Benedetto XII
Giacomo Fournier, originario di Saverdun (dipartimento dell'Ariège, distretto di Pamiers) nella Contea di Foix (Francia meridionale), nacque, probabilmente tra il 1280 e il 1285, da una famiglia che non apparteneva certamente né alla nobiltà né alla borghesia mercantile da cui erano usciti i suoi due predecessori Clemente V e Giovanni XXII; suo padre era forse mugnaio.
Destinato alla carriera ecclesiastica, la sua fortuna fu rappresentata dallo zio materno, Arnaud Novel, monaco cisterciense, che aveva ricoperto la carica di ufficiale dell'Ordine a Tolosa. Il nipote seguì le orme dello zio, fece la professione nell'abbazia di Boulbonne, poi passò a quella di Fontfroide, in cui Arnaud era divenuto abate. Fu allora inviato a Parigi al collegio S. Bernardo, appartenente all'Ordine, a seguire gli studi di teologia; compì tutta la carriera universitaria fino al grado di "magister" e insegnò ai pensionanti del suo collegio. Nel frattempo Arnaud Novel era divenuto uno degli uomini di fiducia di Clemente V; aveva ricevuto la direzione della Cancelleria e il 19 dicembre 1310 era divenuto cardinale; domandò subito il privilegio di designare lui stesso il suo successore a Fontfroide, approfittandone per eleggere il nipote, nel 1311.
Per alcuni anni il giovane abate si piegò alla vita del chiostro, ma nulla ci è pervenuto di questo periodo di preghiera e di riflessione. Egli dovette sentire quanto i compromessi avevano attenuato il rigore della Regola cisterciense, quali ambizioni si agitavano nella mente dei monaci; forse si formò allora quella convinzione, che espresse più tardi, che teologia e filosofia fossero le sole materie che dovevano coltivare gli studenti dell'Ordine. Quando Arnaud Novel stimò che il suo protetto fosse sufficientemente maturo per iniziare una carriera più attiva gli fece affidare dal pontefice Giovanni XXII, il 19 marzo 1317, la sede episcopale di Pamiers. Riuscì a vederlo ancora alla Corte di Avignone, ma venne a morte sei giorni prima che il nuovo vescovo fosse consacrato. Giacomo Fournier non poteva contare ormai più che sulle proprie capacità. La sua diocesi di montagna serviva di rifugio a eretici, Valdesi o Albigesi, e il vescovo ne iniziò la ricerca e la persecuzione, ciò che l'Inquisizione di Carcassonne non era riuscita a ottenere. Si è calcolato che in sette anni egli presiedette il suo tribunale per trecentosettanta giorni. Girava per la diocesi, ascoltava i testimoni, interrogava i sospetti; i processi verbali delle sedute, che sono arrivati a noi lo mostrano attento ai dettagli della procedura, preciso, severo, ma pronto a esporre lungamente la dottrina cattolica per convincere gli avversari; ottenute le confessioni, allentava il suo rigore: in novantotto processi condannò al rogo soltanto cinque eretici recidivi. Si dedicò anche all'istruzione dei suoi fedeli: la maggior parte dei trentuno sermoni, che si sono tramandati in forma schematica, risalgono al periodo del suo vescovato.
Giovanni XXII apprezzò questo zelo, e chiamò il vescovo a partecipare al processo del celebre frate minore Bernardo Délicieux; ebbe poi da lui la giustificazione dei suoi interventi nella dibattuta questione della povertà che divideva l'Ordine dei Minori: Giacomo Fournier dimostrò infatti che un pontefice non era legato alle costituzioni dei suoi predecessori in materia di disciplina. Il 3 marzo 1326 il papa lo trasferì a Mirepoix, nella stessa regione di Pamiers, nei Pirenei, perché riprendesse qui la lotta contro gli eretici, ma ben presto ritenne più utile averlo stabilmente presso di lui: il 18 dicembre 1327 lo nominò cardinale prete del titolo di S. Prisca.
