ZACCARIA, Benedetto
– Nacque in data imprecisata (probabilmente verso la fine degli anni Trenta del secolo XIII) da Fulco Zaccaria, membro di una famiglia di facoltosi mercanti genovesi affermatasi già agli inizi del Duecento, e da Iuleta, di famiglia sconosciuta.
È diventato noto grazie all’opera prima di Roberto Lopez, che dedicò la sua tesi, pubblicata l’anno successivo alla laurea (1932), alla complessa figura di Benedetto, che fu anche ammiraglio, condottiero e diplomatico. Il profilo che tracciò Lopez contribuì a forgiare il prototipo del grande mercante genovese: un Idealtypus che ha marchiato in profondità la successiva storiografia sulla città.
Il primo riferimento documentario a Zaccaria risale al 1248, quando la madre lo istituì suo erede con i fratelli Manuele (v. la voce in questo Dizionario) e Nicolino. Notizie più consistenti sui suoi impegni pubblici datano alla fine degli anni Cinquanta. Nel 1256 fu sicuramente consigliere del Comune genovese: il suo nome compare tra i firmatari della ratifica della concessione in feudo di alcune terre situate nel Giudicato di Cagliari a Guglielmo, cugino del fu Chiano, marchese di Massa e giudice di Cagliari. La sua carriera cominciò a prendere slancio pochi anni dopo. Nel 1264, nel tentativo di riallacciare i rapporti con Bisanzio, il Comune di Genova affidò a Zaccaria un’importante missione diplomatica. Con Simonetto de Camilla, di antica famiglia consolare, fu inviato a Costantinopoli a negoziare con Michele VIII Paleologo la restituzione del quartiere genovese nella città, dato che l’imperatore, come ritorsione per i comportamenti del podestà genovese a Costantinopoli e per il tiepido aiuto dei Liguri contro Venezia, aveva relegato la comunità ligure a Eraclea sul mare di Marmara.
La missione non portò i suoi frutti tanto che i genovesi riuscirono a rientrare nelle grazie di Michele non prima del 1267 e solo in seguito al rifiuto del doge veneziano di ratificare un trattato già redatto tra la Serenissima e l’Impero, fatto che spinse il Paleologo a rivolgersi nuovamente alla città ligure che inviò ancora una volta Zaccaria. Fu in questo frangente, forse proprio nello stesso anno, che Zaccaria ottenne dall’imperatore la città di Focea, nei pressi di Smirne, uno dei principali centri di produzione del prezioso e costoso allume di rocca, indispensabile come mordente nella tintura dei panni.
Secondo Lopez la città fu concessa a Benedetto e Manuele Zaccaria, ma le circostanze attorno a questa investitura non sono molto chiare e necessitano di ulteriori e più puntuali indagini critiche.
A ogni modo la concessione fece la fortuna della famiglia e sicuramente ne beneficiò anche Benedetto: in questo modo l’esteso gruppo parentale ottenne in pratica il monopolio del commercio di tale merce pregiata nel Mediterraneo e al contempo l’accesso al grano proveniente dal Levante, come attestano le numerose vendite operate in patria. Benedetto aveva sicuramente interessi commerciali anche sull’altra sponda del Mediterraneo: nei principali centri della Francia meridionale, come Aigues-Mortes, fino a quelli della costa iberica e anche oltre. Non disdegnò inoltre investimenti in imprese commerciali via terra.
Nonostante il successo della missione diplomatica del 1267 e i notevoli vantaggi ottenuti a livello personale in Oriente, pare che Benedetto non abbia preso parte attiva nella politica genovese nel decennio successivo: non occupò nessun ufficio in patria né gli furono affidate altre ambascerie presso le potenze straniere con cui il Comune aveva rapporti. Tra la fine degli anni Sessanta e Settanta del Duecento è attestato esclusivamente in veste di mercante ed è certo che si dedicò anche alla guerra di corsa. In questi anni le sue fortune crebbero notevolmente, come divennero più articolate le sue reti di contatti commerciali, tanto che entro il 1277 le sue navi cariche di allume cominciarono ad arrivare fino alle Fiandre, rifornendo così con le sue merci uno dei più importanti centri di produzione tessile in Europa.
Riprese l’attività politica nel 1282 quando fu scelto dall’imperatore Michele Paleologo (alleatosi con Genova) come ambasciatore presso la corte di Aragona e Castiglia. L’obiettivo era di convincere la potenza iberica a prestare aiuto al Paleologo minacciato dall’alleanza tra gli Angiò e Venezia (che stavano organizzando una spedizione contro Bisanzio sotto la guida di Carlo I d’Angiò, desideroso di espandere il proprio dominio verso l’Oriente). Così con l’altro legato dell’imperatore, Andronico, vescovo di Sardi, si recò prima dal re di Aragona, a Port Fangós, in Catalogna e successivamente in Castiglia, al tempo lacerata dai conflitti a causa della ribellione dell’erede al trono Sancio contro il padre Alfonso X. In questo clima politico turbolento, la missione si concluse senza risultati, ma nel frattempo Carlo I fu costretto a spostare la sua attenzione sulla Sicilia, dilaniata dalla guerra dei Vespri, e i piani per la spedizione antibizantina furono abbandonati.
