BENESSERE
La ricerca scientifica nel campo dell'economia ha perseguito una duplice finalità: pervenire alla formulazione di leggi che spieghino il meccanismo economico e determinare le condizioni che occorre porre in essere perché l'attività economica consegua i risultati migliori. A queste due finalità corrispondono due momenti dell'analisi: un momento descrittivo ed un momento normativo. Il fatto che i due momenti dell'analisi non siano stati sempre chiaramente distinti è dovuto al convincimento di molti economisti che in una situazione di libera concorrenza l'attività economica dei singoli assicuri spontaneamente il raggiungimento della finalità propria del sistema economico, che consiste essenzialmente nella migliore soddisfazione dei bisogni degli individui. La ricerca economica si esaurisce allora nel momento descrittivo: le indicazioni normative sono un sottoprodotto dell'analisi positiva e consistono essenzialmente nella raccomandazione agli enti pubblici di non interferire nel processo economico spontaneo.
La distinzione tra i due momenti dell'analisi - e il riconoscimento della relativa autonomia del momento normativo che ha dato origine agli studî di economia del benessere (ingl. Welfare economics) - è andata maturando in seguito: a) alla discussione sui criterî con cui deve essere organizzata l'attività economica in un regime socialista, in cui, al gioco spontaneo delle forze economiche, si sostituisce la pianificazione centrale di tutte le attività economiche (V. Pareto, E. Barone, F. Hayek, L. v. Mises, O. Lange, A. P. Lerner, ecc.); b) all'analisi critica del meccanismo concorrenziale.
L'analisi critica del meccanismo concorrenziale è proceduta su due binarî. Alcuni autori, in particolare J. St. Mill, avevano distinto il processo produttivo dal processo distributivo. Per il Mill, il primo è governato da leggi naturali, il secondo dipende dalle leggi e dai costumi della società. Il perfezionarsi degli strumenti di analisi (sviluppo della teoria dell'utilità) ha aperto nuove vie alla critica del processo di distribuzione del reddito. Alcuni autori hanno più o meno implicitamente accolto, tradotto nella nuova terminologia della scuola utilitarista, il concetto di felicità pubblica, che in molte trattazioni anteriori alla scuola classica aveva già avuto un ruolo centrale. Una nozione di utilità sociale è implicita ad esempio nell'analisi di A. Marshall, secondo il quale è vantaggioso dal punto di vista sociale un trasferimento di reddito da un ricco a un povero, in quanto il piacere (e quindi il benessere economico) di quest'ultimo aumenta in misura maggiore di quanto diminuisce il piacere (benessere economico) del primo.
L'argomentazione marshalliana presuppone la comparabilità tra i livelli di soddisfazione dei diversi individui: ammessa tale comparabilità si può parlare di un livello di soddisfazione (o utilità) della collettività, che è concepito meramente come somma delle utilità dei diversi individui. La comparabilità delle soddisfazioni individuali, che implica la misurabilità dell'utilità, è ancor più esplicitamente ammessa da F. Y. Edgeworth: "Per il calcolo morale si richiede ancora un'altra dimensione allo scopo di confrontare la felicità di una persona con quella di un'altra, e, in generale, la felicità di gruppi costituiti da individui diversi e di diversa felicità media. Non possiamo spendere dei denari in maniera conforme al principio utilitario senza aver prima considerato se la nostra azione tende a migliorare le condizioni di pochi individui agiati o se giova invece a molti disagiati, senza aver confrontato tali utilità alternative". Tale confronto è possibile se si ammette la misurabilità della utilità: "Ogni individuo che goda di una unità di intensità di piacere nella unità di tempo deve contare per uno".
Anche K. Wicksell, come il Marshall, ritiene che il regime concorrenziale non risolva in modo soddisfacente il problema della distribuzione sociale del reddito. Esso peraltro porta all'adozione del metodo di produzione economicamente più vantaggioso. Questa duplice affermazione esclude come dannosi dal punto di vista del benessere economico-sociale quegli interventi e quelle iniziative (come ad esempio azioni concordate tra gli operatori economici di uno stesso gruppo per aumentare o diminuire certi prezzi) che interferiscono col meccanismo economico, mentre giustifica i più ampî interventi a mezzo degli strumenti fiscali allo scopo di correggere la distribuzione dei redditi. Opinioni non dissimili troviamo espresse da F. v. Wieser che sottolinea la dipendenza dei prezzi oltre che dalla stima che la società fa dei diversi beni, dalla distribuzione del potere d'acquisto, e distingue i valori dei beni dai valori effettivi di mercato.
