MARINI, Benedetto
– Nacque nel 1590 a Urbino dove, nel 1611-12, entrò nella bottega di Claudio Ridolfi, ma per la sua patria eseguì poche commissioni. Blasio assegna al 1611 l’unico suo lavoro ancora esistente nella città natale, una Pietà con santi di provenienza ignota (ora nella Galleria nazionale delle Marche), datata da altre fonti al 1612.
Un’iscrizione posta sul sasso ai piedi della Vergine, solo citata dai testi ma mai trascritta perché completamente illeggibile, potrebbe risolvere il dubbio. Il quadro esplicita lo stile caratterizzante del M., definito «il Bellini Urbinate con imitazione baroccesca» (Antaldi). Modelli di riferimento sono la Pietà di Michelangelo e la Crocifissione di Ridolfi nella chiesa di S. Croce a Senigallia.
Non è stata rintracciata la tavola «che non desta maraviglia» di S. Carlo alla Trinità con alcuni angioli segnalata da Lanzi. Neppure esistono nell’oratorio delle Cinque piaghe di Urbino la Pietà dipinta a tempera e la Deposizione nel sepolcro segnalate da Dolci. È da scartare anche l’ipotesi che il M. abbia collaborato alla serie di tele con Storie della Passione di Cristo presenti nell’oratorio, poiché la struttura fu aperta solo nel 1643, quando la morte del M. era già avvenuta.
Dal 1612 si trasferì a Faenza e divenne collaboratore di Ferraù Fenzoni. Alcune fonti lo definiscono suo allievo, ma a quella data il M. aveva già una sua personalità artistica autonoma e definita, tanto da offrire alla città uno stile pittorico nuovo rispetto a quello del pittore faentino, che incontrerà il gusto dei committenti.
Per il duomo di Faenza i due collaborarono alla decorazione della cappella di S. Savino e della Madonna del Popolo.
Corbara sostiene l’intervento del M. anche per S. Carlo in preghiera ai piedi della croce nella cappella di S. Carlo nel duomo faentino sulla base del ritrovamento di un manoscritto redatto dal canonico Andrea Strocchi risalente al 1828.
Nella volta della cappella di S. Savino, la pittura del M., ospitata da una geometrica campitura memore del classicismo romano e ritmata da stucchi e cornici bianche e dorate, è più leggera e armoniosa rispetto a quella di Fenzoni. Recentemente è stato attribuito al M. un disegno preparatorio per la scena del Miracolo della guarigione del cieco conservato in una collezione privata parigina: questo permetterebbe di smentire la notizia che i cartoni preparatori fossero di Fenzoni e che il M. avesse solo un ruolo marginale (per il disegno: Schwed; Messeri - Calzi).
Il M. dovette avere notevole successo perché aumentarono le commissioni: firmata e datata 1615 è la Madonna col Bambino, s. Michele Arcangelo e un santo vescovo (Faenza, Pinacoteca civica), del 1617 Il ritorno dalla fuga in Egitto, passato dalla chiesa del convento di S. Maglorio alla Pinacoteca comunale di Faenza.
L’iconografia delle opere è quella indicata dalla Controriforma, ma il modo di narrare assume un tono nuovo, domestico, quasi di genere popolare. I modi pacati della narrazione dei fatti religiosi derivano dalla maniera di Ridolfi e di F. Barocci; una sigla dell’influsso di quest’ultimo è evidente soprattutto nelle tende che circondano e svelano i personaggi sacri.
Probabilmente degli stessi anni sono La Madonna col Bambino e le anime del purgatorio (chiesa di S. Marco) e la Madonna con santi originariamente nella chiesa di S. Biagio e oggi a S. Stefano. Sul primo gradino del trono della Vergine è l’iscrizione: «Benedictus Marinus urbinas ex voto faciebat MDCXII».
Altri dipinti testimoniano l’attività svolta dal M.: una Crocifissione con santi per la chiesa della Natività di Maria a Felisio, presso Solarolo, la Madonna della Misericordia con i ricoverati del brefotrofio degli esposti, passato in deposito dal brefotrofio alla Pinacoteca comunale di Faenza.