Giacomo Fournier divenne così il teologo della Curia pontificia, colui che esaminava le dottrine sospette. Partecipava ai processi, confutava gli "errori" degli Spirituali, dei Gioachimiti, di Meister Eckhart; risalgono a questo periodo i suoi trattati che si sono conservati.
La questione principale nella quale intervenne fu quella provocata dalle dichiarazioni di Giovanni XXII sulla visione beatifica. L'opinione tradizionale era che le anime dei giusti, dopo la morte, godessero della contemplazione diretta di Dio, anche prima del giudizio universale, ma il papa, in una serie di sermoni, iniziati nel 1331, l'aveva messa in dubbio, suscitando viva emozione; i nemici che Giovanni XXII aveva tra i Francescani intensificarono i loro attacchi. Il pontefice si rivolse allora a tre riprese a Giacomo Fournier, che spiegò come il capo della Chiesa avesse il diritto di esprimersi a titolo personale e come fossero infondate le accuse di Michele da Cesena, Guglielmo di Occam e Bonagrazia da Bergamo; confutò le proposizioni di Durand di St-Pourçain (Durando di S. Porciano con le Decem questiones in Durandum, intraprese uno studio De statu animarum sanctarum ante generale iudicium che, pur confermando le opinioni correnti, andava tuttavia incontro, non senza coraggio, a quelle del pontefice.
La fama non aveva mutato le abitudini austere di Giacomo Fournier, che conservò tra l'altro l'abito dei Cisterciensi, come aveva fatto Arnaud Novel, e fu soprannominato per questo il "cardinale bianco". Il 4 dicembre 1334 moriva Giovanni XXII. Dopo un pontificato di diciotto anni la successione si presentava difficile per molti motivi: conflitto con Ludovico il Bavaro, che il papa si era rifiutato di riconoscere come re e imperatore; fallimento di una politica di potenza in Italia per la preparazione del ritorno della Santa Sede a Roma; progetto di una crociata; lamentele contro la centralizzazione dell'amministrazione e la colonizzazione della Corte pontificia da parte dei Francesi; confusione negli Ordini religiosi, specialmente in quello dei Frati Minori; turbamento suscitato dalle polemiche sulla visione beatifica. I cardinali, che entrarono in conclave il 13 dicembre 1334, erano incerti e divisi. Il 20 elessero Giacomo Fournier, che assunse il nome di Benedetto XII.
Sembra che la scelta rappresentasse una sorpresa: il nuovo papa non aveva alcuna esperienza di questioni politiche, ma la sua competenza teologica, la sua attività pastorale, la sua austerità erano atte a produrre un serio sforzo di rettitudine dottrinale, morale e amministrativa. Il nome di Benedetto mostra come l'eletto intendesse ispirarsi all'esempio del "patriarca dei monaci d'Occidente"; fin dal suo primo Concistoro segreto invitò i cardinali che lo avevano eletto ad aiutarlo a "rendere produttiva la vigna del Signore".