L'altro binario su cui si è sviluppata l'analisi critica del regime concorrenziale riguarda la sua capacità di assicurare l'ottima organizzazione della produzione. Imposte e sussidî possono in particolari circostanze, secondo il Marshall, assicurare una migliore organizzazione dell'attività economica. Per valutare l'effetto di tali interventi il Marshall adotta la nozione di rendita del consumatore, da lui elaborata (con la quale si indica il totale delle somme di cui i prezzi figuranti in una lista completa di prezzi e quantità domandate eccedono i prezzi di vendita). Nell'analisi degli interventi col metodo degli equilibrî parziali, l'aumento o la diminuzione della rendita del consumatore può fornire una indicazione dell'aumento o della diminuzione del benessere collettivo se si assume che una lira comporti la stessa utilità o benessere per i varî individui, cioè se si assume una distribuzione di redditi sufficientemente perequata. Il Marshall dimostra allora la convenienza di imporre tasse o di concedere sussidî alla produzione in particolari circostanze. Infatti se la produttività è decrescente "gli incassi lordi ricavati" da una imposta sulla stessa "possono essere maggiori della perdita di rendita del consumatore, e saranno certamente maggiori se la legge della produttività decrescente agisce così fortemente da produrre per una piccola diminuzione del consumo una grande diminuzione nelle altre spese di produzione diverse dall'imposta". Per i beni ottenuti in condizioni di produttività crescente è invece consigliabile la concessione di sussidî quando essi hanno "per effetto una così grande diminuzione del prezzo per il consumatore, che il conseguente aumento della sua rendita può eccedere i pagamenti totali fatti dallo Stato ai produttori".
La nozione di rendita del consumatore è stata recentemente rielaborata da J.R. Hicks alla luce degli sviluppi recenti dell'analisi dell'equilibrio del consumatore: il suo impiego peraltro, come osserva P.A. Samuelson (Foundations, pp. 195 e segg.), non è conveniente, in quanto in un modello di equilibrio generale i vantaggi e gli svantaggi che un intervento provoca per i diversi consumatori possono essere più adeguatamente espressi mediante le funzioni di utilità ordinabili.
In netto contrasto con l'analisi della scuola di Cambridge (Marshall), preoccupata assai più della validità empirica e dell'efficacia operativa dell'analisi che della sua eleganza formale e disposta ad accogliere considerazioni praticamente rilevanti anche se non ancora rigorosamente formulate, la teoria del Pareto respinge la misurabilità dell'utilità (ipotesi invero non necessaria per la determinazione delle condizioni di equilibrio del consumatore) e quindi la comparabilità delle utilità per i diversi individui.
Il Pareto propone quindi di distinguere il massimo di ofelimità (utilità) per la collettività dal massimo di ofelimità della collettività. Una situazione costituisce un massimo di ofelimità per la collettività se non è possibile modificarla in modo da migliorare la posizione di un individuo, aumentare cioè il suo livello di utilità, senza peggiorare quelli di altri individui. Per poter parlare di un massimo della collettività occorrerebbe considerare quest'ultima come un individuo, ciò che non è ammissibile sul piano della teoria economica. L'economista può quindi affermare soltanto la convenienza di mutamenti quando questi portano da una situazione che non rappresenta un massimo di ofelimità per la collettività ad una situazione di massimo nel senso anzidetto. Naturalmente esiste una infinità di massimi per la collettività, che nella letteratura moderna sono indicati anche come situazioni ottimali in senso paretiano (se n è il numero degli individui, l'insieme delle situazioni ottimali in senso paretiano è una varietà ad n-i dimensioni): è questo un altro modo per dire che l'ottimo in regime competitivo, riguardante essenzialmente le condizioni relative alla produzione e alla distribuzione dei beni, può realizzarsi nelle più diverse condizioni relative alla distribuzione dei redditi. La scelta tra le varie situazioni ottimali in senso paretiano non è giustificabile sulla base di considerazioni economiche: essa interessa altri campi di studio.
