VARCHI, Benedetto
– Nacque a Firenze nel popolo di San Pier Maggiore, quartiere di San Giovanni, il 19 marzo 1503, figlio del notaio Giovanni di Guasparri, della famiglia dei Franchi di Montevarchi, e di Diamante, vedova del pittore Benedetto Bigordi, fratello di Domenico del Ghirlandaio.
Ebbe tre fratelli e tre sorelle, e fu mandato giovinetto a bottega. Solo in età più adulta poté iniziare studi profittevoli sotto la guida di Guasparri Marescotti da Marradi, appassionandosi alla versificazione latina con Francesco Priscianese. Compì poi studi giuridici nello Studio di Pisa con Bardo Altoviti, apprendendo anche le lettere greche da Donato Giannotti. Laureatosi in utroque iure, si iscrisse il 19 settembre 1523 all’arte dei notai ed esercitò brevemente la professione, abbandonandola presto, dopo la morte del padre (11 gennaio 1524), della madre e del fratello maggiore, per votarsi allo studio delle lettere.
L’attività di poeta in versi latini e toscani gli aprì le case delle famiglie aristocratiche dei Pazzi e dei Rucellai: alla metà degli anni Venti fu ammesso a frequentare gli Orti Oricellari e fu accolto con benevolenza da Ludovico Martelli e da Niccolò Machiavelli, dal quale «fu sempre accarezzato et amato come figliuolo» (dalla biografia di Giambattista Busini, in Lo Re, 2008, p. 96). Muovendosi fra Firenze e Fiesole, dove aveva un podere nei pressi di Camerata (v. Epigrammi a Silvano Razzi, a cura di S. Ferrone, 2003, pp. 9-15), frequentò famiglie illustri e letterati come Annibal Caro, e nel 1527 nella villa di Bivigliano degli Stufa conobbe Lorenzo Lenzi (1516-1571), nipote di Giovanni e Niccolò Gaddi, prendendo a cantarlo nei suoi sonetti amorosi con il senhal petrarchesco di Lauro. In quell’occasione Bronzino ritrasse il giovinetto Lenzi con un libro aperto, nel quale si leggevano un sonetto di Francesco Petrarca e uno di Varchi. Legatosi a monsignor Giovanni Gaddi, Varchi lo seguì brevemente a Roma nel 1528, ma l’esperienza della Curia romana non lo entusiasmò.
Tornato a Firenze, tra il 1529 e il 1530 prese parte alla difesa della città assediata. Partito per Bologna al seguito di un’ambasceria, assistette all’incoronazione di Carlo V e, spostatosi a Modena, lo raggiunse la notizia della capitolazione della città. Per un paio d’anni tornò dunque a gravitare nell’orbita della famiglia Gaddi, spostandosi fra Roma e Napoli. Dal 1532 fu di nuovo tra Firenze e Fiesole e riprese a dedicarsi agli studi. Nel corso degli anni Trenta seguì le lezioni di filosofia del neoplatonico Francesco Verino il Vecchio e approfondì lo studio del greco con Piero Vettori, con cui instaurò un autentico sodalizio, collaborando fra l’altro all’edizione delle Opere di Cicerone. Si recò in seguito a Venezia e a Padova, dove nell’estate del 1535 incontrò per la prima volta Pietro Bembo, eletto a proprio maestro.
Varchi fu di sentimenti repubblicani, testimoniati dalla frequentazione di figure prestigiose del fuoruscitismo fiorentino come Giambattista Busini, Iacopo Nardi, Luigi Alamanni, con i quali intrattenne rapporti epistolari anche nei decenni seguenti. In seguito all’uccisione del duca Alessandro da parte di Lorenzino de’ Medici, la notte dell’epifania del 1537, scrisse versi latini e volgari inneggianti al tirannicida, definendolo «nuovo Bruto toscano» (Lo Re, 2008, p. 151), come non avrebbe mancato di ricordare più tardi nella Storia fiorentina. Lasciata Firenze all’inizio di febbraio con Giannotti, si diresse a Bologna dove si erano rifugiati molti nobili fiorentini antimedicei. Legatosi a Piero Strozzi, partecipò al tentativo militare di conquistare Borgo San Sepolcro e Sestino (13 aprile 1537). Per alcuni mesi si mosse al seguito degli Strozzi tra Ferrara, Roma, Venezia, Padova, trovandosi a Bologna alla data della sconfitta di Montemurlo, il 1° agosto 1537. I suoi carmina testimoniano il sostegno alle successive azioni antimedicee di Strozzi, mentre era impegnato come precettore dei suoi fratelli minori.
