BONSIGNORI, Benedetto
Nacque a Firenze, da Giovanni, presumibilmente nel 1516. I suoi studi furono di greco e latino, lingue nelle quali acquistò una considerevole perizia come risulta dalla sua più tarda opera di lettore e interprete della Bibbia; in seguito sembra essersi dedicato anche allo studio dell'ebraico. Comunque i suoi interessi giovanili s'indirizzarono verso testi letterari e poetici sia classici sia volgari: ne rimane traccia consistente nelle sue omelie, dove accanto agli autori della patristica si incontrano frequenti citazioni da Virgilio e Ovidio, Dante e Petrarca. Entrato nella badia fiorentina della Congregazione cassinense dell'Ordine benedettino, fece professione solenne il 25 marzo 1534. Nominato maestro dei novizi a ventinove anni, fu poi inviato a Padova, al monastero di S. Giustina, del quale fu priore. Dopo solo due anni fu fatto abate del monastero di Arezzo dove, secondo il Puccinelli, si segnalò per opere di restauro da lui fatte eseguire. La rapidità della sua ascesa a gradi d'alta responsabilità all'interno della Congregazione dovette essere già allora considerevole, se il suo amico e biografo Raffaele Castrucci sentì il bisogno di sottolineare nel B. il persistere di doti di umiltà, modestia e umanità nonostante l'eccezionalità di una tale carriera. Ma il vero centro della sua attività fu la Sicilia, dove fu inviato intorno al 1558 come abate del monastero di S. Martino.
Nei sette anni da lui trascorsi nell'isola si formò la massima parte delle omelie raccolte ed edite dal Castrucci subito dopo la sua morte. In un primo tempo si trattò di brevi appunti (restano quelli degli anni 1562-63, pp. 587 ss. dell'edizione Castrucci) sulla base dei quali veniva tenuta la predica festiva davanti ai confratelli raccolti in capitolo; in seguito il B. cominciò a redigere per esteso il testo della predica stessa, curandone maggiormente la forma. I testi venivano poi inviati ai confratelli di altri monasteri per un parere e come esercizio di ministero pastorale. Alcune delle lettere che accompagnavano i testi sono state pubblicate assieme ad essi; i destinatari (i monaci Gregorio e Giustino, siciliani, Filippo della Cava, Onorato da Genova), i quali ricevono le prediche in dono all'inizio dell'anno, vi vengono informati delle circostanze in cui le prediche stesse sono state tenute e dello scopo che l'autore si è prefisso: non procurarsi una facile popolarità ma cercare la salvezza delle anime. I "lenocinii" retorici che il B. dichiara totalmente alieni dal suo modo di predicare non sono però assenti da questi scritti, dove affiorano spesso le tracce di una cultura letteraria non superficiale, dall'evidente matrice fiorentina. Comunque, nel commento dei testi biblici scelti di volta in volta, viene in luce soprattutto la padronanza delle lingue - latino, greco ed ebraico - la cui importanza per la comprensione delle Scritture è ripetutamente sottolineata dal B.; gli studi sacri richiedono, a suo avviso, ben più di quelli letterari e poetici, una dedizione totale: l'impiego di tutte le energie fisiche e spirituali dell'uomo, e un impegno continuo nell'approfondimento di quelle conoscenze linguistiche senza le quali non è possibile afferrare le sfumature di significato così importanti nei testi biblici.Una delle più ampie tra queste omelie (pp. 600-612 dell'edizione Castrucci) fu tenuta dal B. nel 1565, quando dovette lasciare il monastero di S. Martino per recarsi al capitolo generale a San Benedetto Polirone; qui fu nominato abate di S. Lorenzo di Aversa, col compito di restaurare l'osservanza della regola in quel monastero che, a parere del capitolo, aveva bisogno di essere riformato. Si trattò di una missione di breve durata perché già nel 1566 il B. prese congedo dai confratelli di S. Lorenzo (con un'omelia riportata nell'edizione Castrucci. pp. 613-625), per tornare questa volta alla sua patria fiorentina, come abate della badia. Qui la sua dottrina e la sua esperienza di governo trovarono immediato impiego in una serie di incarichi. Alla badia si lavorava, come in altri monasteri benedettini, alla revisione di codici in vista della nuova edizione della Vulgata e non c'è dubbio che in questo genere di lavoro le capacità personali del B. dovettero avere un certo peso. Ma il problema al quale furono dedicati i suoi ultimi mesi di vita fu quello della riforma dei monasteri cisterciensi della Toscana: si trattava di una questione che stava molto a cuore al papa Pio V, che aveva già inviato un visitatore apostolico a quei monasteri nel 1566. Il B., ricevuto l'incarico di visitatore, ottenne da Cosimo I di essere coadiuvato da tre gentiluomini fiorentini, Vincenzo Borghini, Giulio Del Caccia e Giuliano Capponi; non si conoscono documenti sullo svolgimento di questa missione. Si sa però che, verso la fine del 1567, il B., mentre si trovava a Napoli per adempiere ai suoi compiti di visitatore, si ammalò seriamente. Ristabilitosi e tornato a Firenze, ebbe una nuova e più grave ricaduta e morì il 17 genn. del 1568.
Le omelie del B. sono state pubblicate presso il Marescoto, a cura di R. Castrucci: Benedicti Bonsignorii Abbatis Homiliarum libri duo omnibus sacrarum literarum amatoribus utilissimi..., Florentiae 1568.
Bibl.: P. Puccinelli, Istoria dell'eroiche attioni di Ugo il Grande... Con la Cronica dell'Abbadia di Fiorenza..., Milano 1664, pp. 87 s.; M. Armellini, Bibliotheca Benedictino Casinensis..., Assisi 1731, pp. 89-91; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1693 s.; E. Lucchesi, IBenedettini, in Il contributo degli ordini religiosi al Concilio di Trento, a cura di P. Cherubelli, Firenze 1946, p. 350; R. Guarnieri, Ric. d'una visita apostolica del 1566 a cisterciensi di Toscana, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, V (1951), pp. 99-106; Dict. de la Bible, I, col.1847; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., IX, coll.1108-1109.