MARCELLO, Benedetto Giacomo
Nacque a Venezia il 24 luglio 1686, ultimogenito di Agostino, del ramo alla Maddalena, e di Paolina Cappello S. Lunardo, patrizi veneti (la data del 24 giugno, riportata in diverse fonti storiche e biografiche è in realtà dovuta a un errore di trascrizione).
Il padre era un uomo di vasta cultura, componeva versi, suonava il violino e animava il proprio salotto con esecuzioni musicali. Pur vantando antica nobiltà e passato illustre, all'epoca del M. la famiglia toccò probabilmente uno dei suoi punti più bassi nella vita politica, efficacemente controbilanciato, in ogni caso, da un elevato grado di prestigio artistico. La madre si dedicava al disegno e alla poesia; di proprietà di un ramo della sua famiglia, assai agiata e influente, era il teatro S. Angelo, importante sede di rappresentazioni operistiche nella città lagunare. Entrambi i fratelli del M., Alessandro e Girolamo, coltivarono interessi letterari. Dall'ambiente familiare derivarono senza dubbio numerose peculiarità della personalità umana e artistica del M.: la passione per la musica e il teatro, il profondo interesse per la poesia, l'erudizione letteraria, un'accesa sensibilità religiosa, l'orgoglio dell'appartenenza all'aristocrazia veneta.
Secondo i primi biografi, il padre del M. ebbe cura che tutti e tre i figli si applicassero fin dalla più tenera età alla poesia italiana e, a tale scopo, faceva comporre ai ragazzi ogni mattina otto o dieci versi. Il M. fu avviato anche allo studio del violino, ma con risultati in un primo tempo poco lusinghieri.
L'aneddotica settecentesca riporta che una principessa di Brunswick visitò un giorno il palazzo dei Marcello alla Maddalena, dove il maggiore dei fratelli, Alessandro, presentava con regolarità settimanale composizioni vocali e strumentali. Avendo notato il fratello minore, la gentildonna chiese ad Alessandro di cosa si occupasse il M. e ottenne in risposta che il fanciullo poteva al massimo portargli appresso le carte da musica. Ferito nell'amor proprio, il M. decise di dedicarsi allo studio della musica con una straordinaria tenacia e perseveranza (cfr. Fontana, p. 3).
Pur in assenza di notizie precise, si può ipotizzare che il M. sia stato affidato al collegio dei padri somaschi a S. Antonio di Castello. Successivamente, in età compresa fra i diciassette e i vent'anni, approfondì lo studio della teoria e della composizione musicale, profondendovi un impegno così strenuo da mettere a repentaglio la sua stessa salute. Nella formazione musicale ebbe come guida il compositore lucchese F. Gasparini, affermato operista e maestro di coro all'ospedale della Pietà di Venezia, alla cui esperienza pedagogica s'era affidato anche D. Scarlatti. Probabilmente i primi saggi compositivi del M. furono dedicati alle più rigorose applicazioni di artifici contrappuntistici (canoni e imitazioni), mentre la pratica strumentale passò dal violino al clavicembalo. Negli stessi anni cominciarono le letture degli scritti teorici di G. Zarlino accanto allo studio di partiture di grandi maestri del passato - G. Pierluigi da Palestrina, C. Gesualdo, C. Monteverdi, G. Frescobaldi, G. Carissimi - fino ai più moderni A. Stradella, G. Legrenzi, G.B. Lulli, M.-A. Charpentier, H. Purcell, B. Pasquini e A. Corelli.
Nonostante una così forte inclinazione agli studi musicali, il M. fu avviato alla carriera politica, che prevedeva per ogni patrizio del suo rango l'impiego in diverse magistrature della Repubblica. Cominciò a esercitare l'avvocatura e fece la sua prima apparizione in veste togata nell'aprile del 1707, un mese dopo la morte del padre. Il 4 dicembre, all'età di ventun anni, ebbe in sorte la cosiddetta balla d'oro, grazie alla quale poté entrare anticipatamente nel Maggior Consiglio. Fu quindi eletto officiale alla Messetteria (29 sett. 1711), giudice all'Esaminador (4 marzo 1714), officiale alla Ternaria vecchia (1° luglio 1715), membro della Quarantia civil vecchia (14 febbr. 1717), provveditore a Pola (28 giugno 1733), officiale alla Giustizia vecchia (25 sett. 1735) e infine camerlengo a Brescia (5 genn. 1738). Si tratta di un cursus honorum dal profilo non particolarmente elevato, tanto che lo stesso M., nell'autobiografica Fantasia ditirambica eroicomica (1738), lamentò l'aridità di una routine burocratica che sottraeva tempo prezioso alle attività artistiche.
