BUONVISI, Benedetto
Nato a Lucca da Lorenzo prima della metà del secolo XV, fu il capostipite ("Benedetto Buonvisi il Vecchio") del ramo principale della famiglia. Sotto la sua guida, e sotto la guida dei suoi fratelli Antonio, Ludovico e Paolo, quest'ultimo con i figli Niccolò, Girolamo e Lorenzo, le attività mercantili e bancarie dei Buonvisi conobbero un'espansione su scala europea destinata a consolidarsi definitivamente nella prima metà del Cinquecento con Antonio, Martino, Ludovico e Vincenzo di Benedetto.
La solidarietà dei figli di Lorenzo Buonvisi, che continuarono a vivere in una stessa casa del quartiere di S. Frediano fino all'inizio del Cinquecento, fu tale che il disegno biografico del B. è inseparabile da quello dei suoi fratelli che, tutti, contribuirono al rafforzamento di una famiglia relativamente poco numerosa e di modeste tradizioni rispetto alle altre maggiori dell'oligarchia mercantile lucchese.
Ancor vivente il padre, il primo dei figli di Lorenzo a conseguire l'anzianato era stato Antonio nel 1452. Nel 1454, nuovamente in carica, fu costretto a fuggire da Lucca per aver ferito il medico Michele da Coreglia. L'intemperanza non ebbe tuttavia gravi conseguenze perché poco più tardi, nel 1459, Antonio tornò a ottenere l'anzianato, che conseguì ancora nel 1463 e nel 1465, quando fu esonerato perché ambasciatore della Repubblica. Antonio appare ben presto estraniato dalla vita pubblica lucchese, ma la sua carriera non doveva per questo renderlo meno utile alla città e alla famiglia. Fu forse dapprima al servizio del cardinale di Siena, il nipote di Pio II Francesco Todeschini Piccolomini, futuro Pio III, che il 23 ag. 1460 comunicava agli Anziani di Lucca l'elezione di Antonio Buonvisi, da lui raccomandato, a podestà di Fermo. Due anni dopo, probabilmente ancora per interessamento del cardinale, legato pontificio nelle Marche, fu podestà di Ancona e nel 1464 podestà di Siena. L'ambasceria del 1465 gli venne affidata, a quanto risulta, proprio per sollecitare da Ferrante I d'Aragona un atteggiamento più favorevole verso Siena. Con Ferrante I doveva poi restare, ed era ormai da qualche tempo al servizio del sovrano quand'egli lo raccomandò caldamente alla Signoria lucchese il 17 sett. 1474, in occasione del ritorno in città dopo una lunga assenza. Antonio era stato appena eletto ad una nuova magistratura e Ferrante nel tesserne l'elogio, si preoccupava di un suo sollecito rientro a Napoli. Un'altra commendatizia del sovrano, del 24 marzo 1476, accompagnò un ulteriore viaggio del B. a Lucca; gli Anziani risposero con una lettera del 26 aprile, e il 10 novembre dello stesso anno Ferrante comunicava loro che Antonio, rientrato dalla sua città con lettere della Signoria per il sovrano, era stato eletto governatore della Calabria. Sette anni più tardi il Buonvisi, creato cavaliere da Ferrante, era a Napoli e il 18 sett. 1483 gli Anziani gli chiesero di appoggiare la missione dell'oratore Filippo Guidiccioni inviato nel Regno per ottenere grano in un momento di grave carestia. Alla sua sollecita risposta gli Anziani replicarono il 5 novembre; del 14 è una lettera del Buonvisi da Napoli che ci è conservata in copia. Nel maggio dello stesso 1483 Antonio Buonvisi sarebbe stato "Viceré de Abruzo", ma la notizia proviene da una lettera indirizzata agli Anziani di Lucca sotto nome dell'oratore napoletano a Firenze, che smentì poi di averla scritta. Nessuna attestazione posteriore al 1484 possediamo sul Buonvisi, ma gli elementi di cui si dispone se non consentono di delineare un profilo del "funzionario" al servizio dell'Aragonese di Napoli, sono tuttavia sufficienti per indicare il contributo che egli poté dare all'affermarsi della sua casata in Lucca. Già nella lettera del 17 sett. 1474 Ferrante non si limitava a raccomandare Antonio, ma anche la "familiam omnem Bonvisiam"; nella lettera del 10 nov. 1476 il sovrano si diceva persuaso che agli Anziani fosse "carissima" "omnis ipsa familia, suis maximis meritis". Lo stesso Antonio, che gli Anziani elogiavano il 5 nov. 1483 come "amorevole della Patria", rispose loro, a proposito della tratta dei grani, per informarli di aver scritto una lettera al fratello Benedetto, "al quale commetto et ordino la mostri, tanto a Vostre Signorie, quanto etiam a quelli deputati sopra l'Abundantia".
La possibilità di far leva, ai fini politici interni, su un personaggio introdotto presso il sovrano aragonese, la cui amicizia era indispensabile alla Repubblica di Lucca nel suo sforzo di mantenersi neutrale nei conflitti fra le potenze italiane, non era il solo vantaggio che i Buonvisi traevano dalla presenza di Antonio alla corte napoletana; ne potevano esser facilitati gli stessi loro commerci, in primo luogo quelli del grano e della seta, quest'ultima proveniente dalla Calabria, dove Antonio era stato governatore.
