SANUDO (Sanuto), Benedetto
SANUDO (Sanuto), Benedetto. – Nacque a Venezia nel 1446, probabilmente nella parrocchia di S. Silvestro, secondo dei sette figli maschi di Matteo di Leonardo e di Margherita Contarini di Marco di Giovanni.
Le fonti lo definiscono «sguercio», cioè strabico, la qual cosa non gli impedì di intraprendere per tempo una carriera politica che si sarebbe rivelata intensa e impegnativa. Tutt’altro che prestigiosi, peraltro, gli esordi, contrassegnati da magistrature del Maggior Consiglio: il 31 dicembre 1471 fu eletto avvocato per tutte le Corti, nell’ottobre del 1475 giudice del Proprio, il 28 settembre 1479 auditor nuovo. Questo modesto profilo sembrerebbe avallato dalla debole, se non inesistente, presenza del padre nell’ambito delle magistrature veneziane; senonché, a smentire possibili riserve sulla reputazione e sulle ricchezze della famiglia, nel 1483 la vita di Sanudo registra due positive affermazioni: le nozze con Elena Loredan di Pietro di Lorenzo dal banco (Sanudo era vedovo da un matrimonio infecondo, avvenuto nel 1479, con una figlia del cavaliere Sebastiano Badoer) e l’acquisto all’incanto di una porzione della gastaldia di San Michele di Piave.
È possibile, pertanto, ipotizzare che Sanudo abbia dedicato buona parte della sua giovinezza alla mercatura, attività proseguita anche dopo il secondo matrimonio, dal momento che solo un decennio più tardi, nel 1492, il suo nome ricompare in ambito politico, peraltro come titolare di una carica prestigiosa, ossia fra i provveditori al Sal. Da questa magistratura dipendevano le costruzioni pubbliche, ma Sanudo volle completare a sue spese il nuovo fontico delle farine, detto di Terranova, a San Marco, e neppure volle apporvi il suo nome, limitandosi a far iscrivere la data 1492 (Sanuto, 2001, p. 679).
Nel 1495 fece parte di una commissione incaricata di dirimere una vertenza insorta fra la città di Brescia e le comunità della Val Sabbia, quindi, nel maggio del 1496, venne eletto console a Damasco. Si apriva così una nuova fase, e la più qualificante, nella vita di Sanudo, che da allora si sarebbe svolta prevalentemente fuori Venezia, nel vicino Oriente. Partì subito perché già a settembre avveniva lo scambio di consegne con il predecessore Giovanni Valaresso, a detta del quale Sanudo «era in gran gratia de’ mori» (qui, come altrove se non diversamente specificato, la fonte è costituita da I diarii di Marino Sanudo che afferma essere Benedetto «affine mio carissimo», I, 1879, col. 898). Del gradimento dei siriani il nuovo console aveva in effetti gran bisogno «per esser ogni cossa in garbuio»: la morte del signore di Damasco aveva infatti dato origine a saccheggi e tumulti, che il sultano del Cairo – giovane di appena diciotto anni – non era in grado di reprimere. Ai pericoli delle violenze si sommò poi lo scoppio della peste; il 13 maggio 1497 Sanudo scriveva al Senato che a Damasco la mortalità era giunta a toccare duecento decessi al giorno, per cui i mercanti stavano trasferendosi a Cipro, distante solo 60 miglia da Beirut. La duplice congiuntura dell’epidemia e delle turbolenze si prolungò per tutto il 1497 e oltre, sicché il 10 giugno 1498 – scrive Marino Sanudo – nel Maggior Consiglio «fo preso et opinion era, atento era il morbo a Damasco, levar il nostro orator»; senonché il 29 settembre costui informò il suo governo «come non havia potuto partirse, per esser stà retenuto dal signor de lì fino venisse il successor suo». Il quale successore era Alvise Arimondo (Rimondi), che però procrastinò la partenza per intuibili ragioni. Così passò il 1499 senza che la situazione politica e sociale migliorasse, essendo morti sia il sultano del Cairo sia il signore di Damasco, la successione dei quali aveva dato origine a nuove lotte, degenerate in violenze ed estorsioni ai danni dei mercanti veneziani e dei loro rappresentanti. Primo tra questi Sanudo, che per qualche giorno fu anche imprigionato; pertanto il 12 marzo 1500, nell’imminenza di lasciare il Paese, egli inoltrò al Senato un quadro del tutto negativo della situazione siriana, concludendo «il viazo è disfato».