Da lì a poco Zaccaria venne richiamato in patria dove fu protagonista di una delle battaglie navali più importanti della seconda metà del Duecento, quella della Meloria.
Le ostilità tra Genova e Pisa, che si erano riaccese un paio di anni prima, si intensificarono nella primavera del 1284 e così poco prima di Pasqua (5 aprile), su ordine del Comune, Zaccaria salpò dal porto di Genova al comando di una flotta di trenta galee. Dopo un primo scontro con i pisani presso l’isola di Tavolara (22 aprile), in cui i genovesi uscirono vittoriosi, continuò a perlustrare il Tirreno per alcuni mesi (aprile-luglio) bloccando così il commercio dei Pisani, intimoriti dalla minacciosa presenza nemica, e tagliando i rifornimenti della città toscana. Successivamente progettò di attaccare Sassari, ma rientrò poi rapidamente a Genova e, unitosi alla flotta comandata da Oberto Doria, sventò l’attacco contro la città ligure portato da una grande flotta armata dai pisani. Gli scontri tra le due forze si protrassero fino a fine luglio. Passato all’offensiva, Zaccaria si diresse verso Porto Pisano (5 agosto) dove il giorno dopo, nei pressi dello scoglio della Meloria, la flotta genovese inflisse ai pisani una durissima sconfitta di cui ebbe molto merito l’esperienza nautica e tattica di Benedetto e che segnò l’inarrestabile declino di Pisa.
L’anno successivo Zaccaria fu di nuovo impegnato contro i pisani (giugno-luglio 1285) a fianco del capitano del Popolo Oberto Spinola in una spedizione che aveva l’obiettivo di infliggere il colpo di grazia alla città toscana; una missione che però non sortì gli effetti sperati. Fu ancora impegnato a contenere gli attacchi dei corsari pisani che stavano intralciando il commercio genovese lungo le coste sarde nel 1286 e l’anno dopo in un attacco organizzato dai genovesi contro Porto Pisano, che parimenti non ebbe esiti risolutivi.
Successivamente le attività diplomatiche e militari di Benedetto si proiettarono nuovamente su una più ampia dimensione mediterranea. Nel 1288 fu di nuovo impegnato nel Levante, e più precisamente in Siria, dove i genovesi avevano perso terreno.
Alla morte di Boemondo VII d’Antiochia (1287), Tripoli di Siria (Tarabulus) si proclamò città libera, anche se la successione spettava a Luciana, sorella del defunto e moglie di un Angiò, che era determinata a non perdere la sua eredità. Al contempo, gli abitanti chiesero aiuto ai genovesi, nel timore non solo di ritorsioni da parte della legittima erede, ma anche di un attacco dei Mamelucchi dall’Egitto, promettendo come contropartita la terza parte della città.
Allettati dalla possibilità di riprendere una posizione centrale nell’area, i genovesi inviarono Zaccaria in soccorso della città conferendogli il titolo di vicario e investendolo di ampi poteri. Dopo essere passato da Focea, giunse nei pressi di Tripoli mentre Luciana era già sbarcata ad Acri e sostenuta da una schiera di alleati (tra cui i templari, gli ospedalieri, i veneziani e i pisani) stava cominciando a trattare con i rappresentanti della città di Tripoli. Benedetto irruppe nel porto superando le galee poste a difesa e Luciana fu costretta a ripiegare su Acri. Ciò gli permise di concludere con la neocittà libera una convenzione per conto dei genovesi che diede al Comune la facoltà di nominare un podestà per governare Tripoli.
Peraltro, la notizia non fu accolta bene dai genovesi nel timore che questo accordo potesse scatenare ritorsioni da parte del sultano d’Egitto Qalawun e danneggiare le relazioni commerciali con le altre potenze. Benedetto fu costretto a stipulare un accordo con Luciana, che durante la sua assenza si era mossa nuovamente per riprendersi la sua eredità; l’anno successivo (febbraio 1289), di fronte al previsto attacco del sultano fu costretto a imbarcare sulle sue galee – nell’imminenza della conquista della città da parte dei musulmani – una parte della popolazione che poi condusse a Cipro. Inoltre i suoi successi nella guerra di corsa (nell’aprile del 1289, nelle acque di Candia, prese una nave proveniente da Alessandria d’Egitto, facendone bottino che portò a Genova con molti prigionieri) ebbero come conseguenza un inasprimento delle relazioni tra Genova e il sultano mamelucco e la rappresaglia da parte di costui (cattura dei mercanti genovesi che si trovavano nel suo territorio e confisca dei beni). Nelle trattative che seguirono, per richiesta del sultano l’operato di Zaccaria fu sconfessato, inoltre lo stesso chiese al Comune di bandire Benedetto da Genova.