A differenza di Marshall, Wicksell e Wieser, il Pareto sostiene quindi che per l'economista il regime concorrenziale assicura l'ottima struttura del sistema economico, a definire la quale bastano le condizioni relative alla più efficiente distribuzione delle risorse tra i varî impieghi e alla migliore distribuzione dei beni di consumo tra i varî consumatori, date le preferenze di questi ultimi, le tecniche di produzione e la distribuzione delle risorse tra i varî individui.
Lo studio dell'organizzazione della produzione in un regime socialista svolto con questi criterî metodologici e con questi strumenti concettuali non poteva che portare a una conferma indiretta di queste conclusioni una organizzazione efficiente della produzione e della distribuzione dei beni non può che riprodurre essenzialmente le condizioni che sono il risultato spontaneo delle forze economiche in un regime concorrenziale. Si riconosce peraltro che in un regime collettivista vi sono maggiori possibilità, attraverso la ridistribuzione delle rendite e dei profitti, di modificare la distribuzione dei redditi. Osservano però alcuni autori che hanno sviluppato l'analisi paretiana (Barone, von Mises, Hayek) che una organizzazione ottima della produzione è assai più difficile a realizzarsi con la pianificazione centrale per le complesse interdipendenze tra le variabili economiche le quali comportano calcoli laboriosi e tempestivi che un organo centrale non può praticamente effettuare.
La distinzione tra i due aspetti della struttura economica (distribuzione dei redditi ed ottima distribuzione delle risorse data la distribuzione dei redditi) è stata ulteriormente chiarita e sviluppata dai contributi successivi, che si distinguono a seconda che essi si colleghino alla tradizione marshalliana o a quella paretiana. Il pensiero del Marshall è stato sviluppato da A.C. Pigou. Per rendere di pratica utilizzazione l'analisi del b. economico-sociale, il Pigou ritiene che essa debba prendere a oggetto "quella parte del b. sociale che può essere posta direttamente o indirettamente in rapporto col metro della moneta"; più precisamente egli afferma che ogni aumento della parte del b. sociale misurabile in termini di moneta (b. economico) comporta un incremento del benessere sociale. La nozione fondamentale quindi appare quella di dividendo o prodotto nazionale e i due aspetti rilevanti sono il suo ammontare e la sua distribuzione.
Al riguardo due sono le tesi fondamentali del Pigou: a) purché il dividendo spettante alle classi povere non venga diminuito, ogni aumento nel reddito nazionale complessivo della collettività comporta un incremento del benessere economico, a meno che esso costringa a lavorare di più di quanto voglia la collettività; b) cambiamenti nella distribuzione del dividendo nazionale a favore delle classi povere, salvo casi eccezionali, aumentano il benessere economico.
Le difficoltà dell'analisi si profilano quando si considera che generalmente i fattori che determinano variazioni nel livello del reddito nazionale non sono senza effetto sulla sua distribuzione. Tali difficoltà si prospettano nel nomento in cui si misura il dividendo nazionale. Si presenta allora il problema, non affrontato adeguatamente dal Pigou, dei prezzi sulla base dei quali valutare il prodotto sociale e dei numeri indici che consentono di determinare le variazioni reali del dividendo nazionale; problema che, già sollevato dal Barone, è stato oggetto di importanti contributi (R. Frisch, P. A. Samuelson, J. R. Hicks, W. Leontief, ecc.).
Per il Pigou il dividendo nazionale massimo, se si prescinde dai costi di trasferimento dei fattori da un campo all'altro, si ha quando esiste un'unica distribuzione dei mezzi produttivi tale da rendere uguali i valori monetarî delle loro produttività marginali sociali in ogni uso. Per valore monetario della produttività marginale sociale il Pigou intende l'accrescimento netto del reddito dovuto a un incremento nel fattore considerato senza tener conto delle classi sociali alle quali questo aumento di reddito può toccare. Il valore del prodotto marginale sociale può divergere dal valore del prodotto marginale privato quando, in seguito all'impiego di fattori addizionali, si determinano vantaggi (e svantaggi) che conseguono (e sopportano) individui diversi da quelli che hanno effettuato l'impiego del fattore. Poiché in regime di concorrenza tendono ad uguagliarsi i prodotti netti marginali privati, l'esistenza delle divergenze anzidette implica l'impossibilità in un regime competitivo di raggiungere il massimo reddito: le critiche del sistema concorrenziale già avanzate dal Marshall nella seconda delle due direzioni da noi ricordate trovano quindi un ulteriore sviluppo nell'analisi pigouviana, nella quale sono state inoltre ampiamente considerate anche le divergenze tra prodotti marginali sociali e prodotti marginali privati in regimi diversi da quello concorrenziale.