Intorno al 1620 il M. era a Forlì, dove realizzò per la chiesa di S. Agostino un quadro perduto con S. Agostino e s. Monica in collaborazione con Antonio Sarti da Iesi. Colombi Ferretti (1982, pp. 25-27) ipotizza una collaborazione tra i due già per S. Carlo Borromeo della chiesa dei Servi di Forlì, firmato dal solo Sarti nel 1612. Le fonti riferiscono anche dell’esistenza di un quadro firmato esclusivamente dal M., un Angelo custode, oggi scomparso.
Nell’Istituto Prati di Forlì si conserva una centina frammentaria di una pala d’altare avente per soggetto una Madonna col Bambino, attribuibile al Marini.
Sempre nel 1620 eseguì una lunetta con l’Adorazione dei magi per la cappella del Rosario nella chiesa di S. Giovanni in Canale a Piacenza, perduta ma menzionata dalle fonti; Arisi (p. 274) sostiene che possa essere stata spostata sotto la volta della torre campanaria.
Alla fine dello stesso anno il M. si trasferì a Piacenza; è però probabile che già dal 1618 il M. si fosse recato in questa città per lavorare nella chiesa di S. Maria di Campagna. Qui realizzò nella navata e nel transetto decorazioni ispirate dalle storie del Vecchio Testamento.
Un documento del 1619 (Corna, pp. 157 s.), redatto dal pittore Giovanni Giacomo Pandolfi di Pesaro e indirizzato ai Fabbricieri della chiesa, attesta che Pandolfi proponeva per un suo quadro lo stesso prezzo offerto dal M.: questo proverebbe l’esistenza di qualche opera del M. a questa data. In realtà i primi attestati di pagamento di cui si dispone per i lavori eseguiti dal M. risalgono al 19 apr. 1623, quando ricevette «dal Sig. Antonio Beselli scudi 12 cioè lire 12 per le figure fatte in Campagna sotto l’architrave magiore del cornicione» (ibid., p. 160).
Altri pagamenti furono effettuati il 28 marzo («Io Benedetto Marini pittore confesso havere ricevuto dal Sig. Leandro Gazola lire cento cinquanta per a buon conto de la pittura che io ho fatto per la Madonna di Campagna»), il 10 aprile e il 13 luglio del 1627: i documenti (in Corna, p. 160) dovrebbero riferirsi alle due tele del fregio Giaele e Sisara e Sara e Abramo in Egitto.
Del M. sono pure le allegorie della Prontezza, della Cortesia, della Pazienza e della Venustà sopra gli archi esterni delle cappelle della Natività e di S. Caterina.
La Moltiplicazione dei pani e dei pesci, considerata l’opera migliore del M., fu eseguita nel 1625 per il refettorio del convento di S. Francesco in Piazza a Piacenza, trasferita dopo la sua demolizione sulla controfacciata della chiesa.
Pur aggiornato su certe maniere fiamminghe evidenti nelle scene dei paesaggi, il M. non dimenticò la lezione di Barocci e della pittura emiliana, come mostrano alcune tipologie fisionomiche femminili. Entusiasta dell’opera, scrive Lanzi, «È de’ più copiosi quadri ad olio che mai vedessi, composto, variato, reso vago con rara arte».
La lunetta, lunga più di 9 m, è orchestrata in una complessa struttura prospettica: affollata di personaggi ritmicamente disposti in gruppi, nelle aperture laterali delle scene di paesaggio ritrova come modello certa arte nordica, all’epoca molto apprezzata dai collezionisti europei. Carasi (p. 81) ha per primo ritrovato nel quadro l’autoritratto del M. nella figura a destra «avente nella mano una tavolozza e nell’altra un pezzo di pane».
Il 7 sett. 1626 Piacenza dava al M. la cittadinanza «consegnato che abbia il dipinto» (in Fiori, p. 110). Non è noto allo stato degli studi quale sia il dipinto in questione, ma notevole dovette essere la sua fama nella città.
Nel 1624 aveva realizzato la Morte di s. Andrea Avellino e la Predicazione del beato Paolo Burali per la chiesa di S. Vincenzo dei Teatini, oggi nel deposito del Museo civico piacentino.
Tra il 1625 e il 1629 gli furono commissionati alcuni lavori per la cappella del Rosario nella chiesa di S. Biagio a Codogno, tra Piacenza e Milano. Dipinse la volta quadripartita con Storie della Vergine (Lo sposalizio della Vergine, La presentazione di Maria al tempio, Il sogno di Giuseppe e La fuga in Egitto), una tela con Putti, tre quadri con i Misteri del Rosario sull’altare (La discesa dello Spirito Santo, L’Incoronazione e L’Assunzione della Vergine) per completare la serie iniziata da Andrea Mainardi detto il Chiaveghino. Tra il 1626 e il 1629 furono versati acconti, saldi e rimborsi per le spese relative alla realizzazione di quelle opere nonché dell’Adorazione dei magi e della Strage degli innocenti.
