TREVISAN, Benedetto
– Nacque probabilmente a Venezia attorno al 1428, dal futuro consigliere ducale Francesco Trevisan (figlio di Benedetto «il grasso») e da Felippa di Pietro Donà; apparteneva alla famiglia Trevisan di San Barnaba, inserita nel ceto patrizio fin dalla Serrata.
Benedetto di Francesco non è da confondersi (come è stato fatto già a partire dal XVIII secolo e poi dall’erudizione ottocentesca) con il contemporaneo Benedetto di Zaccaria, morto nel 1501, figlio del noto umanista (v. Trevisan, Zaccaria junior in questo Dizionario).
Non si conoscono i particolari della sua formazione. Fu provato nel 1446, a diciotto anni, e nel luglio del 1451, all’età ordinaria di 25 anni, entrò nel Maggior Consiglio, ricoprendo dapprima cariche minori (giudice del Mobile, camerlengo di Comun). Nel 1459 sposò Molina, figlia di Marco Molin, da cui avrebbe avuto almeno tre figli: Francesco, Marco (poi divenuto vescovo di Santorini in Grecia) e Gerolamo, l’unico ad avere una discendenza, che comunque si estinse in linea maschile nel 1679.
Per tutta la sua giovinezza Benedetto ricoprì solo cariche di livello medio: fu membro delle Quarantie e dei Signori di notte, visdomino a Ferrara e auditore nuovo. La sua carriera iniziò a decollare dopo che nel 1473 e nel 1474 comparve tra i quarantuno elettori dogali. Fra l’altro prese parte alla seconda elezione mentre stava per recarsi a Vicenza come podestà (dopo aver rifiutato la carica di provveditore a Scutari e una missione diplomatica in Ungheria): era il suo primo incarico in Terraferma, che fu seguito, negli anni successivi, da altri via via più prestigiosi, anche se nel 1477 fu inviato ancora in un centro di rango medio, Treviso, dove si trovò a dover affrontare le pretese di separatezza delle terre «di là dalla Piave», e in particolare di Conegliano.
Di terre separate si sarebbe interessato ancora da avogador di Comun (1481, 1494), occupandosi in particolare dei complessi rapporti fra Brescia e la Riviera di Salò, e della singolare posizione di Venzago. In queste occasioni si dimostrò sempre molto attento alla tutela della legalità (compito primario dell’Avogaria), anche denunciando la possibile falsificazione di documenti e perfino il superamento delle proprie competenze da parte dei predecessori.
Tra il 1477 e il 1478 i coneglianesi avevano sostenuto la propria separazione da Treviso in occasione dell’arruolamento di soldati provvisionati da utilizzare contro i turchi, che minacciavano il Friuli e avevano sconfitto i veneziani sull’Isonzo; proprio il problema turco sarebbe stato al centro dell’attività di Benedetto negli anni successivi: nel 1478 guidò la sua prima missione diplomatica, in Svizzera, proprio per richiedere aiuto contro le continue incursioni, e nell’aprile del 1479, mentre era savio di Terraferma, fu scelto per il difficile incarico di bailo a Costantinopoli, ma rifiutò. Accettò invece, un mese dopo, di esservi inviato per ratificare la pace negoziata dal segretario Giovanni Dario e, dopo aver compiuto il compito affidatogli con soddisfazione del sultano, che gli donò degli abiti preziosi, rientrò a Venezia il 26 novembre.
Nel 1480 fu eletto avogador (lo sarebbe stato altre tre volte: 1483-84, 1486 per un mese solo, 1493-94); prima ancora di entrare in funzione, fu incaricato come delegato della Signoria di recarsi a Portobuffolè nel Trevigiano (e non è escluso che la scelta cadesse proprio su di lui a causa della sua recente esperienza a Treviso).