Nel 1707 fece un viaggio a Firenze, dove è possibile che abbia incontrato G.Fr. Händel. Secondo i più antichi biografi, nello stesso anno il M. esordì come poeta librettista, pubblicando in forma anonima il dramma per musica La Fede riconosciuta, rappresentato nel teatro di Piazza di Vicenza. Al 1708 risale invece la prima raccolta musicale a stampa: dodici Concerti a cinque con violino solo e violoncello obligato, pubblicati a Venezia come op. I, di cui purtroppo è andata perduta la parte del violino principale. Il secondo di tali concerti fu trascritto per strumento a tastiera da J.S. Bach (BWV 981). Sul frontespizio dell'edizione originale il nome dell'autore compare a chiare lettere, accompagnato dalla caratteristica qualifica di "nobile veneto, dilettante di contrapunto".
Grande importanza, in questa prima fase della carriera poetico-musicale del M., ebbero i cordiali e duraturi rapporti con la famiglia romana dei Borghese, in particolare con la principessa Livia Spinola Borghese, alla quale tra il 1709 e il 1710 furono dedicati l'oratorio La Giuditta (musica e poesia del M.) e la serenata La morte d'Adone (musica del M., poesia d'ignoto), opere felici, che presentano diversi punti di contatto con lo stile italiano di Händel. Per intercessione dell'erudito B. Garofoli e degli stessi Borghese, con i quali era in stretto contatto anche il fratello Alessandro, il M. fu quindi aggregato all'Accademia dell'Arcadia con il nome di Driante Sacreo (ottobre 1711). A Livia Borghese il M. inviò ripetutamente, almeno fino al 1714, diverse composizioni musicali da camera, tra cui piccole cantate e duetti a beneficio delle cantanti Laura e Virginia Predieri.
Il M. giunse ben presto a un nuovo prestigioso riconoscimento: l'ammissione all'Accademia filarmonica di Bologna (dicembre 1711). A tale scopo aveva inviato a G.A. Perti una messa a quattro voci con dedica a papa Clemente XI, composta con i più raffinati artifici della tecnica canonica. I Filarmonici mostrarono di apprezzare il lavoro e se l'ammissione al consesso bolognese fu certo agevolata dalle buone relazioni del M. con gli ambienti romani e con la S. Sede, non bisogna tuttavia nutrire dubbi sulla solida preparazione tecnica del giovane contrappuntista. Il doppio successo del 1711 fu esibito sul frontespizio Suonate a flauto solo con il suo basso continuo per violoncello o cembalo op. II (Venezia 1712), in cui l'autore si proclamò "accademico filarmonico ed arcade".
Dal carteggio con Livia Borghese si evince che il M. seguiva con grande interesse, sia a Venezia sia a Bologna, le rappresentazioni teatrali di melodrammi composti dal suo maestro Gasparini dedicando grande attenzione alle esecuzioni di volta in volta offerte dalle varie compagnie di canto: sono dunque da ricercare in questo periodo alcune esperienze decisive che più tardi condussero alla stesura della celebre satira Il teatro alla moda.
Al 1713 risalgono 24 cantate per voce sola e basso continuo, eseguite con cadenza settimanale in private accademie, sul modello di quelle promosse dalla gentildonna veneziana Isabella Renier Lombria in cui mosse i primi passi artistici la celebre cantante Faustina Bordoni. Nel catalogo del M. il cospicuo repertorio delle cantate da camera supera le trecento composizioni. La sensibilità letteraria e la maestria della scrittura vocale fanno del M. uno fra i compositori più autorevoli in questo genere accanto ad A. Scarlatti. La maggior parte delle cantate del M. intona testi di argomento arcadico-pastorale, ma non mancano ambiziose incursioni nel genere eroico, rappresentato da temi storico-mitologici o tratti dall'epica classica (Cleopatra, Lucrezia, Andromaca, Medea, Erode, Catone).
