LUSCHINO, Benedetto (Bettuccio)
Nacque tra il marzo e il settembre del 1470 a Firenze, nel quartiere di S. Croce, nono figlio di Paolo di Matteo, anziano orafo, e di Domenica. Durante la sua prima giovinezza svolse l'attività di cartolaio, ma soprattutto di miniatore, entrando in contatto, sicuramente almeno dal gennaio 1488, con la bottega di Luca Della Robbia. Poco si sa di questa sua attività ed è incerta l'attribuzione delle prime opere, a esclusione di un volto di Girolamo Savonarola miniato su un codice contenente il secondo libro della Nova Hierusalem.
Sempre nel corso del 1488 frequentò la Compagnia laicale di S. Paolo in via dell'Acqua, composta da molti elementi filomedicei, ma anche da vari piagnoni, quali Domenico Benivieni, Lorenzo Violi, Iacopo Salviati e, infine, da diversi membri della famiglia Cinozzi, in particolare Piero. Dopo pochi mesi, il 21 marzo 1489, fu ammesso definitivamente nella Confraternita di S. Paolo.
Negli anni successivi, fino al 10 marzo 1496, il L., nonostante una condotta di vita piuttosto dissoluta, avrebbe partecipato ampiamente alle pratiche religiose e sacramentali della Confraternita, ricoprendo anche la carica quadrimestrale di cartolaio in due occasioni: dal 3 maggio al 12 sett. 1498 e dal 2 maggio al 5 settembre dell'anno seguente. Tuttavia la sua indole irrequieta e veemente non tardò a procurargli provvedimenti disciplinari: il 4 sett. 1490 il governatore della compagnia deliberò nei suoi confronti una "correzione", ribadita quattordici giorni dopo.
In questo periodo - nel quale il L. si assentò da Firenze solo in due momenti circoscritti: dal 15 novembre al 6 dic. 1490, e dal 7 maggio al 15 giugno 1491 - sappiamo che egli si dedicò anche al canto e alla musica.
Durante la quaresima del 1494 assistette alla predica sull'Arca del Savonarola e ne rimase profondamente segnato. Di lì a pochi mesi concepì il proposito di entrare nell'Ordine dei predicatori e di dedicare la propria vita alla conoscenza e alla realizzazione della renovatio religiosa del Savonarola. Superato un periodo di prova in cui il L. aveva svolto l'ufficio della sepoltura dei morti e aveva assistito gli infermi in un ospedale fiorentino, il 7 nov. 1495 vestì l'abito domenicano per divenire professo il 13 nov. 1496. Si aprì un periodo nel quale, risiedendo nel convento di S. Marco e ascoltando le prediche del Savonarola, osservò costantemente e si sforzò di seguire l'esempio del maestro, pur ricevendone un rimprovero, in una lettera del 13 sett. 1497, per non aver rispettato un voto. Il 7 aprile dell'anno successivo il L. fu presente all'episodio della mancata prova del fuoco e poi, nel corso dell'attacco a S. Marco del giorno successivo, combatté risolutamente per difendere il convento, cercando anche di condividere la sorte del Savonarola in seguito alla sua cattura. Dopo aver vissuto con sgomento le esecuzioni capitali del maestro, di fra' Silvestro Maruffi e fra' Domenico Buonvicini, avvenute il 23 maggio 1498, il L. cadde in uno stato di profonda crisi.
A questo periodo risale la composizione del Trialogo dell'uomo carnale e rationale, che circolò anonimo e fu smarrito, nel quale si soffermava su questioni processuali per dimostrare le manipolazioni e le falsificazioni intervenute, secondo lui, ai danni dei tre confratelli. Sospettato di essere l'autore del libello, il L. subì la tortura e il carcere e, poi, pur riuscendo a non confessare, fu allontanato dai suoi superiori.
Il 15 febbr. 1500 si trovava, comunque, a Bibbiena, nel convento di S. Maria del Sasso. Negli anni successivi, almeno fino al maggio 1502, risiedette prevalentemente a Viterbo, nel convento di S. Maria della Quercia, punto di riferimento dei piagnoni fiorentini, ma si recò di nuovo a Firenze nell'aprile 1500 e, in un momento non precisato, a Roma, dove incontrò il canonista, di simpatie savonaroliane, Felino Sandeo (Sandei). Per circa un anno, dalla tarda primavera del 1501 soggiornò inoltre a Lucca, nel convento di S. Romano, dove rivide, tra gli altri, fra' Maurelio, fratello del Savonarola.
