BENI CULTURALI E AMBIENTALI
Legislazione a tutela dei beni. - Tra i principi fondamentali della Costituzione repubblicana va certamente collocato quello della "tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione" (art. 9). Esso esprime una scelta di grande importanza che è alla base di tutta la più recente e rilevante legislazione sulla tutela dei b.c. e dell'ambiente. Una vecchia concezione, che aveva permeato le norme (per altro in parte ancora in vigore) del 1909 (l. 20 giugno), del 1913 (R. D. 30 gennaio), del 1939 (ll. 1 e 29 giugno), fondata sulla conservazione delle "cose" d'interesse storico e artistico o del paesaggio, concepito come bellezza naturale, veniva progressivamente abbandonata. Lo stesso termine b.c. è del resto relativamente recente. Esso venne utilizzato per la prima volta dall'art. 1 della convenzione dell'Aja del 1954 sulla "protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato". Dieci anni dopo la Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio (presidente F. Franceschini), istituita con l. 26 aprile 1964, n. 310, apriva la strada a provvedimenti riformatori, introducendo la nozione di b.c. al fine di unificare i preesistenti concetti normativi di "cose" d'interesse storico, artistico, archeologico e di bellezze naturali. In particolare la Commissione indicava come b.c. ogni "testimonianza avente valore di civiltà" (cfr. Per la salvezza dei beni culturali in Italia/Atti e documenti, i, Roma 1967). Anche sulla base delle conclusioni presentate dalla Commissione Franceschini, una serie di provvedimenti normativi degni di rilievo hanno preceduto e preparato la fondamentale legge istitutiva del ministero per i Beni culturali e ambientali (l. 29 gennaio 1975 e d.P.R. 3 dicembre 1975) e successivamente la non meno rilevante l. 349 dell'8 luglio 1986 sull'istituzione del ministero dell'Ambiente. La competenza di questo, definita ora attraverso la delimitazione di quella del ministero per i Beni culturali, si estende alla prevenzione degli inquinamenti, alla conservazione della natura e alla difesa dell'ambiente in generale.
In tutta la più recente legislazione sui b.c. si è imposto il concetto molto efficacemente espresso dalla definizione adottata dalla Commissione di "testimonianza materiale avente valore di civiltà". In base a tale orientamento la vigente normativa regola e determina le condizioni e i limiti in cui le esigenze pubbliche di natura culturale prevalgono sulle facoltà di utilizzazione economica concesse al diritto di proprietà. Nella tutela del b.c. devono essere perciò ricomprese tutte le prescrizioni volte a garantire in primo luogo il soddisfacimento dell'interesse della collettività alla sua conservazione e alla sua fruizione. In questo senso conservare il b.c. non significa più solo impedirne la distruzione fisica, lo smarrimento o il furto, ma assicurarne la valorizzazione. E in effetti l'art. 1 del d.P.R. 805 del 1975 aveva già stabilito che il ministero per i Beni culturali e ambientali doveva provvedere "alla tutela ed alla valorizzazione" di tali beni.
Si tratta appunto di una concezione recente, direttamente discendente dai risultati raggiunti dalla Commissione Franceschini. Lo sviluppo della società e i crescenti pericoli che minacciano il patrimonio storico e artistico italiano hanno orientato la politica legislativa verso una tutela dell'ambiente concepito come condizione essenziale del vivere civile. L'intervento dell'uomo ha determinato e determina sempre maggiori e gravi modificazioni dell'ambiente naturale, ma anche altrettante, se non più gravi, modificazioni delle sovrastrutture e dei b.c. ereditati dalle generazioni precedenti. La ricerca di sempre più elevati livelli di benessere e l'aumento della popolazione hanno arrecato sempre maggiori guasti all'ambiente in tutte le sue espressioni. L'allarme è stato di recente raccolto anche dalla dottrina giuridica e vi ha corrisposto un più deciso intervento del legislatore. Ne è derivata una più ampia estensione del concetto di b. tutelato, per il conseguimento di più accettabili condizioni di vita della collettività. In questo quadro la terminologia di "beni culturali e ambientali" ha totalmente sostituito le vecchie categorie di "cose di interesse artistico e storico" e di "bellezze naturali", assorbendo altresì non solo tutto il patrimonio artistico e documentale, qual è regolato da d.P.R. 30 settembre 1963, ma anche, ed estensivamente rispetto alla normativa del 1939, tutti i "b. librari".