Nel lungo soggiorno padovano, che protrasse ben oltre la rottura con gli Strozzi (luglio 1538) e che condivise con i giovani allievi Lenzi, Ugolino Martelli, Alberto del Bene e Carlo di Ruberto Strozzi, Varchi approfondì la conoscenza della filosofia aristotelica grazie alla frequentazione dello Studio. Strenuo difensore del volgare, fu tra i primi a impegnarsi in un vasto programma di divulgazione dei saperi in campo letterario e filosofico, fulcro del quale fu l’attività di volgarizzatore e ‘spositore’ di Aristotele. Ci rimangono un Comento sopra il primo libro dell’Etica e un Comento sopra il primo libro della Priora (Firenze, Biblioteca nazionale, Filze Rin. 10), databili intorno al 1540, ma il suo interesse si estese anche ai trattati scientifici: tradusse gli Elementi di Euclide (1541) e scrisse nel 1539 un Trattato delle proporzioni, entrambi rimasti inediti.
Con i suoi scritti, Varchi contribuì in maniera notevolissima alla creazione di un lessico scientifico e filosofico in volgare (Siekiera, in Aristotele fatto volgare, 2014). Fu tra i fondatori dell’Accademia degli Infiammati (1540), nella quale ebbe sodali, fra altri, Sperone Speroni e Alessandro Piccolomini, e ascoltò le lezioni sulla Poetica aristotelica di Vincenzo Maggi e Bartolomeo Lombardi. Tra gli Infiammati tenne lezioni sull’Etica nicomachea, su poeti latini (Orazio, Tibullo e Teocrito) e volgari, da Petrarca ai contemporanei Bembo e Giovanni Della Casa. Celebre la sua lezione sul sonetto della Gelosia di Della Casa (autunno 1541) che, stampata per le cure di Francesco Sansovino (1545), segnò l’esordio pubblico del Monsignore come poeta e la fama di Varchi come esperto nella dottrina neoplatonica dell’amore. Le sue lezioni ebbero larga circolazione manoscritta, codificando e diffondendo in Italia la forma della lezione accademica di argomento letterario.
Nel 1541 si trasferì a Bologna dove seguì, come già in un precedente soggiorno nel 1537, le lezioni di Ludovico Boccadiferro sui Meteorologica: ne è frutto un Comento sul primo libro della Meteora (Firenze, Biblioteca nazionale, Filze Rin. 10) databile al 1543. Soggiornò anche a Ferrara, finché, dopo sette anni da fuoruscito, trovandosi in gravi condizioni di necessità, grazie alla mediazione dell’amico Luca Martini e di Giambattista Gelli rientrò a Firenze nel 1543, nel quadro della politica di ralliement del duca Cosimo I, che aveva già completato la trasformazione dell’Accademia degli Umidi in istituzione culturale di Stato costituendo l’Accademia Fiorentina.