È difficile seguire gli spostamenti del L. nel quinquennio successivo: tra il 1504 e il 1505 si trovava verosimilmente a Bologna, il 17 ag. 1507 risiedeva a S. Domenico di Prato; il 30 sett. 1505 il generale dei domenicani gli aveva accordato un servizio religioso di modesto rilievo. Anche in quegli anni convulsi, egli subì sanzioni disciplinari a causa del suo carattere inquieto. Dapprima, il 17 dic. 1507, fu sottoposto a indagine da parte del priore di S. Marco; quindi, il 23 ott. 1509, fu colpito dall'evento che segnò in maniera traumatica il resto della sua esistenza: la condanna al carcere a vita per un omicidio preterintenzionale commesso con ogni probabilità nel contesto delle persecuzioni contro i piagnoni.
Poco è noto sulla dinamica di questo episodio: comunque il L., denunciato da una delle due persone, verosimilmente non appartenenti all'Ordine domenicano, a cui aveva rivelato segretamente l'accaduto, confessò il suo gesto solo in seguito alla tortura. Da quel momento non lasciò le carceri di S. Marco almeno fino al 1523, forse ottenendo solo per un breve periodo un trasferimento in un altro convento dei predicatori in seguito all'intercessione di alcuni influenti savonaroliani, tra cui Zanobi Acciaiuoli.
In quegli anni fu spinto a sviluppare la sua religiosità in senso più meditativo, tanto che, favorito dalla connivenza di molti confratelli e dalla sua condizione di recluso, poté dedicarsi alla stesura di molte opere religioso-devozionali di argomento savonaroliano.
Si tratta di testi conservati solo in forma autografa o apografa, che ebbero una circolazione estremamente limitata, nei quali il L. offre informazioni biografiche, difficilmente reperibili altrove, su se stesso e sul Savonarola. Il più esteso ed emblematico - i Vulnera diligentis (ora a cura di S. Dall'Aglio, Firenze 2002), di cui il Rationale potrebbe costituire un primo nucleo originario - fu composto in volgare tra il 1518 e il 1522 e rielaborato fino al 1523, anche sulla scia di varie altre opere apologetiche nei confronti del confratello, vergate negli anni immediatamente precedenti. Si articola in un proemio e tre libri, nei quali un contadino, rappresentante il L. stesso, dialoga con tre animali simbolici - il toro, la volpe, il serpente, raffiguranti altrettanti "arrabbiati" - oltre che con Gasparo Contarini e con lo stesso Savonarola. È probabilmente perduto un quarto libro, nel quale aveva annunciato un dialogo con il nuovo personaggio simbolico del cane e con una personificazione della Chiesa. Il L. si diffonde sulla biografia del Savonarola, cercando di dimostrare la credibilità delle sue profezie, la veridicità dei suoi miracoli e della sua missione divina, nonché l'iniquità dell'accusa di eresia. Giunge a teorizzare la legittimità della disobbedienza al papa e, per la prima volta in ambito cattolico, la liceità del nicodemismo, in particolare in rapporto alla negazione, compiuta dal Savonarola nel corso del processo, della sua stessa virtù profetica.
Nel 1510 circa, il L. aveva scritto il Cedrus Libani, un poema in versi volgari che utilizza forse più di ogni altra sua opera forme ed espressioni poetiche modellate sulla Commedia dantesca. Qui egli si sofferma ancora ampiamente sulla vita del Savonarola, in particolare sugli episodi della predica sull'Arca, dell'assalto a S. Marco e della sua cattura. Il Fasciculus mirrhae, composto intorno al 1514, anch'esso in versi volgari, presenta carattere eterogeneo e comprende tre libri, che constano rispettivamente di nove cantici devozionali in terza rima, sessantotto sonetti morali, una frottola intitolata Divisio proverbiosa e, infine, una cinquantina di laudi spirituali, tra cui spicca il componimento La carità è spenta. Temi ricorrenti sono quelli del rapporto tra peccato e redenzione e, soprattutto, tra fragilità umana e misericordia divina, affrontati anche dal Savonarola nelle sue ultime due opere, composte nei giorni immediatamente precedenti la morte: i commenti ai salmi Miserere e In te Domine speravi. Anche il Fons vitae, che risale all'arco di tempo 1513-18, si presenta con carattere miscellaneo, in quanto è formato da tre sezioni distinte: da un dialogo tra Dio e il L., che si autodefinisce "homicida", da diciassette visioni e infine da vari inni, meditazioni e preghiere. È da segnalare anche un'altra opera andata perduta, il Calice di salute, la cui esistenza è attestata solo da accenni del Luschino. Altri lavori sono pervenuti in versione incompleta: di un Compendium chronicarum Ordinis fratrum praedicatorum sopravvive soltanto un autografo fiorentino comprendente un proemio e i 49 capitoli iniziali, che trattano degli anni compresi tra 1100 e 1264: impossibile stabilire il periodo di stesura della cronaca, di cui comunque rimangono copie posteriori. Della Nova Hierusalem, una raccolta di brani di prediche savonaroliane, si conservano due copie relative al secondo e all'ultimo libro, scritte non prima del 1517: uno dei due esemplari, però, è postillato dal L. posteriormente al 1548. Infine sotto il suo nome rimangono anche un breve commento al brano sull'albero di fico tratto dal Vangelo di Matteo, risalente al maggio 1517 e dedicato a un confratello, nonché una raccolta commentata di scritti del Savonarola, che comprende trascrizioni di varie sue poesie e una serie di cantici e inni religiosi, anch'essi autografi.
