BENESSERE (App. III, 1, p. 219)
Negli ultimi tempi, alcuni economisti che si muovono nel contesto della teoria dell'equilibrio generale hanno dato all'economia del b. un carattere operativo che consente di farne la base teorica della politica economica (R. Frisch, J. Tinbergen). La funzione sociale del b. viene allora sostanzialmente impiegata per esprimere le relazioni che si stabiliscono tra i vari obiettivi della politica economica quando essi non sono prefissati nelle loro dimensioni quantitative e quando l'aumento del livello di un obiettivo è possibile - avendo impiegato le risorse in modo efficiente - soltanto riducendo il livello di altri obiettivi.
Diventa così possibile elaborare dei modelli di politica economica che si distinguono dai modelli econometrici con cui si cerca di spiegare il concreto svolgersi del processo economico. In questi modelli lo stato è concepito come esterno al sistema che con le sue decisioni può modificare; più precisamente l'operatore pubblico può, modificando i valori di certe variabili o parametri (variabili strumentali), proporsi di raggiungere determinati obiettivi prefissati o massimizzare la funzione sociale del b. in questa versione operativa. Senza che si renda necessario assumere una specifica funzione del b., si possono individuare le relazioni che si stabiliscono tra i livelli dei vari obiettivi quando lo stato ha posto in essere i suoi interventi nel modo più efficiente (trade off functions). Siffatti schemi concettuali sono stati impiegati per analizzare gli effetti delle diverse combinazioni di strumenti di politica economica che vengono impiegati per conseguire gli obiettivi come quelli di piena occupazione, di riequilibrio dei conti con l'estero, di più alti tassi di crescita, che, per le considerazioni sviluppate dalla teoria keynesiana e di altre teorie moderne, si pongono alla politica economica.
La funzione sociale del b. può essere impiegata - ad avviso di alcuni economisti neopositivisti - anche per confrontare l'efficienza di diversi sistemi economico-sociali. In tal caso tutte le variabili e le caratteristiche strutturali che sono ritenute rilevanti quando si determina la desiderabilità di un dato sistema, debbono entrare come argomenti della funzione del b. (anche il grado di decentramento delle decisioni, per es. si veda T. Koopmans e Montias).
Bene pubblico. - Nelle ricordate analisi di economia del b. si assume più o meno esplicitamente che il consumatore sia coerente e si comporti in modo da massimizzare le sue utilità individuali sia quando opera sul mercato, sia quando concorre con altri consumatori, attraverso decisioni politiche, a decidere la produzione di beni o servizi pubblici. Quando l'uso del bene pubblico può essere impedito dal produttore o rifiutato dal consumatore l'applicazione dei criteri di ottimalità paretiana porta a giustificare un prezzo nullo se il costo addizionale per consentire l'uso del bene a un consumatore aggiuntivo è nullo. A questi risultati era già pervenuto un ingegnere francese, J. Dupuit, in un famoso saggio del 1844, in cui aveva dimostrato che il massimo b. generale si ha quando i diversi beni sono venduti ai costi marginali. Questa tesi è stata ripresa e sviluppata da H. Hotelling; essa riguarda la produzione sia di beni pubblici che di beni privati. Nel caso di costi marginali decrescenti, poiché la vendita a tali condizioni non consente il ricupero dei costi fissi, questi debbono essere coperti mediante un prelievo fiscale sui redditi. Inoltre, alla luce di queste considerazioni, le imposte dirette appaiono preferibili a quelle indirette. A questo proposito osserva giustamente Samuelson nelle sue Foundations (p. 242) che il costo marginale "non è una componente del costo cui si deve far fronte e l'uguaglianza tra prezzo e costo marginale non ha nulla a che fare con la copertura del costo complessivo, la determinazione di un provento adeguato agl'investimenti, la ripartizione appropriata della parte spettante ai fattori e così via. Il suo scopo è quello di assicurare una corretta distribuzione dei fattori di produzione e di evitare una ripartizione anomala dei prodotti". La problematica prospettata da Dupuit è stata ripresa e sviluppata anche da altri autori (R. Frisch, A. P. Lerner, M. Friedman, G. Debreu, ecc.): obiezioni a una generale applicazione del criterio marginalistico sono state mosse da G. Durbin e R. H. Coase.
