FIORETTI, Benedetto (Udeno Nisiely)
Nacque a Mercatale (Pistoia) il 18 ott. 1579 da Giovan Battista (si ignora il nome della madre).
A ventidue anni prese gli ordini minori, dopo quattro anni lo troviamo suddiacono nell'oratorio della Ss. Concezione della pieve di Montecuccoli. In questa prima fase della vita, che durò per tutto il primo decennio del sec. XVII, unì gli uffici ecclesiastici allo studio profondo della poesia classica e moderna e alla creatività poetica ma con risultati poco apprezzabili in quest'ultimo campo. Il suo trasferimento a Firenze coincise con l'abbandono delle velleità poetiche per "ripiantare il suo ingegno ne' fondamenti della gramatica" (Esercizi morali, n. 84). Si inserì nella polemica seguita alla pubblicazione del Vocabolario della Crusca criticando gli estremismi dell'Anticrusca di P. Beni in un'opera intitolata Il frullone dell'Anticrusca, che però gli stessi accademici, e Bastiano De' Rossi in particolare, non fecero mai stampare.
Nel 1627 a Firenze vide la luce il Polifemo Briaco, composizione ditirambica che si inserisce nel clima di particolare attenzione per la poesia greca allora in voga. I suoi studi erano focalizzati sui grandi poeti greci, latini e toscani e dal rendiconto di queste analisi presero vita i Proginnasmi poetici, opera che accompagnerà il F. lungo tutto l'arco della vita. Particolarmente significativo anche per le implicazioni di poetica è il nome che egli assunse per quest'opera, Udeno Nisiely, nome composto di tre parole - una greca, una latina e una ebraica - che vogliono significare: di nessuno se non di Dio.
Allo pseudonimo fece poi seguire la qualifica di "accademico apatista", come ad indicare la mancanza di Passionalità nelle sue considerazioni poetiche. La totale imparzialità dei giudizi era condizione essenziale per sentirsi membro di questa immaginaria accademia, che poi - per la generosità di Agostino Coltellini - si concretizzò nel 1632 allo scopo di formare uomini di sani costumi e politici impegnati.
L'opera si sviluppò in cinque volumi composti tra il 1620 e il 1639. Il lavoro nel complesso si presenta di vastissime proporzioni, e l'autore pare voglia sottolineare questo aspetto, quando all'inizio del primo volume scrive testualmente "Scrittori del predetto indice, citati entro questo volume primo, sono 367" (p. II); con le stesse parole nel secondo volume avverte che gli autori citati "sono 300". Entrambi vennero pubblicati in Firenze nel 1620. Il terzo volume vide la luce in Firenze nel 1627. Secondo il Cionacci, che fu biografo del F., sono sue le poesie poste alla fine di questo volume "sotto nome d'alcuni accademici apatisti".
L'intento che il F. si proponeva figura in una esplicita dichiarazione di poetica nel proemio dell'opera. La lettura di "autori greci, latini e toscani", fatta "essendomi stato sempre Dio favorevole e stimolatore il mio Genio, e la Natura", ha dato il risultato che da essi scrittori "si è tratto ciò che mi è paruto considerabile, e appartenente a Poetica, a Rettorica, a critica, e a moralità". E subito aggiunge: "Questa ultima spezieltà è stata il fondamento, e il fine principalissimo di tutte queste fatiche; stimando esser opera più cristiana, e più degna d'incamminar gli uomini per la via del cielo, che occuparli nelle discipline mondane..." (Proginnasmi poetici, p. 16).
Il titolo rinvia a Leone Sofista. Le analisi degli autori rappresentano una vastissima miniera di informazioni; pedanterie grammaticali si succedono ad osservazioni interessanti ed originali, in una congerie interminabile di citazioni e rinvii a brani ed autori latini, greci e italiani. Il F. partecipa alla polemica Ariosto-Tasso, parteggiando per quest'ultimo. Posizione originale tiene sul piano della lingua: difende il fiorentino moderno e lo giudica il migliore idioma d'Italia; i motivi sono da ricollegarsi alla grande conformità con gli antichi scrittori. A tutto questo si aggiunge una profonda diffidenza verso la poesia guariniana: il F. contesta il successo del Pastor fido e ne trae lo spunto per conclusioni di carattere generale: "E perocché nelle poesie che si leggono, a prima vista si offerisce la locuzione, e poi a bell'agio si considerano la favola, il costume e la sentenza, tre circostanze più nobili e più essenziali, per questo rispetto ella s'impadronisce del senso e il senso tiranneggia poi la ragione: sicché si mette in non cale il più e il meglio" (III, Prog. LI). Ci muoviamo dunque nell'ambito di quello che il Capucci definisce "embrionale naturalismo", che in quel periodo si andava a contrapporre all'idealismo estetico di Aristotele. Il narratore "dee parlar più naturalmente e con manco artifizio: altrimenti la imitazione rimarrebbe sotterrata e illanguidita per lo sopraffacimento tirannico delle graziose parole (III, Prog. LXXXI).
In coerenza con i presupposti controriformisti e ben in sintonia con le linee del barocco moderato di area romano-toscano-ligure, nel 1633 a Firenze vedevano la luce gli Esercizi morali, dedicati "Alla Santissima, e individua Trinità": opera di impegno ben chiarito dalle prime pagine, nelle quali a proposito della poesia il F. rinvia alla necessità di tener presente la Sacra Scrittura. La poesia deve "generare virtù" e se "non contiene gli alimenti dell'anima, che sono benefizi sacramentali" essa è "nutrice di fame". Nello stesso 1633 venne pubblicato il volume Osservazioni di Creanze: 203 precetti di argomento morale, letterario, grammaticale, supportati da rinvii ad autori classici e moderni. Nel 1675 il Coltellini, con lo pseudonimo apatista di Ostilio Contalgeni, ripubblicherà a Firenze le Osservazioni, aggiungendone di sue (Osservazioni di Creanze Udeno Nisieli autore. Aggiuntevene alcune del Sig. Ostilio Contalgeni. F. la vita dell'Autore del S. N. S.). Il biografo del F. è Noferi Scaccianoce ("S. N. S."), anagramma per Francesco Cionacci.
Pochi mesi prima di morire, vedevano la luce in un unico tomo i due opuscoli del Rimario e del Sillabario.
Morì a Firenze il 30 giugno 1642.
Il Cionacci, nella sua biografia, ricorda che fu sepolto nella chiesa di S. Basilio dei confrati della Congrega dello Spirito Santo, ai quali lasciò l'eredità "della sua Libreria, e de suoi scritti, e d'un lascito sufficiente per la celebrazione d'alcuni vespri" (p. XXXXVIII). Particolarmente puntuale la descrizione delle opere edite ed inedite; di queste ultime già allora alcune erano considerate perdute.
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