DEL BENE, Benedetto
Nacque a Verona nel 1749 da Girolamo e Barbara Cartolari. Il padre, uomo di lettere, lo educò alla lettura dei classici latini di cui divenne attento e appassionato traduttore. Una seconda passione caratterizzò fin dalla gioventù la vita del D.: la ricerca agronomica, stimolata, peraltro, dal possesso di alcune terre nella valle dell'Adige.
Il D. fece i suoi primi studi dai gesuiti, poi s'iscrisse all'università di Padova, dove nel 1771 si addottorò in legge. Dal 1770, dopo la morte del padre, il D. aveva intanto preso in mano la conduzione dell'azienda familiare. Da quella data iniziò a tenere un diario privato, che si trova, manoscritto in due volumi, nella Biblioteca comunale di Verona e che è stato antologizzato da G. Biadego (Giornale di memorie 1770-1796, Verona 1883).
Il diario permette vari livelli di lettura. Un primo livello riguarda una serie di dati di carattere geoagronomico, raccolti in relazione alla gestione delle tenute di Volargne e San Vettore, che possono avere un interesse più generale per la storia agraria della zona. Il D. riporta infatti con una certa regolarità i dati climatici: siccità, strette di gelo, caldi precoci; i cambiamenti del livello dell'Adige; gli andamenti del mercato della seta; i cicli delle epidemie animali e vegetali. Troviamo inoltre interessanti descrizioni di tecniche e strumenti agrari. Un secondo livello di lettura è relativo alla ricostruzione delle vicende più propriamente biografico-intellettuali dell'autore. Sappiamo così che la vita del D. si svolse tra la traduzione dei classici, la ricerca agronomica, la gestione dell'azienda familiare e la partecipazione alle attività culturali e alla vita politica e amministrativa della città. Un ultimo livello riguarda la possibilità di spigolare notizie sulla vita cittadina e sui personaggi della Verona del periodo.
Il diario copre l'arco di tempo 1770-1796. Da quell'anno fino alla morte, che risale al 1825, le notizie sul D. diventano più rare. Una fonte di prima mano per esplorare questo periodo della sua vita è comunque rappresentata dal nutrito epistolario, conservato anch'esso nella Biblioteca civica di Verona.
Dopo la laurea, nel 1774, il D. fu eletto vicario della Valpolicella; due anni dopo si dimise a causa di alcune polemiche sulla sua amministrazione. Nel 1777 divenne notaio e fu ammesso al Collegio notarile, ma non sembra che abbia praticato la professione. A partire dal 1788, per alcuni anni, coprì il ruolo di cancelliere della Sanità di Verona. A varie riprese venne chiamato a dirigere le scuole pubbliche. Fra il 1790 e il 1793 patrocinò la costituzione della Biblioteca comunale attraverso la fusione dei fondi librari delle biblioteche dei padri benedettini, dei gesuiti e di quella del conte Aventino Fracastoro. Sul finire del secolo partecipò alla vita pubblica della città come membro del Consiglio. I suoi biografi coevi sottolineano, come elemento costitutivo del suo carattere, l'estrema onestà e rettitudine nella conduzione degli affari pubblici. Dal diario peraltro emergono una chiara predilezione per la ricerca e lo studio, un manifesto fastidio per il lavoro burocratico (tale considerava per esempio quello scolastico) e un aristocratico distacco, incline al disgusto, per le meschinità e gli intrighi della vita politica da cui, a partire dalla fine del secolo, cercò di tirarsi fuori.
Fu socio delle principali accademie italiane; in particolare fu segretario sia dell'Accademia di agricoltura arti e commercio sia dell'Accademia di scultura e pittura di Verona.
La produzione scientifica del D. si può facilmente dividere in due filoni: il primo relativo alla ricerca agronomica, il secondo allo studio della lingua e della letteratura latina. Il suo impegno nel campo dell'agronomia fu pienamente riconosciuto dai contemporanei. Molte sue dissertazioni furono premiate e Filippo Re recensì favorevolmente le sue opere, rilevando in esse il giusto rapporto tra esperienza pratica, erudizione dei classici dell'agronomia e conoscenza delle leggi scientifiche. Nel 1790 condusse a termine una Dissertazione sopra una nuova maniera di vino, nella quale descrive il modo di produrre un vino molto simile nelle sue caratteristiche al Piccolit; il saggio fu stampato a Venezia nel 1791 e ristampato a Verona. Sempre nel 1790 scrisse, su commissione della Deputazione veneta sulle tariffe doganali, una monografia sul commercio e sui dazi della seta. Per questo lavoro sfruttò la sua esperienza di produttore e la dettagliata conoscenza del mercato che aveva accumulato nel tempo, ricorrendo peraltro ai consigli e alle informazioni di altri amici possidenti. La relazione non fu pubblicata ed è rimasta conservata tra le sue carte nella Biblioteca civica di Verona. Nel 1792pubblicò a Venezia le Memorie sopra la coltivazione di alcune piante olifere. In essa espone alcune esperienze felicemente condotte nella coltivazione del ravizzone e del rafano della Cina. Nel 1793 fu dato alle stampe e premiato dall'Accademia dei Georgofili il saggio Dell'economia dei boschi, col quale l'autore affermava la necessità di regolare la pratica del disboscamento mediante una legislazione, che pur mantenendo saldo il principio della proprietà privata, riuscisse a preservare gli equilibri pedologici del terreno. Nel 1795 stampò a Verona la Dissertazione dei lavori al suolo degli ulivi, che fu premiata dall'Accademia dei Risorti di Capodistria e fu molto apprezzata dal Re.