Varchi divenne l’intellettuale di maggior peso dell’Accademia negli anni Quaranta e Cinquanta, coltivò generazioni di allievi e svolse un ruolo centrale nella vita intellettuale italiana del medio Rinascimento, operando in ambito letterario, linguistico, storiografico, filosofico e artistico. L’attenzione alla scienza (dall’astronomia alla botanica) come alla medicina, evidente nelle lezioni di argomento naturalistico, è testimoniata anche dall’amicizia che lo legò a medici come Andrea Pasquali e Guido Guidi, ed è documentato il suo ruolo nella venuta in Toscana di Andrea Vesalio nel 1544. Divulgatore del verbo bembiano nella Firenze degli anni Quaranta, nonostante l’ostilità del gruppo degli Aramei, si impegnò in seguito in un programma di revisione del classicismo volgare, ponendo al vertice dei generi non la lirica ma la poesia filosofica e includendo Dante, che accostava a Lucrezio, come massimo poeta nel canone degli autori moderni. Le sue prime lezioni in Accademia su componimenti petrarcheschi (Rerum vulgarium fragmenta, RVF, VII e XLI-XLIII) datano al 15 e al 20 aprile 1543, mentre tra il giugno del 1543 e il settembre del 1544 svolse una serie di lezioni su Dante, Purgatorio XXV, intorno al tema della generazione del corpo umano e dell’anima. Alla fine del 1544 scrisse la Quistione dell’alchimia (1827), in cui esaltò il valore dell’esperienza nelle scienze e contestò le affermazioni aristoteliche sulla caduta dei gravi, e la Quistione dei calori. A causa di rivalità interne all’istituzione, Varchi fu bersaglio di gelosie e rancori e dovette difendersi da attacchi di ogni tipo, compreso il torrentizio dileggio poetico di Alfonso de’ Pazzi. Nell’estate del 1544 in un soggiorno romano si mostrò disponibile all’offerta di Girolamo Sauli, arcivescovo di Salerno, che lo voleva al suo servizio con una lauta provvigione, e ciò gli fece perdere il favore di Cosimo, rendendolo più vulnerabile. L’episodio più grave avvenne dopo che fu eletto console dell’Accademia il 1° febbraio 1545, con l’accusa infondata, ordita da Carlo Lenzoni, di aver violato una ragazzina: il 16 marzo fu imprigionato al Bargello per una decina di giorni, finché ottenne la grazia del duca, ma dovette dichiararsi colpevole e pagare una multa.
Durante i sei mesi del suo consolato, Varchi tenne lezioni sui primi due canti del Paradiso dantesco (nelle quali trattò i temi della creazione del mondo e delle macchie lunari), alternandole a lezioni sulle canzoni degli occhi di Petrarca e su quelle di Bembo dette le tre sorelle (queste ultime perdute). Tra il 27 dicembre 1546 e il 3 gennaio 1547, riunito nella pieve di San Gavino Adimari nel Mugello con un gruppo di amici e allievi tra i quali Martini, collazionò sette codici antichi della Commedia, operazione che si colloca ai primordi della filologia dantesca. Il postillato, oggi perduto, fu tra i codici utilizzati per l’edizione dell’Accademia della Crusca del 1595. Proprio dalla Pieve di San Gavino sono dedicati a Elonora di Toledo, con data 23 giugno 1546, la traduzione del De Beneficiis di Seneca, pubblicata poi nel 1554, e al duca Cosimo, con data 30 ottobre 1546, la prima stesura della Suocera, commedia scritta sul modello dell’Hecyra di Terenzio, che sarebbe uscita postuma nel 1569. Da ricordare, di quel tempo, anche la collaborazione con Tullia d’Aragona, dalla quale nacquero le Rime e il Dialogo dell’infinità d’amore (1547), in cui Varchi compare come interlocutore in qualità di filosofo d’amore. Morto Bembo, Varchi ne pronunciò in Accademia l’orazione funebre il 27 febbraio 1547 (edita nello stesso anno) e curò la terza edizione delle Prose della volgar lingua, che uscì nel 1549 e costituì la vulgata dell’opera nei secoli a venire.
Un evento di grande rilievo nella cultura fiorentina furono le Due Lezzioni tenute in Accademia il 6 e il 13 marzo 1547 (edite nel 1550), la prima (per la quale Varchi si premurò di sentire gli artisti, pubblicando le loro risposte in forma di lettera) sul paragone tra la pittura e la scultura, la seconda sul sonetto di Michelangelo Non ha l’ottimo artista alcun concetto, che fu la prima ‘antologia’ michelangiolesca: vi sono pubblicati quasi trenta componimenti, per intero o parzialmente. Profondi e duraturi furono i suoi rapporti con gli artisti, dal Bronzino a Niccolò Pericoli, detto il Tribolo, al Pontormo, ad Alessandro Allori, Leone Leoni, Domenico Poggini, Vincenzo Danti e numerosi altri.