In parallelo il M. coltivò la musica strumentale, tanto che la sua opera, oltre alle due citate raccolte a stampa, annovera sillogi comprendenti sonate per clavicembalo, sonate per violoncello e basso, infine sonate per due violoncelli (o due viole da gamba) e basso, oltre a vari concerti e sinfonie introduttive. Si deve probabilmente identificare in una raccolta di sonate la perduta "opera terza" edita fra il 1712 e il 1717 (cfr. Fontana, pp. 82 s.).
Nel frattempo i sempre più approfonditi studi musicali portarono il M. a scrivere una feroce critica nei confronti di una Raccolta di duetti, terzetti e madrigali del rinomato compositore A. Lotti. Uscì pertanto, intorno al 1716, rigorosamente coperta dall'anonimato, la Lettera famigliare di un accademico filarmonico et arcade sopra un libro di duetti, terzetti e madrigali a più voci stampato in Venezia da Antonio Bortoli l'anno 1705.
Lo spietato pamphlet, che ambienti accademici bolognesi già all'epoca riconducevano alla paternità del M., denunciava ogni minima infrazione alle regole dell'armonia e del contrappunto, e soprattutto bollava come "triviali" o improprie alcune soluzioni compositive. Nell'Ottocento, quando del M. si apprezzavano soprattutto le audaci sperimentazioni armoniche, furono espressi forti dubbi sull'autenticità di tale scritto, ritenuto sin troppo pedante e retrivo, ma un confronto con le dichiarazioni teoriche presenti nel Teatro alla moda o nelle prefazioni a l'Estro poetico-armonico permette di confermare che la Lettera famigliare appartiene allo stesso sistema di pensiero. Per motivi non chiari l'operetta restò incompiuta (se ne conserva un unico esemplare a stampa presso la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia), ma ebbe come controparte pratica un'importante raccolta musicale: le Canzoni madrigalesche op. IV, edite a Bologna nel 1717 e dedicate ai "dotti e savi contrapuntisti": con questi componimenti il M. intendeva fornire un buon esempio di moderno e vario stile madrigalesco, non privo di forti e sorprendenti tensioni armoniche ma nello stesso tempo depurato da quelle improprietà di scrittura in cui era precedentemente incorso Lotti.
Che il M. stesse acquisendo una vera e propria autorevolezza accademica trova conferma nella partecipazione a una commissione di concorso, riunitasi nel 1721, per la nomina d'un nuovo maestro di cappella in S. Giacomo degli Spagnoli a Roma. Se la Lettera famigliare e le Canzoni madrigalesche miravano a consolidare il prestigio dell'autore presso i membri dell'Accademia filarmonica di Bologna, i successivi Sonetti di Benedetto Marcello, nobile veneziano, tra gli Arcadi, Driante Sacreo (Venezia 1718) riaffermavano non sopite ambizioni in campo letterario. Nella premessa di questa raccolta - preceduta dalla partecipazione all'edizione collettiva Corona poetica in morte di… Lodovico Flangini (Venezia 1717) - il M. dichiarava "d'essersi abbandonato soverchiamente negli anni suoi giovenili a l'amorosa passione": forse si può ravvisare un indiretto riferimento alle centinaia di cantate per voce e basso continuo, quasi tutte d'argomento amoroso, di cui il M., oltre alla musica, scrisse con ogni probabilità i testi poetici.
Dal crescente interesse per il mondo classico originarono due significativi lavori corali: le musiche di scena, oggi perdute, per la tragedia Ulisse il giovane di D. Lazzarini, professore di lettere antiche all'Università di Padova, e i cori per la tragedia Lucio Commodo (1719), originariamente scritta in francese da Th. Corneille, quindi tradotta in italiano dal bolognese A. Zaniboni. Le recite del Lucio Commodo ebbero il singolare complemento di due intermezzi, Spago e Filetta, che rappresentano nell'opera del M. l'unico contributo al teatro musicale comico.
Nella piccante satira letteraria del Teatro alla moda, uscita anonima a Venezia nel 1720, si riflettono nuovamente il vagheggiato ritorno alla dignità classica e la netta opposizione alle degenerazioni del gusto moderno.
