BENEDETTO da Cingoli
Pochissime notizie restano su questo poeta marchigiano vissuto nella seconda metà del sec. XV.
Nella Biblioteca Picena dei Vecchietti (II, p. 164) è riferita l'opinione di Giambattista Boccolini secondo cui B. sarebbe appartenuto alla famiglia patrizia dei Benvenuti, poiché in un codice manoscritto del poeta si leggeva in margine la nota: "B. Benvenutus de Cingulo". "Checchessia di ciò - continuava il Vecchietti - è certo ch'egli fu un grand'uomo, e bastevolmente si scuopre il di lui merito dal sapersi che venne prescelto a pubblico Lettore nell'Università di Siena coll'onorario di cento fiorini, come si trae da, libri de' pubblici Consigli di quella Città, riconosciuti dal dottissimo Uberto Benvoglienti, che ne dié la notizia al suddetto Boccolini".
Poche notizie si ricavano dalla premessa del fratello Gabriele al suo volume di Sonecti, barzellette et capitoli, pubblicato postumo a Roma nel 1503, e dalla dedica dell'autore a Francesco Colocci di Iesi del suo Poema della Fortuna. Si apprende così che B. fu a Milano, alla corte di Galeazzo e Ludovico Sforza, insieme al Calmeta, poi a Firenze, alla corte di Lorenzo il Magnifico, "che lo ammise nella notissima accademia Fiorentina"; pare che sia stato anche a Napoli, dove sarebbe stato associato a qualcuna delle tante accademie che vi fiorivano in quell'epoca. Mancano elementi, però, per stabilire l'esatto ordine cronologico di questi fatti.
A Siena, dove si sarebbe recato - sempre secondo il Vecchietti - come "maestro di belle lettere", B. strinse rapporti di amicizia col poeta Iacopo Fiorino de' Boninsegni, con Agostino Dati e col cardinale Bernardo Dovizi di Bibbiena, che in un sonetto in morte di Serafino Aquilano - del quale, come del Tebaldeo, B. fu ritenuto imitatore - lo ricorda come il più autorevole continuatore dell'arte di Serafino: "Che la dolcezza uscita di suo seno / Acconciata sè a vita col Piceno".
Imitatore dell'Aquilano e del Tebaldeo, B. fu tuttavia poeta più sobrio e senza dubbio più robusto di quelli, dei quali ebbe meno viva l'ingegnosità vivace, il gusto delle forme poetiche ricercate e artificiose. Stringato, anzi, ed essenziale nelle sue rime, B. rivela in molte occasioni una tendenza meditativa, una disposizione alla riflessione sulle cose umane, che gli suggeriscono una tematica diversa, e gli ispirano a volte atteggiamenti venati di pessimismo, altre volte atteggiamenti sentenziosi o riflessioni moralistiche. La fortuna, la pazienza, la speranza, la fama, il tempo, la morte sono i suoi temi più frequenti, sviluppati tuttavia in toni diversi, secondo lo stato d'animo del poeta. Anche nella lirica d'amore segue soltanto in apparenza il Tebaldeo e l'Aquilano: il quale ultimo fu senza dubbio un modello per lui come per gran parte dei lirici italiani della fine del Quattrocento, ma un modello di massima, per così dire, dal quale il poeta marchigiano, dotato di diverso temperamento e soprattutto di forze proprie sufficienti, si discostava liberamente. Ciò che del resto può dirsi anche della sua poesia riflessiva e moralistica, che pure trova un punto di riferimento in certi atteggiamenti pessimistici o addirittura tragici di Serafino Aquilano (per esempio nei dialoghi con la morte), ma poi si sviluppa in modo autonomo con accenti e forme proprie.
Alla sua morte - avvenuta, secondo il Vecchietti, a Siena, il 12 apr. 1495 - B. lasciò vasti rimpianti. Fra gli altri l'amico suo e conterraneo monsignor Angelo Colocci scrisse una canzone "In morte di Benedetto da Cingoli detto 'Cingulo' o 'Piceno'", che fu pubblicata nel volume postumo di Sonecti, barzellette et capitoli sopra ricordato, e poi riprodotta nel volume di Poesie italiane e latine di mons. Angelo Colocci, pubblicato a Iesi nel 1782 a cura di F. Lancellotti.
Opere: oltre il citato, e oggi rarissimo, volume di Sonecti, barzellette et capitoli del claro B. Cingulo, "Impresso in Roma per maistro Joanni Besicken" nel 1503, e a pochi altri componimenti inclusi nella raccolta Fioretto di cose nuove di diversi Autori (Venezia, "per Niccolò di Aristotile detto il Zoppino", 1508), abbiamo, pubblicato nel 1511 a Siena, da Simeone di Niccolò e Giovanni di Alessandro librai, il volume Opere del preclarissimo poeta B. Cingulo nuovamente stampate. Qualche componimento di B. è anche nel manoscritto segn. A. T. 4. della Biblioteca Comunale di Mantova.
Sono stati successivamente pubblicati: un Capitolo, estratto dal cod. Vat. 2951 da G. Crocioni (per nozze Morici-Merlini, Roma, 30 apr. 1894), Due barzellette di B. da Cingoli, riprodotte dal volume di Sonecti, barzellette, ecc., da F. Flamini (per nozze Bacci-Del Lungo, Pisa, 22 apr. 1895), una Barzelletta da A. Luzio (Sanseverino, 1902). Inedite sono rimaste le Rime varie - in un manoscritto della Chigiana, dal quale il Crescimbeni (Istoria, I, p. 412) estrasse un sonetto, riprodotto poi ancora dal Crocioni (Le Marche, pp. 130 s.) -, la Vita di Lucrezia Romana, dedicata a Lorenzo de' Medici, e Il Poema della Fortuna, dedicato a Francesco Colocci. Altri suoi componimenti italiani sono nel citato cod. Vat. 2951, alcuni latini nei codd. Vat. 3353 e 3388.
Bibl.: Principale fonte di notizie su B. è la Biblioteca Picena, di F. Vecchietti e T. Moro, II, Osimo 1791, pp. 164 ss. Poche notizie ancora in G. M. Crescimbeni, Istoria della volgar poesia, I, Venezia 1730, p. 412; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, pp. 207. 348; VI, ibid. 1749, p. 173; G. Crocioni, Le Marche. Letteratura, arte e storia, Città di Castello 1914, pp. 96, 98, 106 s., 139 s., C. Gallico, Un libro di poesie per musica dell'epoca d'Isabella d'Este, Mantova 1961, pp. 49 s., 60, 66, 103, 105.