BENEDETTO
Vescovo di Cremona nella seconda metà del sec. IX, è molto probabilmente da identificare con quel diacono B. che, cappellano del re d'Italia Ludovico II e nipote del vescovo di Cremona Pancoardo, sottoscrisse il placito tenuto in quella città il 22 marzo 842 dal conte e messo imperiale Adelchi. Divenuto vescovo in seguito a rinunzia dello stesso Pancoardo, B. viene ricordato, tra i primi dell'851 e l'878, in una serie di praecepta imperiali che egli stesso sollecitò e si fece via via rilasciare dai diversi sovrani succedentisi al trono, perché venissero riconosciute e confermate le concessioni fatte "sotto protezione regia ed immunità" da Carlo Magno, da Ludovico I, da Lotario I alla Chiesa cremonese.
Tali concessioni, per la verità assai estese, non riguardavano tanto il complesso dei beni cittadini - monasteri, senodochi - già da tempo "ad eundem episcopaturn pertinentia" o il possesso di alcune località limitrofe, quanto lo stesso porto fluviale di Cremona (portus Vulpariolus), ed il diritto ai suoi redditi, che sarebbero dovuti spettare, alla pars regia e che erano stati, coi ricordati praecepta imperiali, delegati alla Chiesa di Cremona.
La gravezza di queste contribuzioni, non avvertita nel secolo precedente e sino a qualche anno prima quando il commercio lungo il fiume era monopolio dei Veneti ed in particolare dei Comacchiesi, cominciò a pesare sugli abitanti di Cremona quando anch'essi, sotto l'episcopato di Pancoardo e più ancora con B. (come appare dalle deposizioni giurate dei testimoni escussi da Teoderico nel corso del suo placito, 851-852, ante gennaio 29), cominciarono a risalire come mercanti il Po con carichi di spezie e di sale in società coi Comacchiesi dapprima e poi "in proprio". Tanto che non pochi mercanti cremonesi, contestando il diritto della loro Chiesa ad esigere ed incamerare i redditi del porto e del fiume, si rifiutarono, facendo scalo nel portus Vulpariolus, di pagare a B. le dovute contribuzioni. Onde Ludovico II, cui il vescovo era ricorso per avere giustizia, nel rilasciare al suo antico cappellano, il 10 genn. 851, il suo primo diploma in materia, riconobbe e confermò i diritti della Chiesa di Cremona facendosi, altresì, premura di rendere ben chiara la posizione degli antagonisti "ita ut nullus missus, neque iudex publicus, neque ulla oposita persona inde ullam contra prefatam ecclesiam vel rectores inferre presumat molestiam", e la stessa Chiesa di Cremona potesse godere senza pericolo delle sue concessioni "sub mundeburdio atque auctoritate nostra". Ludovico II comandava inoltre a tutti gli ufficiali pubblici di far rispettare l'ordinanza di suo padre Lotario I sulle navi approdanti nel portus Vulpariolus: costringessero, sotto la minaccia del sequestro legale, ogni mercante a pagare alla Chiesa cremonese le contribuzioni stabilite per ogni vascello ("quod est ripaticum vel palificturam pasturrique ad duos riparios" ) ed esigessero - sempre per conto della Chiesa - i diritti di transito dai battelli risalenti il Po, sino alle foci dell'Adda.
Tuttavia né l'autorità né il diploma di Ludovico II valsero a risolvere definitivamente la questione in favore della Chiesa di Cremona. Pochi mesi dopo, infatti, B. chiedeva urgentemente l'intervento dello stesso imperatore Lotario I, il quale del resto già una volta aveva riconosciuto come pienamente legittime le pretese di B. ed aveva confermato alla sua Chiesa quella delegatio di tutti i diritti della pars publica sul porto fluviale di Cremona, delegatio che, concessa da Carlo Magno, era stata in un secondo tempo "a non religiosis viris dirupta". Comunque, dopo aver accertato che in effetti "eundem portum ad ipsum sanctum locum secundum predictam concessionein legibus pertinere", non restava altro all'imperatore se non riconoscere solennemente la realtà della delegatio di Carlo Magno, confermare con la sua autorità il diritto della Chiesa cremonese ai redditi del porto, ordinare tassativamente ai pubblici ufficiali ("ut nullus iudex publicus vel quislibet rei publice minister") il rispetto del suo praeceptum e di quelli dei suoi predecessori (8 sett. 851).
Sul finire dell'851 B. era a Pavia per assistere al placito generale tenuto da Ludovico II. E fu proprio qui che alcuni cittadini di Cremona presentarono le loro proteste per l'esercizio del diritto di esazione da parte di B. sui battelli comacchiesi che transitavano il Po o facevano scalo nel portus Vulpariolus. L'imperatore, venuto a conoscenza della querela, affidò ad un suo consigliere, Teoderico, sacri palacii obtimas, l'incarico di definire una volta per tutte, nelle vesti di messo imperiale, attraverso istruttoria, la vertenza. Fallito, per le intemperanze delle due parti in causa, un primo tentativo di inquisitio compiuto nello stesso palazzo imperiale di Pavia, davanti al tribunale del comes sacri palatii Ucpaldo, Teoderico si vedeva costretto ad aggiornare la causa, rinviandola ad un tribunale da lui stesso presieduto e proprio a Cremona, dove sperava di trovare testimonianze più sicure e meno partigiane.