Si diceva che nella cittadina in riva alla Livenza, durante la settimana santa, in cui cadeva anche la Pasqua ebraica, un piccolo vagabondo di nome Sebastiano Novello fosse stato vittima di un omicidio rituale; il podestà Andrea Dolfin aveva condannato a morte, con supplizi particolarmente crudeli, tre membri della locale comunità ebraica ashkenazita, ma i loro correligionari avevano fatto ricorso all’Avogaria, che aveva sospeso la sentenza. La Signoria allora, desiderando avere informazioni certe, decise di inviare sul posto un avogador. Trevisan effettuò un supplemento di indagine, sottoponendo anche gli imputati alla tortura; quindi, di ritorno, riferì sul caso. Fece poi trasferire a Venezia i prigionieri, proclamare i contumaci e, infine, li placitò in Pregadi. Il processo iniziò il 27 giugno; secondo la prassi, gli avogadori sostennero l’accusa e proposero di procedere alla sentenza: l’esito finale fu la condanna al rogo dei tre rei principali, che furono giustiziati il 6 luglio. Gli imputati furono difesi da avvocati di grande fama, patrizi e dottori dello studio di Padova, grazie a enormi spese sostenute dai correligionari; ma in un periodo particolare come quello successivo al caso del Simonino – il «bià Simoneto» (M. Sanudo, Le vite dei dogi, a cura di A. Caracciolo Aricò, I, 1989, pp. 23, 52, 165), è ricordato anche nella sentenza – toccò loro soccombere, anche se continuarono fino all’ultimo istante a dichiararsi innocenti.
Negli anni seguenti l’attività di Trevisan fu caratterizzata dall’alternarsi di periodi trascorsi nei maggiori organi costituzionali veneziani (Signoria, Consiglio dei dieci, Collegio), e di altri in cui fu impegnato in Terraferma e in ambascerie.
Nel 1481 fu incaricato di presentare le rimostranze dei veneziani al duca di Ferrara Ercole d’Este che, contro i patti, faceva produrre sale presso Comacchio; la missione ottenne il risultato sperato, e il duca accettò di far gettar via il prodotto e di distruggere le saline. Un anno dopo, tuttavia, tra lui e Venezia sarebbe scoppiata la guerra, ma in quel momento Trevisan era ormai lontano, a Udine, da dove governava il Friuli come luogotenente della Patria.
Lì egli incontrò e iniziò a proteggere l’umanista Marcantonio Sabellico, favorendo la stampa del suo De vetustate Aquileiae, peraltro avvenuta a spese della città di Udine. Il trattato è dedicato a Giovanni Emo, luogotenente nel 1478, ma nelle ultime pagine si trova un elogio di Trevisan (forse aggiunto ad hoc in occasione della stampa), dove lo si definisce «vir magni consilii et auctoritatis» (Marci Antonii Sabellici De vetustate Aquileiae, Venetiis 1502, c. 136v) e si ricorda anche la pace conclusa con i turchi per opera sua. Il rapporto fra Trevisan e Sabellico si sarebbe poi rinsaldato nel 1484-85, mentre il primo era capitano di Verona, tanto che il letterato lo accompagnò nel ritorno a Venezia, come ricordò egli stesso elogiando la conversazione del patrizio e la sua conoscenza delle vicende storiche della Repubblica; il mecenatismo dimostrato in queste circostanze da Benedetto ha permesso di inserirlo (Trebbi, 1998, p. 44), sia pure sui generis, nel gruppo dei ‘luogotenenti umanisti’, di cui sarebbe anzi l’ultimo esempio in ordine di tempo, da ricollegare all’ultima generazione umanistica, ormai priva del rilievo politico avuto in passato.
Nel biennio 1485-86 fu savio sopra la Sanità, e quindi – come già il padre e il nonno – consigliere ducale; mentre ricopriva questa carica fu eletto di nuovo oratore al sultano (ancora per questioni relative alla pace da lui ratificata) e accettò, ma in seguito ci ripensò e si tirò indietro, probabilmente spaventato dall’esecuzione a Istanbul degli inviati del sovrano berbero di Tunisi. Nel 1487, invece, ormai sessantenne, andò come capitano a Creta; fu, quello, il suo unico incarico in un reggimento da Mar.
Nel 1493, dopo essere stato podestà di Padova, fu eletto in Avogaria: la scelta di un uomo dalla reputazione ormai consolidata si era resa necessaria per superare l’impasse creatasi dopo la scoperta di ripetute manipolazioni nelle votazioni; infatti, egli era ormai considerato uno fra i senatori di maggiore prestigio e nel 1494 gli fu affidata ancora una volta – assieme a Sebastiano Badoer, già suo collega nella Signoria – una delicata missione: cercare di persuadere Ludovico Sforza, nuovo duca di Milano, a fornire un sostegno a Venezia nella difficile congiuntura di quei mesi.
