Ghiglia, Benedetto
Compositore, nato a Fiesole il 27 dicembre 1921. Inizialmente influenzato dalla musica dodecafonica, G. ha poi articolato il suo discorso musicale in altre direzioni, anche perché il quadro estremamente variegato dei film cui ha preso parte, dall'apologo sociale pasoliniano al western all'italiana, dal cinema politico alla commedia, l'ha obbligato a un'estrema multiformità espressiva. L'utilizzo di motivi classicheggianti, talvolta con l'innesto di citazioni di celebri brani operistico-sinfonici, o, alternativamente, il ricorso alla musica pop ‒ i ritmi beat ritornano in alcuni dei suoi film più importanti ‒ rappresentano comunque due costanti nella sua produzione.
Dopo un'iniziale attività di autore di musiche di scena per spettacoli teatrali (un background comune a molti musicisti di cinema della sua generazione), G. cominciò a comporre per il grande schermo, dedicandosi in particolare ai documentari: un genere che non avrebbe abbandonato neanche una volta divenuto, dalla metà degli anni Sessanta, musicista per il cinema tra i più prolifici e richiesti. In una messe di opere che comprende anche lavori commerciali e di routine, spiccano le incursioni nel cinema italiano 'arrabbiato' degli anni Sessanta, testimoniate dalle musiche di La notte pazza del conigliaccio, commedia antiborghese di Alfredo Angeli del 1967, e di Il gatto selvaggio (1969) di Andrea Frezza, uno dei primissimi film sulla contestazione studentesca. Quasi naturale sbocco rispetto a questo percorso appare l'incontro con il Pier Paolo Pasolini di Porcile (1969), opera per la quale G. realizzò una colonna sonora ricca di prestiti da temi popolari e canzoni di malaffare. Contemporaneamente però offriva il suo mestiere anche a film di impianto più tradizionale, come La bugiarda (1965) di Luigi Comencini; oppure si metteva al servizio del cosiddetto cinema di genere, fornendo numerosi apporti al western all'italiana, all'epoca in piena fioritura. A questo proposito appare sufficientemente significativo un semplice dato statistico: tra il 1965 e il 1966 G. firmò le colonne sonore di ben cinque film di questo tipo, tra cui quella di Django (1966) di Sergio Corbucci, dove la violenza delle immagini viene efficacemente riproposta nella partitura.
Gli anni Settanta hanno sempre più spinto il compositore verso un cinema ideologicamente impegnato e politicamente schierato: Corbari, diretto da Valentino Orsini nel 1970, sulla figura di un combattente partigiano; l'analisi della vita di fabbrica di Trevico-Torino: viaggio nel FIAT-Nam (1973) di Ettore Scola, opera a metà tra la fiction e il reportage, per la quale ha ripescato nel suo passato di musicista per documentari; l'amara riflessione sull'utopia di alcune istanze rivoluzionarie di San Michele aveva un gallo (1975) dei fratelli Taviani. Inoltre, gli anni Settanta hanno consentito a G., che nel frattempo aveva preso a comporre anche per la televisione, un riuscito sodalizio con il cinema atipico e appartato di Franco Brusati, grazie a I tulipani di Haarlem (1970) e Dimenticare Venezia (1979); per quest'ultimo film ha realizzato forse la sua partitura più ambiziosa, con l'elaborazione di temi di impianto neoclassico e costellata di citazioni di Ch.W. von Gluck e G.B. Pergolesi.