Beni comuni
bèni comuni locuz. sost. m. pl. – L’insieme delle risorse, materiali e immateriali, utilizzate da più individui e che possono essere considerate patrimonio collettivo dell’umanità (in ingl. commons). Si tratta generalmente di risorse che non presentano restrizioni nell'accesso e sono indispensabili alla sopravvivenza umana e/o oggetto di accrescimento con l'uso. In quanto risorse collettive, tutte le specie esercitano un uguale diritto su di esse e rappresentano uno dei fondamenti del benessere e della ricchezza reale. Il concetto fa riferimento, in termini storici, alle terre comuni di uso collettivo per diritto consuetudinario delle popolazioni rurali nell’Inghilterra del sec. 17°, la cui scomparsa costituì la premessa alla rivoluzione industriale. La loro recinzione, avvenuta per mezzo delle Enclosure bills, fu ritenuta necessaria per l’allevamento intensivo delle pecore, la cui lana veniva utilizzata dalla nascente industria tessile. Alla scomparsa dei commons fece seguito l’offensiva ideologica contro l’uso condiviso delle terre per favorirne la trasformazione in bene strettamente commerciale. Se le recinzioni delle terre comuni ha portato la formazione dell'industria manifatturiera e lo sviluppo del diritto proprietario, le attuali enclosures aprono la strada a una diversa forma di capitalismo neoliberista che, a partire dalla deregulation dei servizi sociali, rappresenta una delle linee di sviluppo economico della contemporaneità. In letteratura si possono individuare tre distinte categorie di beni comuni. La prima comprende l’acqua, la terra, le foreste e la pesca, beni di sussistenza da cui dipende la vita, in particolare quella degli agricoltori, dei pescatori e dei nativi, che vivono grazie all’utilizzazione delle risorse naturali; a questa categoria si aggiungono anche i saperi locali, le sementi selezionate nel corso dei secoli dalle popolazioni locali, il patrimonio genetico dell’uomo e di tutte le specie vegetali e animali, la biodiversità. In questo senso possono essere considerati come b. c. non solo le risorse naturali in quanto tali, ma anche i diritti collettivi d’uso, da parte di una comunità, a godere dei frutti di quella data risorsa, diritti denominati usi civici. Alla seconda categoria appartengono i b. c. cosiddetti globali come l’atmosfera, il clima, gli oceani, la sicurezza alimentare, la pace ma anche la conoscenza, i brevetti, Internet, tutti quei beni cioè frutto della creazione collettiva. Questi beni sono stati percepiti solo recentemente come b. c. globali, dal momento cioè in cui sono sempre più invasi ed espropriati, ridotti a merce, recintati ed inquinati, e il loro l’accesso sempre più minacciato. La terza categoria comprende infine i servizi pubblici, forniti dai governi in risposta ai bisogni essenziali dei cittadini, come l’erogazione dell’acqua, il sistema dei trasporti, la sanità, la sicurezza alimentare e sociale, l’amministrazione della giustizia. Essi mutano nel tempo e i processi di privatizzazione ne mettono a rischio l’accesso universale.
Diritto. – Il dibattito teorico sui b. c. è stato vitalizzato alla fine del Novecento dagli studi della politologa statunitense Elinor Ostrom, insignita del premio Nobel per l’economia nel 2009. Penetrata con forza anche in Italia e proposta all’opinione pubblica principalmente in occasione della consultazione referendaria del giugno 2011 sulla privatizzazione dell’acqua, la nozione di b. c. appare, tuttavia, ancora incerta e ambigua e rischia di ampliarsi fino al punto di perdere qualsiasi capacità distintiva. A rigore, per b. c. dovrebbero intendersi risorse materiali o immateriali che per loro intrinseca natura o per scelta normativa possano (o debbano poter) essere fruite da tutti i membri di una determinata comunità per la soddisfazione di interessi primari e diffusi. In relazione a essi non assume, dunque, rilevanza il profilo proprietario o di appartenenza ma quello della fruizione, che deve essere comune o collettiva. I b. c. si propongono quali beni sottratti al mercato e alle sue logiche: indisponibili e inalienabili, non possono costituire fonti di rendita o di profitto. Così intesa, la nozione di b. c. si rivela radicalmente incompatibile con quella di proprietà, sia essa privata o pubblica, accolta nell’ordinamento giuridico italiano e definita dall’art. 832 del codice civile vigente come il diritto «di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo». Cosicché il diritto di proprietà, esclusivo ed escludente, mal si concilierebbe – in difetto di specifici interventi legislativi – con le caratteristiche dell'accessibilità aperta e della fruibilità diffusa che dovrebbero connotare i beni comuni. Con il d.m. 21 giugno 2007 è stata istituita presso il Ministero della giustizia un'apposita Commissione, presieduta da Stefano Rodotà, al fine di elaborare uno schema di legge delega per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici. La Commissione, all’esito dei propri lavori, ha formulato una proposta di articolato che – tra l’altro – prevede la distinzione dei beni in: beni pubblici, beni privati, beni comuni. In relazione a questi ultimi la Commissione propone, dunque, il loro inserimento nel tessuto del codice civile qualificandoli come le «cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona» e precisando che essi devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico, anche a beneficio delle generazioni future. La proposta non attribuisce particolare rilievo al profilo proprietario: titolari dei b. c. possono essere persone giuridiche pubbliche o privati, ma sottolinea che «in ogni caso deve essere garantita la loro fruizione collettiva, nei limiti e con le modalità fissati dalla legge». A tale proposito, coerentemente, si prevede che «alla tutela giurisdizionale dei diritti connessi alla salvaguardia e alla fruizione dei b. c. ha accesso chiunque» e che «sono beni comuni, tra gli altri: i fiumi, i torrenti e le loro sorgenti; i laghi e le altre acque; l’aria; i parchi come definiti dalla legge, le foreste e le zone boschive; le zone montane d’alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i lidi e i tratti di costa dichiarati riserve ambientali; la fauna selvatica e la flora tutelata; i beni archeologici, culturali, ambientali e le altre zone paesaggistiche tutelate». L’ambito oggettivo così delineato potrebbe deludere le aspettative dei fautori di un più ampio ed esteso riconoscimento normativo della categoria dei b. c., ma il carattere non tassativo e meramente esemplificativo dell’elenco potrebbe comunque consentire di riconoscere in futuro – a opera del legislatore o per via interpretativa - anche ad altri beni, pur non espressamente indicati, quella medesima utilità funzionale all’esercizio dei diritti fondamentali che in via generale sembra caratterizzare la nozione di beni comuni. La proposta della Commissione ministeriale non ha avuto seguìto in sede legislativa, ma il tema è ancora ben vivo nelle riflessioni degli studiosi e nel dibattito politico.