L'incoronazione del nuovo pontefice ebbe luogo l'8 gennaio 1335 nella chiesa dei Domenicani di Avignone. B. si adoperò immediatamente per eliminare gli abusi che erano stati introdotti nel governo della Chiesa. Non si limitò solo a ordinare un'inchiesta sulle esazioni di cui si rendevano colpevoli gli ufficiali, a riorganizzare la polizia curiale, a stabilire il salario dei funzionari, ma si rifiutò anche di esaminare le innumerevoli domande di favori che gli venivano presentate e ordinò ai prelati e ai chierici che abitavano ad Avignone, senza tuttavia avervi un incarico, di ritornare alle loro chiese. Successivamente revocò le commende e, alla fine del 1335, le aspettative, vale a dire le concessioni di benefici, fatte quando chi ne godeva al momento della concessione ad altra persona era ancora in vita. Impose inoltre l'obbligo di un esame per i candidati ai benefici. Ma era la Chiesa intera che egli desiderava riformare. Designò alcuni commissari per l'accertamento dello stato del clero secolare; limitò l'importo delle tasse che i prelati ricevevano in occasione delle visite nelle loro circoscrizioni; e, soprattutto, formatosi lui stesso in un monastero, volle dedicarsi alla riorganizzazione degli Ordini religiosi. In pochi mesi si succedettero le disposizioni al riguardo: il 17 giugno 1335, con la bolla Pastor bonus, ordinava ai monaci vaganti di entrare in qualche convento, i cui superiori erano invitati ad accoglierli benevolmente; il 4 luglio la bolla Regolarem vitam proibiva il passaggio da un Ordine all'altro; il 12 luglio la bolla Fulgens sicut stella imponeva ai Cisterciensi, di cui il papa conosceva per esperienza personale il modo di vita, un ritorno alle disposizioni disciplinari male applicate e definiva un insieme di norme sulla gestione delle proprietà, l'ammissione dei novizi e lo studio dei monaci; il 20 giugno 1336 la bolla Summi magistri, designata spesso con il nome di "benedettina", dava al più venerabile degli Ordini, quello di s. Benedetto, una struttura che esso non aveva mai avuto: i monasteri venivano suddivisi in trentadue province, gli abati dovevano riunirsi in Capitolo ogni tre anni, un monaco su venti era autorizzato a frequentare le Università a determinate condizioni. Il 28 novembre 1336 erano i Frati Minori a ricevere, con la bolla Redemptor noster, una costituzione in trenta articoli: tra le molte indicazioni, che non lasciavano in ombra né i dettagli della disciplina, né gli obblighi dei dignitari, né l'organizzazione dei conventi, né lo statuto proprio delle Clarisse, una parte importante riguardava gli studi, preoccupazione dominante nel pensiero del pontefice: la principale innovazione era costituita dalla istituzione di scuole generali aperte a studenti scelti dai conventi vicini in cui dovevano insegnare i frati più dotati che contemporaneamente seguivano la carriera universitaria. Un capitolo completamente nuovo affidava alle comunità l'elezione dei custodi e dei guardiani, che fino ad allora erano sempre stati nominati dai provinciali. È difficile conoscere i risultati ottenuti da queste disposizioni.
Si racconta che B. avesse dichiarato che il papa, come Melchisedec, non conosceva parenti; è certo che i membri della sua famiglia, gli amici, i compatrioti non ottennero quei favori che l'esempio dei precedenti pontefici avrebbe potuto far loro sperare: egli si lamentò perfino degli onori concessi dal re di Napoli a un suo nipote, Guglielmo Fournier. Meno severamente si comportò con i cardinali, che continuarono a usare il sistema della commenda e a raccomandare i loro clienti.
Eliminato qualche abuso, continuò tuttavia la distribuzione dei benefici e delle dispense: B. nominò direttamente i titolari di trecentoventotto vescovati o abbazie e millecinquecentocinque cariche inferiori, in virtù delle riserve precedentemente definite, che egli confermò nella bolla Ad regimen, promulgata fin dal 15 gennaio 1335. Dopo essersi lasciato indurre a concedere milleduecentoquaranta aspettative durante il primo anno del suo pontificato, egli le aveva revocate: negli anni seguenti promise tuttavia lo stesso più di ottocento benefici. Gli si è rimproverato di prolungare deliberatamente la vacanza delle cariche che ritornavano a lui, per goderne più a lungo le entrate, ma questi ritardi si possono anche spiegare con la preoccupazione della scelta dei candidati adatti. Più sensibile alle debolezze umane di quanto non si potesse pensare, il papa concesse numerose dispense a illegittimi e a figli di preti, perché ottenessero cariche ecclesiastiche. La sua preoccupazione di maggior rigore e austerità nel governo della Chiesa è in fondo dimostrata dal numero degli atti emanati dalla Cancelleria, notevolmente minore di quello del pontificato precedente. Parallelamente le entrate, basate soprattutto sullo sfruttamento dei benefici, diminuirono, abbassandosi dalla media annua di 228.000 fiorini di Firenze a 166.000. Ma le spese, più che dimezzate, non oltrepassarono i 100.000 fiorini, tanto che nel 1342 il Tesoro pontificio ammontava a 1.117.000 fiorini. L'amministrazione di B. si dimostrò dunque prospera.
