Benedetto V
Papa romano; occupò il soglio pontificio per il brevissimo periodo che intercorse fra la morte di Giovanni XII (14 maggio 964) e la sua deposizione ad opera dell'imperatore Ottone I (23 giugno 964).
Per D. è l'esempio da opporre ai sostenitori della teocrazia, i quali, vedendo in Adriano I l'artefice della " traslatio imperii ", concludono che la dignità imperiale dipende dal papa. A questi infatti egli ribatte:
usurpatio enim iuris non facit ius. Nam si sic, eodem modo auctoritas Ecclesiae probaretur dependere ab Imperatore, postquam Octo imperator Leonem papam restituit et Benedictum deposuit, necnon in exilium in Saxoniam duxit (Mn III X 20). Perché tale era la cognizione che D. aveva dell'avvenimento, ovvero per consolidare la propria tesi, egli dà un'interpretazione che non corrisponde alla realtà storica, e fa di B. il protagonista di una Translatio papatus ugualmente illegittima quanto quella compiuta da Adriano I.
In quell'epoca il papato era diventato appannaggio delle famiglie romane che se ne servivano come strumento di potere. Nel momento in cui Ottone, in ossequio alla sua politica di consolidamento del potere imperiale anche nel campo ecclesiastico, fece deporre, da un sinodo convocato in S. Pietro (6 novembre - 4 dicembre 963), Giovanni XII, reo d'indegnità, ma soprattutto di essersi mostrato infido nei suoi riguardi, ed eleggere al suo posto Leone VIII, si ha non tanto la dimostrazione di un asservimento della Chiesa e della romanità all'Impero germanico, come compianse pochi decenni dopo Benedetto di S. Andrea del Soratte nel suo Chronicon, bensì una sorta di riscossa del Papato dalla soggezione di un singolo uomo o di una famiglia romana e di conseguenza un'affermazione della sua universalità. Ma questa interpretazione data dal Volpe sull'operato di Ottone I è un po' ottimistica: in effetti in quel frangente il soglio pontificio fu sciolto dalla strumentalizzazione delle fazioni romane, ma solo per essere assorbito nell'ambito della politica imperiale. In quell'occasione infatti Ottone codificò i diritti dell'Impero sul Papato nel Privilegium Othonis (13 febbraio 962) che, richiamandosi alla costituzione dell'824 di Lotario affermava il diritto dell'imperatore di ricevere il giuramento di fedeltà da parte del papa, e la ‛ confirmatio ' imperiale. Questi diritti erano già stati riconosciuti a Ottone proprio da Giovanni XII il quale nell'incoronarlo gli aveva giurata fedeltà e si era impegnato di ritornare al sistema di elezione in uso al tempo dell'Impero carolingio. In questa situazione l'elezione romana di B. fu una chiara insubordinazione nonché un tentativo di riscossa delle fazioni romane. Non sono chiari i motivi che determinarono la scelta della persona del nuovo papa e tanto meno i suoi rapporti con i vari partiti e il suo atteggiamento nei riguardi dell'imperatore: probabilmente B. prima della sua elezione avrà tenuto un atteggiamento di condiscendenza nei confronti di Ottone, come la maggior parte del clero romano. Nella relazione del Sinodo indetto da Ottone I al Laterano per deporre B., Liutprando riferisce che al papa si levò l'accusa di aver mancato al giuramento da lui fatto insieme agli altri Romani, riguardo all'elezione papale, e inoltre di aver mancato alla fedeltà da lui giurata a Leone VIII al momento della sua elezione, e di invasione del soglio pontificio. Ottone quindi, dopo aver espugnata Roma e fatto deporre il papa (23 giugno 964), lo condusse ad Amburgo dove lo affidò alla custodia del vescovo Adeldag, e ove morì intorno al 965. Il pontificato di B. fu quindi un episodio della lotta tra le fazioni romane e l'Impero: nella storia della Chiesa egli non ha lasciato alcuna traccia, se non la fama di " vir probus " e " gramaticus ".
Bibl. - G. Falco, La Santa Romana Repubblica, Roma 1948, 201; B. Nardi, Dal Convivio alla Commedia, ibid. 1960, 262; M. Maccarrone, Il temo libro della Monarchia, in " Studi d. " XXXIII (1965) 5-142 (particolarm. p. 90); L. Duchesne, I primi tempi dello Stato pontificio, Torino 1967, 146-148; per un'ulteriore conoscenza biografica e bibliografica, si veda la voce di P. Delogu, in Diiion. biogr. degli Ital. VIII (1966) 342-344.