Bisogna sottolineare che l'affermarsi della nuova terminologia dà forza nello stesso tempo alla considerazione, e quindi alla tutela unitaria della materia e al sempre più accentuato e intimo collegamento con il concetto di b. ambientale. In effetti, secondo la più recente e affermata dottrina, b.c. vanno considerati non solo gli immobili singoli, ma tutte le parti del territorio nazionale degne di tutela in quanto testimonianza di cultura, di tradizioni, di costumi. La tutela è perciò anche possibile, non escludendo i mezzi previsti dalle citate leggi del 1939, attraverso gli strumenti urbanistici e la legislazione regionale sui centri storici. Un'ormai consolidata dottrina (M.S. Giannini) ha dimostrato quanto la nozione meramente materiale sia insufficiente a comprendere ed esaurire l'intera categoria, e come il profilo prevalente debba essere quello di attività e valori culturali. Già la dizione di b.c. adottata dalla Commissione Franceschini (v. sopra) rappresentava l'abbandono ufficiale della disciplina del 1939 che forniva solo una lunga e dettagliata elencazione di "cose", che, per il loro rilievo storico e artistico, venivano sottoposte a un regime giuridico speciale. Su questa base è ormai pienamente accolta in dottrina e giurisprudenza la tesi secondo cui il genere b.c. non può essere limitato dalle pur dettagliate elencazioni del legislatore, le quali pertanto devono ritenersi semplici esemplificazioni. È questo il modo migliore e più aperto per assicurare una valida tutela dei b., in quanto atti a soddisfare gli interessi della collettività.
Con il superamento di vecchie visioni riduttive, si instaura evidentemente un rapporto tra conservazione e fruizione pubblica, il che, conseguentemente, conferisce al nuovo concetto di b.c. una forza propulsiva e unificante del regime giuridico della materia. Ciò premesso va ricordato che la l. 21 dicembre 1961 n. 1552 e la l. 13 marzo 1968 n. 292 hanno notevolmente modificato la disciplina contenuta nella l. 1089 del 1939 a tutela delle "cose" d'interesse artistico e storico, così come, con maggiore chiarezza sui fini generali, la l. 44 del 1975 ha inteso proteggere il patrimonio archeologico e storico. Il legislatore in questo modo ha mostrato di voler tutelare e valorizzare i singoli oggetti in funzione del generale interesse storico e artistico tutelato. Così nelle collezioni di b. artistici, mentre i singoli documenti, quadri, statue, ecc., isolati dal contesto, possono non aver alcun interesse meritevole di tutela, se considerati come complessi, finiscono per assumere un interesse culturale tale da essere ricompresi sotto la garanzia dal legislatore. Le gallerie d'arte, le raccolte di documenti e, in generale, tutti i musei adempiono a quei fini culturali che il legislatore ha inteso tutelare.
