BENEDETTO CARUSHOMO
Nulla si conosce di B. prima della sua elezione a unico senatore di Roma, avvenuta durante il pontificato di Celestino III nel 1191, e più precisamente dopo il 28 maggio di quell'anno, giorno in cui risultano ancora in carica 56 senatori (Cod. diplomatico, n. 44). Il cognome di Carissimo o Carissimi con cui viene ricordato da alcuni studiosi (Vitale, p. 71; Pompili Olivieri, p. 181) è probabilmente solo una corruzione del soprannome Carushomo.
La nomina di un senatore unico nella persona di B. rappresentava con ogni probabilità la reazione popolare contro la situazione che si era venuta a creare a Roma dopo gli accordi del 1188 tra il Comune e Clemente III: tali accordi, infatti, insieme col riconoscimento della sovranità del papa su Roma e sul Senato, e con l'assunzione da parte del Comune di molti impegni nei confronti del papato, avevano segnato l'accesso al Senato dei rappresentanti dell'aristocrazia cittadina, tradizionalmente legata alla Santa Sede da vincoli feudali o economici (Brezzi, pp. 371 ss.). Oltre all'importanza per la vita interna del Comune romano, l'elezione di B. dovette indubbiamente avere un riflesso sulla situazione politica generale, in quanto rendeva più difficile la posizione di Celestino III, impegnato a fronteggiare l'imperatore Enrico VI (per la situazione generale di questo periodo, e in particolare per la necessità del pontefice di avere una base sicura in Roma, cfr. P. Zerbi, Papato, Impero e "Respublica Christiana" dal 1187 al 1198, Milano 1955, pp. 87 ss.).
Sul modo in cui B. raggiunse il potere, Roberto di Auxerre narra nel suo Chronicon che egli, "vir in rebus seculi experientissimus", Vedendo la disastrosa situazione della città, teatro di rapine, furti, omicidi, riuscì dapprima ad accattivarsi Panimo di pochi, poi, "pluribus aggregatis", ottenne "totius urbis potentatum" (pp. 255 s.). Da altra fonte si sa che B. non ebbe l'approvazione del pontefice, né godette del favore della Sede apostolica, ma con l'andare del tempo venne tollerato e accettato ed esercitò quindi anche agli occhi della Santa Sede un potere in qualche modo legittimo: dirà infatti Innocenzo III nel 1199 - definendo una questione già trattata appunto da B., del quale quindi era necessario definire i poteri - che il senatore "habendus erat tanquam ab initio legitime fuerit institutus" (Innocentii III Reg., col. 800).
Dalle scarse notizie delle fonti sembra di poter dire che B. esercitò con energia il suo potere: in breve, stando alle parole del già ricordato Roberto d'Auxerre, riportò ordine e quiete dentro e fuori le mura della città, punendo con severità i malfattori (p. 255). Si comportò con decisione anche nei confronti della Santa Sede, imponendo suoi giudici ("iustitiarios") nella Marittima e nella Sabina (Gesta Innocentii, col. XXI). Circa l'attività legislativa del senatore, si ha notizia di uno statuto emanato da B. e "approbatum pariter et acceptum" dal popolo romano, secondo il quale "si quis post litem contestatam, rem a se petitam transferret in alium, daretur possessio petitori et alter fieret de possessore petitor" (Innocentii III Reg., col. 798). Se questa sola testimonianza non è sufficiente per attribuire a B. la promulgazione di una serie di statuti, essa è tuttavia indice dell'esistenza in Roma di altri statuti di diritto civile, non potendosi pensare uno statuto isolato per un caso così specifico (cfr. La Mantia, p. 104; G. Levi, Ricerche intorno agli statuti di Roma, in Arch. della R. Soc. Rom. di storia patria, VII[1884], p. 468).