Il B. fu anziano la prima volta nel novembre-dicembre del 1475. Tre anni dopo fu rieletto alla carica, ma era assente da Lucca. Fu invece in ufficio nel 1481, 1483, 1485 (come surrogato), 1486, 1487, 1489, 1492, 1496, 1503, 1507, 1511 e 1515; fu gonfaloniere nel 1490, 1494, 1498, 1501 (come surrogato), 1505, 1509 e 1513. Se con quelli del B. si considerano gli anzianati e i gonfalonierati di suo fratello Paolo (rispettivamente 1468, 1472, 1474, 1477, 1480, 1481, 1488, 1492, 1493, 1497, 1499, 1502, 1504, 1508 e 1512, "che era morto", e 1484, 1489, 1495, come surrogato, 1500, 1506 e 1510), i due Buonvisi risultano esser stati eletti alle massime magistrature lucchesi 42 volte in 48 anni, una cifra che esprime da sola la forza della famiglia in seno all'oligarchia mercantile che reggeva la città, e che spiega come l'ipotesi del conseguimento della Signoria da parte dei Buonvisi, dopo la rivolta degli Straccioni del 1531, potesse apparir confortata, oltre che dai meriti acquisiti in quel pericoloso frangente, da una già lunga tradizione di governo. Tanto più che agli anzianati e ai gonfalonierati del B. e di Paolo vanno anche aggiunte le quasi ininterrotte presenze nel Consiglio generale della Repubblica e nel Collegio dei mercanti, le missioni all'estero (il B. fu a Pisa nel 1483 e a Firenze nel 1496), gli incarichi amministrativi ed onorifici (Paolo fu statutario per la riforma delle gabelle nel 1487, rettore dello Spedale lucchese di San Luca della Misericordia e dello Spedale di Lunata nel contado lucchese; il B. nel 1485 amministrava per conto della Repubblica l'eredità di Susanna Guinigi e nel 1501 fu membro della commissione eletta per la "extirpatio marche sive represalarium" ottenute da un nobile francese contro i Lucchesi), le tutele, gli arbitrati frequentissimi (specie del B.) fra privati e fra enti pubblici, talora anche non lucchesi. Sia Paolo che il B. fin dall'ultimo decennio del Quattrocento appaiono indicati non solo come "nobiles viri", ma anche come "domini", un titolo attribuito soltanto di rado ai laici che non fossero o cavalieri o dottori. E retrospettivamente divenne "dominus" anche il loro padre Lorenzo.
Qualche episodio fra i tanti vale a sottolineare il ruolo preminente del B. nella vita politica lucchese. Nel 1473 il cardinale Filippo Calandrini, nipote di papa Niccolò V, soggiornò a Lucca nella casa del B.; questi fu poi tutore di Filippo di Giovanmatteo Calandrini, cui diede in sposa nel 1496, con 700 fiorini di dote, la figlia Caterina. Nel 1489, in occasione di una malattia del B., gli Anziani intervennero presso il marchese Bonifacio del Monferrato per ottenere l'invio a Lucca del suo medico.
Nel 1489 quando si sospettò che Lorenzo de' Medici non fosse stato estraneo a una congiura ordita contro Lucca, il Magnifico (che sappiamo in corrispondenza col B. fin dal 1484) prima ancora di aver ricevuto una qualsiasi comunicazione ufficiale da parte del governo lucchese, si affrettò a scrivere, il 31 maggio, al B. e poi a Benedetto Buonvisi e Giovanni Guidiccioni insieme, nella cui autorità evidentemente confidava, per elevare una vibrata protesta contro le voci che erano corse a Lucca sulle sue presunte responsabilità. Il 4 giugno i due Lucchesi (mentre gli Anziani in data 5 giugno 1489 si limitavano a comunicare l'esecuzione capitale dei sudditi implicati nella congiura e a scusarsi piuttosto vagamente con il Medici) rispondevano a Lorenzo che nessuno aveva mai pensato di far ricadere sulle sue spalle qualche responsabilità, e che le maldicenze erano provocate da chi desiderava metter "ruggine" là dove c'erano soltanto "benivolentia et amore". A una immediata replica di Lorenzo in data 6, il B. rispondeva da solo il giorno 8, preannunciando fra l'altro un suo possibile viaggio a Firenze, e replicava insieme con il Guidiccioni il giorno 9: si ammetteva che qualche Lucchese avesse fatto il nome del Magnifico a proposito della congiura, ma si confermava l'assoluta estraneità del "palazzo". Nella rispostadel 12, Lorenzo ribadiva al B. e al Guidiccioni il proprio punto di vista, quasi invitandoli a vigilare, come suoi amici, sui rischi d'un atteggiamento antifiorentino che non avrebbe potuto esser tollerato. I buoni rapporti fra il B. e i Medici sono confermati da altre due lettere del Magnifico del 1491 e del 1492, e dalle condoglianze per la morte del padre che il B. inviò a Piero di Lorenzo il 13 apr. 1492: del Magnifico si parla come d'un "maestro et padrone" cui il B. aveva sempre fatto ricorso; la perdita era stata al B. altrettanto dolorosa di quella di suo padre; Piero doveva ora essere confortato alla pazienza perché "a questi tempi si conoschano li boni marinari".