Tra il 1546 e il 1547 fu incaricato dal duca, che gli aumentò la provvigione di cui godeva da 8 a 15 scudi mensili, di scrivere la storia della Repubblica fiorentina dal 1527 al 1530, ma finì con il trattare, in sedici libri, anche gli avvenimenti successivi fino al 1538. A questo scopo, gli esuli Busini e Nardi gli indirizzarono numerose lettere ribadendogli la propria stima nella comune adesione all’ideale repubblicano.
La Storia fiorentina è l’opera maggiore di Varchi, che vi lavorò utilizzando documenti di prima mano, valendosi di informazioni fornite dai protagonisti stessi degli eventi (Bramanti, 2017). L’opera, che si distingue per un uso moderno e critico delle fonti, veridica al punto di non attenuare neppure gli avvenimenti più brutali, fu lasciata incompiuta da Varchi e assemblata dopo la sua morte da Baccio Baldini sotto la supervisione del duca Cosimo. Per motivi ancora non del tutto chiari rimase inedita fino alla sua pubblicazione nel 1721 ad Augusta, per i tipi di Giuseppe Gruber e Paolo Khuzio (falsa l’indicazione di Colonia, per i tipi di Pietro Martello: Brancato - Lo Re, 2015).
Tra il febbraio e il marzo del 1548 lesse in Accademia una lezione Sulla natura alla quale fece seguito, nelle sedute del 1° e dell’8 luglio, una lezione Sulla generazione dei mostri. Quell’anno, un’allusione negativa a Malatesta Baglioni, pronunciata da Varchi durate l’orazione funebre per il condottiero Stefano Colonna (edita nel 1548), gli costò un tentativo di accoltellamento. Nel 1549 tenne in Accademia un’orazione funebre per Maria Salviati, madre di Cosimo, pubblicata in quello stesso anno insieme con un Sermone fatto alla Croce che, per i suoi punti di contatto con il Beneficio di Cristo, se non con il valdesianesimo, ha indotto a ipotizzare tangenze con le idee della Riforma. Il 12 luglio 1551 assolse il compito di pronunciare l’orazione funebre per il luogotenente Giovan Battista Savelli (edita nello stesso anno) e nel febbraio del 1553 quella per Pietro di Toledo, suocero di Cosimo (A. Andreoni, La via della dottrina, 2012, pp. 122 s.). Sempre nel 1551 apparve la traduzione del De consolatione philosophiae di Boezio, fatta su incarico di Cosimo, per esaudire un desiderio di Carlo V. La traduzione, molto fortunata, fu più volte ristampata anche nei secoli successivi, come anche quella del De Beneficiis (Brancato, 2018). Varchi, che fin dagli anni giovanili fu dedito alla traduzione poetica dal latino e dal greco, tra il 1554 e il 1556 lavorò anche a una traduzione dei Salmi, dedicata a Lenzi (Firenze, Biblioteca nazionale, Filze Rin. 15). Per questi incarichi e per l’ostilità che lo circondava, diradò gli interventi nell’Accademia: nel biennio 1551-52 tenne ancora alcune lezioni su argomenti linguistici, poi, nominato nel 1553 lettore pubblico del Canzoniere di Petrarca, tenne lezioni sulla Poetica di Aristotele e sull’amore in relazione a RVF CXXXII e al Triumphus Cupidinis; non abbiamo però notizie di interventi negli anni successivi.