Sulla base di argomentazioni simili a quelle sviluppate da Dupuit e da Hotelling l'utilizzo di un'invenzione non dovrebbe essere riservata all'inventore ma consentita a tutti. A tali conclusioni in verità si perviene quando si considera il problema economico essenzialmente come un problema d'impiego di risorse date per raggiungere certe finalità tutte riferite alla fine dell'unico periodo che si considera (lo svolgimento del processo economico all'interno del periodo essendo considerato irrilevante). È questa sostanzialmente la struttura logica del modello dell'equilibrio generale. Quando si considera il processo di sviluppo, il problema economico si complica in quanto occorre stabilire intensità e direzione degl'investimenti dai quali dipende la crescita dell'economia. Si tratta in particolare di stabilire i criteri che consentono di determinare la convenienza o meno di effettuare nuovi investimenti in porti o in attrezzature di trasporti, per es., e i sistemi d'incentivo con cui si può assicurare il massimo sviluppo tecnologico: non basta infatti garantire che un'invenzione sia sfruttata al massimo, occorre garantire anche - e preliminarmente - che si sviluppi intensa ed efficiente l'attività di ricerca di nuovi metodi di produzione e di nuovi prodotti.
La considerazione dei beni pubblici non solleva solo questi problemi, ma ripropone anche il problema più generale dei criteri di comportamento del consumatore. Alcuni economisti (sociologi e politici) infatti sostengono - con buone motivazioni invero - che i criteri di comportamento del cittadino, le cui scelte avvengono mediante il voto, sono diversi dai criteri di comportamento del consumatore, dello stesso cittadino cioè che opera atomisticamente sul mercato. Si pensi ai molti che si pronunciano politicamente a favore di norme per il regolamento del traffico e che poi individualmente violano quando possono alcune di tali norme. In parte le divergenze tra il comportamento politico e quello di mercato si spiegano per la natura delle decisioni politiche che stabiliscono doveri e diritti per tutti. Quando l'uso del bene pubblico non può essere escluso né dal produttore né dai singoli utenti la decisione se produrlo o meno è essenzialmente una decisione politica.
Sviluppo ottimale. - Nelle teorie dell'economia del b. fin qui ricordate, il sistema economico è considerato essenzialmente come un meccanismo per l'impiego ottimo di risorse date. Diversa è la concezione che i classici avevano dell'economia che è concepita come un sistema aperto che cresce con caratteristiche tali da assicurare uno sviluppo ottimo. La tematica della crescita ottimale è stata ripresa recentemente con intenti normativi: i progressi della teoria dei controlli e della cibernetica hanno favorito questi sviluppi. Un sistema economico inteso come meccanismo di aggiustamento in grado di garantire sotto certe condizioni l'impiego efficiente delle risorse, non è detto che possa assicurare la crescita ottimale. Quando l'analisi si porta dal piano della statica al piano della dinamica si presentano non poche complicazioni. Sulla base di quali criteri si può considerare un sentiero di crescita preferibile a un altro sentiero di crescita? La risposta sembra facile: sulla base delle preferenze dei consumatori. Ma quali consumatori? Quelli presenti soltanto o anche i futuri? La propensione a risparmiare dei presenti così come risulta da varie motivazioni è sufficiente a garantire l'accumulazione necessaria a tutelare le esigenze delle generazioni future?