Ancora nel 1514-15, chiedendo ripetutamente l'intervento di Lorenzo di Piero di Lorenzo per ottenere raccomandazioni presso gli Otto fiorentini e i consoli del Mare a Pisa, il B. ricorderà la sua "servitù... chon vostra Excellentia et chon tutta la chasa". Il B. fu legato ai Medici anche per questioni d'affari: quando nel 1494 Pisa si ribellò a Firenze l'associato dei Medici nella città, Giovanni Cambi (che già tre anni prima si era visto requisire dai Genovesi un carico di ferro che il B. faceva trasportare per suo conto), si affrettò a mettere al sicuro presso il mercante lucchese "monete et forsieri" di cui più tardi i "Sindaci et officiali" fiorentini "sopra i beni dei Medici" chiesero la restituzione al Buonvisi.
La ribellione di Pisa, che Lucca seguì con simpatia pur nel suo atteggiamento ufficiale di neutralità, aprì al B. la via per nuovi traffici e servizi bancari soprattutto da e per Venezia, Genova, Roma, Palermo, ovunque fossero esuli pisani; denaro e corrispondenza erano spesso inviati tramite i corrieri del mercante lucchese, troppo legato anche ai Fiorentini per temere intercettazioni. Presso il B. era stata fra l'altro depositata nel 1496 un'ingente quantità di gioielli (per un valore superiore ai 2.000 ducati) a parziale garanzia del prestito che il milanese Francesco Maggiolini, originario di Pisa, aveva concesso alla città, tramite il B. e altri banchieri lucchesi, per ottenere dal d'Entragues la liberazione della cittadella.
Per il B., come già per suo padre Lorenzo, è impossibile dire dove finissero le attività politiche e dove cominciassero quelle mercantili e private. Nel 1481 gli Anziani si rivolsero a Ferrante I d'Aragona perché consentisse al B. di rientrare in possesso di un carico di lane speditegli dall'Inghilterra e sbarcate in Sicilia anziché a Porto Pisano. Due anni dopo nuove lamentele, questa volta a Genova, perché un vetturale fiorentino che trasportava lana per conto del B. era stato derubato da soldati di Agostino Campofregoso. Nel 1489 la Signoria lucchese invitava Innocenzo VIII a far pressioni sull'arcivescovo di Cosenza, Carlo Del Carretto, debitore di 172 ducati d'oro nei confronti del B. per 12 "crateris argenteis sibi venditis". Quando gli Anziani, il 12 genn. 1487, protestarono presso il doge genovese Paolo Campofregoso perché erano stati rivenduti a Genova 140 barili di acciughe salate e una balla di stoffe rubati da una nave che da Napoli le trasportava verso Lucca al B., si sottolineò che il derubato non era un personaggio qualsiasi, ma un mercante che aveva "multas negotiationes in diversis civitatibus et locis". L'ampiezza, già allora eccezionale, delle relazioni commerciali e bancarie, faceva del B. e della sua famiglia uno dei perni su cui ruotava l'economia lucchese (come era stato in altri tempi dei Rapondi e dei Guinigi) e importava un doveroso riconoscimento sul piano politico; e a sua volta l'autorità politica apriva la strada a nuovi traffici e a nuove imprese.
Il 23 genn. 1488 gli Anziani scrivevano ad esempio ai consoli di Portovenere che il B. aveva "conducto la maona della vena di questa nostra città" dal signore di Piombino, "la quale a nostra intentione l'à divisa da quella di Pietrasanta". Questa privativa del commercio del ferro dell'isola d'Elba (non a caso troveremo nel 1504 il B. fra gli arbitri incaricati di risolvere contrasti per le ferriere della Garfagnana fra sudditi lucchesi ed estensi, una controversia su cui avrebbe dovuto tornare l'Ariosto ai tempi del suo governatorato) era destinata a incontrare gravi difficoltà per il timore che il B. approfittasse della sua posizione per rifornire di ferro Firenze. L'una dopo l'altra si succedono le lettere degli Anziani per ottenere salvacondotti o per protestare contro le intercettazioni dei carichi da parte dei Genovesi. Il B., rispose da Milano Ludovico Sforza nel 1489, se desidera far viaggiare sicuramente il suo ferro, vada a Genova a garantire di non inoltrarlo a Firenze. Non conosciamo nei particolari il successivo svolgersi della vicenda, ma sappiamo che il B. non si limitò alle trattative; nel novembre 1491 toccava infatti ai Genovesi lamentarsi per la confisca di merci di un loro concittadino in transito per Viareggio: il B. era riuscito a ottenere le rappresaglie dal suo governo, forse il più restio a concederle in tutta Europa.
Scomparsa ogni documentazione aziendale dei Buonvisi fino a Cinquecento inoltrato, non v'è speranza di poter ricostruire compiutamente le loro attività. Molto si può trarre tuttavia dagli atti notarili, e basterà nel nostro caso qualche esempio tratto da alcuni dei circa 70 registri del lucchese ser Benedetto Franciotti che fu notaio del Collegio dei mercanti alla fine del Quattrocento e agli inizi del Cinquecento, e in quanto tale ebbe fra i suoi clienti quasi tutti i maggiori mercanti della città.