Il famoso libello costituisce uno spiritoso e corrosivo trattato alla rovescia in cui il M. impartisce consigli ironici e paradossali a poeti, compositori, cantanti, impresari, orchestrali, ballerini, maschere, "affittascagni". Dietro le diciture enigmatiche di un frontespizio apparentemente surreale si riconoscono personaggi assai noti in quegli anni: i compositori A. Vivaldi ("Aldiviva"), G. Orlandini ("Orlando") e G. Porta, il poeta G. Palazzi, le cantanti Caterina Borghi, Cecilia Belisani, Caterina Teresa Cantelli, Anna Maria Strada e Antonia Maria Laurenti Novelli (detta "la Coralla"), l'impresario Giovanni Orsatti. Particolarmente curiosi, nelle pagine dedicate alle cantatrici, i numerosi passi in vernacolo bolognese. Anche in questo caso, malgrado l'anonimato con cui fu data alle stampe l'operetta, si svelò ben presto l'identità del vero autore, come attesta una lettera di A. Zeno del 1721.
Una pittoresca rappresentazione dell'ambiente legato al teatro d'opera si trova pure nella cantata Carissima figlia, in cui il M. mise in musica una sedicente lettera in prosa indirizzata alla cantante Vittoria Tesi a firma del maestro di canto C.A. Benati (Bologna, 6 dic. 1718). La frusta marcelliana sfiora altresì la ferocia nel testo e nella musica di due madrigali satirici a scherno degli evirati cantori.
Ma dopo Il teatro alla moda l'epoca delle burle lasciò spazio a occupazioni più serie. Con la collaborazione letteraria del patrizio G.A. Giustinian il M. si dedicò a porre in musica i primi cinquanta salmi della Bibbia: videro così la luce a Venezia, tra il 1724 e il 1726, gli otto tomi in folio dell'Estro poetico-armonico su cui si fonderà principalmente la rinomanza in vita e postuma del Marcello.
La monumentale edizione realizzata dallo stampatore veneziano D. Lovisa poté contare sul contributo artistico di S. Ricci, coautore delle incisioni riprodotte nelle antiporte. Uno straordinario interesse rivestono le ampie e dotte prefazioni premesse a ciascun volume: il M. vi affronta questioni che spaziano dalla storia musicale dell'antichità ebraica e classica all'enunciazione di principî estetici, tra cui la "nobile semplicità" degli Antichi, che di lì a non molto paleseranno strette consonanze con il neoclassicismo di J.J. Winckelmann e la riforma operistica di Chr.W. Gluck.
I testi predisposti da Giustiniani sono libere parafrasi salmodiche in poesia italiana: la rinuncia alla lingua latina avvicina i salmi dell'Estro poetico-armonico al genere della cantata da camera spirituale, separandoli dalla musica sacra d'impiego liturgico. Tali peculiarità favorirono la diffusione dell'opera anche al di fuori dei Paesi cattolici, specialmente in Germania e in Inghilterra. L'organico vocale varia da una a quattro voci e presenta una ricorrente alternanza fra solisti e coro, mentre l'accompagnamento strumentale è affidato al solo basso continuo con la sorprendente esclusione dei violini: solo i salmi XXI e L prevedono l'eccezionale impiego di due viole concertanti. Ciascun salmo alterna liberamente brani madrigaleschi a più voci, brevi arie solistiche (usualmente prive di "da capo"), recitativi e ariosi. L'attenzione del compositore si concentra sul significato del testo, spesso illustrato mediante sottili madrigalismi. Non sono rare le arditezze armoniche, tanto che le prime tre battute del salmo XXXVI coprono il totale cromatico. Se la citazione di due melodie dell'antica Grecia accresce il prestigio culturale della raccolta, l'attenzione per i canti tradizionali delle comunità ebraiche di Venezia, di cui sono accuratamente trascritte undici intonazioni con relativo testo letterario, contribuisce a fare del M. un valido etnomusicologo ante litteram.
Le prime esecuzioni dei salmi ebbero luogo a Venezia, nella Cavallerizza alle Fondamenta nove, con appuntamenti regolari programmati una volta alla settimana. Nella biografia settecentesca di Fontana si legge che il M. stesso sedeva al clavicembalo correggendo scrupolosamente ogni difetto di tempo o d'intonazione ed evitando che cantanti e strumentisti portassero modifiche o aggiunte improprie al testo musicale. Il diario di viaggio del musicofilo olandese Jan Alensoon descrive un incontro con il M. avvenuto nel febbraio del 1724, seguito dall'ascolto di alcuni salmi intonati con ripieni corali. Alensoon ebbe anche modo di conoscere la "signora Rosanna", futura moglie di Benedetto, e ne ammirò l'eccezionale estensione della voce, che copriva ogni registro compreso fra tenore e soprano.