Presso i Regolari l'azione del papa non poteva esercitarsi in maniera così diretta come sulla Curia: bisognava fare i conti con la buona volontà dei superiori e l'attaccamento di ciascun Ordine ai propri usi. B. ebbe l'accortezza di chiedere consigli e di inserire nella sua legislazione molte delle antiche norme, ottenendo così dei risultati che la malafede dei suoi avversari è riuscita a nascondere anche agli occhi degli storici moderni. I Benedettini e i Canonici Regolari di S. Agostino accettarono durevolmente l'istituzione dei Capitoli; i Frati Minori, nonostante alcune reticenze e nonostante le dispense da loro richieste dopo la morte del papa riformatore, applicarono la maggior parte delle norme della bolla Redemptor noster, che si ritrovano infatti nelle loro successive costituzioni. Con i Cisterciensi il papa fu costretto a imporre la propria autorità su qualche abate ribelle. Presso i Domenicani, invece, incontrò tanti ostacoli che rinunciò a dar loro un regolamento che aveva poca probabilità di essere rispettato. Lasciò semplicemente che adottassero alcune delle norme della bolla da lui diretta ai Francescani. Non si può dunque fare un bilancio negativo della riforma degli Ordini religiosi che rappresentò la sua più notevole iniziativa, anche se la minuziosità e la secchezza dei testi non erano certo adatte a un rinnovamento profondo di queste istituzioni.
La Chiesa che B. voleva più austera non era però diversa, fondamentalmente, da quella che si era andata configurando dall'inizio del XIV secolo. La dominano i Francesi e tra questi quelli della Francia meridionale che parlavano la lingua d'oc: nel 1342 essi contano quindici cardinali di fronte a tre italiani e a un castigliano, e hanno la maggioranza delle cariche nell'amministrazione centrale. Per converso, il Regno di Francia ha il 60% dei benefici e versa le imposte corrispondenti: in sette anni una diocesi francese ricorre in media ventiquattro volte, contro nove per una diocesi del Regno di Arles, sei per una diocesi della penisola iberica, cinque per una diocesi tedesca o inglese; all'Italia sono state inviate soltanto cinquecento lettere riguardanti i benefici sulle quattromiladue del registro. Furono perfezionati i metodi di governo instaurati da Giovanni XXII, particolarmente attento ai problemi organizzativi della Chiesa. La Penitenzieria fu regolata dalla bolla In agro dominico dell'8 aprile 1338; nel 1340 si precisò il funzionamento del Tribunale della Sacra Rota; dal 1341 tre scribi, presi dalla Camera apostolica e chiamati "secretarii", furono incaricati della redazione dei documenti più importanti. La rettitudine amministrativa fu un riflesso della rettitudine personale del papa, che si manifestò ancor meglio nel campo in cui Giacomo Fournier aveva dimostrato la sua particolare competenza: la teologia. Pose fine alla controversia sulla visione beatifica; richiesti molti pareri, il 29 gennaio 1336 promulgò la costituzione Benedictus Deus: dopo il giudizio, a cui ciascun'anima è sottoposta dopo la morte, le anime dei dannati vanno all'Inferno, quelle dei giusti salgono al Cielo, vivono con il Cristo, contemplano l'Essenza divina con una visione intuitiva e diretta; questa beatitudine continuerà eternamente dopo il giudizio universale. Era un articolo di fede. Quando gli segnalarono che gli Armeni, ai quali egli aveva inviato aiuti, professavano dottrine erronee, B. ne fece redigere un elenco comprendente centodiciassette punti e ne reclamò la ritrattazione. La minaccia dei Turchi ottomani indusse gli imperatori d'Oriente a lasciar sperare una riunione delle Chiese in cambio degli aiuti di uomini e di denaro dall'Occidente; ma, avendo il monaco greco Barlaam enumerato le questioni che avrebbero dovuto essere discusse in un concilio generale, B. rispose che i Bizantini dovevano solo tornare all'ortodossia romana senza discutere.