A partire dal 1554 si aprì una nuova stagione di ristrettezza economica per Varchi, che fu tra coloro ai quali Cosimo sospese le provvigioni per far fronte allo sforzo finanziario richiesto dalla guerra di Siena. Dovette ricorrere alla sovvenzione di intimi come Lenzi, divenuto nel 1544 vescovo di Fermo, che lo ospitò tra il 1554 e il 1555 a Orvieto, dove era governatore, e poi a Bologna, dove arrivò come vicelegato nell’ottobre del 1555. Al rapporto con il duca divenuto difficoltoso e al tentativo di trovare una collocazione altrove può forse legarsi la vicenda della doppia edizione dei Sonetti. Parte prima, editi nel 1555 a Firenze con dedica a Francesco de’ Medici e quasi contemporaneamente a Venezia con dedica, mediata da Giorgio Benzone, all’antimediceo Della Casa.
I Sonetti. Parte prima includono il canzoniere amoroso per Lenzi e una sezione pastorale che canta l’amore per il giovane Giulio Stufa, mentre i Sonetti. Parte seconda (1557) raccolgono le rime di corrispondenza con un sorprendente numero di interlocutori. Parte della poesia pastorale uscì postuma nell’edizione dei Componimenti pastorali (1576), come postumi uscirono i Sonetti spirituali dedicati a Lenzi (1573). Varchi, che praticò anche la poesia bernesca (suoi capitoli furono inclusi nel 1545 nel volume Tutte le opere del Bernia in terza rima), fin dagli anni giovanili fu dedito anche a sperimentazioni metriche, e fu tra i primi a praticare in volgare la forma dell’ode e dell’elegia.
Di riconosciuta autorevolezza poetica, fu lettore e revisore delle rime di molti autori e molte autrici: di particolare profondità fu il sodalizio poetico della metà degli anni Cinquanta con Laura Battiferri, per la quale emendò il Primo libro delle opere toscane, mentre con molto giudizio non volle guastare, normalizzandola, la prosa della Vita di Benvenuto Cellini, che nel 1559 gliela sottopose in lettura. Copiosa è la sua produzione poetica in latino, tuttora per la maggior parte inedita, che spazia dai temi politici a quelli amorosi e che verso il 1551-52 egli volle raccogliere in un Liber carminum. Nel 1555, grazie ai buoni uffici del segretario ducale Lelio Torelli, ottenne la rendita della pieve di San Gavino, ma dovette in seguito ricorrere ancora all’aiuto di Martini, che lo ospitò per qualche tempo a Pisa, dopo che l’Arno ebbe inondato Firenze il 13 settembre 1557, evento nel quale andò perduta gran parte della sua biblioteca nella casa che aveva in affitto dalle monache del Ceppo nel quartiere di Santa Croce. Nel 1558 il duca Cosimo gli assegnò un salario mensile di 25 scudi e la disponibilità della villa La Topaia presso Castello, nella quale Varchi poté lavorare più sereno negli ultimi anni della sua vita. A quella data risale la stesura della Vita di Francesco Cattani da Diacceto, allievo di Marsilio Ficino, pubblicata nel 1561 a corredo dei Tre libri d’amore del filosofo.
Alla fine degli anni Cinquanta risale l’inizio della stesura dell’Ercolano, nata dalla polemica che oppose Ludovico Castelvetro ad Annibal Caro (1553), che chiese a Varchi di rivedere la propria Apologia prima della pubblicazione (1558); dopo che Castelvetro ebbe ulteriormente replicato, Varchi dovette, per quanto di malavoglia, ottemperare alla promessa che aveva fatto all’amico di intervenire in sua difesa. Si diede così alla scrittura del Dialogo delle lingue, che per ampiezza e profondità dei dieci Quesiti affrontati andò ben oltre l’occasione alla quale deve la propria genesi, tanto da costituire la più importante opera linguistica del secondo Cinquecento.
Il dialogo prese il titolo di Ercolano dal nome dell’interlocutore di Varchi, il giovane bolognese Cesare Ercolani, cantato anche nei sonetti pastorali come Tirinto, ed è ambientato nella villa agli Alberi (poi delle Cure) tra Firenze e Fiesole. La stesura si protrasse al punto che fu pubblicato soltanto postumo nel 1570. Forte di un approccio aristotelico basato sull’Organon e sulla Poetica, Varchi superò le posizioni linguistiche di Bembo, approfondendo sul piano teorico le questioni della natura delle lingue e delle relazioni che le legano, con un approccio nuovo alla comunicazione orale. Nel Quesito nono sostenne la superiorità di Dante non solo su Petrarca, ma anche su Virgilio e Omero.
