BENEDETTO
Di famiglia nobile, B., detto il Giovane in quanto secondo abate di questo nome a S. Michele della Chiusa, nacque a Tolosa, da Bernardo, nel 1033; fu portato dal padre al monastero di S. Ilario, a Carcassonne, dove trascorse l'adolescenza ma non restò a lungo, forse perché il luogo non corrispondeva ai suoi ideali di vita monastica e preferì trasferirsi in Italia, all'abbazia di S. Michele della Chiusa, sul monte Pirchiriano, nei pressi di Torino, dove era abate un suo parente, Pietro. Poco tempo dopo il suo arrivo a S. Michele B. fu ordinato sacerdote; già d'allora si era fatto notare per il modo austero e rigoroso d'intendere la vita monastica e per i suoi ideali di riforma e, quando nel 1066 morì l'abate Pietro, prese il suo posto.
L'elezione poteva presentare tuttavia un vizio di forma: infatti il vescovo di Torino Cuniberto, nella cui diocesi si trovava l'abbazia di S. Michele, in quel periodo era ammalato e non poteva presenziare alla designazione del nuovo abate; era ospite del monastero Airaldo, abate di S. Pietro di Breme: valendosi della sua autorità e spinti dal desiderio di definire presto la questione, i monaci procedettero senz'altro all'elezione, trovando l'accordo solo sul nome di Benedetto. Dell'elezione però non fu contento Cuniberto, che ne contestò recisamente la validità, sostenendo che spettava al vescovo scegliere e consacrare l'abate: i monaci si opposero a questa ingerenza e sostennero l'autonomia del monastero, che risultava anche da una bolla di Leone IX. Fu una polemica lunga, che ebbe termine solamente dopo la morte dei suoi principali protagonisti, con una bolla di Urbano II, del marzo 1095, che stabiliva i diritti dei monastero, fra cui anche quello di eleggere autonomamente l'abate.
L'elezione di B., che poteva apparire un episodio privo di risonanza, veniva invece ad inserirsi nel più vasto ambito delle polemiche della riforma gregoriana prima, e della lotta tra Gregorio VII ed Enrico IV in seguito; il vescovo Cuniberto non eradisposto a tollerare che una abbazia così ricca e importante come quella di S. Michele restasse completamente fuori della sua influenza: contro di lui B. trovava il suo naturale alleato in Ildebrando, il futuro Gregorio VII, al quale era legato del resto da un rapporto di stima e di affetto personali. Per questo motivo, per questi interessi, la questione diveniva di assai difficile soluzione.
B. e i suoi monaci fecero un primo tentativo per risolvere il problema senza interventi esterni, mandando a Torino un loro messaggero, un certo Bosone; ma questi non fu ascoltato, anzi fu linciato dal popolo che era fedelissimo al vescovo. Allora B. risolse di difendere personalmente la sua causa e si recò a Roma (sempre nel 1066) accompagnato da pochi confratelli; vi andò anche Cuniberto col suo esercito.
Il papa era allora Alessandro II e Ildebrando era arcidiacono: la questione fu giudicata davanti a loro e al collegio dei cardinali. Soprattutto Ildebrando si oppose a Cuniberto, negando che il vescovo avesse alcun diritto sull'abbazia, dal momento che il suo fondatore, Ugone, l'aveva posta in eterno sotto la diretta tutela dei successori di S. Pietro. Anche Alessandro II intervenne a favore di B., in un primo tempo esortando Cuniberto a benedirlo, e poiché questi si rifiutava, consacrandolo egli stesso. Ammonì poi il vescovo a non intromettersi nell'amministrazione dell'abbazia se non per quello che era giusto e regolare, e questi promise.
Ritornato alla Chiusa. B. si dedicò finalmente alla cura del suo monastero; dette una grandissima importanza all'educazione dei novizi, dei quali si occupava personalmente, cercò di aumentame il numero, reclutandoli principalmente tra i cadetti delle famiglie nobili. Fece ingrandire il monastero, dotandolo di nuove celle, promosse attivamente la copiatura dei codici, dedicandosi egli stesso a questa attività. All'abbazia si trovavano continuamente ospiti di ogni provenienza poiché il monte Pirchiriano era situato sul passaggio dei pellegrini che si recavano a Roma dalla Francia e dalla Spagna.
