FAELLI, Benedetto
Libraio, editore e tipografo tra i maggiori del miglior periodo della stampa bolognese, fu attivo tra il 1480 ed il 1523. Nacque a Bombiana (località montana dell'Appennino bolognese, ora frazione di Gaggio Montano) da Ettore; in tutti i documenti che lo concernono - e nelle sue stesse sottoscrizioni - è denominato di volta in volta come "Benedictus Hectoris", "Benedetto da Bombiana", "Benedictus librarius", "Benedictus librorum mercator fidelis", "Benedictus calcographus et bibliopola", senza che mai si faccia menzione del nome di famiglia, che fu Faelli, come si viene a conoscere da carte che concernono i suoi nipoti ex fratre. Si conoscono due fratelli del F.: Danesio e Rinaldo, che ebbe tre figli, credi e continuatori dell'azienda.
Il F. dovette portarsi a Bologna prima del 1480, né mai più se ne allontanò, tuttavia dimostrando amorevole attaccamento per il montano paese di origine. In Bologna sposò Giulia Caronti - sorella del notaro Francesco - ed ebbe dai fratelli lei una assegnazione dotale di L. 440 (somma cospicua per l'epoca), che i suoi cognati regolarono nel 1494 mediante cessione a lui di una grande casa posta nella "cappella di S. Andrea degli Ansaldi", valutata L. 650. La differenza fu rimessa in denaro dal Faelli. Non nacquero figli da questo matrimonio, né si conosce la data di morte della moglie che gli premorì; certo è che il F. dovette risposarsi, giacché nel testamento olografo del 3 sett. 1523 (pochi giorni avanti la sua morte) nomina la moglie Lodovica Galluzzi, la quale doveva essere di lui ben più giovane, se - nel testamento stesso - include clausole concernenti un eventuale suo nuovo matrimonio. Neanche da queste seconde nozze nacquero figli.
Suoi eredi furono i nipoti Giovanni Battista, Benedetto e Riccardo, ai quali legò le terre di Bombiana, la casa di Bologna, l'azienda tutta, con le scorte, gli impianti, i crediti, ma col divieto di vendere o dividere l'asse patrimoniale (e soprattutto la stamperia) affinché "la casa stia salda per memoria mia". E raccomandava ai nipoti di seguire la sua opera e mantenere intatta la fama che si era acquistata con anni di indefesso lavoro; neanche il torchio della stamperia doveva mai essere venduto. Alla moglie lasciò tutto il denaro liquido che si ritrovasse alla sua morte, gran parte dei gioielli, molte robe, mobili e arredi.
Pochi giorni dopo aver testato, morì (Bologna, settembre 1523) e fu sepolto molto onorevolmente in S. Domenico, in una "archia" che aveva egli stesso fatto disporre per sé ed i suoi.
Quando il F. si stabilì a Bologna, poco prima del 1480, la città, governata dai Bentivoglio, era all'apice dello splendore e dell'opulenza: lo Studio era frequentato da molti allievi e da maestri insigni, il commercio fioriva, la borghesia amava le arti e la cultura. In questo favorevole ambiente i librai prosperavano; il F. iniziò molto modestamente come "cartolaio e ligatore", ma dopo appena un anno si fece libraio, con suo negozio, in quel quartiere "delle scuole" ove già si erano, accentrati i maggiori commercianti di libri, quali Guglielmo Piemontesi e Sigismondo de Libri. Il suo giro di affari dovette presto ampliarsi per divenire cospicuo, quando si associò con un Guglielmo Premiti, nel 1482, costituendo con questo una regolare società per "comparare e vendere libri a stampa de ogni qualità". Fu questa la prima società regolare che si sia costituita in Italia per la sola vendita continuativa di libri e per il loro commercio di importazione ed esportazione.
Il capitale sociale fu di 240 ducati, apportati in parti uguali dai due soci in denaro liquido e in merci. Essi si impegnavano ad andare a turno ogni due mesi a Venezia "per vendere e comparare"; a capo d'ogni bimestre "s'aliano a rendere conto l'uno a l'altro de quello che se retrovarà et s'aliano a mettere [i liquidi superflui] in su lo banco over a presso di Antonio di ser Bartolomeo Bongiovanni". Utili e perdite a metà, responsabilità solidale: fu una vera "società in nome collettivo" qual potrebbe costituirsi ai nostri giorni. Il negozio di vendita al pubblico fu posto "nella cappella" di S. Andrea degli Ansaldi (attuale via Farini, da piazza Calderini a piazza Galvani).
