BENEDETTO da Piglio
Nato a Piglio, piccolo centro del Lazio nel territorio tra Subiaco e Anagni, probabilmente intorno al 1365, verso il 1385 si recò a Bologna per intraprendere gli studi letterari e giuridici presso quella università. A Bologna, dove ebbe fra i suoi maestri lo stesso Bartolomeo del Regno e contò tra i suoi familiari il giurista Floriano da San Pietro, B. poté trattenersi per molti anni, sino a completare i suoi studi, grazie alla munifica ospitalità e alla protezione di Giovanni de Luddovicis, cavaliere e umanista, amante dei poeti e scrittori latini. Conclusi i suoi studi a Bologna, B. aprì scuola, forse a Velletri, quasi sicuramente nel Lazio (cfr. R. Sabbadini, II, p. 153, n. 6), sul finire del sec. XIV. Creato "scrittore apostolico" da papa Alessandro V, assunse, come pare, il suo nuovo ufficio a Bologna, dove quel pontefice aveva posto la sua residenza (12 genn. 1410).
Da questo momento B. non doveva più abbandonare l'ambiente di Curia, e la Curia stessa, che seguì sia a Roma, dopo l'elezione al soglio pontificio di Giovanni XXIII (10 maggio 1410), sia nella fuga davanti agli eserciti del re Ladislao di Napoli (giugno 1413). Fu durante questo soggiorno romano che B., forse in compagnia di Poggio Bracciolini, visitò, innamorandosene, i ruderi e le vestigia dell'antica capitale dei Cesari, e fu allora che mise insieme quella sua ricca biblioteca, che venne salvata dalla distruzione grazie all'intervento dell'amico Niccolò Caetani, durante l'occupazione di Roma da parte delle truppe angioine. Sul finire del 1414, entrato al servizio di Pietro Stefaneschi degli Annibaldi, cardinale di S. Angelo, fu nel gruppo insigne di umanisti che accompagnarono il pontefice a Costanza, per il concilio da lui convocato il 2 nov. 1414. Fuggito dalla città svizzera Giovanni XXIII dopo la sua abdicazione (2 marzo 1415), il cardinale Pietro Stefaneschi, che col suo seguito aveva cercato di riparare anch'egli in Italia, venne fermato e tratto in arresto dagli armati del conte di Neuchâtel: il cardinale, dietro promessa di versare un congruo riscatto, venne rilasciato quasi immediatamente; per il suo seguito - tra cui si trovava B. - invece, trattenuto come ostaggio dal conte, fu l'inizio di una dura prigionia (marzo 1415). Alle asprezze e alle amarezze della sua vita di prigioniero B. trovò sollievo nella poesia: è appunto di questo periodo la sua opera principale, il Libellus poenarum, che per noi rappresenta anche la fonte principale della biografia del poeta.
B. non riacquistò la libertà che dopo otto mesi dal suo arresto, il 25 nov. 1415: egli, tuttavia, non tornò subito in Italia. Si trattenne per almeno ancora due anni a Costanza, sotto la protezione dei cardinale Oddo Colonna: da lì, il 17 ott. 1416, indirizzò all'imperatore Sigismondo un'ecloga in latino sui lavori del concilio, e una lettera in difesa dell'ecloga inviò da Costanza al fratello Bartolomeo, il 22 dicembre di quello stesso anno. Dal cod. Ricc. 784, f. 193, apprendiamo che B., sul finire del 1417, tenne a Costanza una serie di lezioni su Lucano; precedentemente, nel 1416, vi aveva tenuto un corso su Valerio Massimo, e fors'anche sulle Epistutae di Seneca.
Segretario di papa Martino V (eletto a Costanza l'11 nov. 1417 e consacrato a Roma il 21 di quello stesso mese), il nome di B. ricorre frequente nei registri papali e nel libro dell'Introitus. Sconosciuta ci è la data della morte del poeta., che dovette comunque avvenire intorno al 1423: si conservano ancora brevi pontifici che sono stati stesi dalla mano stessa di Benedetto.
