Croce, Benedetto
Filosofo e storico (Pescasseroli 1866-Napoli 1952). Protagonista della vita culturale italiana della prima metà del Novecento, il suo pensiero si inserisce nella più generale reazione al positivismo manifestatasi in Europa a cavallo fra Ottocento e Novecento. Studiò a Napoli, che divenne presto la sua dimora abituale. Scampato dal terremoto di Casamicciola (1883) in cui perdette i genitori, fu accolto a Roma in casa dello zio Silvio Spaventa, e vi rimase sino al 1886; ivi intraprese gli studi di giurisprudenza che non continuò, preferendo dedicarsi ai corsi universitari di etica di Antonio Labriola, dal quale apprese gli elementi essenziali del marxismo. Tornato a Napoli, si diede a indagini erudite, ma presto sentì il bisogno di trasferire i suoi interessi su un piano di riflessione critica. Primo segno della revisione radicale in senso filosofico del suo atteggiamento è lo scritto su La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte (1893). Non persuaso dalla cultura positivistica allora dominante, secondo la quale la scienza era l’unica forma valida di sapere, C. andò convincendosi del fatto che la realtà è di natura spirituale, e la spiritualità si realizza nella storia, manifestandosi in quattro momenti (arte, filosofia, economia ed etica), il cui succedersi circolare costituisce la vita dello spirito (storicismo assoluto). Se la realtà è storia, dunque, il sapere stesso può essere solo sapere storico. Ha inizio così un’opera rilevante per la cultura italiana, sintetizzata tra l’altro dalle annate de La Critica, fondata nel 1903. In quegli anni C. collaborò con G. Gentile, ma successivamente motivazioni politiche e filosofiche portarono alla rottura del sodalizio. Senatore dal 1910, dopo la Prima guerra mondiale C. elaborò una versione filosofica del liberalismo, per cui la storia stessa consisteva nel graduale affermarsi della libertà. Ministro dell’Istruzione con Giolitti nel 1920-21, dopo aver guardato al fascismo con qualche benevolenza, allorché esso si manifestò chiaramente nella sua essenza totalitaria, C. assunse nel 1925 un deciso atteggiamento di opposizione, redigendo il Manifesto degli intellettuali antifascisti, dei quali fu un punto di riferimento. Caduto il fascismo, tornò per breve tempo alla politica attiva, come ministro senza portafoglio nel governo Badoglio (aprile-giugno 1944) e nel primo gabinetto Bonomi (costituito il 18 giugno, ma C. si dimise il 27 luglio); tenne sino al 1947 la presidenza effettiva del Partito liberale e sino al 1948 quella onoraria, fu consultore, deputato alla Costituente e dal 1948 senatore di diritto. Nel 1947 fu nominato socio onorario dell’Accademia dei Lincei, della quale era stato in passato (1923-35, 1945) socio; nello stesso anno fondò a Napoli l’Istituto italiano per gli studi storici, a disposizione del quale aveva posto la sua biblioteca, forse la più importante biblioteca privata d’Italia. C. ha lasciato una produzione filosofica, storica e critico-letteraria vastissima, di cui si segnalano: Materialismo storico ed economia marxista (1900), Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel (1906), Filosofia dello spirito (in tre voll. dedicati a estetica, logica e filosofia della pratica, 1902-9), La letteratura della nuova Italia (6 voll., 1914-40), Teoria e storia della storiografia (1917), Contributo alla critica di me stesso (1918), Conversazioni critiche (5 voll., 1918-1939), Storia della storiografia italiana nel secolo XIX (2 voll., 1921), Storia del Regno di Napoli (1925), Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928), Etica e politica (1931), Storia d’Europa nel secolo XIX (1932), La storia come pensiero e come azione (1938). Con queste opere, e con la rivista La Critica, C. assicurò al neoidealismo una certa egemonia nella cultura italiana della prima metà del Novecento, non solo in campo filosofico ma anche letterario e storiografico.