MANDINA, Benedetto
Nacque a Melfi, da Troiano, intorno al 1580; forse fu battezzato con il nome di Alberico.
Seguendo le orme dello zio Benedetto, vescovo di Caserta fratello del padre, entrò nella casa di S. Paolo Maggiore a Napoli il 14 sett. 1599, vestì l'abito teatino il 16 genn. 1600 ed emise la professione il 17 genn. 1601. Secondo Vezzosi, negli anni del noviziato ebbe come maestro il venerabile Francesco Olimpio e si legò ad Andrea Avellino, di cui dopo la morte, avvenuta nel 1608, promosse la causa di beatificazione, come attestano alcune lettere indirizzate al M. nel 1620. Finiti gli studi, il M. fu scelto come lettore di Scrittura a S. Paolo; in quella veste fece da direttore spirituale ad Andrea Castaldo Pescara e costituì una ristretta accademia dedita allo studio della Bibbia (episodio che ricordò nella prefazione al suo commento sopra Geremia).
Risale a quegli anni un episodio oscuro, di cui resta traccia solo grazie al racconto che ne ha fatto G. Silos. Un nobile spagnolo, Juan López de la Cueva, dopo una vita trascorsa nei piaceri e lontano dalla fede, si ammalò gravemente e nell'agonia sarebbe stato oggetto di vessazioni diaboliche che l'avrebbero condotto alla disperazione. A confortarlo fu chiamato il M., che avrebbe combattuto contro i demoni, assicurando all'uomo una morte serena. Il fatto, scrive Silos, fu raccontato dal M. stesso nell'Epistola a Gio. Batista Castaldo, dell'horribile combattimento e morte di Gio. Lopez (Napoli 1613), rubricata nei repertori teatini del Seicento e oggi, a quanto è dato sapere, perduta.
Un anno dopo, un eclatante episodio di finta santità portò il M. all'attenzione del S. Uffizio romano, che da allora (e fino alla sua elezione a vescovo) si servì di lui come consultore nella città di Napoli. Il caso fu quello della terziaria francescana Giulia Di Marco.
La Di Marco, insieme con padre Aniello Arcieri, suo confessore e superiore del convento dei Ministri degli infermi, e con l'avvocato Giuseppe de Vicariis, aveva costituito un gruppo carismatico che era riuscito ad attirare nella sua cerchia decine di uomini e donne tra i più illustri a Napoli, e aveva acquisito fama anche fuori della città. Ad appoggiare il gruppo erano Caterina Gómez de Sandoval y Rojas, moglie del viceré Pedro Fernández de Castro conte di Lemos, e i gesuiti, che avevano finito per assumere i panni di veri e propri promotori della presunta mistica. Al contrario i teatini (invisi al viceré) avevano preso a osteggiare la Di Marco e i suoi seguaci e protettori, forse timorosi che la venerazione per la donna, di umili origini, potesse oscurare la contemporanea fama di Orsola Benincasa, protetta dai chierici di S. Paolo e, a sua volta, animatrice di un circolo carismatico. I primi sospetti sull'autentica religiosità del gruppo erano sorti già al tempo in cui era ministro dell'Inquisizione romana Deodato Gentile, ma i blandi provvedimenti adottati nel 1606-09 non avevano soffocato la venerazione per la donna che, allontanata dalla città, vi aveva fatto ritorno circondata dall'alone di santità, grazie alla benevolenza del successore di Gentile, il vescovo di Nocera de' Pagani Stefano de Vicariis, parente di Giuseppe.