Frattanto Cuniberto non cessava di minacciare la pace dell'abbazia con richieste di gravose tassazioni e con soprusi, tali però che formalmente non potessero incorrere nell'ira del pontefice, in modo da non rompere palesemente la promessa fatta ad Alessandro II. Anche quando nel 1073 divenne papa Gregorio VII i rapporti tra il vescovo di Torino e l'abate di S. Michele non erano cambiati, tanto che in una lettera del 7 dicembre dello stesso anno il papa raccomandava alla marchesa Adelaide, moglie di Oddone di Savoia, marchese di Torino, la cura e la protezione dell'abbazia e di B., che si trovavano in gravi difficoltà e tribolazioni. Gregorio non mancò tuttavia di rivolgersi direttamente ai due protagonisti della contesa, per tentare in ogni modo di porvi termine; in una prima lettera del 1074 invitava i due contendenti a presentarsi a Roma per il 30 novembre di quello stesso anno, per dirimere la controversia, ma solo B. aderì all'invito. Il 12 dicembre il papa scrisse nuovamente a Cuniberto, rimproverandolo di aver disertato il sinodo del 30 novembre, e invitandolo a non mancare a quello successivo, che si sarebbe tenuto il 22 febbr. 1075. Ancora una volta Cuniberto non obbedì all'invito di Gregorio VII, anzi approfittò dell'assenza dell'abate per minacciare più insistentemente i monaci, cercando di far valere quei diritti che la Santa Sede era tutt'altro che disposta a riconoscergli. I monaci si lagnarono coi papa di questo stato di cose, sì che questi (15 apr. 1075) scrisse a Cuniberto.
Gli ricordò che i monasteri erano sostanzialmente indipendenti dal loro vescovo, e che avevano diritto di governarsi autonomamente, e che questa era una regola universalmente accettata.
Ma non bastava, perché proprio di quel monastero già si era discusso a questo proposito, quando nel 1066 B. e Cuniberto si erano recati a Roma, davanti ad Alessandro II, ed egli stesso, allora arcidiacono, era intervenuto nella discussione; già a quel tempo era stata definita l'autonomia dei monastero.
Il papa concludeva poi esortando Cuniberto a desistere dai suoi propositi e a fare finalmente la pace col monastero, a meno che egli non potesse portare la prova di qualche suo diritto; in tal caso poteva presentarsi a Roma il giorno 11 novembre, al concilio elle si sarebbe tenuto in quella data, dove la questione sarebbe stata definita. Ma neppure quest'ultimo invito fu raccolto.
B. si era trattenuto a Roma per tutto questo periodo, ospite della sede papale e di Gregorio che, a detta dei biografo di B., Guglielmo, era amico personale dell'abate. Dopo una permanenza a Roma di circa sei mesi, B. tornò alla Chiusa nella primavera del 1075, animato dal suo zelo di riforma, forte dell'appoggio e dell'approvazione del pontefice. Ma la tensione non aveva ancora raggiunto il massimo; infatti, quando nella primavera dell'anno successivo Gregorio VII scomunicò Enrico IV, vi furono ripercussioni della lotta anche a Torino. Cuniberto non esitò ad allearsi con l'imperatore, venendo così ad essere coinvolto nella sua scomunica; rotti del tutto i vincoli con la Sede apostolica non vi fu più alcun freno che lo trattenesse dal tentativo di affermare la sua autorità sul monastero di S. Michele. B. riuscì per molto tempo a resistere alla vera e propria guerra che il vescovo di Torino aveva iniziato contro di lui, sebbene i possedimenti dell'abbazia incominciassero a soffrire per le distruzioni che quotidianamente vi venivano arrecate; anzi riuscì a riportare qualche vittoria sull'esercito del suo avversario. Ma questo stato di cose durò soltanto fino a che Cuniberto non si alleò con il marchese Pietro, primogenito di quella Adelaide cui Gregorio VII aveva affidato la protezione dell'abbazia. I due eserciti alleati si spinsero ad assediare il monastero nella primavera del 1078; un primo tentativo da loro effettuato non riuscì a scacciare B. e ad eleggere un altro abate. Dopo qualche esitazione, dovuta forse all'influenza della madre, Pietro ripeté l'assalto, e questa volta B. si allontanò senza resistere, lasciando che Cuniberto entrasse nell'agognato possesso dell'abbazia. B. si rifugiò nel villaggio di S. Antonio, che si trovava appena fuori dalle proprietà del monastero, vivendo per qualche tempo nascosto pur mantenendo i contatti con i monaci, che per la maggior parte gli erano rimasti fedeli. Non si sa con esattezza in che modo B. abbia potuto rientrare nel monastero: appare tuttavia molto probabile che nei suoi continui contatti con i monaci egli venisse a conoscenza del momento propizio per riprendere il proprio posto; un fattore a suo vantaggio fu sicuramente la morte del marchese Pietro, avvenuta il 9 ag. 1078. B. aveva potuto comunque contare sull'appoggio quasi compatto dei monaci e dei coloni dell'abbazia, che avevano tutto l'interesse a restare indipendenti da Cuniberto. Certo è che dopo qualche tempo, senza intervento di autorità esterne, B. poté entrare pacificamente nell'abbazia e riprenderne la cura, probabilmente nella tarda estate del 1078.