La società mercantile lucchese cui appartenevano Benedetto e Paolo Buonvisi non si intitolava ancora al loro nome nel 1488, ma era forse la maggiore della città, come può dedursi dal fatto che il suo nome apriva l'elenco (contenuto in una "scripta stata già tempo appicata nella corte de' mercadanti" iniziata nel 1488 e aggiornata fino al 1502) delle 96 ditte di "mercadanti approvati e dichiarati per leali et sufficienti ad exercitare l'arte et mestieri della seta" (Arch. di Stato di Lucca, Corte dei mercanti, n. 18, c. 43).
Nel 1488 la compagnia si era denunciata come "Redi di Martino Cenami e compagni all'arte della seta, cambi et ogni altra mercantia", cioè "Paulo Buonvizi, Benedecto Buonvizi, Nicolao Micheli, Girolamo Cenami". Se fra gli eredi di Martino di Piero Cenami sia stato lo stesso B. non sappiamo, ma certo la sua successione a capo della ditta era legittimata anche dal matrimonio con Filippa di Martino avvenuto il 14 genn. 1478con una dote di 900 fiorini lucchesi (pari a 714ducati d'oro), poco dopo la morte della prima moglie Caterina di Michele Diodati, sposata nel 1475. Ben presto infatti, scomparsa la dizione "Redi di Martino Cenami", la società lucchese prese a chiamrsi, dai "principales nominati", "Benedecto Buonvisi e Nicolao Micheli e compagni di Lucca", o "Benedecto Buonvisi e compagni di Lucca" o "Benedictus Buonvisi et sotii artis sirici". L'alternanza delle dizioni prosegue negli anni successivi: resta perciò incerto se la formula "Benedetto Buonvisi e C." fosse semplice abbreviazione della dizione più lunga, ovvero se già coesistessero all'inizio del Cinquecento due compagnie, una per la seta e l'altra per le attività bancarie. La posizione del B. era in ogni caso preminente e il 13 febbr. 1495 Niccolò Micheli, scrivendo in sua assenza (era andato a Genova "per la venuta della nave inghilese") agli ufficiali fiorentini deputati sui beni dei Medici (delle cui "ragioni" di Firenze, Pisa, Lione e Napoli eran creditrici le compagnie Buonvisi di Lucca, Bruges e Londra) si scusava di non poter dare risposte esaurienti fino al ritorno del "maggior nostro" (Arch. di Stato di Firenze, Med. av. Princ., f. I, n. 286).
Le attività esercitate dal B. a Lucca e per Lucca non sono fra le più documentate: possiamo citare l'acquisto di un ingente quantitativo di allume che venne caricato a Porto Baratto, presso Piombino, sopra una nave noleggiata dalla compagnia di Lucca; un contratto per la filatura e la torcitura di seta stipulato fra Girolamo di Rodolfo Cenami, come rappresentante della società Buonvisi di Lucca, e un artigiano; già abbiamo accennato all'importazione di lana dall'Inghilterra e di ferro dall'isola d'Elba; un acquisto di seta grezza per 1.000 ducati venne effettuato nel 1503 dal mercante lucchese residente a Venezia Bastiano di Poggio; seta per 196 ducati venne venduta dal B. a un mercante pisano operante a Lucca il 23 apr. 1509; ben 4.000 staia di grano inviate da Marsiglia a Viareggio al B. dal fiorentino Cosimo Bottegoni erano state intercettate e scaricate a Nizza nel 1503; merci non specificate del B. e di altri Lucchesi erano state fatte sequestrare a Cadice nel 1484 dal genovese Pasquale Lomellini.
Non è soltanto la particolare natura dei documenti notarili, cui non si faceva ricorso per le operazioni quotidiane, a far rivolgere prevalentemente l'attenzione al di fuori di Lucca: in effetti le attività mercantili e bancarie dirette dal B. solo in piccola parte interessano la città. Gli scambi avvengono ormai direttamente fra i vari centri in cui i mercanti sono presenti, e i traffici sono internazionali non tanto perché pongono in contatto Lucca con i paesi esteri, quanto perché collegano i paesi esteri fra di loro.