Allo scadere della società, che era stata costituita per un triennio, il F. aprì un negozio suo (1485) nella parrocchia dei Ss. Vito e Modesto (demolita già sin dal 1551) nei pressi di piazza Maggiore. E da qui prese l'avvio la sua maggiore attività: da semplice venditore di libri si fece editore prima e poi stampatore. Già nel 1487 si legava con il principe dei tipografi bolognesi, Francesco (detto Platone) Benedetti, celebre in quegli anni come eccellentissimo nell'arte della stampa. La prima edizione datata, ove si leggono i due nomi congiunti "in commune a Benedicto Hectoris librario et Platone de Benedictis impressore", è quella delle Elegiae di Properzio, con il commento di Filippo Beroaldo senior (1487). Negli anni successivi il neoeditore si valse dell'opera del grande tipografo, ma non è esatto affermare che si valse di lui solo (cosa da taluno asserita) giacché il F. affidò anche ad altri buoni stampatori bolognesi l'approntamento di alcune edizioni: ad Enrico da Haarlem ed a Giovanni Walbeck 0488), ad Ugo Ruggeri ed a B. Bazalieri (1489). Si giovò quindi dei più accreditati tipografi bolognesi del tempo. Ma la maggior parte del lavoro lo affidò - sino al 1493 - a Platone. In quest'anno il F. completò il ciclo ed impiantò una sua tipografia.
Secondo la tradizione bibliografica, egli avrebbe acquistato una delle tante botteghe che erano a Bologna: opinione - sembra - non accettabile neanche come mera ipotesi, giacché i caratteri che adoperò, sin dagli inizi della sua attività, sono di una qualità che non si sarebbe certo trovata in quella città. Questi caratteri debbono essere stati disegnati ed eseguiti da quel medesimo ottimo artigiano che forniva Platone, giacché a quelli assomigliano: sono di superiore eleganza.
Sembrerebbe che sul principio il F. avesse acquistato pochi caratteri, perché anche dopo il 1493 continuò a giovarsi di stamperie aliene; ciò dà l'idea che egli fosse nell'impossibilità di stampare con mezzi propri tutte le edizioni che gli venivano commesse e quelle che aveva in programma. Ottenuta dai fratelli Caronti la grande casa nella parrocchia di S. Andrea, posta in quel tratto che denominavasi "via dei libri" e "via delle scuole" (per esservi le scholae dei vecchi lettori dello Studio, prima che venisse costruito l'Archiginnasio), vi andò ad abitare e vi sistemò tutta l'azienda: "officina" e negozio. E qui trascorse tutto il resto della sua vita.
Il F. rappresentò in Bologna l'esempio più notevole di un ben inteso spirito di iniziativa, di ardimento commerciale, di avveduta esperienza e anche di cultura, sempre di signorilità. Da prima modesto - quasi ad imporsi un periodo di apprendistato - espandeva di mano in mano la sua attività, commisurandola ai mezzi economici che possedeva, la elevava e la moltiplicava. Egli - come il grande Platone - possedeva il senso della dignità artistica nelle forme puramente tipografiche; le sue pagine, severamente signorili, erano tuttavia armoniose e serene. Usava una carta "a fioretto" eccellente, e sempre vigilava con diligenza che ogni fornitura fosse perfetta, non badando a costi. Affidava la correzione dei testi a dotti umanisti, tra i quali primeggiava il Beroaldo. Nel primo decennio del '500 (Platone era da anni scomparso) primeggiava in Bologna, ove pur non pochi altri ottimi tipografi esercitavano l'arte. Ma oltre che per l'esecuzione materiale del libro egli fu celebrato per la scelta dei testi che pubblicava: editiones principes di classici non poche, opere di umanisti contemporanei, di giuristi (ed i loro testi non volle più stampare con i consueti caratteri gotici, ma per essi fece disegnare serie apposite di elegantissimi "tondi"), di filosofi, di medici.