Nel novembre B. e Cuniberto si recarono a Roma e si presentarono al papa: Gregorio li esortò a fare pubblicamente la pace, ed essi non si opposero. Promisero che non avrebbero dato ulteriori occasioni a discordie e si rimisero al giudizio dei vescovi Ingone di Asti e Alberto di Acqui, e dell'abate del monastero della Fruttuaria. Alberto II: ancora una volta fu affermata l'indipendenza del monastero dal vescovo di Torino. Il 24 novembre questa decisione venne resa pubblica dalla sede pontificia nella sua formulazione definitiva. Quando nel marzo del 1081 Enrico IV scese in Italia, Cuniberto lo accompagnò verso Roma, morendo poco dopo.
Non sembra però improbabile che egli si fosse fatto accusatore di B. presso Enrico IV, che lo fece rapire mentre era in viaggio per Montecassino, traducendolo al suo cospetto e accusandolo di una congiura ai propri danni. L'intervento della marchesa Adelaide salvò B. che fu così rilasciato. Non è certa la data di questo episodio; è presumibile tuttavia che si possa situare tra il 1081 e il 1082, quando per due volte Enrico giunse fino a Roma e tornò poi in Lombardia.
Tornato al monastero, B. avrebbe espiato con digiuni, elemosine, preghiere, il suo involontario contatto col mondo corrotto della corte; il monaco Guglielmo, discepolo di B. e autore della sua Vita, racconta un episodio molto significativo a questo riguardo: era venuto alla Chiusa il vescovo di Vercelli, un simoniaco, e già i suoi aiutanti avevano preparato l'altare nella chiesa di S. Michele perché egli vi celebrasse la messa, quando B. ordinò ai suoi frati di rovesciare il calice per terra e di cacciare il vescovo dalla chiesa; questo gesto suscitò l'ira e le rappresaglie del vescovo e della marchesa Adelaide, e gravi conseguenze ne dové subire il monastero; ma - scrive Guglielmo - questo dimostra fino a che punto B. e i suoi avessero in orrore i simoniaci, e quali cose avrebbero sopportato pur di non avere con loro alcun contatto. Intanto a Cuniberto era succeduto un fedele di Enrico, Vitelmo, che continuò la politica del suo predecessore; ma ormai Gregorio era impotente a venire in aiuto al suo protetto e il lungo dissidio tra il vescovo di Torino e l'abate di S. Michele della Chiuta, pur continuando secondo gli stessi schemi, si ridimensionò nel confine geografico che lo delimitava.
Verso la fine dell'anno 1090 B. si ammalò e morì il 31 maggio 1091.
Fonti e Bibl.: Gregorii VII Registrum, a cura di E. Caspar, Berlin 1920, pp. 58 s., 169 s., 196 s., 226-229, 406 s.; Ph. Jaffé-S. Loewenfeld, Regesta pontificum romanorum, I, Lipsiae 1888, nn. 4237, 4732, 4809, 4906, 4951, 5085, 5301, 5554; P. Kehr, Italia pontificia, VI, 2, Berlin 1914, pp. 82-84, 88, 123 s.; Vita venerabilis Benedicti abbatis Clusiensis auctore Willelmo monacho, eius discipulo, a cura di L. Bethmann, in Monumenta Germ. Hist., Scriptores, XII, Hannoverae 1856, pp. 196-208; G. Claretta, Storia dipl. dell'antica abbazia di S. Michele della Chiusa, Torino 1870, pp. 21-24; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia, I, Piemonte, Torino 1899, pp. 347-350; G. Schwartz, Die Besetzung der Bistümer Reichsitaliens unter den Sächsischen und Salischen Kaisern, Leipzig und Berlin 1913, pp. 131-133; G. Schwartz-E. Abegg, Das Kloster San Michele della Chiusa und seine Geschichtschreibung, in Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, XLV(1924). pp. 236 ss., 250-252; F. Cognasso, Storia di Torino, Torino 1934, pp. 26 s.; G. Tabacco, Dalla Novalesa a S. Michele della Chiusa, in Monasteri in Alta Italia dopo le invasioni saracene e magiare, Torino 1966, pp. 505 ss., 516 ss.; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, coll. 200-203.