Degli scritti di B. sono state edite criticamente, dal Wattenbach, la Ecloga ad honorem invicti principis Sigismundi Romanorum et Hungarsae regis sul concilio di Costanza e, dal Bertalot, la prolusione a Lucano. L'opera di gran lunga più significativa, per la conoscenza del suo inondo poetico e della sua arte è, tuttavia, il Libellus poenarum, composto durante la prigionia e tuttora inedito. Esso è contenuto, insieme con un suo sonetto in volgare e con il testo di una lettera inviata al fratello nel 1415 (nella quale B. esprimeva la sua soddisfazione di trovarsi a Costanza), nel cod. 3529 (già Hist. prof. 720 della Biblioteca Palatina) della Staatsbibliothek di Vienna.
Il Libellus poenarum, scritto in prosa e in versi latini, è diviso in tre parti. Nella prima - che porta il titolo di Nuntius, una lunga elegia modellata, nel tono, nel gusto e nel modo di verseggiare, sui Tristia ovidiani - il poeta, dalla prigionia, invia saluti e notizie ai suoi amici in Italia, seguendo l'itinerario Bologna, Firenze, Roma, Tivoli, Anticoli Genzano, Anagni, Vico e, finalmente, Piglio. Questa prima parte è importante non solo per l'interessante elenco degli amici umanisti del poeta - scrittori, giuristi, ecclesiastici - in essa contenuto, ma anche perché riporta una curiosa relazione della vita di s. Andrea da Piglio e il racconto della parte avuta dallo stesso B. nelle vicende dei castello di Piglio all'epoca di Corrado d'Antiochia (circa 1381). Nella seconda parte del Libellus, la Narratio, scritta in prosa, B. rifà la storia della sua prigionia. Epistole metriche - di cui alcune indirizzate al conte di Neuchâtel - e lettere in prosa ritmica, tutte dirette a persone che potevano in qualche modo aiutare B. a ricuperare la tanto sospirata libertà, costituiscono l'ultima parte, Supplicatio, dell'operetta.
Diversi i metri usati dal poeta: l'esametro, il pentametro, l'asclepiadeo, il gliconio, l'adonio κατὰ στὶχον.Se, come appare dai suoi versi, B. non dovette avere una conoscenza molto varia degli autori latini classici (Virgilio, Orazio, Ovidio, Seneca, Giovenale) e di quelli della bassa latinità (s. Gerolamo, Boezio, Cassiodoro), di questi pochi egli dovette ' tuttavia, conoscere a fondo gli scritti, giacché da essi spunti, motivi e ritmi passano nel Libellus, i cui modelli furono soprattutto i Tristia di Ovidio e il De consolatione philosophiae di Boezio.
La già ricordata Ecloga ad honorem invicti principis Sigismundi sui lavori del concilio di Costanza si trova edita in W. Wattenbach, pp. 124-127; la Epistola adfratrern in difesa dell'ecloga stessa è conservata, manoscritta, nel cod. Lat. 8618 della Bibliothèque Nationale di Parigi. La prolusione alle lezioni tenute da B. a Costanza dopo la sua liberazione sta nel cod. Ricc. 784, f. 193, col titolo Prefatio B. de Pilleo super Lucanum e la data "Constantie XXVII septembris anno 1417"; il codice è conservato presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze. I Dictorum et factorum memorabilium libri di Valerio Massimo e le epistole di Seneca si conservano, con glosse marginali di B., nel cod. Lat. Fol. 585 della Staatsbibliothek di Berlino.
Bibl.: W. Wattenbach, Benedictus de Pileo, in Festschrift zur Begrüssung der 24. Versammlung Deutscher Philologen... zu Heidelberg, Leipzig 1865, pp. 97-131; Id., Benedictus de Pileo, in Anzeiger für Kunde der Deutschen Vorzeit, 1879. n. 8, pp. 225-228; O. Lorenz, Deutschlands Geschichtsquellen in Mittelalter seit der Mitte des dreizehnten Jahrhunderts, II, Berlin 1887, p. 397; G. Voigt, Ilrisorg. dell'antichità classica, II, Firenze 1890, p. 23; M. Lehnerdt, Cencio und Agapito de' Rustici, in Zeitschrift für vergl. Litteraturgeschichte, XIV (1901), p. 294; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne' secoli XIV e XV. Nuove ricerche..., I, Firenze 1905, p. 76 nota; II, ibid. 1914, pp. 152-154; L. Bertalot, Benedictus de Pileo in Konstanz, in Quellen und Forschungen aus ital. Archiven und Bibliotheken, XXIX (1930). pp. 312-316.