CAETANI, Benedetto
Figlio di Pietro (II) e di Giovanna da Ceccano, era pronipote del papa Bonifacio VIII. La prima notizia di una sua partecipazione all'amministrazione delle proprietà familiari - e quindi all'ambiziosa politica territoriale di Bonifacio VIII - fa pensare che egli dovette nascere intorno al 1270 (e non, "prima del 1265" come sostiene lo storico della famiglia Gelasio Caetani). L'8 sett. 1298 è parte, a nome del padre, nel contratto di acquisto di alcune proprietà e diritti a Ninfa per il prezzo di 200.000 fiorini. Il suo primo matrimonio- con Francesca Orsini - aveva avuto luogo probabilmente verso il 1290. Francesca Orsini dovette morire giovane e il C. si risposò con Luigia, figlia di Adenolfo di Mattia della famiglia de Papa o Conti di Anagni, presumibilmente prima del 1303, dato che in quell'anno i de Papa erano già schierati con i nemici di Bonifacio VIII e presero parte all'attacco contro il pontefice. è da ritenere che anche Luigia morì giovane, poiché il C. si era di nuovo fidanzato nel 1306.
Il primo posto di responsabilità che il C. fu chiamato a ricoprire fu quello di rettore della provincia pontificia del ducato di Spoleto (Bonifacio VIII lo nominò il 18 giugno 1301). Tre mesi dopo egli nominava come suo vicario il vescovo eletto di Fiesole; il 2 genn. 1302, poi, lasciava il rettorato a Riccardo Annibaldi.
Nella primavera del 1303 gli fu affidato un compito più impegnativo nel quadro della politica familiare. Sette anni prima suo fratello Roffredo aveva sposato Margherita Aldobrandeschi, erede di un'ampia porzione delle vaste proprietà che gli Aldobrandeschi possedevano in Maremma. Quando nel 1298 quel matrimonio era stato sciolto, il papa aveva posto le terre sotto la custodia del cardinale Teodorico di Orvieto; ma Margherita, unite le sue forze a quelle del parente Guido da Santa Fiora, conservò il possesso delle terre e seppe resistere sia alla condanna del pontefice, sia agli attacchi degli Orsini e del Comune di Orvieto. Soltanto nel marzo del 1303, alla morte di Guido (che nel frattempo aveva sposato), Margherita cedette le terre; queste vennero allora date in enfiteusi al C. dal signore feudale delle stesse, l'abate del convento cisterciense di S. Anastasia ad Aquam Salviam presso Roma (12-13 marzo). Il C. entrò così in possesso di Ansedonia, Porto Ercole, Orbetello, ed altre località sulla costa tirrenica, oltre che di varie città dell'interno, tra cui Capalbio, Marsiliana e Montebuono. Nello stesso tempo il papa lo investiva dell'intero feudo confiscato alla contessa e lo creava conte palatino in Toscana; il C. gli prestò l'omaggio ligio e il giuramento di fedeltà.
Un mese dopo (il 10 aprile) Bonifacio VIII lo confermava nella sua nuova posizione di capo della famiglia nei possedimenti al nord di Roma, nominandolo rettore del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, carica che il C. tenne per tutto il pontificato di Bonifacio VIII (cioè fino all'ottobre del 1303), facendosi, peraltro, rappresentare da un vicario, Amato di Anagni. Il C. si recò nella sua nuova contea per ricevere la sottomissione dei sudditi e visitò Orvieto, ove concesse a vari cittadini il titolo di cavaliere (nel lavoro di G. Caetani la cronologia di questo periodo della vita del C. risulta confusa a causa dell'errata attribuzione al 1302 di documenti del 1303).
La signoria del C. nel contado aldobrandesco fu, però, di breve durata. Il 7 sett. 1303, quando Bonifacio VIII fu assalito in Anagni dai suoi nemici, il C. si trovava in quella città e riuscì a non cadere, come invece avvenne per la maggior parte dei Caetani, nelle mani degli avversari. Allontanatosi dalla residenza papale, riuscì a fuggire da Anagni. Insieme con lo zio cardinal Francesco raccolse alcuni armati e il 10 settembre poté rientrare nella città e liberare il pontefice. Nel frattempo, però, aveva perso la signoria nella Toscana meridionale: l'11 settembre, infatti, la notizia dell'"oltraggio" di Anagni era arrivata a Orvieto, e il Comune decise di invadere il contado aldobrandesco. L'assalto fu sospeso alla notizia della liberazione del papa, ma venne ripreso alla morte di questo (11 ottobre), e il C. perse la sua contea.