Nel 1725, divenuto ormai autore di fama europea, il M. scrisse poesia e musica di una serenata in onore dell'imperatore Carlo VI ("Nasce per viver sempre"), la cui prima esecuzione a Vienna ebbe fra gli interpreti l'acclamata Faustina Bordoni. Seguirono altri lavori drammatici: gli intrecci scenici Arianna e Psiche su testi di V. Cassani, forse preposti a festeggiare il soggiorno veneziano del cardinale P. Ottoboni (1726), e l'azione sacra Joaz (1727 circa) su libretto di Zeno, destinata alla corte di Vienna. Purtroppo la musica di Psiche è in gran parte perduta. Ciascuno di questi lavori include plastici recitativi e grandi arie con "da capo", spesso di forte impegno vocale, con floridi accompagnamenti strumentali. Se il M., in coerenza con il suo status di patrizio, non compose mai la musica di un melodramma, tuttavia le sue serenate a uso di scena e gli oratori, destinati rispettivamente a circoli di aristocratici o ecclesiastici, rivelano una sensibilità drammaturgico-musicale delle più fini.
Allo stesso periodo risalgono due cantate drammatiche di proporzioni monumentali su testo dell'abate Antonio Conti: Timoteo e Cassandra. Le severe premesse estetiche dei salmi vengono qui portate al culmine: la musica appare strettamente subordinata alla poesia, le forme chiuse cedono il passo al recitativo e all'arioso, l'accompagnamento strumentale è limitato al solo basso continuo. Si tratta di opere assai impegnative e caratterizzate da un'audace ricerca sperimentale, il cui intellettualismo, tuttavia, sembrò alquanto arido a taluni commentatori settecenteschi, tra cui Ch. Burney. D'altra parte, l'abate Conti era un poeta di fama europea che - accanto all'interesse antiquario per i poemi omerici, fonte della cantata Cassandra - teneva d'occhio la letteratura moderna inglese e francese (Timoteo si basa su un'ode di J. Dryden); sicché la sua reputazione internazionale ebbe un ruolo rilevante nel diffondere la musica del M. presso le più esclusive cerchie dei dotti.
Il 20 maggio 1728 il M. sposò segretamente la diletta allieva Rosanna Scalfi, giovane di umile condizione, allora ventiquattrenne: l'aveva sentita cantare per la prima volta cinque anni prima sui battelli notturni del Canal grande ed era rimasto sbalordito dalla sua voce. Prese dunque l'indigente ragazza sotto la propria protezione occupandosi personalmente del suo mantenimento e della formazione musicale. Il matrimonio avvenne in segreto, a seguito di un'istanza inviata dal M. al vicario generale del Patriarcato, ma è evidente che la famiglia del M. accolse nel peggiore dei modi tale decisione. Infatti Alessandro Marcello nel 1742 fece causa alla Scalfi riguardo alcune irregolarità nelle pratiche ereditarie e in un codicillo del 1745 prese provvedimenti cautelativi onde evitare che uno dei propri discendenti "avesse così poco d'onore di deturpare la sua nobiltà col sposar femmine di vil condizione" (Del Negro, p. 30).
Un altro episodio decisivo ebbe luogo il 16 ag. 1728. Recatosi nella chiesa dei Ss. Apostoli, il M. s'incamminò verso l'altar maggiore, ma sprofondò improvvisamente sino al petto in una lapide sepolcrale apertasi sotto i suoi piedi: l'incidente fu interpretato come un sinistro presagio e diede avvio a una profonda crisi religiosa. Secondo i biografi settecenteschi, dopo una notte di cupi pensieri, il M. si pentì di tutte le colpe passate e decise di iniziare una "vita nuova". Da allora si dedicò prevalentemente allo studio delle Scritture e alla composizione di poesie sacre, tra cui la raccolta A Dio. Sonetti… con altre rime, di argomento sacro e morale (Venezia 1731), che conobbe all'epoca una certa diffusione. Soprattutto il M. diminuì in modo drastico l'attività musicale, avvertendo come peccaminosa non solo la musica profana, ma anche ogni forma di ambizione artistica, inclusa quella che aveva animato l'audace impresa dei salmi. In un primo tempo, preso da fervore religioso, il M. meditò un completo abbandono dell'arte dei suoni, tanto da declinare l'invito rivoltogli da S. Maffei a porre in musica il dramma pastorale La fida ninfa (successivamente intonato da Vivaldi), ma a seguito di continui ripensamenti non disdegnò di coltivare i generi musicali di più stretta osservanza religiosa. Videro così la luce due grandi oratori per la festa dell'Assunzione della Beata Vergine: Il pianto e il riso delle quattro stagioni dell'anno (Macerata, chiesa dei Gesuiti, 1731) e Il trionfo della poesia e della musica (1733), entrambi su libretti formalmente attribuiti al padre gesuita G. Vitelleschi, ma con ogni probabilità redatti dallo stesso Marcello. Risale forse al medesimo periodo la composizione della pregevole Messa da requiem in sol minore e di altre pagine religiose, oggi perdute (Treni di Geremia, Te Deum, ecc.).