Parallelamente il papa cercava di espandere l'influenza della Chiesa di Roma. Fin dall'inizio del sec. XIV gli immensi territori dell'Impero mongolo, che si stendevano dalla Russia meridionale alla Cina, parevano sempre offrire un campo per l'evangelizzazione. In Persia e in Cina era stata costituita una gerarchia cattolica. In risposta a un'ambasceria del Gran khan, B. nel 1338 inviò una delegazione di religiosi guidata dal frate minore Nicola Bonet, e in seguito dal suo compagno Giovanni Marignolli di Firenze; il gruppo, al quale il papa aveva affidato numerose lettere contenenti tra l'altro un'esposizione della dottrina cristiana, fu accolto benevolmente da Özbek, khan di Qinciāq, e attraverso le piste dell'Asia centrale giunse a Pechino nel 1342; il suo capo tornò dalla missione soltanto nel 1352, quando cioè cominciava a sfasciarsi l'Impero mongolo e con esso il sogno della conversione dell'Asia.
A queste linee di politica organizzativa interna e di presenza presso popoli non cristiani faceva riscontro una politica temporale che ricercava le vie dell'accordo e della pacificazione. A tal fine B. destinò il 5-6% delle spese a interventi che avevano assorbito oltre i due terzi del bilancio di Giovanni XXII. Il ritorno del papa a Roma non doveva né poteva essere per B. quello di un sovrano vittorioso, ma quello di un messaggero pacifico. Nel 1335 egli dichiarò davanti ad ambasciatori romani l'intenzione di ritornare nei suoi Stati: pensava di stabilirsi dapprima a Bologna.
Il giovane Petrarca, preoccupato, gli indirizzò allora un'epistola in latino in cui Roma, rappresentata da una vecchia signora, gloriosa ma addolorata, supplicava il suo sposo pontificio di aver pietà della sua miseria. Al papa vennero confermate la carica di senatore e la nomina dei principali ufficiali municipali.
Ma ormai da più di trent'anni risultava ben chiaro che il pontefice non poteva tornare in Italia se non fossero maturate certe condizioni di ordine e di sicurezza, dapprima all'interno degli Stati della Chiesa, quindi all'esterno. Il 6 maggio 1335 fu inviato nel Patrimonio l'arcivescovo d'Embrun, Bertrando di Déaulx; egli esaminò l'amministrazione dei rettori, cambiò il personale, promulgò due costituzioni per eliminare gli abusi. Ma i baroni, feudatari della Chiesa romana, non furono domati. Essi dominavano in pratica la Romagna e la Marca Anconetana. Mentre nel Sud della penisola il papa cercava di convincere il re Roberto di Napoli, suo vassallo, ad adattarsi alla vicinanza del re di Trinacria, invincibile nell'isola di Sicilia, cercò - dal momento che ai suoi occhi l'Impero era vacante e che Ludovico il Bavaro era in quel momento impotente a far sentire il suo peso nel Nord d'Italia - di fare dei signori italiani degli alleati del papato: i Della Scala furono riconosciuti vicari per Verona e Vicenza, i Gonzaga per Mantova, gli Este per Modena, i Visconti per Milano, in cambio del versamento di sussidi o del rifornimento di truppe. Le tracce dello scisma nel quale le città erano state trascinate da Ludovico il Bavaro furono cancellate. Ma questa riconciliazione, ottenuta spesso faticosamente, dato che l'accordo con i Visconti fu concluso solo il 15 maggio 1341, portò al riconoscimento e al consolidamento delle Signorie. Lo stesso riconoscimento del fatto compiuto assunse significato più grave a Bologna: la città, che si era data alla Chiesa nel 1327, nel 1334 aveva cacciato il legato di Giovanni XXII; mentre B. aspettava che essa implorasse perdono, il 