Mentre il Pigou continua la tradizione marshalliana, altri autori hanno riesaminato il problema delle condizioni relative alla produzione necessarie per assicurare il massimo b. economico, a prescindere dai giudizî sulla distribuzione dei redditi. Due linee di sviluppo meritano di essere sottolineate:
1) il riesame delle condizioni di ottimo della produzione nel caso di rendimenti crescenti (costi marginali decrescenti). Il contributo più notevole, largamente dibattuto in numerosi saggi, è quello di H. Hotelling. In esso l'autore riprende, sviluppa e dimostra rigorosamente la tesi già avanzata nel 1844 da un ingegnere francese, Jules Dupuit, secondo la quale il massimo b. generale si ha quando i diversi beni sono venduti ai costi marginali. Nel caso di costi marginali decrescenti, poiché la vendita a tali condizioni non consente il ricupero dei costi fissi, questi debbono essere coperti mediante un prelievo fiscale sui redditi. Inoltre, alla luce di queste considerazioni, le imposte dirette appaiono preferibili a quelle indirette. A questo proposito osserva giustamente il Samuelson nelle sue Foundations (p. 242) che il costo marginale "non è una componente del costo cui si deve far fronte e l'uguaglianza tra prezzo e costo marginale non ha nulla a che fare con la copertura del costo complessivo, la determinazione di un provento adeguato agli investimenti, la ripartizione appropriata della parte spettante ai fattori e così via. Il suo scopo è quello di assicurare una corretta distribuzione dei fattori di produzione e di evitare una ripartizione anomala dei prodotti". La problematica prospettata dal Dupuit è stata ripresa e sviluppata anche da altri autori (R. Frisch, A. P. Lerner, M. Friedman, G. Debreu, ecc.): obiezioni ad una generale applicazione del criterio marginalistico sono state mosse da G. Durbin e R. H. Coase.
2) il riesame delle condizioni necessarie per l'ottima distribuzione delle risorse quando si abbandona l'ipotesi che le funzioni di utilità degli individui e quelle di produzione delle imprese siano tra loro indipendenti. Tra i contributi più recenti ricordiamo quello di W. Baumol che riconsidera il problema dell'ottima distribuzione delle risorse nell'ipotesi di economie e diseconomie esterne, nozioni queste con le quali si vogliono appunto configurare le conseguenze delle interdipendenze tra le decisioni relative alla produzione delle diverse imprese, interdipendenze che possono sussistere anche in regime competitivo, in quanto lo sviluppo di un'industria può consentire cambiamenti qualitativi nella tecnica di questa o di altre industrie legate alla prima da rapporti di complementarietà. Interdipendenze analoghe si manifestano tra le decisioni relative alla produzione quando sono esaminate in un contesto dinamico: esse assumono particolare rilevanza nelle analisi dei programmi di investimento in una politica di sviluppo delle economie arretrate (si vedano ad esempio i contributi di P. N. Rosenstain-Rodan, di H. B. Chenery e K. S. Kretschmer e di Frisch). Revisioni critiche della nozione di economie esterne si sono avute recentemente ad opera di T. Scitovsky, e di J. Meade. L'analisi delle interdipendenze tra le funzioni di utilità dei diversi individui è stata sviluppata allo scopo soprattutto di spiegare le variazioni del risparmio alle variazioni del reddito (si ricorda in proposito il contributo di J. S. Duesenberry).