Nell'ipotesi che l'efficienza dei diversi possibili sentieri di sviluppo sia da determinarsi sulla base delle preferenze degli attuali consumatori si è tentato di estendere l'analisi paretiana delle strutture efficienti a un'economia che può svilupparsi nel tempo, considerando i beni prodotti e consumati nei vari periodi come se fossero beni diversi e supponendo che i consumatori massimizzino funzioni di utilità che dipendono dai consumi nei vari periodi. In tal modo si sono potute chiarire alcune relazioni che si debbono stabilire tra tassi d'interesse, prezzi correnti e prezzi per le consegne future, al fine di assicurare un efficiente impiego delle risorse: efficiente, si noti, sulla base delle preferenze così come sono ora espresse e delle aspettative correnti, preferenze e aspettative che certamente variano nel tempo.
A parte la loro pressoché nulla rilevanza interpretativa, tali modelli lasciano aperto il problema dell'ottimalità delle condizioni finali che non può essere decisa senza far riferimento ai processi che potranno successivamente svilupparsi. E. Malinvaud ha esteso l'analisi paretiana a orizzonti infiniti, evitando così il problema delle condizioni finali: si è potuto in tal modo mettere in luce l'insufficienza del criterio della massimizzazione del progetto ad assicurare cronache ottime.
In genere però nell'impostazione dei problemi dello sviluppo ottimale si considera l'obiettivo mediato della massimizzazione del tasso di crescita o della realizzazione nel tempo del massimo livello di utilità (J. Ramsey). Il problema può essere allora affrontato e risolto con modelli dinamici intesi a individuare famiglie di sentieri di crescita. Ogni famiglia comporta certe caratteristiche strutturali del sistema: all'interno di ciascuna famiglia ogni sentiero corrisponde a un insieme di condizioni iniziali.
Più interessanti sono gli sviluppi cui ha dato luogo il modello di J. von Neuman che ha studiato le condizioni che definiscono il massimo tasso di crescita dell'economia, quando sono possibili diverse tecniche con cui produrre i beni destinati in parte - secondo coefficienti fissi - a compensare i lavoratori e per il resto (sovrappiù) impiegati per espandere la produzione impiegando i nuovi lavoratori che si rendono disponibili in misura adeguata. Sotto certe ipotesi che riguardano le tecnologie produttive (che possono essere definite in modo da considerare anche i beni capitali durevoli) si dimostra che esiste un tasso di profitto massimo che corrisponde al tasso d'interesse minimo al quale corrispondono prezzi che rendono il valore monetario del sovrappiù uguale al valore dei nuovi beni capitali. Una vasta letteratura si è sviluppata sulla crescita ottimale: alcuni saggi prendono le mosse da un'impostazione del problema che ricorda essenzialmente quella marginalistica, altri s'ispirano invece alla trattazione neo-keynesiana che sottolinea la relazione tra profitti, salari, prezzi e tassi di crescita. Le diverse analisi hanno portato a chiarire i rapporti tra tasso di crescita e tasso di profitto, il ruolo delle propenzione al consumo dei capitalisti e dei lavoratori (L. Pasinetti), le condizioni relative alla struttura iniziale.
Con i vari teoremi detti dell'autostrada si dimostra che, quando le condizioni iniziali da cui si parte e quelli finali cui si vuole arrivare non sono compatibili con la crescita lungo un sentiero ottimale, conviene in una prima fase modificare la struttura dell'economia cosi da portarsi su un sentiero di crescita ottimale (l'autostrada) che si lascia a un certo punto per modificare la struttura, così da pervenire alla struttura finale desiderata.
I meccanismi concorrenziali. - Si è molto discusso sulla capacità di un sistema competitivo di mantenersi e di garantire l'efficiente impiego delle risorse e l'efficiente sviluppo.