28 agosto 1337 Bologna si affidava proprio a uno degli istigatori della ribellione, Taddeo Pepoli. Il papa lanciò allora la scomunica e l'interdetto, accettando tuttavia in seguito una conciliazione: nel 1340 i Bolognesi prestarono il giuramento di fedeltà al rappresentante del papa, impegnandosi a pagare un censo, e Taddeo Pepoli si tramutò in amministratore dei diritti e dei beni della Chiesa a Bologna. Quanto al viaggio in Italia non se ne cominciarono nemmeno i preparativi. B. sapeva che Roma era agitata dalle lotte tra le famiglie dell'aristocrazia, e si limitò a testimoniare il suo interesse ordinando il rifacimento della copertura della basilica di S. Pietro, opera molto costosa, ricordata da un'iscrizione. Convinto che non era ancora giunto il momento del ritorno a Roma, nell'aprile del 1335 cominciò i lavori agli edifici in cui aveva abitato Giovanni XXII e nel giugno del 1336 manifestò il suo proposito di costruire ad Avignone "un palazzo speciale in cui il pontefice romano potrà abitare quando e per quanto tempo riterrà necessario". Il suo predecessore si era riservato la casa del vescovo; B. diede a quest'ultimo una nuova residenza e, completamente libero, affidò al suo compatriota Pierre Poisson l'incarico di sostituire il vecchio edificio con un castello più vasto e meglio difeso, chiamato ora "Palazzo vecchio" per distinguerlo dal "Palazzo nuovo", costruito sotto Clemente VI.
La pianta fu tracciata intorno a un cortile, circondato da una galleria; solamente l'ala orientale si prolungava verso sud fino a una grande torre dove si trovava l'appartamento privato del pontefice. All'esterno l'aspetto dell'edificio era quello di una fortezza, all'interno quello di un monastero. La decorazione, riservata solo ad alcuni ambienti, fu ridotta a tralci di vite o di quercia, con piccoli animali, su fondo unito. Simone Martini, giunto ad Avignone nel 1340 con numerosi artisti toscani, non lavorò al palazzo del pontefice: era stato infatti invitato dai cardinali italiani, meno attivi dei loro colleghi nelle faccende amministrative e più di loro amanti dell'arte.
Le incertezze della politica italiana non furono i soli motivi del prolungarsi del soggiorno di B. sulle rive del Rodano. La situazione dell'Occidente richiedeva tutta l'attenzione del pontefice procurandogli tuttavia preoccupazioni e dispiaceri. La sua elezione aveva indotto Ludovico il Bavaro a tentare un riavvicinamento: giunsero ad Avignone ambasciatori tedeschi, ma le rimostranze del re di Francia e del re di Napoli impressionarono B. che pose condizioni inaccettabili. Nel 1338, alla presenza dei principi elettori, dei nobili e dei rappresentanti delle città, fu proclamata a Rhens e a Francoforte l'indipendenza del potere imperiale dal papato. Marsilio da Padova e Guglielmo da Occam fornirono le giustificazioni teoriche del nuovo diritto; i dissidenti francescani, rifugiatisi a Monaco, denunciarono l'indegnità del papa, facendo appello a un concilio generale, e l'alto clero, colpito dall'interdetto che pesava sulla Chiesa tedesca, sostenne Ludovico.
L'ostilità del monarca francese accelerò il riavvicinamento di Ludovico il Bavaro e di Edoardo III d'Inghilterra: nel 1337 fu conclusa un'alleanza segreta; nel 1338 l'imperatore concesse al suo alleato le prerogative di vicario imperiale. Edoardo III poteva così intraprendere la guerra contro la Francia con il pretesto della confisca del suo feudo di Guienna e della rivendicazione della Corona di Francia assunta dai Valois.