Fu il M. a muovere il tribunale della fede perché ponesse fine al culto della donna. Conquistata la fiducia di due giovani molto vicine alla Di Marco, Francesca Jencara e Beatrice Urbano, e di due sacerdoti pentiti di esserne stati seguaci, Vincenzo Negro e Roberto de Roberto, il M. si fece raccontare, in confessione e in ripetuti colloqui in cui invogliò i penitenti alla delazione, quanto accadeva nella cerchia ristretta della presunta santa e, con l'aiuto del confratello Marco Parascandolo e del superiore Andrea Castaldo Pescara, assai restio a intervenire, il 31 luglio 1614 sporse denuncia contro la Di Marco, Arcieri e de Vicariis, rivolgendosi di persona al ministro dell'Inquisizione. La reazione di de Vicariis non si fece attendere: recatosi il giorno dopo a S. Paolo Maggiore, l'uomo insinuò che il M. avesse violato il sigillo sacramentale e si mosse per cercare appoggi utili a contrastare l'attacco dei teatini. I padri di S. Paolo, però, diffidando del ministro dell'Inquisizione, si rivolsero all'arcivescovo di Napoli e, segretamente, alla stessa congregazione del S. Uffizio, raccogliendo un fascicolo di prove contro il gruppo.
Si trattava di accuse pesanti che bollavano eresie prequietistiche: Giulia Di Marco, infatti, avrebbe convinto alcuni suoi figli spirituali che uno speciale carisma li rendeva immuni dal peccato nella pratica di atti sessuali, a quanto pare frequenti, e che i sacramenti non avevano valore quando si fosse costruito un legame mistico con Dio. Il S. Uffizio, allarmato dalle notizie fornite dai teatini, sottrasse il caso al suo ministro e lo affidò prima al vescovo di Calvi, Fabio Maranta, e poi al nunzio, Deodato Gentile (che aveva intrapreso l'azione inquisitoriale nel 1609), finendo per trasferire il processo a Roma, lontano dalle manovre messe in atto dal viceré e dalla sua cerchia per salvare la presunta santa da loro venerata. Il S. Uffizio pronunciò la sentenza il 9 luglio 1615, condannando severamente i tre protagonisti al carcere perpetuo: il 12 luglio recitarono le loro abiure nella chiesa romana di S. Maria sopra Minerva e il 9 agosto la sentenza fu letta solennemente anche nella cattedrale di Napoli, alla presenza di molti fedeli.
Con la chiusura del caso Di Marco-Arcieri, il M. tornò a occuparsi principalmente dei suoi studi e in seguito pubblicò un commento al libro di Geremia (In Ieremiae prophetiam expositiones, Neapoli 1620). Era previsto, stando al frontespizio, come primo tomo di un'opera più vasta che non vide mai la luce. I passi biblici sono riportati nella versione della Vulgata, in quella dei Settanta e in quella caldea, e sono accompagnati da una parafrasi e da brani riportati da altri commentatori (non manca un riferimento all'opera di Sisto da Siena, p. 18). Anni dopo, il M. pubblicò un secondo commento, di cui completò, ancora una volta, solo il primo tomo: In Evangelia Quadragesimae (Napoli 1632), dedicandolo al principe Francesco Peretti, discendente di Sisto V.
Dalle autorizzazioni di stampa si deduce che il testo era già pronto, in una prima versione, nel giugno 1629, ma non è noto cosa ne abbia ritardato la stampa. L'opera edita risulta finita il 22 dic. 1631 e mette insieme alcune prediche quaresimali (di cui una dedicata al tema della vana curiositas femminile, p. 471). Qualche anno dopo il M. decise di non continuare più il testo e di pubblicare una terza opera in volgare: il Sacro Convito, overo considerationi circa la Santa Cena del Signore (Napoli 1638).
L'opera è dedicata alla protettrice Anna Carafa, moglie del viceré di Napoli Ramiro Felipe Nuñez de Guzmán duca di Medina de las Torres, e fu scritta per invito di un "personaggio grande". Si compone di 42 capitoli di commento ai passi evangelici sull'eucaristia, da cui traspare una moderata vena mistica condita di citazioni da Platone, M. Ficino, J. de Gerson e B. Arias Montano. La cultura biblica e patristica del M. vi appare tutt'altro che mediocre, ma nell'opera si mescolano riferimenti non consueti ai classici latini e greci (per es. uno al Satyricon di Petronio, p. 675).