Il regime concorrenziale non assicura l'ottima distribuzione delle risorse quando si verificano le situazioni considerate ai punti i e 2. Si è infatti dimostrato che essendo dati il numero delle imprese offerenti, le quantità di risorse produttive disponibili e il numero di consumatori, se le preferenze dei consumatori sono rappresentabili mediante ipersuperfici di indifferenza convesse e sono indipendenti dalle scelte di altri consumatori e se l'insieme delle combinazioni produttive tecnicamente efficienti è pure convesso (il che implica assenza di rendimenti crescenti) ed indipendente dalle variabili che definiscono le combinazioni produttive di altre imprese, ad ogni situazione ottima in senso paretiano è possibile associare un insieme di prezzi tali per cui essa viene a coincidere con una situazione di equilibrio concorrenziale. Viceversa si può dimostrare che in condizioni analoghe per ogni situazione di equilibrio esiste una situazione ottimale in senso paretiano (si vedano le moderne dimostrazioni in T. G. Koopmans, Allocation of resources and the price system).
Il ruolo che i prezzi possono avere nell'assicurare l'ottima distribuzione dell'attività produttiva, considerata nel suo complesso, è stato ulteriormente chiarito, sotto particolari condizioni, con l'applicazione della programmazione lineare: si è cercato in tal modo di distinguere l'aspetto relativo alla produzione da quello relativo alla distribuzione nell'analisi del benessere economico. Allo sviluppo di questo secondo aspetto nuove prospettive può offrire l'applicazione della teoria dei giochi (si ricordano in particolare i saggi di O. Morgenstern, G. T. Guilbaud e G. Nyblen).
Tra i principali contributi all'analisi dell'ottimo paretiano e delle divergenze dalla situazione ottimale si ricordano quelli di A. Bordin, V. Dominedò, K. J. Arrow, G. Debreu, M. Boiteux, ecc. La nozione di ottimo in senso paretiano è stata generalizzata allo scopo di ordinare le diverse cronache temporali di consumi e di investimenti con cui può essere interpretato il processo di sviluppo economico (si ricorda l'importante contributo di E. Malinvaud).
Le conclusioni cui ha portato l'analisi critica del sistema concorrenziale e la constatazione della crescente diffusione delle situazioni monopolistiche ha accentuato l'importanza di due ordini di problemi affrontati nella linea di pensiero che considera le condizioni relative alla distribuzione ottima delle risorse a prescindere dalle valutazioni relative alla distribuzione dei redditi:
1) il riesame del problema delle condizioni per l'ottimo della produzione nel sistema monopolistico. Ricordiamo in proposito gli importanti contributi di R.F. Kahn, di A.P. Lerner, di F. Vinci, di G. Demaria e di T. Scitovsky. Alcuni di questi studî si collegano alla discussione delle formule per misurare il grado di monopolio: ad esempio secondo il Lerner in un sistema di tipo monopolistico, per avere un'ottima distribuzione della produzione, occorre che il grado sociale di monopolio sia il medesimo per tutti i prodotti finali. Gli sviluppi ulteriori dell'analisi in questo campo manifestano, sempre più chiaramente distinte, due linee di pensiero: mentre alcuni autori, sulla base di un riesame della struttura monopolistica - che sarebbe caratterizzata dalla contrapposizione di poteri economici ai due lati del mercato e dalla possibilità di forme concorrenziali diverse da quelle tradizionalmente considerate (E. Chamberlin, J.K. Galbraith, J. Clark) - o della riconsiderazione del ruolo che il monopolio ha nello sviluppo economico (J. Schumpeter), sono giunti a valutazioni meno pessimistiche di quelle espresse dai classici sulla capacità di un sistema non concorrenziale di assicurare una efficiente distribuzione delle risorse e un adeguato sviluppo economico, altri autori hanno invece messo in luce le conseguenze negative che il monopolio ha sia sul livello di impiego e sulla distribuzione delle risorse sia sul processo di sviluppo e sulla distribuzione dei redditi (J. Robinson, J. Steindl, E. Domar, P. Sylos Labini, S. Lombardini).
