SELVATICO, Benedetto
SELVATICO, Benedetto. – Nacque a Padova nel mese di novembre del 1574 da Bartolomeo e Adriana Lanzara.
L'informazione, che contravviene a quanto riportato da quasi tutti biografi, si ricava dal testamento di Benedetto, redatto alla fine di aprile del 1654, quando l’autore aveva «79 anni e cinque mesi» (Padova, Arch. di Stato di Padova, Famiglie, Selvatico, vol. 947, Testamenti diversi, c. 107r).
I Selvatico erano una famiglia di antica nobiltà padovana, e possedevano molti beni mobili e immobili in città e sui colli Euganei. Il padre Bartolomeo fu un famoso giurista, professore di diritto allo Studio, membro del Collegio dei giuristi, consultore della Repubblica di Venezia e cavaliere della Repubblica veneta. Si deve a Bartolomeo l’acquisto della villa di Sant'Elena a Battaglia, sui colli Euganei, dotata di una sorgente termale, di cui iniziò il restauro poi continuato dal figlio Benedetto. Bartolomeo morì nel 1603. Lasciò ai figli Alvise, Giovanni Battista, Pietro, Francesco e Benedetto – tutti personaggi noti nella vita politica e intellettuale padovana del Seicento – un cospicuo patrimonio, che Benedetto in particolare ebbe cura di ampliare.
Al momento della morte del padre, Benedetto aveva appena iniziato la sua carriera di professore di medicina nello Studio padovano, carriera che lo portò a scalare tutti i gradi della complessa gerarchia accademica dell’epoca. Si laureò nel 1597 e nel 1603 fu nominato lettore straordinario (vale a dire supplente) di medicina teorica. Nel 1607 divenne professore straordinario di medicina pratica 'in secundo loco'; fu poi promosso nel 1612 a professore 'in primo loco'. Nel 1618 divenne professore ordinario 'in secundo loco' e, infine, professore ordinario di medicina pratica 'in primo loco' nel 1632. Giacomo Tomasini ricorda che era in grado di attrarre grandi masse di studenti alle sue lezioni di practica (Tomasini, 1654, p. 299). Proprio l’anno precedente alla nomina a professore ordinario titolare della cattedra, Benedetto fece un’importantissima donazione di 1400 volumi a stampa e 34 manoscritti, tutti di argomento giuridico e provenienti dalla biblioteca del padre e del fratello Giovanni Battista – anch’egli giurista e morto prematuramente nel 1625 – alla nascente Biblioteca universitaria, istituita proprio nel 1631.
Nel frattempo, a partire dal 1623, Benedetto divenne tra gli animatori della rinascita dell’Accademia dei Ricovrati – in seguito Accademia Galileiana – fondata nel 1599 su impulso di Federico Cornaro da un gruppo di intellettuali e professori tra cui il padre Bartolomeo e Galileo Galilei, e di cui fu 'prencipe' nel 1634 e nel 1645. Fu questo un periodo in cui gli interessi prevalentemente letterari dell’Accademia iniziarono a far spazio ad argomenti più prettamente scientifici, che prenderanno decisamente piede nel XVIII secolo.
Al di là del suo ruolo di professore, Benedetto ebbe uno straordinario successo come medico curante e attirò una ricca e nobile clientela. Come si evince da una lettera di Fortunio Liceti a Galilei in cui lo scienziato toscano viene informato delle vicende dello Studio padovano e dei suoi professori, intorno al 1619 Benedetto fu chiamato a Graz dall’imperatore Ferdinando II al capezzale del figlio, l’arciduca Carlo d’Asburgo (Galilei, 1935, p. 16), circostanza ricordata anche nella dedica a Ferdinando III della sua unica opera medica a stampa, i Consilia et responsa medicinalia pubblicati a Padova da Paolo Frambotto nel 1656 (e ristampati a Ginevra con lo stesso titolo nel 1662).
Nel 1625 fu incaricato di redigere una pubblica orazione al Collegio dei medici per l’elezione del nuovo doge Giovanni Cornaro (Oratione di Benedetto Salvatico dottore, cavalier, & ambasciatore della citta di Padova. Recitata da lui nell’eccellentissimo colleggio nella congratulatione per l’assontione del serenissimo Giouanni Cornaro al Principato, Padova 1625). Per i suoi meriti scientifici e civili Benedetto nel corso degli anni ’30 fu nominato cavaliere, massima onorificenza della Repubblica veneta, e protettore della Natio germanica artistarum, la più numerosa e importante delle associazioni studentesche dello Studio. Nel 1637 ricevette dal re polacco Ladislao IV una «scatola di ambra nella quale era incluso un astuccio d’argento dorato con lettera che lo nominava conte Palatino e regio protomedico» (Selvatico Estense, 1922, p. 53). La fama internazionale di terapeuta si evince anche dalla presenza di Benedetto nell’edizione Cadorin del 1654 dei viaggi in Italia di Franz Schott, in cui viene ricordato come «abilissimo medico» e proprietario di un «bellissimo palazzo vicino al duomo» con giardini, fontane, un museo, e una biblioteca molto fornita (Schott, 1654, p. 19v), nonché da una pagina di diario di John Evelyn del 1645. Lo scrittore inglese, in visita a Padova, ricorda di essere caduto preda di una tosse e mal di gola insistenti a causa dell’usanza tutta italiana di bere vino ghiacciato e che soltanto Selvatico fu in grado di guarirlo tramite applicazione di ventose alla schiena, quando era ormai prossimo alla morte (Evelyn, I, 1819, pp. 201 s.). Si trattava di un metodo allora molto in voga, di cui Prospero Alpini, professore a Padova negli anni in cui Benedetto era studente, era stato grande promotore. A coronamento della sua carriera, la Serenissima lo nominò nel 1650 'professore sopraordinario', un titolo che lo metteva al riparo dalle periodiche verifiche sull’insegnamento.