Dopo la morte di Bonifacio VIII il compito principale dei Caetani fu quello di conservare, per quanto era possibile, la signoria in Campagna. Il C. prese parte alle lotte contro Sezze e i signori di Trevi nel 1305. Nello stesso periodo fu tra i Caetani che il 22 marzo 1305 raggiunsero a Perugia con i Colonna un accordo in virtù del quale i Caetani rinunciavano ai loro diritti su Ninfa e in compenso conservavano i diritti su Pofi e Selvamolle: in questo accordo il C. agì come procuratore della famiglia e fu, poi, presente ad Anagni il 12 dicembre dello stesso anno alla ratifica di un altro trattato di pace relativo alla Campagna. L'anno successivo il C. si fidanzò con Giovanna, figlia di Francesco Orsini. Il fidanzamento dovette avere lo scopo di pacificare le due famiglie e nello stesso tempo permise ai Caetani di rafforzare le loro pretese sulle terre degli Aldobrandeschi, dato che Giovanna era pronipote di Orsello Orsini, secondo marito della contessa Margherita, ed era perciò imparentata con gli Orsini pretendenti al contado. Il matrimonio fu celebrato soltanto nel 1308. In questo periodo il C. era ad Alatri, ove nel febbraio 1308 fu uno degli statutari incaricati della revisione degli statuti comunali. Nell'ottobre partecipò alla conclusione di un trattato di pace con i signori di Ceccano e quelli di Supino, e nel novembre alla ricognizione della vendita definitiva di Caserta da parte dei Caetani.
In quel torno di anni i Caetani avevano rinsaldato i loro legami con la casa regnante angioina ed erano diventati una pedina importante all'interno del vasto sistema guelfo di alleanze. Quando nel novembre del 1308 giunse a Firenze la notizia della morte del padre del C., Pietro, la città, come capo delle forze guelfe in Toscana, offrì al C. e al fratello Roffredo un donativo di 400 fiorini. Già allora le forze guelfe si preparavano a collaborare tra loro contro Enrico VII; quando nel 1312 l'imperatore minacciò Firenze, il Comune chiese ai conti Caetani di radunare in fretta le loro truppe e nel 1314 chiese al C. di fornirgli 200 cavalieri. Con ogni probabilità in questi anni il C. tenne, con il fratello Roffredo, il rettorato di Campagna e Marittima a nome di Roberto d'Angiò. All'inizio del 1313, inoltre, egli guidò le truppe angioine alla vittoria di Ceprano su Riccardo Vetulus, figlio di Giovanni da Ceccano: la vittoria consentì ai guelfi di riconquistare la Campagna e Marittima, e di rovesciare il regime "democratico" di Roma. La lotta era stata preceduta da un trattato di pace - i cui negoziati si erano trascinati per lungo tempo - stipulato nell'aprile del 1312 tra il C. e suo fratello da un lato e i loro numerosi nemici dall'altro: l'accordo era opera di due cardinali, lo zio del C. Francesco Caetani e Napoleone Orsini, e prevedeva un mutuo perdono, la restituzione delle terre occupate nelle lotte precedenti e il ritorno degli esuli. Dal testo dell'accordo si può capire quanto fosse estesa la guerra in Campagna: vengono, infatti, indicati come alleati dei Caetani gli esuli di Ferentino e come loro nemici le città di Anagni, Alatri (che avevano sostenuto entrambe i Caetani nel 1310) e di Ferentino, molti esuli e molte famiglie feudali della regione, tra le quali erano naturalmente quelle la cui ostilità risaliva agli anni dell'espansionismo dei Caetani, come i Colonna, i signori di Supino, le famiglie Bussa e de Papa di Anagni e molte altre.
Nel frattempo si presentò al C. la possibilità di riconquistare la contea persa nel 1303. Il Comune di Orvieto aveva raggiunto un accordo con la contessa Margherita, ma quando questa e Gentile, il pretendente degli Orsini, riconquistarono il contado aldobrandesco, si rivolse di nuovo al Caetani. Nell'aprile del 1313 egli nominò un procuratore che si accordasse a suo nome con il Comune di Orvieto. Dietro pagamento di 12.000 fiorini (dei quali 2.000 - e non 15.000 come risulta nell'edizione del documento - dovevano essere versati al momento del suo ingresso in Orvieto) il C. sarebbe diventato cittadino di Orvieto. Le parti contraenti si impegnavano a collaborare per la riconquista del contado aldobrandesco, che poi il C. avrebbe tenuto a titolo di territorio soggetto del Comune. Allo stesso titolo avrebbe tenuto anche il castello di Giove, un feudo dei Caetani presso la riva sinistra del Tevere. Il C. fu nominato podestà di Orvieto nel 1314 e sembra abbia svolto di persona tale ufficio tranne all'inizio quando si fece rappresentare da due vicari orvietani. Ugolino Lupicini ed Ermanno Monaldeschi. I Monaldeschi erano i principali alleati del C. ad Orvieto; Ermanno, il futuro signore della città, sposò una figlia del C., Lucrezia, e il C. concesse a lui e ad un suo lontano cugino, Ugolino di Buonconte, Piancastagnaio nelle terre degli Aldobrandeschi. Nel 1315 il C. era di nuovo ad Orvieto ove conferì il cavaberato a un importante cittadino; ma non ci sono prove che egli abbia partecipato all'azione con cui il Comune riconquistò il contado aldobrandesco.
