BENEDETTO
Non si conosce la data della sua nomina a vescovo di Tuscania: successe a Giovanni, che, in data imprecisata, fu trasferito alla cattedra vescovile di Porto. Tale trasferimento fu approvato il 22 apr. 1049 (cfr. Jaffè-Loewenfeld, Regesta pont. rom., I, n. 4163) dal sinodo tenuto precedentemente da Leone IX nello stesso mese di aprile a Roma con la partecipazione di B., che sottoscrisse con la qualifica di "Tuscanae ecclesiae episcopus" la bolla pontificia con la quale Leone IX, il 13 apr. 1049, confermò il primato sulla Gallia belgica all'arcivescovo di Treviri. B. era vescovo di Tuscania tuttavia già nell'aprile dell'anno 1048, dato che figura in tale qualità fra i testimoni nella sentenza che decise in favore di Farfa una controversia tra questo monastero e quello dei S S. Cosma e Damiano di Roma per il possesso della cella di S. Maria del Mignone.
Il Signorelli (p. 98) ritiene che B. rimanesse sulla cattedra di Tuscania almeno fino al 1051, anno in cui egli sarebbe intervenuto in un giudizio del marchese Bonifacio di Toscana a Cometo. Ma il documento addotto come prova (Regesto di Farfa, n. 824, pp. 225 s.) accenna solo a un vescovo di Tuscania, del quale non indica il nome, mentre si sa che il 2 maggio 1050, in occasione di un altro sinodo convocato a Roma da Leone IX, viene ricordato come vescovo di Tuscania, un Bonizone.
Nell'archivio della cattedrale di Viterbo si conserva il frammento di un documento con il quale B. affida la chiesa di S. Maria (si tratta con tutta probabilità di S. Maria Maggiore a Tuscania) ad alcuni chierici. Il frammento, nel quale ricorrono i nomi dell'imperatore Enrico (III) e del papa Leone (IX), non è datato, ma il suo contenuto, l'istituzione cioè di una canonica che imponeva ai chierici la vita in comune, lo mette in evidente rapporto con le misure riformistiche prese da Leone IX nel corso del sinodo romano del 1049, al quale presenziò anche Benedetto. È noto infatti che il papa, oltre alla decisa condanna della simonia, adottò anche energiche misure contro il concubinato dei preti e, secondo la testimonianza di S. Pier Damiani, avrebbe tra l'altro ordinato che "quaecumque damnabiles feminae intra Romana moenia reperirentur presbyteris prostitutae... Lateranensi palatio adiudicarentur ancillae" (cfr. Petrus Damianus, Contra intemperantes clericos, in Migne, Patr. Lat., CXLV, col. 411). Alla luce di questa notizia il documento emanato da B. acquista particolare rilievo fra le prime più significative manifestazioni del movimento di riforma del sec. XI.
Fonti e Bibl.: G. D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XIX, Venetiig 1774, col. 724; Il rogesto di Farfa, a cura di I. Giorgi e U. Balzani, IV, Roma 1888, n. 813, p. 217; P. Egidi, L'archivio della cattedrale di Viterbo, Appendice, in Bullett. d. Ist. ital. per il Medio Evo, XXIX(19o8), pp. 84-86; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia. VI, Venezia 1847, p. 97; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, Viterbo 1907, pp. 96-98; G. Schwartz, Die Besetzung der Bistümer Reichsitaliens, Leipzig und Berlin 1913, p. 265; O. Capitani, Immunità vescovili ed ecclesiologia in età pregregoriana e gregoriana, Spoleto1966, p. 138 n. 19; Dictionn. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, col. 265.