L'istruttoria si concluse, dopo la deposizíone di B. e dei suoi avversari e l'escussione di oltre quindici testimoni per lo più sacerdoti o chierici, che parlarono in favore del vescovo B. e della sua Chiesa, cui venne riconosciuto il diritto ai redditi del porto fluviale della città. Gli stessi rappresentanti della pars regis o publica, il gastaldo di Sospiro Landeberto e l'advocatus de ipsa curte Ariberto, affermarono al termine dell'istruttoria di non aver alcuna pezza d'appoggio per infirmare le tesi sostenute da Benedetto. Un diploma di Ludovico II, datato a Sospiro il 29 genn. 852, prendendo atto dei risultati dell'inquisitio confermò al vescovo ed alla Chiesa di Cremona il diritto ai redditi del portus Vulpariolus; rese inoltre ufficialmente noto, ad evitare possibilità di equivoci e contrasti futuri, che tutti i battelli, a qualsiasi nazione o gente appartenessero, i quali attraccassero nel porto stesso o risalissero il Po sino al confluenza con l'Adda, erano tenuti al pagamento delle contribuzioni stabilite per legge. Allo stesso modo, terminava il diploma, erano tenuti a pagare le tasse consuete - che spettavano anch'esse alla Chiesa cremonese - i mulini sparsi sino alla confluenza con l'Adda lungo le rive dei Po.
Nulla sappiamo di B. sino all'861, anno in cui, l'11 marzo, Ludovico II gli rilasciò un praeceptum col quale confermava una donazione, fatta in punto di morte, da un certo Rutcherio vassallo dell'imperatore stesso; Rutcherio aveva donato alla Chiesa di Cremona una sua proprietà, la "curtis Ruberinus" sita, dice il diploma, "in comitatu Bergomensi, prope plebem, que dicitur Forumnovum", cioè nella pieve di Fornovo Sant'Alessandro in provincia di Bergamo.
Nell'875, morto Ludovico II il 12 agosto nei pressi di Brescia, il vescovo di questa città, Antonio, invitò i presuli di Cremona e di Bergamo a recarsi col loro clero a Brescia per rendere doveroso omaggio al defunto imperatore; sia B. sia Garibáldo di Bergamo ottemperarono alla preghiera di Antonio. Nel febbraio dell'anno successivo B. era tra gli alti dignitari civili ed ecclesiastici che, riuniti in concilio a Pavia sotto la presidenza dell'arcivescovo Ansperto di Milano, elessero Carlo il Calvo re d'Italia: la sua sottoscrizione compare nella lettera inviata da Ansperto all'imperatore per annunzíargli l'avvenuta elezione. Il 27 dello stesso mese, Carlo il Calvo, dietro richiesta dello stesso B., confermava i beni, i diritti, i privilegi che i suoi predecessori o la pietà dei fedeli avevano donato alla Chiesa di Cremona (questo diploma che, salvo la fine, riproduce quasi integralmente il testo di quello di Ludovico II del 10 genn. 851 è stato più volte erroneamente attribuito a Carlo il Grosso con la data del 27 febbr. 881).
Nell'agosto dell'877 B. prese parte al concilio di Ravenna convocato da Giovanni VIII "ad disciplinam et immunitatem ecclesiasticam restituendam"; nel corso di questo concilio venne solennemente confermata l'elezione imperiale di Carlo II il Calvo e furono stabilite le pene per coloro che avessero tentato di opporglisi. Furono anche riconfermati alcuni possessi alla Chiesa di Autun, su richiesta del suo vescovo, Adelgario, presente al concìlio nella veste di messo imperiale: l'atto relativo porta in calce, tra le altre, anche la firma di Benedetto. È del 14 di marzo dell'anno successivo un diploma, datato da Öttingen, del nuovo imperatore Carlo Manno, il quale, su richiesta scritta di B., confermava con esso alla Chiesa cremonese la defensio regia, l'immunitas, e tutte le località ed i possessi che erano stati di sua pertinenza sino allora.
Questa è l'ultima notizia che noi abbiamo di B., la cui morte dovette cadere tra il 14 marzo 878 e il 1° ag. 883: in questo giorno Carlo il Grosso rilasciava al vescovo Landone di Cremona un diploma confermante i privilegi di cui godeva la sua Chiesa.
Fonti e Bibl.: L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii aevi..., I, Mediolani 1738, coll. 569 s.; G. D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplinima collectio, XVII, Venetiis 1772, coll. 322 s., 341 s.; App., col. 171; Codex diplomaticus Langobardiae, in Historiae patriae monumenta, XIII, a cura di G. Porro Lambertenghi, Augustae Taurinorurn 1873, nn.: 143, coll. 250 ss., 170, coll. 289-91, 175, coll. 297 s., 177, coll. 299 s., 323, coll. 543 s.; Andreae Bergomatis Historia, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum, Hannoverae 1878, c. 17, p. 229; Diplomata regum Germaniae ex stirpe Karolinorum, I. a cura di P. Kehr, Berolini 1934, num. 12, pp. 301 s.; M. G. Tessier, Recueil des actes de Charles II le Chauve roi de France..., II, Paris 1952, n. 403, pp. 398-400; I placiti del "Regnum Italiae", a cura di C. Manaresi, in Fonti per la storia d'Italia, Roma 1955, XCII, pp. 193-198; F. Zacharia, Cremonensium episcoporum series, Milano 1749, p. 65; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XII, Venezia 1857, pp. 136-145; G. De Vecchi, Brevi cenni storici sulla storia di Cremona, Cremona 1907, p. 8; M. Manitius, Geschichte der lateinische Literatur, I. München 1911, p. 708; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia. Lombardia, II, 1, Bergamo 1932, pp. 21 s.; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés, VIII, col. 205.