Nel 1317 il C., di nuovo vedovo, si risposò: sua quarta moglie fu Ilaria de Sus, vedova di Filippo di Gianvilla, conte di Sant'Angelo, anch'essa al quarto matrimonio. Nello stesso anno il C. divise con i fratelli Roffredo e Francesco alcune proprietà ereditate dal padre (altre continuarono ad essere tenute in comune dai tre fratelli). La porzione che fu attribuita in parti uguali al C. e al fratello Francesco comprendeva Giove nell'Umbria meridionale, la torre delle Milizie a Roma, varie località importanti in Campagna (Ninfa, Sermoneta, Bassiano, Norma, San Felice, Collemezzo, Montelongo e Sgurgola) e alcune proprietà a Viterbo e nei suoi pressi; a queste erano aggiunte alcune terre in Toscana, a Roma e in Campagna, che, però, dovevano essere recuperate.
In questi anni gli interessi del C. erano divisi tra le terre della famiglia in Campagna e nel Regno e la difesa della causa guelfa in Toscana. Un feudatario che poteva raccogliere e comandare considerevoli forze di cavalleria era sempre ben accolto dai Comuni guelfi. Dal luglio al dicembre 1319 il C. fu podestà di Siena al comando di cento cavalieri. Nel medesimo anno guidò la militia senese contro Massa, sembra con successo dato che nel 1320 fu invitato a rimanere a Siena come capitano di guerra "con grande arbitrio di punire e condannare sanza stare a sindacato". In questa veste riconquistò per Siena Menzano, che sottrasse ai Tolomei con la minaccia di mandare a morte quattro della loro famiglia che risiedevano a Siena. Nell'autunno del 1320 Visitò Anagni; nel viaggio di ritorno in Toscana ebbe la sfortuna di cadere nelle mani di un viterbese, un certo Turella, che lo consegnò a un Colonna il quale lo portò prigioniero a Palestrina. Giovanni XXII ordinò la liberazione del C. e impose ai Caetani e ai Colonna una tregua biennale che doveva entrare in vigore subito dopo la sua liberazione. Il pontefice si mostrò molto generoso in questa occasione, dimenticando i cattivi rapporti tra lui e il C. cui egli rimproverava sia di non avergli presentato i rendiconti della sua gestione della Campagna e Marittima quando ne era stato rettore a nome di Roberto d'Angiò, sia di tenere illegalmente nel Regno possedimenti appartenenti all'Ordine di Calatrava. Il C. dovette essere liberato poco dopo: nel marzo 1321, infatti, era inviato da Roberto d'Angiò ai Comuni gueffi di Toscana per chiedere loro aiuti finanziari per gli eserciti che il sovrano andava raccogliendo nel Regno e in Provenza.
Il 22 ag. 1322, ricoverato nell'ospedale di S. Antonio, presso Marturano in Campagna, il C. fece testamento. Da questo documento sappiamo, come risulta anche da altre fonti, che il C. dai precedenti matrimoni aveva avuto un figlio, di nome Bonifacio (che gli succedette), e almeno quattro figlie, Francesca, Lella, Lucrezia e Miozia. Inoltre aveva avuto almeno un figlio illegittimo, Giovanni. Al momento del testamento sua moglie era incinta. A Bonifacio, designato come erede, lasciava la torre delle Milizie e tutti i diritti sul contado aldobrandesco; il figlio nascituro riceveva le proprietà nel Regno e, se maschio, le terre di Campagna in comune con Bonifacio; il nascituro era affidato alla protezione del duca di Calabria. Oltre a lasciti in favore della moglie e della figlia nubile Francesca (per la dote), il testamento disponeva, tra l'altro, a favore di varie chiese, in primo luogo di tutte quelle di Anagni. La chiesa anagnina di S. Maria riceveva 1.000 fiorini con l'impegno di celebrare due messe al giorno per la sua anima; inoltre l'erede del C. vi doveva mantenere un cappellano. Espresse il desiderio di essere sepolto nella propria cappella nel duomo di Anagni. La chiesa doveva ricevere come dono il suo cavallo da battaglia "Maccherone" con l'armatura.
è probabile che egli morisse poco dopo il testamento; era certamente già morto prima del 24 febbr. 1323.
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