La notizia è contenuta nella lettera di Innocenzo III del 27 nov. 1199, diretta all'abate Stefano e al convento di S. Silvestro in Capite, di fondamentale importanza per la storia dei diritto e per quella del Senato romano; essa contiene infatti il racconto di tutte le fasi di una causa iniziatasi anni prima con la citazione dinanzi al giudice di Giovanni "de Atteia", sindaco del monastero di S. Silvestro, a cui veniva richiesta la restituzione di terre su cui egli esercitava diritto di proprietà, da parte del clero della chiesa di S. Maria in via Lata (Codice diplomatico, n. 45), che, riconosciuto colpevole, si era poi appellato a B.: sulla liceità di tale appello sorse una questione di diritto, dalla quale si può dedurre che il giudice aveva pronunciato non un vero consilium, ratificato dal senatore, ma un lodo arbitrale, emesso con vizio di forma. B. aveva allora affidato la causa al primicerio Sassone, che diede il consilium, reso esecutivo da B., di cassare il lodo precedente e di ordinare al sindaco Giovanni la restituzione dei beni della chiesa. La causa doveva avere un seguito anche dopo la fine dei senatorato di B., in quanto il monastero si appellò al senatore Giovanni Pierleoni (1196-1197), il quale revocò la sentenza emessa da B.; questa tuttavia doveva venire in seguito riconfermata.
A B. si deve la restaurazione del ponte Cestio, come ricorda l'epigrafe, attribuita dal Forcella al 1193 (P- 53), in cui egli è detto "alme urbis Summus Senator".
B. rimase in carica fino alla seconda metà del 1193, quando venne sostituito da un collegio di 56 senatori e poi di nuovo (fine 1194-inizio 1195) da un senatore unico nella persona di Giovanni Capocci (Bartoloni, p. 55). Sulla fine del senatorato di B. dice Roberto di Auxerre che, mentre egli "magnificentius ageret", suscitò l'invidia dei Romani, che lo assediarono in Campidoglio, e, catturatolo, lo tennero lungamente in prigione; il ritorno al collegio di 56 senatori induce facilmente a pensare che la sua deposizione fu voluta e attuata dall'aristocrazia romana. Non si sa quando morì.
Fonti e Bibl.: Innocentii III Regest., II, n. 239, in Migne, Patr. Lat., CCXIV, coll. 797 ss.; V. Forcella, Iscriz. delle chiese e d'altri edifici di Roma dal sec. XI fino ai giorni nostri, XIII, Roma 1879, p. 53, n. 89; Codice diplomatico del Senato Romano dal MCXLIV al MCCCXLVII, a c. di F. Bartoloni, Roma 1948, pp. 80 ss.; Gesta Innocentii papae III, in Migne, Patr. Lat., CCXIV, col. XXI; Roberti canonici S. Mariani Antissiodorensis Chronicon, a c. di O. Holder-Egger, in Mon. Germ. Hist., Script., XXVI, Hannoverae 1882, pp. 255 s.; ex Rogeri de Hoveden Chronica, a c. di F. Liebermann, ibid., XXVII, Hannoverae 1885, p. 171; F. A. Vitale, Storia diplomatica de' Senatori di Roma…, Roma 1791, pp. 71-74; C. Re, Statuti della città di Roma, Roma 1880, pp. XXXIV s.; V. La Mantia, Storia della legislazione italiana. I. Roma e Stato Romano, Torino 1884, pp. 102 ss.; L. Pompili Olivieri, Il Senato Romano…, Roma 1886, pp. 181 s.; L. Halphen, Etudes sur l'admin. de Rome au Moyen age, Paris 1907, pp. 69. 161; G. Falco, IlComune di Velletri nel Medio Evo, in Arch. della R. Soc. Rom. di storia patria, XXXVI (1913), p. 371; Id., IComuni della Campagna e della Marittima nel Medio Evo, Roma 1926, pp. 77, 306; A. Salimei, Senatori e Statuti di Roma nel Medioevo. I Senatori. Cron. e bibl. dal 1144 al 1447, Roma 1935, pp. 20, 61; F. Bartoloni, Per la storia del Senato Romano nei secc. XII e XIII, in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, LX (1946), pp. 50-55, 86; P. Brezzi, Roma e l'Impero medioevale (774-1252), Bologna 1947, pp. 379 s., 391, 472.