Fu il duca di Medina de las Torres, viceré di Napoli, a proporre il M. a Urbano VIII per una sede vescovile, spinto forse dalla moglie, figlia spirituale del M. (come lo erano anche alcune nobili religiose della città), o dal desiderio di ricambiare i favori di un uomo che, dal 1637, lo aveva aiutato a gestire i delicati rapporti con la S. Sede. Da quanto si sa, il M. rifiutò di essere nominato nelle Chiese di Potenza, di Trani e di Matera, ma nell'estate del 1639 accettò la diocesi di Tropea. Il 14 apr. 1640 il capitolo della cattedrale gli votò un sussidio annuo di 1000 ducati e la diocesi fu amministrata per qualche tempo dal vicario capitolare, perché il M. ritardò a lungo il suo trasferimento nella cittadina.
A Tropea il M. morì il 31 maggio o il 30 giugno 1646 e fu tumulato nella chiesa dei gesuiti di S. Nicola.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Stanza storica, I 4-b, cc. 346-454 (carte sul processo di Giulia Di Marco); Napoli, Biblioteca nazionale, S. Martino, 104, cc. 108, 125 e 210 ss.: Compendio di processi di eresie, e particolarmente del p. Agnello Arcierio, suor Giulia de Marchis e Giuseppe de Vicariis; 286: V. Pagano, Relazione sul caso di suor Giulia de Marco, cc. 1-8; 393, cc. 64r, 66r, 69r (lettere al M. del 1620); 677: V. Pagano, Catalogus antiquus clericorum regularium, c. 120v; G.B. Del Tufo, Supplemento alla Historia della religione de' padri cherici regolari, Roma 1616, pp. 96 s.; G. Silos, Historiarum clericorum regularium a Congregatione condita pars altera, Romae 1655, pp. 305 s., 308; pars tertia. Accessit et Theatini Ordinis scriptorum catalogus, Panormi 1666, pp. 225, 332-336, 549 s.; E. Bacco - C. d'Engenio Caracciolo - O. Beltrano, Descrittione del Regno di Napoli diviso in dodeci provincie, Napoli 1671, pp. 181 s.; N. Toppi, Biblioteca napoletana et Apparato a gli huomini illustri in lettere di Napoli e del Regno, Napoli 1678, p. 43; Nomi e cognomi de' padri e fratelli professi della Congregatione de' chierici regolari, Roma 1698, p. 20; I.R. Savonarola, Gerarchia ecclesiastica teatina, Brescia 1745, pp. 38, 56, 103, 109; B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus qui in civitate et Regno Neapolis, Neapoli 1780, p. 99; A.F. Vezzosi, I scrittori de' cherici regolari detti teatini, II, Roma 1780, pp. 29 s.; V. Capialbi, Memorie per servire alla storia della Santa Chiesa tropeana, Napoli 1852, pp. 76-78; C. Padiglione, La Biblioteca del Museo nazionale della Certosa di S. Martino in Napoli ed i suoi manoscritti, I, Napoli 1876, pp. 243 s.; A. Bozza, La Lucania. Studii storico-archeologici, II, Rionero in Vulture 1889, p. 308; L. Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, Città di Castello 1892, II, pp. 22-30; A. Arduino, Le congreghe sessuali. Inquietante storia di uno scandalo nella Napoli del 1600, Genova 1984, pp. 99-139; J.-M. Sallmann, Naples et ses saints à l'âge baroque (1540-1750), Paris 1994, p. 205; E. Novi Chavarria, Un'eretica alla corte del conte di Lemos. Il caso di suor Giulia de Marco, in Arch. stor. per le provincie napoletane, CXVI (1998), pp. 77-118; P. Zito, Giulia e l'inquisitore. Simulazione di santità e misticismo nella Napoli di primo Seicento, Napoli 2000, pp. 99 ss., 198-213.