Nell'inesattezza di un'affermazione del Lapeyre (riferita a una situazione cinquecentesca che i nostri documenti provano esser già stata quella del secolo precedente), secondo la quale i Buonvisi erano una famiglia "originaria" di Lucca, "où ils ont conservé une maison", ma che nel Cinquecento avrebbe fissato a Lione il suo centro di attività (Les Ruiz, p. 144), abbiamo in fondo una prova che il sistema delle aziende Buonvisi, soprattutto se visto da un punto di osservazione straniero, come la penisola iberica nel caso del Lapeyre, può apparire sganciato dalla madrepatria e quasi un istituto capace di autonomia anche senza profonde radici in un determinato ambito territoriale; fino al caso limite del Vazquez de Prada che registra lo stabilimento di una succursale dei B. a Lucca nel 1598. In realtà il legame con la madrepatria è ben lungi dall'esaurirsi in un fatto sentimentale. A Lucca, difesi da una struttura di governo che possono modellare quasi a loro piacimento, i Buonvisi manterranno sempre, e in misura eminente, il controllo di quelle fonti di profitto (il lavoro artigianale, l'approvvigionamento della città, lo sfruttamento del contado, le cariche politiche, amministrative, ecclesiastiche, militari) che nella congiuntura sfavorevole e nell'appannarsi della vocazione mercantesca garantiranno comunque la fortuna della famiglia. Nella congiuntura favorevole quasi ogni audacia è possibile e la patria sembra essere veramente là dove il mercante si sposta: ma la centrale organizzativa, al sicuro dagli sguardi indiscreti, resta sempre nella città toscana e di qui si fanno le scelte di fondo, manovrando su una scacchiera in cui non ha alcuna importanza che Lucca figuri soltanto come una semplice pedina.Difficilmente le aziende straniere del B. nacquero dal nulla per sua diretta iniziativa, cioè come apertura di filiali o come creazione di aziende autonome là dove ancora i Buonvisi non ne possedessero. La situazione da cui probabilmente si presero le mosse fu quella della partecipazione, con i capitali e con il personale della famiglia (e certamente nei primi anni risiedette all'estero lo stesso B.), a preesistenti compagnie lucchesi dislocate in terre straniere. Come da un lato la presenza di un mercante in un data piazza non è argomento sufficiente per ipotizzare l'esistenza di una compagnia intitolata alla sua famiglia, perché egli poteva essere il fattore di una qualsiasi ditta, così d'altro canto per parlare della nascita di una compagnia non occorre attendere l'anno in cui per la prima volta compare il nome della famiglia nella ragione sociale. Tipico in questo senso è per i Buonvisi il caso di Bruges. Fin che visse il B. sembra che non sia esistita in Fiandra una compagnia intitolata al Buonvisi, ma ciò non significa che essi non fossero presenti con una loro propria ditta a Bruges (dove erano ad esempio diretti dei drappi di seta di Paolo Balbani, del B. e di Francesco Cenami sequestrati a Strasburgo nel 1493 come merce di Fiorentini). La "Biagio Balbani e Compagni di Bruggia" fu infatti stabilita a partire dal 1484, fra Benedetto, Paolo e Ludovico di Lorenzo Buonvisi "ex una" e Biagio di Francesco Balbani "ex altera", ed era stata per tre volte rinnovata fino al 1503.
Analoghi furono probabilmente i casi di Lione e di Londra: si comincia con la partecipazione ad una ditta preesistente senza essere "principaliter nominati" e poi gradatamente si giunge a dare il proprio nome alla compagnia, magari non rinunciando in seguito, in occasione di un ulteriore rafforzamento, a dividere con altri il privilegio di dare il nome alla società.
In Inghilterra già nel 1474 esisteva la "Benedetto Buonvisi e Compagni di Londra", di cui il B. era "magister et gubernator et principalis nominatus"; il B. risiedeva a Lucca e di qui, "in domo sua et germanorum suorum in secunda ruga Burgi parrochie Sancti Fridiani", creava procuratori per Napoli il senese Angelo Spannocchia e il fiorentino Lorenzo Strozzi, e per Palermo il lucchese Giovanni Corsini, tutti incaricati di riscuotere i crediti che vantava nel Regno la società londinese. Nel 1481, e poi certamente nel 1492, sembra che la ditta fosse intitolata "Benedetto Buonvisi e Nicolao Micheli e Compagni di Londra": ne era cioè divenuto condirettore quello stesso mercante che doveva raccogliere con i Buonvisi l'eredità della società lucchese di Martino Cenami. Con un contratto firmato in Southampton il 14 marzo 1481 la compagnia aveva dato a cambio al nobile Arrigo Ruffo di Calabria, capitano della nave messinese "Ruffa", oltre 700 ducati che nel 1495 non si era ancora riusciti a recuperare. Nel 1492 risiedevano a Londra i giovani fratelli Lorenzo e Niccolò di Paolo Buonvisi, le cui dirette attività con il Regno di Napoli passavano comunque attraverso il controllo della direzione lucchese: erano infatti Paolo e Benedetto Buonvisi, in quanto procuratori di Lorenzo e Niccolò, a incaricare tre mercanti fiorentini, Pietro Antonio Bandini, Bernardo Carnesecchi e Salvatore Billi, di seguire a Napoli le vicende di un credito nei confronti di un mercante inglese. Forse dei Guinigi erano stati eredi a Londra i Buonvisi se lavorava ora per la ditta del B. Michele di Giovanni Guinigi (poi clamorosamente fallito nel 1519) che risiedeva in Inghilterra; il B. comunque il 3 genn. 1496 gli destinava in sposa la figlia Elisabetta con una dote di 700 ducati in denaro e 300 in corredi. A un altro Guinigi, Francesco, il B. aveva dato in sposa un'altra figlia, Lucia, già vedova nel 1510.
Per le attività inglesi i Buonvisi fecero senz'altro leva sulla Curia romana, il che spiega lo stabilirsi in seguito di stretti rapporti con gli ambienti cattolici inglesi. In casa dell'ambasciatore inglese a Roma risiedeva un lucchese che, aspirando a benefici ecclesiastici nel Pisano, invitava a rispondergli "in casa dello ambassadore di Inchilterra" tramite il B.; il 2 ott. 1495 lo stesso ambasciatore organizzava con il B. un cambio per l'Inghilterra di 7.000 ducati; il 1º marzo 1498 la compagnia Buonvisi di Londra nominava il causidico lucchese Urbano Franciotti suo procuratore nella Curia romana; furono i Buonvisi a portare per primi in Italia (come già era accaduto in occasione della scomparsa di Carlo VIII) la notizia della morte di Enrico VII Tudor.