Si registra in seguito più di un quarto di secolo di completa oscurità circa la sua vita: una delibera emanata nel 1532 dal generale domenicano nei confronti di un "frate Benedetto" potrebbe forse dimostrare che a questa data egli era già stato liberato; di sicuro nel 1549 era a Firenze, dove viveva come sacerdote secolare, ormai uscito dall'Ordine e dal carcere. Per replicare al Discorso contra la dottrina et le profetie di fra Girolamo Savonarola (Vinegia 1548), scritto dal vescovo di Minori e controversista domenicano Ambrogio Catarino Politi, e in particolare alla prefazione dello scritto, il L. compose, a partire dal settembre 1548, una Risposta articolata in otto capitoli, con la quale si preoccupava di controbattere puntualmente le asserzioni del Politi circa la veridicità delle profezie savonaroliane e la validità del suo messaggio religioso e morale, ma non di confutare il principale capo di accusa formulato dal Politi, e cioè la concordanza delle tesi del Savonarola con quelle di Lutero. Nel settembre 1549 scrisse all'ex gesuita Guillaume Postel, anch'egli attaccato implicitamente nell'opuscolo del Politi, manifestando il desiderio di incontrarlo a Venezia e fargli leggere il manoscritto, verosimilmente ormai ultimato. Si recò a Roma in occasione del giubileo, nella prima metà del 1550, e sottopose la Risposta al maestro del Sacro Palazzo, Egidio Foscarari, per poi consegnare lo scritto allo stesso Politi, che promise di redigere presto una replica. Tornato poco dopo a Firenze si impegnò nella stesura di una nuova Apologia del Savonarola, più ampia di quella precedente e comprendente 11 capitoli, che terminò nel dicembre 1550: durante questi mesi sollecitò per lettera una risposta da parte del Politi. Il 29 giugno 1551 il L. scrisse di nuovo al vescovo domenicano per ricordargli il suo impegno, ma ottenne di nuovo soltanto silenzio. Al più tardi nel dicembre 1551 redasse una lettera probabilmente mai spedita, indirizzandola prima a Giulio III e poi ai padri tridentini, nella quale riepilogava la controversia con il Politi e auspicava un'improbabile censura dello scritto antisavonaroliano.
Dalla fine del 1551 non si hanno più notizie, né sono noti luogo e data di morte del Luschino.
Fonti e Bibl.: Per la bibliografia e le fonti documentarie si vedano gli studi di S. Dall'Aglio, Riflessioni sulla figura di B. di Paolo L., in Memorie domenicane, n.s., XXIX (1998), pp. 453-483 e la prefazione a B. Luschino, Vulnera diligentis, cit., pp. XXV-XCII; vedi inoltre V. Marchese, Cedrus Libani, in Arch. stor. italiano, App., 1849, t. 7, pp. 41-95; E.C. Bayonne, Étude sur Jérôme Savonarole, Paris 1879, pp. 278-281; P. Villari, La storia di Girolamo Savonarola, II, Firenze 1898, ad ind.; F. Patetta, Fra Benedetto da Firenze al secolo Bettuccio Luschini, in Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, LX (1924-25), pp. 623-659; M. Ferrara, Per la storia del proverbio, Lucca 1925; G. Schnitzer, Savonarola, II, Milano 1931, ad ind.; D. Weinstein, A lost letter of Fra Girolamo Savonarola, in Renaissance Quarterly, XXII (1969), pp. 1-8; M. Firpo - P. Simoncelli, I processi inquisitoriali contro Savonarola (1558) e Carnesecchi (1566-1567), in Riv. di storia e letteratura religiosa, XVII (1982), pp. 204, 214; R. Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, Firenze 1997, ad ind.; L. Lazzerini, Simul iustus et peccator, in Riv. di storia e letteratura religiosa, XXXIX (2003), pp. 541-559.