Il successivo 28 ottobre, fu eletto avogador di Comun, carica che esercitò con l’abituale rigore, ma dimostrando anche comprensione per le traversie toccate ai Lippomano, incarcerati a causa del fallimento del loro banco, minato dagli ingenti prestiti accordati all’Erario statale. Alla scadenza del mandato, entrò nel novero dei tre procuratori sopra gli atti del Sovragastaldo (28 ottobre 1501), quindi rifiutò l’elezione ad ambasciatore presso Massimiliano I d’Asburgo (14 luglio 1502), accettando invece qualche settimana dopo (2 agosto) un’importante missione presso il sultano d’Egitto. L’anno precedente, infatti, era giunto a Lisbona il primo carico di pepe proveniente dall’India, in seguito alla nuova rotta aperta da Vasco da Gama: era stato un colpo durissimo per l’emporio realtino, che vedeva in tal modo minacciati i suoi traffici, ma anche per gli arabi che perdevano il controllo del commercio delle spezie. Donde la missione di Sanudo, con il segreto incarico di spingere il sultano a combattere i portoghesi in India; nell’imminenza del viaggio, il 31 ottobre 1502, fece testamento e quattro giorni dopo si trovava già nelle acque di Zara, ma a causa della guerra con i turchi fu costretto a sostare lungamente a Corfù, per cui solo nella primavera del 1503 poté raggiungere Il Cairo. Qui, il 24 aprile, ebbe luogo la fastosa udienza accordatagli dal sultano Kansu al-Guri, il cui palazzo disponeva di «una corte granda come sei volte la piazza di San Marco», dove erano schierati seimila mamelucchi «tuti vestidi di biancho, con le barete verde e negre»; tanta scenografia fu accompagnata da ricchi doni del sultano alla Signoria, ma di fatto Sanudo ottenne solo promesse e qualche riduzione delle tariffe praticate sui mercanti veneziani.
Rimpatriato nel settembre dello stesso anno, il 24 marzo 1504 fu eletto per la seconda volta avogador di Comun, ma la vita di palazzo non faceva per lui, come pure la permanenza in patria, per cui quattro mesi dopo accettò la nomina di capitano a Candia. Partì il 1° ottobre 1504 e nell’isola fu incaricato di esaminare alcuni rettori e consiglieri che erano stati accusati di illeciti amministrativi; si occupò inoltre di rafforzare le mura del porto della capitale, l’attuale Iraklio.
Tornato a Venezia nel febbraio del 1507, in marzo entrò a far parte del Consiglio dei dieci, in ottobre assunse la carica di consigliere ducale e il 27 dicembre risulta eletto capitano a Cipro. Vi si recò con inusitata celerità (il 16 gennaio 1508 si trovava già nell’isola), portando con sé la moglie e i figli più piccoli (ebbe cinque maschi e almeno due femmine); l’isola, posta di fronte alle coste siriane, costituiva un osservatorio privilegiato del vicino Oriente, le cui vicende fornirono ampio materiale ai dispacci di Sanudo, che a Cipro si dedicò principalmente a rafforzare le fortificazioni di Famagosta.
Qui egli morì improvvisamente, dopo breve malattia, l’8 giugno 1509.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscell. Codd. I, St. veneta 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VI, pp. 562 s.; Avogaria di Comun, Balla d’oro, reg. 164, c. 306r; Segretario alle voci, Misti, regg. 6, cc. 11r, 27v, 96r, 135r, 143r; 7, cc. 2v, 8v, 27v, 39v; Notarile testamenti, b. 1227/70; Venezia, Civico Museo Correr, Cicogna, 2986/28 (commissario testamentario di Girolamo Morosini q. Carlo, 31 agosto 1507); E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, p. 494.; V, 1842, p. 665; G. Berchet, Relazioni dei consoli veneti nella Siria, Torino 1866, pp. 17, 56; M. Sanuto, I diarii, I-IX, Venezia 1879-1883, ad indices; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, VI, Venezia 1903, p. 73; M. Sanuto, Le vite dei dogi (1474-1494), II, a cura di A. Caracciolo Aricò, Roma-Padova 2001, pp. 360, 679.