A Lione pare che i Buonvisi gestissero un banco nel 1479 con Ludovico di Lorenzo, un altro fratello del B., che visse quasi sempre lontano da Lucca (nel 1488 è attestato a Londra dove gli scriveva Lorenzo il Magnifico) e sul quale si possiedono scarsissime testimonianze; morì forse verso il 1491, ma nel 1507 la società lionese era di nuovo intitolata al nome di un Ludovico, il figlio del B.: una continuità tutt'altro che casuale perché, come rileviamo da un atto del 19 febbr. 1508, il rappresentante legale della società lionese era il B., per la semplice ragione che Ludovico era minore di 15 anni, e anzi ne aveva soltanto 13 nel 1507, quando per la prima volta è attestato come eponimo della compagnia di Lione. La preoccupazione del padre di imporre a capo delle società i suoi figli, ancorché giovanissimi, si accompagnava alla sottile mossa propagandistica di non creare soluzioni di continuità facendo succedere a un Ludovico un altro Ludovico. Anche nella ditta di Lione i Buonvisi erano associati ai Micheli e, accanto al figlio di Benedetto, il secondo "principalis nominatus" era un altro giovane, anche se non tanto quanto Ludovico, Bonaventura di Niccolò Micheli: vero "gubernator", oltre che socio, della compagnia lionese era però in questi anni il lucchese Urbano di Iacopo Parensi.
Sebbene si parli, in una lettera degli Anziani di Lucca a Paolo Campofregoso, che già abbiamo citato, di uno Iacopo Buiamonti fattore del B. a Napoli, non si ha alcuna notizia dell'esistenza di una autonoma compagnia napoletana dei Buonvisi. Essi ebbero invece una compagnia romana che un mandato di pagamento di Cesare Borgia del 1502 (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. I, f. CCCXXXVI, p. 157) e una lettera di cambio dell'11 genn. 1504 (Pisa, Arch. priv. Roncioni, f. I, n. 5) ci attestano intitolata ad "Antonio Buonvisi e Compagni di Corte".
Antonio di Benedetto Buonvisi, che aveva soltanto 14 anni nel 1502, risiedeva a Londra già nel 1505 e per la società romana era rappresentato dal padre che aveva affidato la guida della compagnia ("sotius et institor") nientemeno che a un fiorentino, Giovanni di Pierfilippo Pandolfini: i denari dei Pisani, affidati ai Buonvisi durante la guerra con Firenze, non potevano viaggiare in mani più sicure. Fu quasi certamente in persona del Pandolfini che Giulio II (che pure nel 1508 aveva minacciatodi scomunica Margherita di Borgogna rea di aver requisito "certi alumi di uno Bonvisi, ch'è di raxon dil Papa"), nella primavera del 1509, ammonì la compagnia a non finanziare gli Orsini: "Il Papa à chiamà a sé li do banchieri Agostino di Sandro [Chigi] et il Bonvixi, e minazatoli non dagi danari ai Orsini" (Sanuto, VII, col. 379).
La graduale intitolazione ai suoi giovanissimi figli delle diverse compagnie non lascia dubbi circa la precisa intenzione del B. di trasmettere ai diretti discendenti la posizione preminente che egli era venuto acquistando nel commercio e nella banca rispetto ai suoi fratelli, soprattutto Paolo, i cui figli Lorenzo e Niccolò erano pur stati impiegati attivamente nelle aziende Buonvisi ben prima dei loro più giovani cugini. Tuttavia il B. era troppo esperto e troppo abituato ad una rigida disciplina nella conduzione dei suoi traffici per non preordinare il passaggio di poteri fin nei minimi particolari.
Il suo asciutto e minuzioso testamento, che si legge in copia in una raccolta di contratti della famiglia (Lucca, Bibl. governativa, ms. 3381, cc. 279-282, 1510 ag. 16, stilato alla presenza di quattro domenicani del convento di S. Romano), colpisce in primo luogo per la modestia dei lasciti pii (meno di 200 ducati, a parte la dote della cappella Buonvisi in S. Frediano). Il B. non abbonda in lasciti neppure con i servitori e i dipendenti, e fa un'eccezione soltanto per Leonardo da Camaiore, "repetitor in domo ipsius testatoris", cui era ancora affidata l'educazione dell'ultimogenito Vincenzo, che avrebbe avuto 40 ducati. Più generoso il B. appare nei confronti della moglie, ma giunge anche a indicarle in quali stanze del suo palazzo avrebbe dovuto ritirarsi da vedova. Ad una figlia, Ianna, ancora in casa, il B. fissa la stessa dote prevista per le sorelle già sposate, ma dichiara esplicitamente che non ritiene a lei confacente il matrimonio, "non iudicat esse nubilem" probabilmente per l'età. La maggior parte del testamento è dedicata da un lato alla fondazione della cappella Buonvisi in S. Frediano, cui accenneremo più avanti, dall'altro al futuro delle aziende che il B. dirigeva: "Item iudicavit et reliquit quod post mortem ipsius testatoris omnes sue societates et omnes sui trafici et mercantie debeant perseverare et durare toto tempore quo citate et facte sunt et durare debeant pro ut constat per scripturas dictarum societatum et cuiusque ipsarum et sub modis et formis et pactis quibus et pro ut per scripturas ipsarum constat et apparet".