La discesa in Italia di Carlo VIII, che mirava alla conquista del Regno di Napoli, aveva provocato, fra l’altro, l’avvicinamento ai turchi del re Alfonso II; il sultano premeva perché la Signoria assumesse chiaramente una posizione ostile alla Francia, alleandosi invece con Alfonso e il papa. Pochi mesi dopo sarebbe stata conclusa la Lega antifrancese, dopo che Carlo era entrato a Napoli.
I due inviati giunsero a Milano il 1° dicembre, dopo circa dieci giorni di viaggio, ma per Trevisan il soggiorno in Lombardia non sarebbe stato lungo: ammalatosi di pleurite, morì il giorno prima di Natale, dopo una breve infermità.
Anche a causa della malattia di Trevisan era emerso presto accanto ai due patrizi, con un proprio ruolo ben definito, il segretario Giorgio Negro, che fu incaricato di seguire il duca nei suoi spostamenti.
Per riguardo verso la Signoria il duca Ludovico fece organizzare solenni funerali per l’ambasciatore defunto, il cui corpo fu poi portato in patria per la sepoltura.
Trevisan non può essere considerato una stella di prima grandezza nel patriziato veneziano: ebbe una carriera prestigiosa, ma lenta, e ricoprì cariche importanti solo dopo i quarantacinque anni, senza peraltro, così pare, compiere mai cose straordinarie, né come diplomatico (anche la pace con i turchi fu in realtà opera di Dario), né come rettore cittadino. E tuttavia proprio grazie a queste sue caratteristiche egli rappresenta per molti aspetti una sorta di tipo ideale (se così si può dire) di patrizio servitore dello Stato: attento, prudente e moderato (e in grado di evitarsi, se possibile, inutili rischi e aggravi), senza aspirazioni a mettersi troppo al centro della scena, ma in caso di necessità capace comunque di agire e anche di fare fronte in qualche maniera perfino alle situazioni più complesse.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, regg. 163-II (Balla d’oro), c. 398r; 169-1 (Prove di età), c. 12v; 170-2 (Prove di età), c. 93r; 178-2 (Prove di età), c. 77v; Collegio, Secreti, reg. 35, passim; Maggior Consiglio, Deliberazioni, Registri, Regina, cc. 122v, 144r, 145r, Misc. Codd., s. 1, 23, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, p. 104; Segretario alle Voci, reg. 4, cc. 11r, 27v; reg. 5, cc. 5r, 41v, 47r; reg. 6, cc. 9r, 11r, 17v, 18v, 30r, 51v, 52v, 58r, 82r, 114r, 135r; Senato, Deliberazioni, Secreti, regg. 28-35, passim; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, It. VII, 547. Marci Antonii Sabellici De vetustate Aquileiae, in Id., Opera, Venetiis 1502, cc. 118v-136v; Id., Istorie veneziane, I, Venezia 1718, pp. 213, 803, 814, 863; D. Malipiero, Annali veneti dall’anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo, I, Firenze 1843, pp. 98, 116, 136 s., 320; M. Sanuto, I Diarii, I, a cura di F. Stefani, Venezia 1879, coll. 749, 782; V, 1881, col. 961; G. Priuli, I Diarii, a cura di A. Segre, in RIS, XXIV, 3, 1, Città di Castello-Bologna 1912-1921, p. 10; M. Sanudo, Le vite dei dogi. 1474-1494, a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Padova 1989, pp. 3, 23, 138, 146, 148, 152, 154, 165 s., 233, 257, II, 2001, pp. 418, 505, 514, 533, 540, 699; Id., Le vite dei dogi (1423-1474), II, Venezia 2004, pp. 170, 173.
G. Bonifaccio, Istoria di Trevigi, Venezia 1744, p. 644; S.G. Radzik, Portobuffolè, Firenze 1984, pp. 60-74, 104; A. Viggiano, Governanti e governati [...] nello Stato veneto della prima età moderna, Treviso 1993, pp. 111, 122, 138; G. Trebbi, Il Friuli dal 1420 al 1797: la storia politica e sociale, Udine 1998, p. 44.