Nel 1561 uscirono presso i Giunti due volumi di lezioni accademiche, curati dai discepoli Lelio (già Raffaello) Bonsi e Silvano (già Girolamo) Razzi, comprendenti alcune lezioni sulla filosofia naturale e sull’amore. Nel gennaio del 1561 morì a Pisa l’amico di tutta la vita, Martini, e Varchi, insieme ad altri, lo pianse nei Cento sonetti sopra la morte di Luca Martini (Firenze, Biblioteca nazionale, II.VIII. 140). Il 16 maggio tenne in San Lorenzo l’orazione funebre per Lucrezia de’ Medici, duchessa di Ferrara (edita nello steso anno). All’estate del 1562 risalgono i Sonetti contra gli Ugonotti, scritti per celebrare le gesta militari di Lenzi che in quell’anno era divenuto vicelegato papale di Avignone (Firenze, Biblioteca nazionale, Filze Rin. 14). In seguito alla morte, sul finire del 1562, della duchessa Eleonora e dei figli Giovanni e Garzia, scrisse versi che confluirono nella miscellanea delle Poesie toscane e latine pubblicata per quel lutto collettivo (1563). Ai primi mesi del 1563 risalgono i sonetti contro Jacopo Corbinelli che, raccomandato con benevolenza da Varchi a Lenzi nell’anno precedente, era però stato condannato come antimediceo nel settembre del 1562 e aveva reagito attaccando la piaggeria mostrata da Lionardo Salviati nella Seconda orazione in morte di Garzia de’ Medici (Cella, 2016). Il 28 giugno 1564, in occasione della cerimonia funebre di Michelangelo, Varchi pronunciò una delle orazioni nella chiesa di S. Lorenzo (edita nello stesso anno). Il 27 agosto e il 3 settembre 1564, dopo un’assenza quasi decennale, Varchi tenne in Accademia le sue ultime due lezioni, trattando il tema dell’amore in relazione ai versi danteschi di Purgatorio XVII, 91-105.
Il 21 ottobre 1562 assunse il beneficio della Collegiata di S. Lorenzo a Montevarchi, ricavandone tuttavia non poche preoccupazioni amministrative per aver scelto un cattivo procuratore.
Secondo la testimonianza di Razzi, Varchi, che verso la fine della sua vita si fece prete, si era infine risolto a trasferirvisi, quando morì a Firenze il 19 dicembre 1565 dopo aver avuto, nel pomeriggio precedente, un ictus che lo privò della parola e della coscienza. Aveva provveduto a nominare suoi esecutori testamentari Lenzi, al quale sarebbero dovuti andare anche i libri (i quali giunsero invece nelle mani di Vincenzio Borghini e poi di Baccio Valori), e Razzi stesso. Gli scritti di Varchi furono riordinati da Piero Stufa, che curò anche il volume dei Componimenti latini e toscani composti in sua memoria dagli amici (editi nel 1566); Razzi scrisse l’epitaffio per la sepoltura nella chiesa di S. Maria degli Angeli, avvenuta il 21 dicembre, e l’orazione funerale fu tenuta, l’8 gennaio 1566, da Lionardo Salviati.