I musei possono essere dotati di autonoma personalità giuridica anche se il più delle volte appartengono ad altri soggetti. Se si tratta dello Stato, delle Regioni o Comuni, essi fanno parte, con tutte le ulteriori conseguenze sul piano della tutela, del demanio cosiddetto accidentale. Nel caso invece appartengano a enti pubblici non territoriali è tutt'ora applicabile il regime di salvaguardia previsto dalla già citata l. 1089 del 1939. Lo stesso dicasi per i casi di appartenenza a soggetti privati: attraverso il previsto meccanismo del vincolo, quale è regolato dal legislatore, i privati non potranno rimuovere o smembrare raccolte, gallerie, ecc. senza l'autorizzazione ministeriale. In questo quadro la disciplina legislativa per gli archivi presenta alcune speciali caratteristiche in virtù del d.P.R. 30 settembre 1963 n. 1049 (emanato in forza della l. delega n. 1863 del 17 dicembre 1962). Tale disciplina, sostituendo la precedente normativa del 1939, all'art. 1 assoggetta al regime di tutela non solo gli archivi degli stati preunitari e i documenti degli organi giudiziari, legislativi, amministrativi, ma anche tutti gli archivi degli enti pubblici e quelli − anche privati − ritenuti d'interesse storico. Si tratta di un importante passo avanti nella moderna concezione della tutela dei b. archivistici.
Uno degli aspetti più significativi di tale normativa è l'attenzione prestata dal legislatore non solo al complesso archivistico, ma alla protezione anche del singolo documento cartaceo per il suo insostituibile valore documentale. Ciò senza contrasto, ma nell'ambito della più recente normativa tendente a superare una concezione dei b.c. come oggetto singolo degno di tutela. Va pertanto interpretato in questa chiave estensiva quanto disponeva la l. 1497 del 1939 relativamente agli immobili (ville, giardini o complessi aventi valore estetico). In questo caso non deve essere considerato unicamente il valore di natura estetica o quello del "bello di natura" utilizzato dal legislatore del 1939, ma la più ampia valutazione del loro inserimento in complessi di pubblico interesse. Questo orientamento è del resto confermato dalla tutela offerta dal legislatore anche alle attività culturali quale è prevista dal d.P.R. n. 616 del 1977, che ha ribadito una concezione non statica ma dinamica dei b.c. e della loro interazione con gli interessi della collettività.
A questa concezione ha corrisposto, nel complesso, la istituzione del ministero per i Beni culturali ed ambientali (grazie anche all'opera dell'apposita commissione presieduta da M.S. Giannini) che ha sottolineato come la funzione di tutela del b.c. venga ora a comprendere tutte le misure e gli interventi ritenuti necessari a garantire non solo il b. in quanto tale, ma la possibilità che il b. stesso, nel rispetto della sua particolare natura, adempia al soddisfacimento degli interessi della collettività per la sua integrale valorizzazione. Nel perseguimento di questo fine, viene congiunto il duplice aspetto della conservazione di tali b. e della loro reale utilizzazione.
Si tratta di un aspetto ignorato dalla precedente legislazione e che ora deve considerarsi fondamentale in tema di tutela del patrimonio culturale della nazione. A ciò si aggiunga che all'abbondanza e alla diffusione di b.c. sul nostro territorio corrisponde la consapevolezza che si tratta di un'im portante risorsa non solo culturale ma anche economica. Di ciò deve farsi carico ogni attività volta alla salvaguardia e alla gestione. A ciò sembra im pegnata la pubblica amministrazione in base a quanto disposto dal legisla tore con l'art. 1 del citato d.P.R. 805 del 1975, che indica i compiti strate gici del ministero. In questo senso deve ritenersi che l'interesse pubblico della conservazione e fruizione esige di interpretare le norme di tutela non più solo come limiti della disponibilità del b.c., ma come attività del pubblico potere nella loro gestione. Se tutto ciò comporta una nuova e più articolata visione dell'azione amministrativa in materia, pone tuttavia anche alcuni problemi circa i b. di proprietà privata. Ritenuto ormai insufficiente l'intervento conservativo al solo scopo di "assicurare la conservazione ed impedire il deterioramento delle cose", non si può più considerare la tutela come un semplice limite della proprietà privata; specie dopo la creazione del ministero dei Beni culturali si è raggiunta la consapevolezza che l'interesse pubblico deve andare ben oltre la mera conservazione. Ciò comporta non solo una compressione delle normali facoltà del proprietario, ma una vera e propria cogestione a favore dell'amministrazione, corrispondente alla concorrenza dei valori di natura culturale con quelli economici di pertinenza del proprietario. Tale potenziamento della politica di tutela del patrimonio artistico e storico può far ancora perno su norme che, pur risalendo al 1939, conservano tuttavia una notevole utilità pratica.