Nel corso degli anni Trenta il M. infittì i colloqui personali e gli scambi epistolari con numerosi letterati del suo tempo: da L.A. Muratori, interpellato per un parere sui Sonetti a Dio, ad A. Zeno, conosciuto fin dagli anni giovanili e sempre assai stimato. Pure l'abate Conti, il fido G.A. Giustiniani, il pittore G. Cignaroli, i librettisti D. Lalli (nom de plume di S. Bianciardi) e A. Boldini, furono periodicamente consultati per ottenere un "esame critico" del vastissimo poema sacro La Redenzione, cui il M. attese lungamente. Frattanto la sua salute aveva cominciato a declinare in modo irreversibile, soprattutto dopo il soggiorno a Pola (1733-35), in cui il M., come provveditore della Repubblica di Venezia, svolse incombenze amministrative. Tornato dall'Istria, provò grande amarezza nel constatare che a Venezia non v'era più passione alcuna "per le cose nobili, per la scienza e per l'arte" (lettera al conte D. Florio dell'8 maggio 1736; cit. in Giazotto, p. 296).
Due anni dopo, nel 1738, fu inviato a Brescia come camerlengo: nella città lombarda, oltre a svolgere incarichi governativi, si dedicò assiduamente a pratiche religiose e devozionali. Nello stesso tempo frequentò il cardinale A.M. Querini, l'erudito G. Mazzuchelli e vari rappresentanti dell'aristocrazia locale, con cui discusse gli argomenti e la versificazione del sacro poema; riprese inoltre l'attività musicale dirigendo di persona alcuni salmi all'oratorio della Pace. La vena satirica d'un tempo riaffiorò per l'ultima volta in un bizzarro componimento poetico, la Fantasia ditirambica eroicomica [Brescia 1738, inedita] in cui toni pomposamente aulici si alternano con passi in prosa contabile, esempi musicali e versi in dialetto bresciano. Intanto, giorno dopo giorno, le sue forze venivano meno. Preoccupato di lasciare imperfetto il poema della Redenzione, il M. si recò al santuario di Caravaggio nella speranza di una guarigione miracolosa, ma fu colto da nuovi affanni respiratori e i medici gli diagnosticarono un'incurabile forma di tubercolosi. Nel testamento dettato il 22 luglio 1739, in assenza di figli, nominò erede universale la "dilettissima consorte" Rosanna Scalfi e affidò a S. Molin l'incompiuto poema sacro, di cui oggi restano solo i primi due canti.
Il M. morì a Brescia il 24 luglio 1739, giorno del suo cinquantatreesimo compleanno.
Con esequie solenni fu sepolto nella chiesa bresciana di S. Giuseppe, annessa al convento dei minori osservanti, dove sulla pietra tombale, ai piedi dell'altar maggiore, si legge un'epigrafe commemorativa dettata dalla vedova. Poco tempo dopo la scomparsa del M., il cardinale Ottoboni promosse in Roma, nel palazzo della Cancelleria apostolica, un'esecuzione integrale, articolata in più settimane, dei cinquanta salmi.