2) la ricerca di un criterio per stabilire se un dato mutamento nelle condizioni economiche ha un effetto positivo o negativo sul benessere sociale. V. Kaldor ha proposto un criterio ripreso e riformulato da J. R. Hicks (Le basi dell'economia del benessere), per determinare tali effetti: un intervento porta a un aumento del benessere economico generale se si dimostra che "anche se coloro che sono pregiudicati fossero pienamente indennizzati delle loro perdite, il resto della collettività ne risulterebbe ancora avvantaggiato rispetto alla situazione precedente". Il criterio Kaldor-Hicks (dell'indennizzo) non richiede che i danni siano effettivamente pagati: infatti questi autori, riprendendo la linea di pensiero paretiana, ritengono che non spetti all'economista esprimere giudizî di preferenza circa le varie possibili distribuzioni del reddito. Tale criterio - che sostanzialmente rappresenta una particolare interpretazione e versione del criterio di ottimalità paretiano, già prospettata dal Barone, indubbiamente più significativa sul piano operativo - è apparso ad un esame critico inadeguato. Si può infatti dimostrare, in alcuni casi, sulla base del criterio Kaldor-Hicks, che tanto alcuni mutamenti quanto la loro eliminazione, una volta realizzati, possono considerarsi vantaggiosi da un punto di vista sociale. Il Scitovsky, che ha dimostrato questa possibile contraddizione (Note sulle proposizioni relative al benessere nella scienza economica), suggerisce un criterio più complesso, definendo una situazione B socialmente preferibile alla situazione A, se gli individui, che si attendono dalla situazione B un miglioramento della loro posizione, sono in grado di compensare gli individui che verrebbero danneggiati dal passaggio alla situazione B e se gli individui, che sono contrarî al passaggio da A a B, non sono in grado di ottenere mediante un compenso (non superiore naturalmente al danno che essi subirebbero per il cambiamento) la rinuncia alla realizzazione di B da parte degli individui che ne sarebbero avvantaggiati.
Critiche al criterio Kaldor-Hicks (che, si ricordi, non implica l'effettiva corresponsione dell'indennizzo) sono state mosse in relazione alla pretesa indipendenza del giudizio di efficienza di un dato mutamento dalle valutazioni relative alla distribuzione dei redditi. Osserva in proposito J. M. Little che: supponendo un cambiamento per cui i ricchi diventino più ricchi in misura tale da poter compensare largamente i poveri, senza però che tale compenso venga di fatto elargito, e i poveri diventino quindi ancora più poveri: pochi oggi in Inghilterra sarebbero disposti ad ammettere che un simile cambiamento accrescerebbe il benessere sociale. Il Little pertanto suggerisce che un'organizzazione produuiva sia considerata socialmente desiderabile se la sua eliminazione non è tale in base al criterio Kaldor-Hicks e se la risultante distribuzione della ricchezza è considerata desiderabile da un punto di vista etico. Ciò richiede che la collettività abbia qualche criterio per valutare il benessere relativo dei diversi gruppi sociali e che possa adattare la distribuzione dei redditi in armonia a tale criterio.
Appare quindi necessario superare l'indifferenza sostenuta dal Pareto nei confronti delle possibili distribuzioni alternative dei redditi. Tale esigenza è sostenuta anche dal Samuelson che insiste sulla indeterminazione che altrimenti presenterebbe la soluzione dei problemi dell'ottima distribuzione delle risorse data la pluralità delle situazioni ottimali in senso paretiano. Ulteriori argomenti in questa direzione si trovano in un importante contributo di R. Frisch (On Welfare theory and Pareto Regions). L'impostazione più generale del problema è stata prospettata in un importante contributo di A. Bergson e sviluppata dal Lange e dal Samuelson. Secondo questi autori, ogni giudizio sull'efficienza delle diverse possibili distribuzioni delle risorse non può essere formulato prescindendo da premesse di carattere teleologico che si possono formulare mediante una funzione sociale del benessere. In relazione ad alcuni presupposti ideologici comunemente accettati può essere conveniente esprimere il b. economico-sociale come funzione dell'utilità dei varî individui (o gruppi): si tratta di una funzione determinabile soltanto in senso ordinale come le funzioni delle utilità individuali. È opportuno peraltro ricordare a questo proposito che alcuni sviluppi moderni della teoria del comportamento economico in condizioni d'incertezza hanno portato ad una riformulazione della nozione dell'utilità tale da rendere la funzione che l'esprime misurabile.