Benché non fosse formalmente bandito dalla città, nel 1290 lasciò Genova accettando la proposta di Sancio IV, nuovo re di Castiglia, che si rivolse a Zaccaria per dirigere le operazioni contro l’emiro del Marocco le cui forze stavano minacciando i territori castigliani. In cambio dell’aiuto, egli avrebbe ricevuto El Puerto de Santa Maria, una località alla foce del fiume Guadalete, vicino a Cadice, a patto di mantenere una galea armata per la difesa di quest’ultima città e di Siviglia. Benedetto non si limitò a difendere le coste iberiche: pochi mesi dopo essersi messo a servizio del re castigliano, attaccò le forze marocchine (6 agosto 1291). Fu una vittoria schiacciante per l’ammiraglio genovese che fruttò alla Corona un ricco bottino. Partecipò alla presa di Tarifa (13 ottobre) e rimase al servizio del sovrano castigliano dopo questa vittoria, anche se la situazione mutò e Benedetto non fu più ritenuto indispensabile da Sancio che preferì rafforzare la sua flotta e cominciò a ricorrere all’aiuto dei vicini catalani.
Probabilmente verso la fine del 1294, Benedetto passò al servizio di Filippo IV il Bello, re di Francia, in un momento di forte tensione con il Regno di Inghilterra. Nominato ammiraglio, ridisegnò l’assetto della Marina francese e pianificò una spedizione contro gli inglesi nel 1295, ma non vi partecipò direttamente, preferendo coordinare le forze da terra. Nonostante il progetto non portasse i risultati attesi, rimase al servizio del sovrano francese per i quattro anni successivi, cambiando strategia e puntando su un blocco dei commerci inglesi. Nel frattempo, le azioni delle forze francesi furono interrotte dalle Fiandre, che allacciarono una rete di scambi con l’Inghilterra, così spezzando il blocco commerciale. Nel 1299 Filippo il Bello attaccò i fiamminghi e anche le incursioni di Benedetto si spostarono in quest’area paralizzandone i commerci.
L’anno successivo, in pieno conflitto, abbandonò il servizio del sovrano francese per fare ritorno a Genova, nella speranza di avviare i preparativi per una spedizione in Egitto, dove l’incursione dei Tartari aveva indebolito la presenza mamelucca. Nel 1301 fu inoltre tra i proponenti di una singolare ‘crociata delle donne’, ossia di una spedizione che doveva essere finanziata da alcune donne dell’alta aristocrazia genovese, che tuttavia non fu mai portata a compimento.
Dopo il 1301 le notizie su Benedetto diventano più scarse. Nel 1304 fu di nuovo impegnato nel suo possesso di Focea al tempo assediata dai corsari sia musulmani sia cristiani. Si diresse poi verso Chio, egualmente vittima di incursioni corsare, riuscendo a impadronirsene, acquisendola poi in concessione per dieci anni dallo stesso imperatore. Benedetto ottenne in questo modo un’altra importante base commerciale nonché il monopolio sulla commercializzazione del mastice, molto apprezzato per le sue qualità mediche e prodotto quasi esclusivamente sull’isola.
Se le imprese militari di Benedetto sono ben note e dettagliatamente riportate nelle cronache coeve, le notizie riguardo la sua vicenda personale e familiare sono frammentarie. Il nome della moglie è ignoto; ebbe almeno quattro figli: Paleologo (quasi certamente il primogenito, come suggeriscono sia il nome, un chiaro omaggio all’imperatore che aveva concesso la città di Focea agli Zaccaria, sia l’atto del 1286 con cui Benedetto emancipò il giovane, donandogli una somma di 1000 lire da investire in commerci fuori Genova), Manuele, Argentina, Eliana.
Agendo di concerto con il fratello Manuele, a cui era molto legato, Benedetto strinse legami molto stretti con famiglie eminenti genovesi.
Fu spesso in affari con membri di altre due importanti gruppi parentali aristocratici della città, cioè i de Nigro e i De Mari. Al pari del fratello Manuele, perseguì una politica di alleanze matrimoniali di alto livello, legandosi agli Spinola e ai Doria (di orientamento ghibellino e tra le famiglie cittadine più importanti), ai quali fu vicino: nel 1282 diede in sposa la figlia Argentina a Polino Doria, figlio di Simone di Percivalle, concedendole la cifra di 600 lire in dote, e nello stesso anno il primogenito Paleologo risulta già maritato da tempo con Giacomina, figlia di Giacomo Spinola. Dunque, nonostante la sua sostanziale assenza da una diretta militanza nelle istituzioni, Zaccaria strinse alleanze soprattutto politiche, dato che si era imparentato con le due famiglie che monopolizzavano l’istituto del doppio capitanato del Popolo nella seconda metà del secolo XIII e in un periodo connotato da violenti conflitti interni.
Anche l’altra figlia Eliana, probabilmente l’ultimogenita, fu al centro di una ponderata alleanza matrimoniale: fu concessa in sposa ad Andreolo Cattaneo della Volta, membro di un’antica famiglia consolare poi confluita nell’omonimo albergo.
Negli ultimi due anni della vita, ormai anziano, rimase a Genova: nel 1306 partecipò a un consiglio riunito per deliberare sulla richiesta di alleanza fatta dai savonesi e nel 1307 fu ancora protagonista di un contratto commerciale insieme con i figli Paleologo e Manuele.
Morì a Genova nei primi mesi del 1308.
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