce una perizia tecnica capace di finezze prodigiose prima d’allora estranee alla scultura monumentale. Una di queste è l’abilità con la quale esegue la cornice a viticcio (scavata e poi riempita con una pasta scura), con un effetto che ricorda la tecnica orafa del niello.
È il 1178. Una sintonia di mezzi espressivi e d’intenti lega in questi anni gli esiti di Antelami a quelli della Lotaringia (regione situata tra Francia e Germania) dove si creano gli smalti del pulpito di Klosterneuburg e dove vedono la luce le sculture del chiostro di Notre-Dame-en-Vaux a Châlons-sur-Marne; nell’arte inglese le miniature della Bibbia di Winchester nonché le vetrate della cattedrale di Canterbury hanno esiti simili. Tutte queste opere sono caratterizzate da una grande vitalità della narrazione e attenzione al dato naturale; sfuggono però i canali che portano Antelami ad aggiornarsi. Forse, più semplicemente, egli si inserisce in una circolazione di idee di origine provenzale che comprende, tra il 1180 e il 1190, tutta l’Italia settentrionale, dalla Lombardia all’Emilia.
La critica tende a collocare tra il 1178 e il 1196 la ristrutturazione del complesso di Borgo San Donnino (l’odierna Fidenza), anello indispensabile per comprendere l’evoluzione stilistica che porta l’artista alle invenzioni del Battistero di Parma. La scansione della facciata del duomo propone soluzioni, come ad esempio le nicchie, che troveranno un più organico sviluppo nella disposizione del battistero parmense. Lo stile delle sculture dei portali supera gli esiti in parte iconici della Deposizione per giungere a completa maturazione nelle opere finali di Antelami. I rilievi di Fidenza sono contraddistinti infatti da una nuova espressività e un maggior naturalismo, in sintonia con la scultura protogotica della Francia settentrionale e parallelamente alle nuove concezioni filosofiche del XII secolo circa il rapporto fra anima e corpo.
In un edificio costruito su modelli derivati da Wiligelmo, Lanfranco e Nicholaus, Antelami e la sua bottega apportano sostanziali mutamenti. Dalla tradizione del XII secolo viene l’idea delle tre porte in facciata, in rapporto con il fronte di Saint-Gilles-du-Gard (nei pressi di Arles, in Provenza), unificate dall’uso del tralcio vegetale d’ascendenza classica. Il portale centrale, più grande dei due laterali, è provvisto di ampio protiro sorretto da leoni. Ai lati del protiro centrale si aprono due nicchie in cui sono inserite due statue di profeti. L’uso della scultura a tutto tondo non ha precedenti ed è l’innovazione più moderna dell’artista. Nell’architrave del portale mediano sono raffigurate le Storie di Donnino, nella lunetta del portale nord è rappresentata la Madonna, in quella del portale sud l’Arcangelo che trafigge il drago. Il rifacimento da parte della bottega antelamica, avvenuto a pochi decenni dalla sistemazione che era stata apportata da Nicholaus, ne reimpiega alcune sculture, ancora una volta in risposta all’urgenza della lotta antiereticale che aveva contraddistinto le scelte precedenti nella città di Parma.
Nell’architrave del portale settentrionale del Battistero di Parma Antelami lascia un’altra testimonianza del suo operato: ““Bis Binis Demptis Annis De Mille Ducentis Incepit Dictus Opus Hoc Scultor Benedictus ”” (Quattro anni prima del 1200 iniziò quest’opera lo scultore chiamato Benedetto). La critica ha dibattuto a lungo se Opus Hoc sia da riferire alle sole sculture delle lunette o all’intera architettura. Oggi si è propensi a vedere in Benedetto Antelami l’autore dell’intero edificio. Antelami rievoca i modelli dei battisteri paleocristiani nelle nicchie che si alternano alle tre porte di accesso, mentre le gallerie architravate costituiscono una rilettura della porte cittadine di età romana. Le sculture dei portali corrispondono ancora una volta al programma anti-cataro sviluppato nel pulpito della cattedrale. Così come l’idea delle logge architravate, anche le sculture sono di ascendenza classica. Esse tendono a forme di bellezza ideale e alla costruzione di un racconto sublimato, lontano dalle passioni e tribolazioni terrene. Il linguaggio espressivo di Antelami si mostra dunque in grado di evocare lo stretto rapporto fra la Chiesa di Roma e l’antico Impero romano. Il messaggio è chiaro: è la Chiesa che detiene la lingua dell’antico e con essa la facoltà di incoronare il vero imperatore (A.C. Quintavalle).
A Parma Antelami realizza un’altra opera grandiosa progettata forse per la cattedrale: la serie dei Mesi, oggi collocata all’interno del Battistero, che doveva forse far parte di un grandioso portale. Probabilmente vi appartenevano anche il Salomone e la regina di Saba e il gruppo dell’Annunciazione: capolavori maturi della sua arte, che spezza per sempre la ieraticità dello stile romanico.
Georg Zimmermann (1897), dopo aver confrontato le sculture di Parma e quelle di Fidenza con modelli provenzali, di Chartres e della Borgogna, affermava: ““I nostri confronti ci hanno condotto in Provenza, ed è certo fuor di dubbio che Benedetto vi abbia soggiornato e studiato””. Dopo lo studio di Zimmermann la critica ha dato una ricostruzione della vita di Benedetto Antelami, includendovi alcuni viaggi in Francia. Era il tentativo di portare alla luce la biografia di uno degli artisti più importanti del Medioevo che, pur lasciando in due casi la sua firma, rimaneva e rimane tutt’ora, come per la grande maggioranza degli artisti medievali, nel buio. Più recentemente Willibald Sauerländer (1995) si è opposto a quella critica, che ha unificato sotto un’unica paternità i lavori di Parma, Fidenza, Vercelli e persino di Genova. Lo studioso ha dimostrato che la concordanza fra le varie opere non si spiega riconducendole a uno stesso individuo, ma in base all’appartenenza di più autori a un ambito artistico comune. Risulta dunque preferibile esaminare le diverse opere scultoree non come il prodotto di artisti distinti, bensì come parti di una tendenza che in Antelami aveva la sua guida (corpus antelamicum). Quest’ultima ipotesi ha certamente il pregio di considerare le opere di Antelami nel loro contesto regionale, con una propria tradizione, in cui le innovazioni provenienti dalla Francia penetrano solo in alcuni punti “come parole straniere in un dialetto stabile”, senza la necessità di ipotizzare lunghi viaggi di studio.
La portata dell’innovazione antelamica è tale che il suo linguaggio trova subito diffusione oltre i limiti dell’Emilia, toccando persino il Veneto nei rilievi dei Mesi per il portale della basilica di San Marco a Venezia (1240 circa). A Vercelli, nella chiesa di Sant’Andrea, le lunette con la Crocifissione di Sant’Andrea (portale centrale) e con il Cardinale Guala Bicchieri che offre a Dio il modello della chiesa (portale sinistro), in passato attribuite allo stesso Antelami, ne sono invece un riflesso da datare entro la fine degli anni Venti del Duecento. In Romagna, tra Forlì (San Mercuriale, Lunetta dei Magi) e Ferrara (Museo della Cattedrale, ciclo dei Mesi), è attiva tra terzo e quarto decennio del XIII secolo una personalità anonima di grande levatura che, cresciuta sull’insegnamento di Antelami, ne sviluppa l’aspetto naturalistico: dai tralci alle foglie, all’uva o ai vimini della cesta del Settembre, parte di un ciclo dal quale l’anonimo artista prende il nome di Maestro dei Mesi di Ferrara (XIII sec.).