Accogliendo una determinata funzione del b. sociale l'economista, ove siano soddisfatte opportune condizioni, può pervenire ad una soluzione univoca del problema della distribuzione ottima delle risorse. Alcuni economisti si sono posti il quesito se sia possibile stabilire delle regole per cui ad ogni sistema di preferenze individuali (circa le diverse possibili situazioni economiche) si possa far corrispondere un sistema di preferenze sociali: la funzione sociale del benessere non costituirebbe una premessa più o meno arbitrariamente posta alla sua analisi dall'economista, ma discendederebbe dalle preferenze individuali. Particolarmente notevole è l'analisi di K. J. Arrow (Social choice and individual values), il quale stabilisce alcune condizioni che la determinazione delle scelte sociali dovrebbe soddisfare perché esse siano consistenti con le scelte individuali e siano ricavate da queste democraticamente e dimostra che un sistema coerente di scelte sociali deve essere imposto o stabilito in modo dittatoriale. Il problema sollevato dall'Arrow, è stato ridiscusso da diversi studiosi (Nyblen, D. Black, Ken-Ichi Inada, K. O. May, K. Hildreth, ecc.); alcuni dei quali (Black, Hildreth), formulando diverse ipotesi sulla struttura delle preferenze individuali e sulle condizioni che debbono essere soddisfatte dalle preferenze sociali, hanno affermato la possibilità di ottenere preferenze sociali coerenti dalle preferenze individuali. Come sottolinea l'Hildreth, passare dalle preferenze individuali alle preferenze sociali comporta una valutazione comparativa del benessere economico di diversi individui o gruppi: in termini ancora più generali si può affermare che il processo con cui si perviene alla funzione sociale del b. implica giudizî di valore che l'economista deve chiaramente riconoscere come tali e non introdurre surretiziamente nella definizione dei criterî economici. Il problema sollevato dall'Arrow si pone quindi al di fuori dell'analisi economica. Ciò significa che i giudizî di valore impliciti nella funzione sociale del b. sono assunti dall'economista dall'esterno, essi sono cioè dati esogeni, come esogeni sono considerati, nell'analisi statica tradizionale, i gusti dei consumatori.
I contributi fin qui ricordati che più direttamente si qualificano come contributi alla teoria dell'economia del b. presentano due gravi limitazioni: a) l'insufficiente integrazione delle analisi parziali con l'analisi più generale ricordata precedentemente; b) il carattere essenzialmente statico dell'analisi. In verità non sono mancati contributi all'analisi del problema del livello ottimo del risparmio (ricordiamo in particolare il famoso saggio di F. P. Ramsey e i contributi sviluppati lungo la linea di pensiero keynesiana, come quello del Lange, sulla propensione ottima al consumo) e allo studio delle politiche di investimento (ricordiamo ad esempio alcuni studî di M. Dobb e i già ricordati contributi all'analisi dei programmi d'investimento nelle aree arretrate). Nello studio di quest'ultimo problema hanno trovato, come si è detto ulteriori sviluppi alcuni concetti elaborati o applicati nel campo dell'economia del b. (produttività marginali e sociali, economie e diseconomie esterne). L'analisi dei problemi relativi allo sviluppo economico dal punto di vista dell'economia del benessere come pure il riesame dell'ottima distribuzione spaziale dell'attività economica (A. Losch, W. Isard, ecc.) suggerisce ulteriori argomentazioni a sostegno della tesi che il regime concorrenziale, che peraltro appare impossibile a ricostituirsi, è insufficiente ad assicurare l'ottimo impiego delle risorse. Una sintesi di questi contributi che potrebbe portare ad un più ampio schema concettuale dell'economia del b. e, in tal modo, chiarire i fondamenti e i metodi dell'economia normativa è ancora da farsi. La necessità di utilizzare le conoscenze del meccanismo economico per una impostazione scientifica dei problemi di politica economica sulla base di premesse teleologiche assunte dall'esterno ed espresse dalla funzione sociale del benessere sta facendosi strada: è sufficiente ricordare gli importanti contributi di J. Tinbergen e del Frisch.
È opportuno sottolineare che gli sviluppi dell'economia del b., attraverso le analisi critiche delle premesse ideologiche della concezione liberista, hanno contribuito a rafforzare il carattere scientifico dell'analisi economica e a chiarirne la relativa autonomia rispetto alle analisi dei fenomeni sociali che interessano altre discipline. Alcuni sviluppi del pensiero economico nei paesi a regime collettivista sembrano procedere lungo direzioni analoghe. Nuove prospettive si aprono così alla ricerca economica.
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