L'unica difficoltà era per la società inglese: "et quia de societate et trafico quam et quod ipse testator habet Londris et in partibus Anglie cum Nicolao de Bonvisis cius nepote non apparet aliqua scriptura"; essa avrebbe dovuto durare fino al dicembre 1511, come risultava dagli accordi epistolari con Niccolò, socio al 50%.
Alle rispettive scadenze delle singole società si doveva procedere al saldo; tuttavia esse dovevano esser poi subito riaperte sotto la direzione, per Bruges, Londra e Lione, di Niccolò Buonvisi, "institor et gubernator" generale; i figli del B. avrebbero dovuto seguire "tantum quantum et pro ut ordinatum fuerit per dictum Nicolaum". A Niccolò veniva poi raccomandato di conservare nella "cura et provincia" in cui era attualmente impiegato Urbano Parensi, amministratore dell'azienda di Lione, perché "integer et fidelis et bonus". Per quanto riguardava Lucca sarebbe toccato ai curatori (la moglie Filippa, il fratello Paolo, Niccolò suo figlio, Gerolamo di Rodolfo Cenami e Filippo Calandrini) il compito di rinnovare la compagnia dell'arte della seta per quattro anni dopo la scadenza; alla sua direzione avrebbe dovuto esser mantenuto Gerolamo di Rodolfo Cenami, che il B. pregava di assumere "dictam curam et provinciam dicte societatis et trafici".
"Cura et provincia" l'espressione, anche se probabilmente mutuata dai notai al formulario curiale, compendia l'idea stessa che del sistema delle sue aziende poteva avere il B.: l'autonomia d'una "cura et provincia", esattamente come nelle strutture ecclesiastiche, trovava il suo limite nell'autorità del "maggiore" e nelle regole che egli aveva dettato.
Alla morte del B., avvenuta intorno al 1516, dopo essersi spartiti "i denari e mobili lassatoli da loro padre", i quattro figli superstiti (il primogenito Bernardino, nato nel 1483, sopravvisse al padre forse soltanto un anno, perché quando venne estratto anziano per il bimestre marzo-aprile 1517, "era morto") provvidero a dividersi il patrimonio immobiliare.
Sulle vicende della sua formazione e sulla sua consistenza siamo perfettamente informati non solo attraverso il Terrilogio dei beni stabili del B., ma anche attraverso il Libro di contratti antichi della nobil famiglia de' Bonvisi che raccoglie le copie pergamenacee d'un gran numero di contratti di compra e di permuta dal 1436 al 1514:uno studio accurato del Libro consentirebbe di seguire da vicino le vicende degli investimenti fondiari del B., senza dubbio legate al minore o maggior successo degli affari mercantili e bancari: i massicci acquisti degli anni 1507-1509 sono ad esempio indicativi dei risultati conseguiti in quegli anni e in quelli immediatamente precedenti. Come sappiamo dal testamento, il B. aveva in casa un fattore "ad curam et gubernationem possessionum" con salario di 2 ducati al mese, oltre al vitto e all'alloggio.
Fu nel 1520 che i quattro fratelli Buonvisi si divisero l'ingente patrimonio immobiliare assegnando ad ogni "partita" (case, botteghe e terre) una stima probabilmente pari al valore reale dei beni: il totale era di 19.431 ducati d'oro, escludendo la "casa grande di Lucca con tutte le mobilie et argentarie e le dui stalle" e una "posissione" in Lucca, rimasta indivisa con gli eredi di Paolo Buonvisi, di cui peraltro "il fiume vi ha portato via li 7/8 e potrà essere un dì ce la renderà". La rendita annua dei beni che vennero divisi fra i quattro eredi del B. ascendeva complessivamente a 2.380 staia di grano, 1.143 libbre d'olio, 860 some di vino e 142 ducati.
Quasi a coronamento e simbolo d'una lunga carriera che aveva portato i Buonvisi al vertice della società e della economia lucchese, il B. volle edificata nella chiesa di S. Frediano una cappella in onore di S. Anna che dalla famiglia prese nome. L'occasione esterna venne dal testamento di Lodovico Buonvisi, con cui si fissava l'obbligo agli eredi di una messa quotidiana in S. Frediano a suffragio dell'anima del mercante. I lavori per la cappella erano già iniziati al tempo del testamento del B. ed erano vicini al termine quando il B. provvide alla dotazione e a dettare le norme per l'elezione del rettore, che sarebbe toccata ai Buonvisi (11 giugno 1511). Minutissime sono le disposizioni testamentarie per l'edificazione della "pulcra cappella". Fra l'altro il B. "dixit se dedisse et commisisse cuidam pictori qui vocatur Francia ad pingendum anconam": si tratta d'una nota pala d'altare di Francesco Francia che nel secolo XIX venne ceduta dagli eredi dei Buonvisi e si trova oggi alla National Gallery di Londra: oltre a una Pietà, nella lunetta, essa raffigura la Vergine col Bambino e s. Anna, attorniate da quattro santi fra cui S.Lorenzo, in onore del padre del B., S. Paolo, in onore del fratello - cui il B. concedeva sulla cappella gli stessi diritti suoi e dei discendenti -, e forse S.Benedetto. Poiché non risulta che il Francia abbia soggiornato a Lucca, si può avanzare l'ipotesi che l'opera gli sia stata commissionata a Bologna tramite Gerolamo di Paolo Buonvisi che vi risiedeva almeno dal 1508.