Opere. Postume, oltre alle opere già citate come tali, uscirono anche la maggior parte delle lezioni accademiche. Tra le principali edizioni: Lezzioni, Firenze 1590; Lezioni sul Dante e prose varie, a cura di G. Aiazzi - L. Arbib, Firenze 1841; Opere, I-II, Trieste 1858-1859; per un regesto delle altre edizioni varchiane e per le principes di età contemporanea cfr. A. Andreoni, La via della dottrina. Le lezioni accademiche di Benedetto Varchi, Pisa 2012 (con bibliografia pregressa). Tra le edizioni della Storia fiorentina si segnala quella a cura di L. Arbib, I-III, Firenze 1838-1841 (rist. anast. a cura di L. Perini - R. Bigazzi, Roma 2003). Tra le edizioni moderne: L’Hercolano, a cura di A. Sorella, Pescara 1995; Epigrammi a Silvano Razzi, a cura di S. Ferrone, Fiesole 2003; Lezioni sul Petrarca, a cura di B. Huss et al., Münster 2004, pp. 33-85; Scritti grammaticali, a cura di A. Sorella, trascrizione e note di A. Civitareale, Pescara 2007; Errori del Giovio nelle Storie, a cura di F. Minonzio, Roma 2010; D. Brancato, Il Boezio di Benedetto Varchi. Edizione critica del volgarizzamento della Consolatio philosophiae (1551), Firenze 2018. Delle numerose opere tuttora inedite, che qui non si sono potute citare, si troverà notizia nella bibliografia che segue.
Fonti e Bibl.: Gran parte delle informazioni biografiche si ricavano dalle Vite di Varchi a opera di Silvano Razzi, Giambattista Busini e Baccio Valori (le tre biografie sono state studiate da S. Lo Re, Politica e cultura nella Firenze cosimiana. Studi su B. V., Manziana 2008, volume che, al pari di La crisi della libertà fiorentina, Roma 2006, raccoglie studi fondamentali per la biografia di Varchi), dalle Lettere 1535-65, a cura di V. Bramanti, Roma 2008 e dalle Lettere a B. V. (1530-1563), a cura di V. Bramanti, Manziana 2012; punto di svolta negli studi recenti è B. V. 1503-1565. Atti del Convegno..., Firenze... 2003, a cura di V. Bramanti, Roma 2007; si vedano anche B. V. e il suo tempo. Atti del Convegno... 2003, a cura di L. Perini, Montevarchi 2009, e V. e altro Rinascimento. Studi offerti a Vanni Bramanti, a cura di S. Lo Re - F. Tomasi, Manziana 2013. La recente attenzione della critica internazionale è documentata dai seminari svoltisi alla Sorbona e alla Freie Universität di Berlino: V. e dintorni, a cura di F. Dubard de Gaillarbois - O. Chiquet, in La Rivista, 2017, n. 5, monografico; La cultura poetica di B. V., a cura di S.M. Vatteroni, Berlin 2019. Da segnalare anche i saggi raccolti in B. V. traduttore, a cura di E. Pietrobon - F. Tomasi, in L’Ellisse, XIII (2018), monografico (si avverte che, di necessità, non si citeranno i singoli studi compresi nelle sillogi sopra ricordate). Sui libri e gli autografi di Varchi: A. Siekiera, B. V., in Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento, I, a cura di M. Motolese et al., Roma 2009, pp. 337-357; D. Brancato, Ancora sulla biblioteca di B. V. Notizie dalle biblioteche inglesi, in Storia, tradizione e critica dei testi. Per Giuliano Tanturli, a cura di I. Becherucci - C. Bianca, I, Lecce 2017, pp. 51-64, ai quali si rimanda per la bibliografia pregressa sul tema. Su Varchi letterato e poeta: M. Plaisance, L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo I e di Francesco de’ Medici, Manziana 2004; E. Garavelli, “Vibra pur la tua sferza e mordi il freno”, in Annibal Caro a cinquecento anni dalla nascita, a cura di D. Poli et al., Macerata 2009, pp. 429-454; A. Andreoni, La prima redazione autografa della lezione di B. V. su “La gola e ’l somno et l’otïose piume” (RVF 7), in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 5, 2013, pp. 337-357; D. Chiodo, Più che le stelle in cielo. Poeti nell’Italia del Cinquecento, Manziana 2013, pp. 150-164; V. Bramanti, Corrispondenza