Benedetto ebbe un ruolo di grande importanza nella ristrutturazione della villa di Sant’Elena a Battaglia, di cui curò anche le potenzialità terapeutiche legate alle acque termali. Il colle su cui era costruita la villa era chiamato infatti 'monte della stufa' perché al suo interno si trovava una grotta da cui sgorgava acqua termale. Il padre di Benedetto iniziò i lavori di ristrutturazione dell'albergo situato ai piedi del colle verso la metà del XVI secolo. A partire dagli anni ’40 del Seicento Benedetto si occupò in prima persona dei lavori alla villa e del progetto architettonico insieme a Tomaso Sforzan. Dalla Descrittione delli stabili del sig. cavalier Benedetto Selvatico, opuscolo pubblicato a Venezia nel 1657, si evince che Benedetto fu il responsabile del progetto della grande scalinata della villa, che all’epoca era accompagnata da statue grandi e piccole raffiguranti grottesche, le stagioni, creature marine e due giganti. Le statue erano in gran parte opera di Girolamo Albanese, vicentino, membro di una dinastia di scultori molto famosi tra XVI e XVII secolo. Probabile tramite tra Benedetto e Albanese fu Gerolamo Gualdo, nobile vicentino spesso in visita a Padova, di cui il primo fu medico personale.
I Consilia et responsa medicinalia sono un’opera monumentale che raccoglie quattrocento casi o consulti, frutto di cinquant’anni di esperienza pratica. Si tratta di un volume che rispetta i canoni del genere dei consilia, in cui alla descrizione del caso seguono terapia e risoluzione (quasi sempre positiva). Nonostante sia stata considerata un’opera poco significativa, probabilmente a cause del fatto che risultano assenti le novità scientifiche elaborate in area padovana da personaggi come Fabrici d’Acquapendente, Santorio Santorio, e lo stesso William Harvey, il libro non è privo di spunti di interesse.
I Consilia rivelano una vastissima rete di contatti con medici italiani ed europei, e un'altrettanto vasta clientela privata nobiliare, un vero monumento alla Repubblica delle lettere. Si tratta qui di una medicina tradizionale, per lo più galenica, volta a ristabilire l’equilibrio degli umori e a trattare i sintomi esterni e visibili come segni di squilibri umorali interni, caratteristica tipica dei consilia di tutto il XVII secolo. Si notano con interesse una serie di rimedi al confine tra medicina cosmetica e medicina tradizionale (calvizie prematura di un nobile inglese, l’impetigine di una giovane nobile, un rigonfiamento con una serie di tubercola deturpanti sotto il mento di un nobile adolescente), un tema che proprio in ambito padovano godeva di una certa tradizione a partire dall’insegnamento di Gerolamo Mercuriale e Tommaso Minadoi, predecessori di Benedetto sulla cattedra di medicina pratica. Si nota anche una certa disinvoltura nel passare da argomenti chirurgici a temi strettamente medici e un ricorso insistente alle cure termali, dettato anche da interessi privati.
Morì il 18 luglio 1658, «ammalato da 18 giorni di febbre e cattaro» (Selvatico Estense, 1922, p. 53), senza figli.
Fu seppellito nella tomba di famiglia nella cattedrale di S. Antonio, e un memoriale fu apposto nel 1693 su iniziativa dei pronipoti.
Fonti e Bibl.: Padova, Archivio di Stato di Padova, Famiglie, Selvatico, vol. 947, Testamenti diversi, cc. 107r-112r; vol. 1071, Alberi genealogici.
G. Tomasini, Gymnasium patavinum, Padova 1654, pp. 299, 316, 455; F. Schott, Itinerario, Padova 1654, p. 19v; G. Tomasini - A. Cavagna Sangiuliani di Gualdana, Urbis patavinae inscriptiones sacrae, Padova 1701, pp. 17 s.; J. Facciolati, Fastii Gymnasii patavini, Padova 1757, pp. 333 s.; S. Mandruzzato, Dei bagni di Abano, Padova 1804, p. 8; J. Evelyn, Memoirs, I, London 1819, p. 201 s.; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, II, Padova 1836, pp. 197-200; G. Selvatico Estense - L. Contarini, Per le nobilissime nozze Estense Selvatico-Contarini. Brevi cenni biografici di alcuni uomini illustri della famiglia S., Padova 1834; B.G. Selvatico Estense, Adriano Spigelio e B. S., in Settimo centenario della Università di Padova, Padova 1922, pp. 52 s.; G. Galilei, Opere, XIII, Firenze 1935, p. 16; G. Fabris, Gli scolari illustri della Università di Padova, Padova 1941, p. 45; T. Pesenti, La biblioteca universitaria di Padova dalla sua istituzione alla fine della Repubblica veneta (1629-1797), Padova 1979, pp. 21-23; G. Mantovani, Un fondo di edizioni giuridiche dei secoli 15.-17.: il dono S., Padova 1984; P. Maggiolo, L’Accademia in biblioteca, I, Padova 2004, p. 305; A. Franceschi, I S. Vicende familiari e patrimoniali, in Padova e il suo territorio, XX (2005), vol. 116, pp. 4-7; M. Rippa Bonati, B. S. “publicus primarius professor patavinum”, ibid., pp. 17-18; M. De Vincenti, Le sculture seicentesche di Villa Selvatico, ibid., pp. 19-22.