Furono "suoi autori": Battista Spagnoli (B. Mantovano), Ippolito Marsilli, P. Pomponazzi, A. Achillini, Gentile da Foligno, Angelo Bolognini, e tanti altri eccellenti dotti dell'epoca. Dalla sua tipografia uscì anche un libro musicale: quel trattato di Pietro Aaron De institutione harmonica onde si originò la nota polemica con E. Bottrigari. Né il F. disdegnò di pubblicare edizioncine di minimo conto, opericciuole d'occasione e popolaresche; servì anche il magistrato della sua città con la stampa di statuti, bandi e bolle pontificie. Molto tardi intraprese ad illustrare i suoi libri (1520) sull'esempio dei concorrenti: i Benedetti, i Bazalieri, Giustiniano da Rubiera. Dopo il 1516 - quando l'attività prodigiosa dei Benedetti sembrava dover dominare in Bologna ed assorbire le necessità tutte del mercato librario - il F. rallentò la produzione, ma non ne mutò la qualità. Egli restò il signorile fornitore dei più esigenti clienti, di quelli stessi che - pochi anni prima - non avrebbero accolto nelle loro biblioteche se non manoscritti dei migliori copisti.
Feconda fu la collaborazione di Filippo Beroaldo con il F.: basta considerare quella stupenda serie di classici greci tradotti in latino, che resta gloria di entrambi e che si esportò largamente, non pur fuori di Bologna, ma fuori d'Italia. È degna di essere ricordata una clausola del contratto passato tra il Beroaldo ed il K; clausola che imponeva all'umanista l'obbligo di "magnificare" l'opera con corrispondenze dirette a professori di altri atenei d'Italia, affinché ne fosse facilitata la vendita. Tutta l'organizzazione commerciale, la tecnica editoriale del F. hanno tanto di modernità da lasciare stupiti. L'ultimo libro da lui edito fu l'opera del celebre medico Giacomo Berengario (Berengario da Carpi): Isagogae ... in anatomiam humani corporis (1522 e 1523), illustrata con grandi tavole incise su legno.
Gli eredi del F. furono Giovanni Battista, Benedetto e Riccardo. Il primo libro edito fu uno Psalterio di Lodovico Pittorio: "Per li heredi di Benedetto di Hettore di Faelli cittadini bolognesi. 1524". Se la datazione è in stile comune (il che è dubbio) questo sarebbe stato preceduto dalla Vita della beata Osanna di Girolamo Olivetano. Sembra che l'azienda sia stata diretta da Giovanni Battista con la collaborazione di Benedetto, mai comparendo il nome di Riccardo su nessuna edizione. Dopo il 1528 anche il nome di Benedetto scomparve, restando solo quello di Giovanni Battista, il quale si recò anche a Lucca, per stampare gli statuti di quella città (1539). Ma ormai la ditta decadeva; continuò sino al 1543-44 con sempre minor produzione e dopo quest'anno cessò.
Fonti e Bibl.: Bologna, Bibl. dell'Archiginnasio, Archivio Gozzadini, strumenti, fil. 38, n. 54; Ibid., Foro dei mercanti, 1485, 17/18; Bologna, Arch. notarile, Not. Francesco Bongiovanni, fil. I, 173; Ibid., Not. Ercole Maranini, 1488, I, II; Ibid., Not. Andrea Gombruti, 28 sett. 1487; 19 apr. 1494; Ibid., Not. Cesare Nappi, 29 marzo 1488; Ibid., Not. Giacomo Budrioli, 20 dic. 1494, 1020; Ibid., Not. Caravita Caraviti, 7 apr. 1495; Ibid., Not. Agostino Lami, 22 maggio 1499; Ibid., Not. Pietro Vizzani, 20 apr. 1503; Ibid., Copie, Not. Matteo Geri, 28 luglio 1517, c. 166; G. Fumagalli, Lexicon typographicum..., Florence 1905, p. 41; A. Sorbelli, Storia della stampa in Bologna, Bologna 1929, pp. 55 ss.; F. Ascarelli, La tipografia cinquecentina, Firenze 1953, p. 40; Editori e stampatori ital. del Quattrocento, Milano 1929, pp. 60 s. e tav. L; J. Serra Zanetti, L'arte della stampa in Bologna nel primo ventennio del '500. Bologna 1959, pp. 68-80; G. Zappella, Le marche dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento, Milano 1986, figg. 285 s.; F. Ascarelli-M. Menato, La tipografia del '500 in Italia, Firenze 1989, p. 51; D. E. Rhodes, Benedictus Hectoris of Bologna and his complaint against typographical pirates, in Id., Studies in early Italian printing, London 1982, pp. 229-31. Per le ediz. quattrocentine cfr. Indice generale degli incunaboli delle Biblioteche d'Italia, VI, p. 352 (66 numeri + 18 come editore); per il Cinquecento cfr. i volumi pubblicati (altri in corso di pubblicazione) de Le edizioni ital. del XVI secolo, a cura dell'Istituto centr. per il Catalogo unico delle Biblioteche italiane.