Benedetto XI
Al secolo Niccolò Boccasini; nacque a Treviso nel 1240 - da Boccassio, notaio di modeste condizioni, e da Bernarda.
Va osservato che non è attestata una famiglia Boccasini e che quindi il cognome di Niccolò va probabilmente ricondotto a un gesto d'affetto verso lo zio Boccasino, un prete che lo allevò
e lo guidò agli studi, analogamente a quanto fece - e non fu ovviamente il solo - il ben noto Pietro Damiani che così si disse appunto dallo zio Damiano, che lo curò nell'infanzia. Comunque il cognome Boccasini non sembra attestato da documenti ed è dato dalla tradizione erudita.
Entrato nell'ordine domenicano nel 1257, passò - ma ci mancano testimonianze precise e documentate - da un convento all'altro, facendosi notare per cultura
e santità, sì da essere eletto provinciale di Lombardia tre volte fra il 1286 e il 1296, quando, il 12 maggio, venne eletto a Strasburgo maestro generale dell'ordine. Nelle difficili condizioni della Chiesa, dilaniata dal contrasto fra Bonifacio VIII e i Colonna e turbata dall'opposizione dei francescani spirituali italiani che negavano la validità dell'elezione del pontefice, Niccolò sostenne, e con lui tutto l'ordine, il papa, che lo volle collaboratore della sua attività e lo creò cardinale prete del titolo di s. Sabina il 5 dicembre 1298, promovendolo il 2 marzo 1300 a cardinale vescovo di Ostia e Velletri
e alla connessa dignità di decano del Sacro Collegio.
Continuando a collaborare col papa nella sua attività diplomatica fu, nel 1301-1302, in Ungheria per indirizzare - ma invano - i principi ungheresi all'elezione di un re favorevole alla Curia e in Austria per ottenere l'appoggio di Alberto d'Asburgo alla politica del papa.
Presente alla vicenda di Anagni - anche se non vi ebbe altro rilievo che di spettatore - alla morte del pontefice, dopo un brevissimo conclave venne eletto papa il 22 ottobre e consacrato il 27 ottobre del 1303.
Posto così di fronte ai gravissimi problemi lasciati insoluti dal suo predecessore, B. cercò di trovare, regolarmente, delle soluzioni dilatorie o di compromesso: così, per esempio, assolse il re Filippo IV il Bello e la sua famiglia dalla scomunica per lo ‛ schiaffo ' di Anagni, ma la ribadì per coloro che ne erano stati gli autori materiali, tra cui Guglielmo di Nogaret e Sciarra Colonna, intimando loro di comparire al suo cospetto per esser giudicati. Analogamente liberò dalla scomunica i due cardinali Pietro e Giacomo Colonna, con i loro familiari e seguaci, ma non restituì loro né il cardinalato né i beni.
In realtà, essendo uno spirito religioso formatosi nelle mura di un convento, non aveva un senso esatto dei problemi, e, nella coscienza dei propri limiti, ne evitava e rinviava la soluzione. Fu invece energico e deciso là dove poteva orientarsi, come nei riguardi dei francescani spirituali: il loro fautore, Arnaldo da Villanova, celebre medico, che cercò di intimidirlo, come aveva già fatto persino con Bonifazio VIII e come farà con Clemente V, si vide messo subito in prigione a Perugia nel giugno del 1304.
Nei riguardi di Firenze, B. cercò di ricondurre nella città i Bianchi e i ghibellini, anche per riconoscenza verso i Cerchi che lo avevano appoggiato finanziariamente, ma provocò una violenta opposizione dei Neri, nonostante l'attività e la solerzia di uno dei più abili suoi collaboratori, Niccolò da Prato, che egli aveva fatto cardinale il dicembre 1303.
Morì d'improvviso il 7 luglio 1304. Fu beatificato nel 1738.
D. non ricorda mai esplicitamente nella sua opera B., provocando il dubbio che lo consideri tra coloro di cui non val troppo la pena di occuparsi. Suscita perciò molte perplessità l'opinione di quegli studiosi che ritengono il poeta influenzato, nella sua condanna dello ‛ schiaffo di Anagni ' (Pg XX 85-87), dalla bolla Flagitiosum scelus emanata il 7 giugno 1304 da Perugia, o dalle parole che il pontefice avrebbe pronunziato in una sua omelia, sempre perugina, di cui riferisce il cronista inglese, continuatore dei Flores historiarum. In questo secondo caso bisognerebbe anzi supporre una presenza di D., improbabile e, comunque, non accertata, nella città umbra. Qualora si dati all'elezione di Clemente V l'epistola di D. ai cardinali italiani, allora è appunto B. il ‛ defunctus Antistes ' (Ep XI 25) la cui ira sarebbe rinverdita nel ‛ transtiberinus sectator '. Ma tutta la questione, com'è noto, è ancora sub iudice. Altrettanto tenui sono le ipotesi di coloro (Benassuti, Di Cesare, Mandonnet) che in papa B. hanno voluto identificare il Veltro, poiché domenicano e quindi dei Domini Canes.
Bibl. - P. Funke, Papst B. XI, Münster i. W. 1891; J. Walter, B. XI, in Dizion. biogr. degli Ital. VIII (1966) 370-378. Per l'oltraggio di Anagni si veda in particolare R. Holtzmann, Wilhelm von Nogaret, Friburgo 1898, 111-127, e W. Holtzmann, Zum Attentat von Anagni, in Festschrift A. Bruckmann, Weimar 1930. Cfr. anche P. Fedele, Per la storia dell'attentato d'Anagni, in " Bull. Ist. Stor. Medio Evo " XLI (1921) 210-211. Per l'identificazione col Veltro, v. G. Di Cesare, Note a D., Città di Castello 1894; P. Mandonnet, Note de symbolique médiévale. Domini Canes, Friburgo 1912.