B. aveva sentito approssimarsi la tempesta: aveva cercato di placare Edoardo, favorendo la tregua tra Inglesi e Scozzesi, e facendo poi ritardare l'occupazione della Guienna da parte di Filippo VI. Una volta iniziate le ostilità, non cessò di mandare ambasciatori ai belligeranti, per proporre tregue d'armi: nel 1338 e nel 1339 ottenne che fosse differita la prima spedizione inglese, e preparò poi la tregua di Esplechin del 1340. Ma frattanto Edoardo III era sbarcato; la flotta francese fu distrutta all'Ecluse presso Bruges e i Fiamminghi si schierarono con gli Inglesi.
Gli storici hanno spesso giudicato severamente l'azione di B. che avrebbe paralizzato il re di Francia, suo alleato, senza danneggiare seriamente i suoi nemici. In effetti, il papa non aveva i mezzi per imporre la pace; intuiva, non senza ragione, la debolezza della casa di Valois; si cullava in vane speranze, e fu crudelmente deluso. Il tragico sviluppo del contrasto anglo-francese, che portò alla guerra dei Cento anni, impedì l'organizzazione di quella crociata che Filippo VI aveva accettato di guidare e dal cui impegno, nel 1336, B. aveva dovuto liberarlo. Questi insuccessi furono solo in piccola parte ricompensati dalla riconciliazione della Castiglia, del Portogallo e della Navarra, e dal pagamento del censo feudale, dovuto alla Santa Sede, da parte dell'Aragona per la Corsica e la Sardegna.
B., che nel 1340 era stato immobilizzato da ulcere alle gambe, morì di cancrena il 25 aprile 1342. La sua tomba, opera di Jean Lavenier di Parigi, fu posta nella cattedrale di Avignone.
Si è rimproverato a B. di essere stato uno sciocco, di parlare volgarmente, di ubriacarsi: profilo tracciato da cronisti italiani, come il Villani, e da Francescani ribelli. Egli ci appare semplice, senza pretese, lavoratore, dedito alle abitudini della vita monastica. Compose un ampio commentario del vangelo di s. Matteo ed ebbe rispetto per la cultura: a lui si deve la fondazione delle Università di Verona e di Grenoble. Il suo buon senso gli dava una visione esatta delle cose, per cui riuscì, per esempio, a districarsi dall'infelice discussione sulla visione beatifica tanto che nessuno vi tornò più su. Trasformò la residenza di fortuna di cui Giovanni XXII si era contentato in una sede più comoda, adatta a un'amministrazione sempre più oculata, e capì che la centralizzazione era intollerabile se investita dagli scandali. Ma gli mancarono l'ampiezza di vedute, lo stile del capo, lo splendore, e, in realtà, la sua opera non modificò né lo Stato della Chiesa né il corso della politica europea.
fonti e bibliografia
Per una bibliografia completa si rinvia a G. Mollat, Les papes d'Avignon (1305-1378), Paris 196510, ad indicem.
Gli studi dedicati al periodo del papato avignonese chiariscono l'originalità del pontificato di B.: E. Déprez, Les préliminaires de la guerre des Cent Ans. La Papauté, la France et l'Angleterre (1328-1342), ivi 1902, passim; L.H. Labande, Le palais des papes et les monuments d'Avignon au XIVe siècle, Aix-Marseille 1925, passim; E. Stengel, Avignon und Rhens, Weimar 1930, passim; E. Dupré-Theseider, I papi di Avignone e la questione romana, Firenze 1939, pp. 76-81 e passim; Y. Renonard, Les relations des papes d'Avignon et des compagnies commerciales et bancaires de 1316 à 1378, Paris 1941, ad indicem; Y. Renouard, La Papauté à Avignon, ivi 1954; B. Guillemain, La Cour pontificale d'Avignon (1309-1376). Étude d'une société, ivi 1962, ad indicem; F. Giunta, Benedetto XII e la crociata, "Anuario de Estudios Medievales", 3, 1966, pp. 215-34; P. Amargier, Nullus in jureperitus in utroque: Benoît XII-Urbain V. Aux origines de l'État moderne. Le fonctionnement de la papauté d'Avignon, Roma 1990, pp. 33-9; B. Guillemain, Les papes d'Avignon 1359-1376, Paris 1998.