Il M. ebbe pochi allievi compositori: oltre alla moglie, autrice di cantate, si ricorda G. Zorzi, maestro di cappella a S. Giovanni Laterano in Roma. Resta confuso nella leggenda e storicamente non documentato il ruolo svolto dal M. nell'avviare la carriera teatrale del giovane B. Galuppi. D'altra parte, la fama di cui godette l'Estro poetico-armonico nel Sette e nell'Ottocento fu immensa: tra gli ammiratori dell'opera si annoverano G.Ph. Telemann, J. Mattheson, P. Locatelli, Ch. Avison, F. Algarotti, J.W. Goethe, G. Rossini, L. Cherubini, Fr. Chopin, Ch. Alkan (Morhange), A. Boito e G. Verdi.
Il linguaggio musicale del M., pur presentando tratti del tutto personali, condivide alcuni stilemi praticati dai maestri veneziani coevi: per esempio, al pari di Vivaldi, fa un larghissimo impiego di progressioni, e in numerosi passi ricorre al quarto grado innalzato nel basso. Elementi caratteristici della sua musica sono alcuni moduli ritmici, quali le insistite figurazioni puntate ("saccadé") negli Adagio o le vigorose emiolie cadenzali nei tempi rapidi. Nelle composizioni strumentali si assiste a un graduale abbandono dei movimenti bipartiti con asimmetrie barocche e lunghe progressioni (sonate per flauto op. II) per approdare a modelli pregalanti, con frasi più quadrate e un'articolazione in protoforma-sonata (cfr. sonate per due violoncelli e basso continuo, sinfonia dell'Arianna e altre ouverture degli anni Venti, in aggiunta ad alcune sonate per clavicembalo). Nei concerti op. I, che presentano una prevalente suddivisione "da chiesa" in quattro movimenti (Adagio, Allegro, Adagio, Allegro), la struttura a ritornello, spesso contrappuntisticamente densa, si alterna con più usuali forme bipartite su moduli di danze stilizzate.
Nella musica vocale, tradizione e innovazione danno luogo a singolari incontri. I componimenti a due, tre o quattro voci hanno una dichiarata impostazione madrigalesca, fondandosi sul principio delle imitazioni fra le parti con accompagnamento di basso strumentale, talvolta limitato alla mera funzione di basso seguente. Se gli artifici contrappuntistici impiegati dal M. (canoni, "rovesci", contrappunti doppi) si rivolgono ai cultori dell'arte compositiva, altrove il musicista persegue un'arcadica semplicità, con linee melodiche essenziali e disadorne. Allo stesso modo, la vocalità tocca momenti di grande virtuosismo nelle arie solistiche di serenate e oratori, ma può anche limitare severamente l'impiego di prolungati melismi e fioriture, come per lo più avviene nei salmi. Va osservato che in alcune cantate, probabilmente destinate alla moglie, l'ampiezza della tessitura vocale è abnorme. Tipica del M. è un'inclinazione alla bizzarria, attestata fra l'altro in alcune cantate sperimentali come Medea (i cui frequenti cambi di metro alludono al furore della protagonista), La stravaganza (scrittura enarmonica), Carissima figlia (testo in prosa). Nei casi migliori, l'impiego personale di armonie stranianti - con modulazioni improvvise, cromatismi, accordi di sesta eccedente, impiego dell'intervallo melodico di quarta diminuita - avvicina il M. ai modelli di stile "sublime" teorizzati nel medio e tardo Settecento.
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Vaticana, Vat. lat., 9281, c. 12: Notizie intorno a B. M. comunicate da p. don Camillo Almici bresciano; Arch. di Stato di Brescia, Notarile, notaio Camillo Martinelli, Testamenti, filza 10579; V. Coronelli, Cronologia de' veneti patrizj…, Venezia 1714, p. 203; A. Conti, Prose e poesie, Venezia 1739, I, pp. XLII s.; II, pp. CXXVII-CXXXII; C. Avison, An essay on musical expression, London 1752, pp. 100-103; G.M. Mazzuchelli, Vita di B. M., in Memorie per servire all'istoria letteraria, Venezia 1757, t. 10, pp. 149-151; Memoirs of the life of B. M. n.h., in The first fifty psalms set to music by B. M. and adapted to the English version by John Garth, London 1757, pp. n.n.; Ch. Burney, Viaggio musicale in Italia (1771), a cura di E. Fubini, Torino 1979, I, pp. 150, 152; A. Zeno, Lettere, Venezia 1785, III, p. 257; IV, p. 58; F. Fontana, Vita di B. M. patrizio veneto, Venezia 1788; F. Caffi, Della vita e del comporre di B. M., Venezia 1830; Z. Morosini, B. 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