Tra le opere di agronomia sono ancora da ricordare: Fornello per la stanza dei filugelli, in Opuscoli scelti, XVIII, Milano 1795, p. 137; Storia dell'Accademia di agricoltura arti e commercio di Verona, Verona 1797; L'Olio di cafreria, tratto dai mss. esistenti nella Biblioteca Comunale di Verona, a cura di G. B. Turella, Verona 1879. Il D. trattò spesso di questioni agrarie anche nel suo epistolario, soprattutto nella corrispondenza col marchese Gian Francesco Dionisi (Alcune lettere al marchese G. F. Dionisi, Verona 1876; Nuove lettere al marchese G. F. Dionisi, Verona 1879).
L'altro versante della sua attività intellettuale, la filologia classica, lo vide impegnato in numerose traduzioni e nella stesura di elogi e iscrizioni latine. Nel 1781 tradusse la Filotea di s. Francesco di Sales, pubblicata anonima a Verona: "È piccola cosa ma è costata una grande e quasi ininterrotta fatica", commenterà, alla fine del lavoro, nel diario. Nel 1782, a Parma, Bodoni stampò la sua traduzione in versi sciolti delle Nozze di Teti e Peleo di Catullo. Il poemetto era già stato tradotto dai veronesi G. Torelli e I. Pindemonte. Di quest'ultimo fu amico intimo e con lui intrattenne una fitta corrispondenza. Tradusse ancora il poemetto di Girolamo Vida sui filugelli e le Lettere di Eloisa ad Abelardo di A. Pope, pubblicate postume a cura di G. B. Turella a Verona nel 1877. Altre traduzioni sono relative al De Senectute di Cicerone e alle Lettere di Orazio. Il D. tradusse inoltre in esametri latini i canti di Angelo Mazza sui dolori di Maria Vergine, l'ode di Th. Gray sul cimitero campestre, quella parte dei Cimiteri di Pindemonte che descrive i cimiteri inglesi ed infine L'inno sulla Pentecoste di Manzoni. Quest'ultimo rimase inedito sino al 1870 quando fu pubblicato da C. Cavettoni a Verona, insieme alla lettera di ringraziamento di Manzoni.
Tra gli elogi i più noti sono quelli a Giovanni Arduino e a Zaccaria Betti. Da ricordare inoltre che si occupò anche di archeologia, scrivendo una dissertazione sulle origini del teatro veronese, a causa della quale entrò in polemica col conte Alessandro Carli. Sicuramente la sua opera di maggiore prestigio rimane la traduzione del De Agricoltura di Columella, pubblicata nel 1808, a Verona; poi, postumo, nel 1850 a Milano, con una bella introduzione di I. Cantù. In quest'opera l'abilità del traduttore e le conoscenze agronomiche si fondono in un linguaggio chiaro, appropriato ed efficace. L'apparato di note esplicative rappresenta poi, di per se stesso, un contributo scientifico di alto livello. Il D. s'impegnò anche, con notevole successo, nella traduzione delle Georgiche di Virgilio, stampata a Milano nel 1850.
Tra il 1818 e il 1820 il D. fu preside del liceo di Verona. In quel periodo egli rifiutò l'invito di V. Monti a collaborare alla Proposta ad alcune correzioni al vocabolario della Crusca, pur dichiarando di aderire idealmente al movimento montiano. Passò gli ultimi anni della sua vita assistito dalla vedova del fratello, Marianna Ugoni, in un clima di serena e religiosa vita familiare. Morì di polmonite il 7 dic. 1825, a Verona.
Fonti e Bibl.: Verona, Bibl. civica, Fondo Benedetto Del Bene, buste 247-302, busta 1416; S. Curtoni Verza, Ritratti di alcuni amici, in Arcadia Flaminda Caritea, Verona 1807, pp. 507 ss.; F. Re, Diz. ragionato di libri d'agricoltura veterinaria ed altri rami di economia campestre, Venezia 1808, I, pp. 279-283; II, p. 142; M. Ugoni Del Bene, Cenni biogr. sopra B. D., in Comment. dell'Ateneo di Brescia pel 1826, Brescia 1826, pp. 18 ss.; In morte di B. D., patrizio veronese, prose e versi, Verona 1827; Lettere di A. Manzoni, a cura di G. Sforza, Pisa 1875, p. 435; G. Biadego, Da libri e manoscritti, spigolature, Verona 1883, pp. 181-203; A. Cesari, Biografie elogi epigrafi e memorie, a cura di G. Guidotti, Reggio Emilia 1908, pp. 516-529; V. Monti, Epistolario, Firenze 1930, V, pp. 30, 36 s.; N. Vaccalluzzo, Fra donne e poeti nel tramonto della Serenissima. Lettere di I. Pindemonte al conte Zacco, Catania 1936, pp. 189, 199, 223, 306; G. Natali, Il Settecento, Milano 1950, 1, pp. 282, 334; B. Vecchio, Il bosco degli scrittori ital. del Settecento e dell'età napoleonica, Torino 1974, pp. 61 ss.