Fonti e Bibl.:Archivio di Stato di Lucca, Perg. Tarpea, 1474 sett. 17, 1476 nov. 10; Anziani al tempo della libertà, n. 532, reg. 34, c. 40; n. 533, reg. 35, cc. 83rv, 84, 86; n. 534, reg. 41, cc. 16v, 18v; n. 766, pp. 194 s.; Comune,Corte dei mercanti, n. 18, pp. 2v, 3, 43; n. 86, cc. 3v, 8, 12, 14v, 16; Notari,ser Benedetto Franciotti, nn. 728, 732, 740, 744, 748, 756-763; Archivio Buonvisi, I, n. 36, cc. 16-23, e passim;n. 43, pp. 16 ss.; n. 64, ins. 2 e 19; n. 72, cc. 201s-202d, 246 (Benedetto Buonvisi "il vecchio"); Arch. de' Nobili, n. 1, ins. 18 s., 25, 38 (arbitrati del B.); Lucca, Biblioteca governativa, ms. 1108: G. V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi (sec. XVIII), sub voce;ms. 3380: Terrilogio ove sono notati li beni stabili che possedeva B. B. etc. (sec. XVI);ms. 3381: Libro di contratti antichi della nobile famiglia de' Buonvisi (secc. XV-XVI); Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, f.I, nn. 285, 286; f. XI, n. 280; f. XV, n. 95; f.XIX, n. 354; f. XLII, nn. 91, 94; f. LX, n. 594; f.LXXII, n. 259; f. CXI, nn. 560, 572; f. CXXIII, n. 184; Carte Strozziane, s. I, f. CCCXXXVI, c.157; Arch. di Stato di Pisa, Comune C, nn.21-38, passim (lettere da e per il B.); Pisa, Arch. priv. Roncioni, f. I, nn. 5, 106, 132, 145, 147 (attività bancaria dei Buonvisi per conto di cittadini pisani negli anni 1490-1504); M. Sanuto, Diarii, Venezia 1879-84, I, col. 945; II, col.357; VII, col.379; VIII, coll.139 e 183; XI, col.814; Libro della Comunità dei mercanti lucchesi in Bruges, a cura di E. Lazzareschi, Milano 1947, p. XXXI n. 2; Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico per gli anni 1473-74,1477-92, a cura di M. Del Piazzo, Firenze 1956, pp. 321, 359, 373, 456, 470, 490; L. Ariosto, Lettore, a cura di A. Stella, Milano 1965, p. 457; N. Machiavelli, Legazioni e commissarie, a cura di S. Bertelli, III, Milano 1964, p. 1526; Inventario del R. Archivio di Stato in Lucca, II, Lucca 1876, p. 37; Regesti del R. Archivio di Stato in Lucca, IV, Carteggio degli Anziani (1430-1472), a cura di L. Fumi, Lucca 1907; V, Carteggio degli Anziani (1473-1492), a cura di E. Lazzareschi, Pescia 1943, passim;G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca, in Archivio stort.italiano, X (1847), p. 76; G. Sforza, La patria,la famiglia e la giovinezza di Niccolò V, in Atti della R. Accademia lucchese di sc., lett. ed arti, XXIII (1884), pp. 314, 336, 341, 352; Id., Documenti inediti per servire alla vita di Ludovico Ariosto, Modena 1926, p. 187; P. Ginori Conti, La Magona della vena del ferro di Pisa e di Pietrasanta sotto la gestione di Piero dei Medici e comp. (1489-1492), Firenze 1939, p. 102; E. Lazzareschi, Relazioni di Lorenzo de' Medici con la Signoria di Lucca, in Rinascita, XIX (1941), pp. 347-49, 359-60; G. Carocci, La politica estera di Lucca fra il 1480 e il 1530 studiata nelle relazioni dei suoi ambasciatori, in Notizie degli Archivi di Stato, IX (1949), pp. 74-81; M. Davies, The Earlier Italian Schools, London 1951, pp. 155 ss.; H. Lapeyre, Une famille de marchands: les Ruiz, Parig 1955, pp. 143-45; G. Arrighi, Sulla cappella Buonvisi in S. Frediano di Lucca, in Lucca,Rassegna del Comune, I (1957), n. 1, pp. 25-30; V. Vazquez de Prada, Lettres marchandes d'Anvers, I, Paris 1960, p. 199; E. Coomaert, Les Français et le commerce international à Anvers, Paris 1961, I, p. 330; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, pp. 30-31, 110; M. Trigari, Momenti e aspetti del savonarolismo lucchese, in Critica storica, VI (1967), p. 618 n.; C. Klapisch-Zuber, Les maîtres du marbre. Carrare 1300-1600, Paris 1969, p. 204.