Su B. in partic. v. ancora le seguenti opere: Benoît XII. Lettres closes, patentes et curiales se rapportant à la France, a cura di G. Daumet, Paris 1899-1920; Benoît XII. Lettres communes, a cura di J.M. Vidal, ivi 1903-11; J.M. Vidal, Bullaire de l'Inquisition française au XIVe siècle [...], ivi 1913, pp. 209-78; Benoît XII. Lettres closes, patentes et curiales intéressant les pays autres que la France, a cura di J.M. Vidal-G. Mollat, ivi 1913-52; Die Ausgaben der apostolischen Kammer unter Benedikt XII., Klemens VI. und Innocenz VI. (1335-1362), a cura di K.H. Schäfer, Paderborn 1914, pp. 1-170; É. Baluze, Vitae paparum Avenionensium [...], a cura di G. Mollat, I-IV, Paris 1914-28, ad indices; Die Einnahmen der Apostolischen Kammer unter Benedikt XII., a cura di E. Göller, Paderborn 1920; Le registre d'inquisition de Jacques Fournier, a cura di J. Duvernoy, Toulouse 1965; B. Schimmelpfenning, Zisterzensierideal und Kirchenreform-Benedikt XII. (1334-42) als Reformpapst, Berlin 1976, pp. 11-43; L. Boehm, Papst Benedikt XII. (1334-1342) als Förderer der Ordensstudien. Restaurator - Reformator - oder Deformator regulärer Lebensform?, in Secundum regulam vivere. Festschrift für P. Norbert Backmund O. Praem., a cura di G. Melville, Windberg 1978, pp. 281-310.
V. fra le biografie: L. Jadin, Benoît XII, in D.H.G.E., VIII, coll. 116 ss.; Dictionnaire de théologie catholique, II, Paris 1910, s.v., coll. 653-704; P. Fournier, in Histoire littéraire de la France, XXXVII, Paris 1938, pp. 174-209; E. Sabbadini, Un pontefice avignonese riformatore della Chiesa: Benedetto XII (Cistercense), "Rivista Cistercense", 2, 1985, pp. 19-30; Benedictus XII, "Medioevo Latino. Bollettino Bibliografico", 13, 1992, pp. 66-7.
Su aspetti particolari della vita di B., v.: J.M. Vidal, Notice sur les oeuvres de Benoît XII, "Revue d'Histoire Ecclésiastique", 6, 1905, pp. 556 ss., 785 ss.; K. Jacob, Studien über Papst Benedikt XII., Berlin 1910; J.B. Mahn, Le pape Benoît XII et les Cisterciens, Paris 1949; B. Guillemain, La politique bénéficiale du pape Benoît XII, ivi 1952; C. Schmitt, Un pape réformateur et un défenseur de l'unité de l'Église. Benoît XII et l'ordre des frères Mineurs, Quaracchi 1959; E. Castelnuovo, Un pittore italiano alla corte di Avignone, Torino 1962, ad indicem; F.J. Felten, Die Ordensreformen Benedikts XII. unter institutionen-geschichtlichem Aspekt, in Institutionen und Geschichte. Theoretische Aspekte und mittelalterliche Befunde, a cura di G. Melville, Köln 1992, pp. 369-435.
G. Falco, Benedetto XII, in Enciclopedia Italiana, VI, Roma 1930, pp. 611 s.; New Catholic Encyclopaedia, II, Washington 1967, s.v., pp. 275-76; Lexikon für Theologie und Kirche, II, Freiburg 1994³, s.v., coll. 207-08; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, I, Milano 1996, s.v., pp. 162-63.