Il problema è stato invero affrontato sia nel contesto (tradizionale) dell'analisi dell'equilibrio, sia in quello della crescita ottimale. Per le analisi che prendono le mosse dalla teoria dell'equilibrio ricordiamo gl'importanti contributi di R. F. Kahn, di A. P. Lerner, di F. Vinci, di G. Demaria e di T. Scitovsky. Alcuni di questi studi si collegano alla discussione delle formule per misurare il grado di monopolio: per es., secondo Lerner, in un sistema di tipo monopolistico, per avere un'ottima distribuzione della produzione, occorre che il grado sociale di monopolio sia il medesimo per tutti i prodotti finali. Gli sviluppi ulteriori dell'analisi in questo campo manifestano, sempre più chiaramente distinte, due linee di pensiero: mentre alcuni autori, sulla base di un riesame della struttura monopolistica - che sarebbe caratterizzata dalla contrapposizione di poteri economici ai due lati del mercato e dalla possibilità di forme concorrenziali diverse da quelle tradizionalmente considerate (E. Chamberlin, J. K. Galbraith, J. Clarck) - o della riconsiderazione del ruolo che il monopolio ha nello sviluppo economico (J. Schumpeter), sono giunti a valutazioni meno pessimistiche di quelle espresse dai classici sulla capacità di un sistema non concorrenziale di assicurare un'efficiente distribuzione delle risorse e un adeguato sviluppo economico, altri autori hanno invece messo in luce le conseguenze negative che il monopolio ha sia sul livello d'impiego e sulla distribuzione delle risorse sia sul processo di sviluppo e sulla distribuzione dei redditi (J. Robinson, J. Steindl, E. Domar, P. Sylos Labini, S. Lombardini). Diversi sono peraltro i criteri di comportamento delle imprese moderne e gli effetti delle loro attività - con le quali vengono differenziati i beni e indotti i consumatori a mutare le loro preferenze - sul processo di sviluppo (R. Marris, Lombardini). Le analisi dello sviluppo ottimale hanno a loro volta dimostrato l'instabilità del sistema concorrenziale e la sua incapacità di assicurare un tale sviluppo in una traiettoria di equilibrio: e ciò sia per la natura delle aspettative dell'operatore, in generale miope, sia per le complicazioni che per il funzionamento del sistema comporta l'esistenza di più beni capitali.
Le limitazioni del sistema competitivo inteso come meccanismo che mira ad assicurare la massima crescita appare ancora più evidente quando si considera lo scarso rilievo dei mercati a termine nei quali gli operatori possono far conoscere le loro decisioni di disporre o di mettere a disposizione nel futuro dati beni in determinate quantità, le interdipendenze tra le varie decisioni d'investimento, le interreazioni tra modifiche nella distribuzione del reddito e nella struttura della domanda, i meccanismi di formazione delle aspettative largamente condizionati dai sistemi informativi che debbono adeguarsi alle esigenze di funzionamento del mercato. Già a. Dobb nella critica alle impostazioni date da a. Barone al problema dei criteri di efficienza di un sistema collettivista e ripresa da a. Lange, ha intuito che i problemi della crescita non possono essere validamente risolti dal mercato concorrenziale, sia esso effettivo o simulato. Sono queste deficienze che giustificano la programmazione indicativa (J. Meade). Se si considerano le discontinuità nel processo di sviluppo, il ruolo che ha l'imprenditorialità, le ragioni che determinano blocchi d'investimento nel tempo, i modelli di equilibrio (più in generale di crescita bilanciata) appaiono inadeguati a individuare i processi di sviluppo che assicurano la massima crescita (J. Schumpeter, F. Hirschman, A. Perroux).
Anche nel contesto della teoria dell'equilibrio generale le condizioni per l'ottimo economico hanno scarsa rilevanza. E infatti - come ha dimostrato la teoria del second best (Meade, K. Lancaster, R. Lipsey) - è sufficiente che un'impresa non realizzi le condizioni di ottimalità, stabilendo per es. prezzi superiore ai costi marginali, perché la realizzazione delle condizioni di ottimalità da parte delle altre imprese perda ogni rilevanza: queste infatti per rendere possibile il secondo ottimo - visto che il primo è pregiudicato dalle azioni della seconda impresa - debbono discostarsi dalle condizioni di ottimalità stabilite dall'analisi marginalistica.