e corrispondenti nel secondo libro di Sonetti di B. V., in Italique, XIX (2016), pp. 88-112; R. Cella, Sonetti di corrispondenza tra B. V. e Lionardo Salviati (Firenze, BNCF, Banco Rari 60), in Italianistica, XLV (2016), 3, pp. 47-95; G. Ferroni, “Si ricerca ancora dottrina non picciola”. V., la poesia pastorale e i sonetti del 1555, in Italique, XX (2017), pp. 213-259; S.M. Vatteroni, Le lezioni petrarchesche e i “Sonetti. Parte prima” di B. V., in Nuova rivista di letteratura italiana, II (2019), pp. 41-64 (con bibliografia pregressa). Sulla poesia latina: S. Ferrone, Liber carminum Benedicti Varchii, I-II, tesi di dottorato, Università di Messina 1995; Id., Indice universale dei carmi latini di B. V., in Medioevo e Rinascimento, XI (1997), pp. 125-195. Su Varchi linguista e prosatore: A. Siekiera, Aspetti linguistici e stilistici della prosa scientifica di B. V., in Studi linguistici italiani, XXXIII (2007), pp. 3-50; Ead., V., B., in Enciclopedia dell’italiano, II, Roma 2011, pp. 1535 s.; F.M. Bertolo - M. Cursi - C. Pulsoni, Bembo ritrovato. Il postillato autografo delle Prose, Roma 2018, passim. Su Varchi storico: S. Albonico, Nota ai testi, in Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di A. Baiocchi, Milano-Napoli 1994, pp. 1073-1090; D. Brancato, “Narrar la sustanzia in poche parole”. Cosimo I e Baccio Baldini correttori della Storia fiorentina, in Giornale italiano di filologia, LXVII (2015), pp. 323-334; D. Brancato - S. Lo Re, Per una nuova edizione della Storia del V.: il problema storico e testuale, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 5, 2015, pp. 201-231 e 271 s.; V. Bramanti, Viatico per la Storia fiorentina, in Id., Uomini e libri del Cinquecento fiorentino, Manziana 2017, pp. 147-200; D. Brancato, Filologia di (e per) Cosimo I: la revisione della Storia fiorentina, in La filologia in Italia nel Rinascimento, a cura di C. Caruso - E. Russo, Roma 2018, pp. 257-273. Sul Beneficio di Cristo: P. Simoncelli, Evangelismo italiano del Cinquecento, Roma 1979, passim. Su Varchi filosofo: M. Sgarbi, The Italian mind. Vernacular logic in Renaissance Italy (1540-1551), Leiden-Boston 2014, pp. 71-126; Aristotele fatto volgare, a cura di D.A. Lines - E. Refini, Pisa 2014 (in partic. A. Andreoni, Luoghi aristotelici nelle lezioni accademiche, pp. 61-76; A. Siekiera, Riscrivere Aristotele: la formazione della prosa scientifica in italiano, pp. 149-167); S. Gilson, Vernacularizing meteorology: B. V.’s “Comento sopra il primo libro delle Meteore d’Aristotile”, in Vernacular Aristotelianism in Italy from the 14th to the 17th century, London 2016, pp. 161-181; D. Brancato, V. e Aristotele. Nuovi materiali per il commento agli “Analytica priora”, in Nuova rivista di letteratura italiana, XXI (2018), 1, pp. 99-155. Sui rapporti con gli artisti: M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo, Torino 1997, passim; A. Corsaro, Intorno alle rime di M. Buonarroti. La silloge del 1546, in Giornale storico della letteratura italiana, CLXXXV (2008), 612, pp. 536-569; S. Lo Re, V. e Michelangelo, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 5, 2012, pp. 485-516; A. Geremicca, Agnolo Bronzino: “la dotta penna al pennel pari”, Roma 2013, passim; D. Gamberini, A bronze manifesto of Petrarchism: Domenico Poggini’s portrait medal of B. V., in I Tatti studies, XIX (2016), 2, pp. 359-383; Intrecci virtuosi. Letterati, artisti e accademie nell’Italia centrale tra Cinque e Seicento, a cura di C. Chiummo et al., Roma 2017, passim; F. Dubard, Le ‘Due lezzioni’ varchiane. Una soluzione al dilemma michelangiolesco: pubblicare o non pubblicare, in La letteratura italiana e le arti. Atti del XX Congresso dell’ADI..., Napoli... 2016, a cura di L. Battistini et al., Roma 2018.