Per molto tempo la critica ha considerato il 1627 l’anno della morte del Marini. Secondo un documento nell’archivio parrocchiale di S. Biagio a Codogno, l’ultima commissione del M. risale al 10 marzo 1629: il M. ricevette un anticipo per un’icona della Vergine del Rosario mai completata, di certo a causa della sua morte, avvenuta in quell’anno (Tonani, p. 29).
Nel Libro delle spese della Confraternita sono registrate altre due ricevute di pagamento risalenti al 9 e al 10 marzo 1629 relative a «li dui quadroni et dui quadri fati alla capella» (ibid., pp. 38 s.). Probabilmente si tratta dei pagamenti per l’Adorazione dei magi e la Strage degli innocenti. In queste ultime opere l’antica lezione di Ridolfi, riscontrabile in certe fisionomie che nella bottega del maestro erano ripetutamente copiate dagli allievi, e il delicato colorismo di Barocci si mescolano al manierismo emiliano e alle iconografie di Guido Reni, mostrando un continuo aggiornamento stilistico e formale nell’opera del M., indicato come «un misto di baroccesco, lombardo e veneto» (Lanzi, p. 357). Nella resa vivace e realistica dei volti e in particolare nel dipinto con L’Assunzione della Vergine è da sottolineare un tributo allo stesso soggetto realizzato da Annibale Carracci.
Fonti e Bibl.: M. Dolci, Notizie delle pitture che si trovano nelle chiese e nei palazzi di Urbino [1775], a cura di L. Serra, in Rass. marchigiana per le arti e le bellezze naturali, XI (1933), 1, p. 307; C. Carasi, Le pubbliche pitture di Piacenza, Piacenza 1780, pp. 81-100; A. Lazzari, Delle chiese di Urbino e delle pitture in esse esistenti, Urbino 1801, pp. 144 s.; A. Antaldi, Notizie di alcuni architetti, pittori, scultori di Urbino, Pesaro e de’ luoghi circonvicini (1805), a cura di A. Cerboni Baiardi, Ancona 1996, p. 67; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1809), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, pp. 357 s.; A. Corna, Storia ed arte in S. Maria di Campagna. Piacenza, I, Bergamo 1908, pp. 157 s., 160; A. Messeri - A. Calzi, Faenza nella storia e nell’arte, Faenza 1909, p. 551; G. Fiori, Notizie biografiche dei pittori piacentini dal ’500 al ’700, in Arch. stor. per le provincie parmensi, s. 4, XXII (1970), 5, pp. 75-111; A. Corbara, Note e schede per la pittura in Romagna. Avvio ad un intervento su B. M., in Romagna arte e storia, I (1981), pp. 31-36; Dipinti d’altare in età di Controriforma in Romagna: 1560-1650. Opere restaurate dalle diocesi di Faenza, Forlì, Cesena e Rimini (catal., Forlì), a cura di A. Colombi Ferretti, Bologna 1982, pp. 24-27; F. Arisi - R. Arisi, S. Maria di Campagna a Piacenza, Piacenza 1984, pp. 48, 172, 178, 240, 274-276; A. Colombi Ferretti, Le cappelle di S. Carlo Borromeo, di S. Savino e della Madonna del Popolo, in Faenza. La basilica cattedrale, a cura di A. Savioli, Firenze 1988, pp. 139-143; L. Tonani, La cappella del Rosario in S. Biagio di Codogno: l’opera di B. M., in Artes, VIII (2000), pp. 27-39; S. Blasio, B. M., in Nel segno di Barocci: allievi e seguaci tra Marche, Umbria, Siena, a cura di A.M. Ambrosini Massari - M. Cellini, Milano 2005, pp. 254-265; N. Schwed, in Disegno, giudizio e bella maniera. Studi sul disegno italiano in onore di Catherine Monbeig Goguel, a cura di Ph. Costamagna - F. Härb - S. Prosperi Valenti Rodinò, Cinisello Balsamo 2005, pp. 176 s. n. 106.