Come A. C. Pigou aveva già dimostrato, la regola del profitto non può portare a scelte efficienti per il sistema nel suo complesso quando le decisioni dell'impresa provocano effetti favorevoli (o sfavorevoli) ad altri operatori che non si traducono in aumenti di ricavi (o di costi) per l'impresa che tali effetti provoca. Anche le interdipendenze tra le funzioni di utilità dei diversi individui non consentono al sistema concorrenziale di garantire l'ottimo impiego delle risorse (W. Baumol). In verità, che cosa si debba intendere per sviluppo ottimo, in questo caso come nel caso più generale d'interdipendenza tra la dinamica delle preferenze e il processo economico (in particolare le decisioni delle imprese relative alle politiche di differenziazione dei prodotti e di sviluppo delle vendite) è difficile a stabilirsi. Siffatte interdipendenze e quelle tra le decisioni di diverse imprese assumono particolare rilevanza nelle analisi dei programmi di investimento in una politica di sviluppo delle economie arretrate (si vedano per es. i contributi di P. N. Rosenstain-Rodan, di H. B. Chenery e K. S. Kretschmer e di Frisch). Revisioni critiche della nozione di economie esterne si sono avute recentemente ad opera di T. Scitovsky, e di J. Meade. L'analisi delle interdipendenze tra le funzioni di utilità dei diversi individui è stata sviluppata allo scopo soprattutto di spiegare le variazioni del risparmio alle variazioni del reddito (si ricorda in proposito il contributo di J. S. Duesenberry).
Gli schemi elaborati nel campo dell'economia del b. appaiono alla luce soprattutto dei recenti sviluppi dei sistemi capitalistici largamente insoddisfacenti, sia perché i modelli positivi sottostanti appaiono inadeguati a comprendere i processi economici che possono concretamente verificarsi, sia perché tra la formulazione delle finalità che si pongono al processo economico e lo stesso processo si stabiliscono delle relazioni di tipo cibernetico. Senza chiarire tali relazioni non si può affrontare in termini operativi il problema dello sviluppo ottimo la cui soluzione è necessaria per offrire un quadro organico in cui collocare i problemi parziali di ottimizzazione, alla cui soluzione gli sviluppi della teoria dell'informazione e della programmazione matematica e dei sistemi offrono nuove possibilità.
Alcuni sviluppi della ricerca economica nei paesi collettivisti hanno confermato la rilevanza che possono avere nella formulazione e nella soluzione di alcuni problemi di programmazione certi strumenti concettuali elaborati dalla teoria dell'equilibrio economico generale e riscoperti da economisti di tali paesi, i cui metodi si avvicinano sempre di più a quelli degli economisti neo-positivisti. La programmazione matematica è stata ampiamente impiegata per risolvere problemi d'impiego ottimo delle risorse sia a livello d'impresa che di economie più ampie (L.V. Kantorovič). Questi sviluppi appaiono significativamente convergenti con sviluppi analoghi che si sono registrati nei paesi a economia di mercato (T. Koopmans). Anche sui problemi dello sviluppo ottimale si sono impegnati a fondo economisti e matematici dei paesi collettivisti: i contributi in questo campo mantengono però ancora un carattere di eccessiva astrattezza che non li rende suscettibili di concrete applicazioni.
Le esperienze di programmazione hanno poi riproposto il problema del decentramento delle decisioni che appare invero necessario data la complessità dell'economia nazionale per conseguire strutture ottime. Occorre infine menzionare che gli sviluppi più recenti nel campo della teoria delle scelte collettive (public choice) sembrano indicare la tendenza ad affrontare la problematica propria della "economia del benessere" su un'ottica completamente diversa.
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