Per la l. 1089 del 1° giugno 1939 la dichiarazione dell'interesse storico e artistico e la sua notifica, rappresentano un momento essenziale per l'individuazione delle "cose" dei privati sottoposte a protezione. La natura giuridica del vincolo si integra in due momenti: quello dichiarativo, rappresentato dalla dichiarazione di particolare interesse, e quello costitutivo, con il quale l'amministrazione notifica la sua determinazione al privato, sul quale da quel momento incombono tutti gli obblighi previsti dalla legislazione vigente e, quindi, non solo quello di conservare la cosa per impedirne il deterioramento e di sottoporre alla Soprintendenza i progetti delle opere da eseguire. La notificazione del vincolo (o meglio della dichiarazione di vincolo) di particolare interesse artistico è infatti preordinata a creare nel proprietario, possessore o detentore della cosa, la conoscenza legale di tutti i previsti obblighi. Il provvedimento impositivo del vincolo storico-artistico si fonda su di un apprezzamento tecnico-estetico di carattere culturale oltreché discrezionale. Tale giudizio non deve essere limitato alla sola valutazione del pregio artistico del bene, ma deve estendersi anche all'apprezzamento dell'interesse pubblico alla tutela delle cose che, per l'attinenza diretta o indiretta all'arte, siano ritenute meritevoli di conservazione. Ne deriva, quindi, che il provvedimento impositivo del vincolo ex l. 1089 del 1939 dovrà essere motivato esponendo con chiarezza − anche se in modo succinto − oltreché la descrizione dell'oggetto, anche le concrete ragioni e il pubblico interesse alla tutela del bene.
L'amministrazione dovrà così dar conto della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge, nonché delle ragioni a sostegno del provvedimento im positivo. Ragioni che non potranno peraltro consistere in affermazioni ge neriche prive di riscontri oggettivi. Il giudizio tecnico circa il valore storico, artistico e culturale del b. ai fini dell'imposizione del vincolo, non è sinda cabile nel merito da parte del giudice amministrativo. Potrà invece rilevarsi il vizio di eccesso di potere, con riguardo all'erroneità dei presupposti, e all'illogicità o alla contraddittorietà tra presupposti e conclusioni. In particolare, il provvedimento impositivo del vincolo sarà censurabile solo in caso di contrasto tra presupposti enunciati nello stesso e le conclusioni svolte, per imprecisa ed equivoca identificazione dell'oggetto del vincolo o per indeterminatezza di quest'ultimo (se diretto o indiretto) o del tipo d'interesse da tutelare (storico, artistico, ecc.).
L'azione di tutela da parte dell'Amministrazione deve però esprimersi con interventi del massimo respiro, tanto più che l'interdipendenza tra tutela culturale e tutela ambientale è stata sempre più ribadita e rafforzata dal legislatore. La stessa delega alle Regioni di importanti funzioni in materia di paesaggio, conserva e garantisce allo stato non pochi poteri d'intervento, recentemente accresciuti dalla l. 431 del 1985. In effetti nell'ultimo decennio si è registrato un forte rafforzamento delle misure protettive del b. culturale-ambientale, anche se va notato che la diversità di provenienza e di gestione di tali strumenti di tutela ha reso più complessa la loro utilizzazione e sempre più necessario un loro coordinamento.
Un utile contributo in questa direzione potrebbe fornire l'istituto per la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Si tratta di una direttiva CEE (27 giugno 1985, n. 337), una cui prima applicazione in Italia si è avuta grazie all'art. 6 della l. 6 luglio 1986, n. 349, legge che ha istituito il ministero dell'Ambiente. Il citato art. 6 infatti stabilisce tra l'altro che "in attesa dell'attuazione legislativa delle direttive comunitarie in materia di impatto ambientale, le norme tecniche e le categorie di opere in grado di produrre rilevanti modificazioni dell'ambiente ed alle quali si applicano le disposizioni di cui ai successivi commi 3, 4 e 5, sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata su proposta del Ministro dell'ambiente, sentito il Comitato scientifico di cui al successivo art. 11, conformemente alla direttiva del Consiglio delle Comunità europee n. 85/337 del 27 giugno 1985. I progetti delle opere di cui al precedente comma 2 sono comunicati, prima della loro approvazione, al Ministero dell'ambiente, al Ministero per i beni culturali e alla regione territorialmente interessata, ai fini della valutazione dell'impatto sull'ambiente".
La più recente disciplina della materia contribuisce così a superare definitivamente la precedente impostazione settoriale, anche attraverso la regolamentazione urbanistica. Si vuole concretizzare una visione estesa e completa della regolamentazione del territorio, con riferimento a tutti gli interessi che vi si concentrano. Si tende a superare il tradizionale vincolo indiretto a protezione della semplice cornice ambientale dei monumenti e dei beni culturali, anche se in dottrina e giurisprudenza rimane ancora presente la tendenza (che ha origine dalla legislazione del 1939, specie art. 21 della l. 1089) a considerare i limiti e le prescrizioni del ministero per i Beni culturali indipendentemente dagli altri strumenti urbanistici. La riforma regionale tuttavia ha offerto validi mezzi per conseguire risultati unitari anche per una tutela dinamica dell'ambiente e dei b. culturali. La riforma non soltanto ha trasferito attribuzioni urbanistiche, ma ha indicato la necessità dell'intervento regionale in un quadro unitario capace non solo di conservare, ma anche di rendere fruibili b.c. e ambientali. Naturalmente ciò non doveva né poteva significare abdicazione dello stato nel compito di tutela di tali b., ma solo l'affermazione di una linea di tendenza, che, a ben vedere, la cosiddetta "legge Galasso" dell'8 agosto 1985 n. 431 non contraddice affatto. Essa in effetti stabiliva maggiore potere di controllo sulle autorità delegate. Del resto tale interpretazione è confortata dalle due sentenze della Corte Costituzionale in materia (n. 151 e n. 153 del 1986), che hanno ribadito l'importanza primaria della tutela dei b.c. e ambientali. Sulla base della più recente normativa, della nuova consapevolezza dottrinale, giurisprudenziale e anche delle iniziative comunitarie, l'intervento pubblico si è saldato alle iniziative private di gruppi, costretti in passato a servirsi degli strumenti privatistici per prevenire o sanare danni dell'ambiente. In questo quadro un momento basilare è costituito naturalmente dalla legge che ha istituito il ministero dell'Ambiente. Ma prima ancora del legislatore italiano, la Comunità europea aveva indicato fin dal 1973 la strada da percorrere per la tutela dell'ambiente, intesa come tutela non solo del suolo, della flora e della fauna, ma anche dell'ambiente creato dall'uomo. Sulla base di queste premesse la tutela dell'ambiente, superando vecchie posizioni di stampo privatistico, deve essere intesa come coordinata e armonica predisposizione di strumenti normativi volti a contemperare esigenze individuali, di sviluppo economico e salvaguardia del contesto urbanistico-ambientale. Naturalmente tutto ciò ha un riflesso nelle garanzie giurisdizionali. È ovvio che la tutela, nel momento in cui fissa le condizioni circa la gestione dei b.c., incide sulla sfera giuridica di soggetti a vario titolo interessati. La funzione di tutela culturale, quindi, non si sottrae all'azione giurisdizionale davanti al giudice ordinario o al giudice amministrativo. Ma da ultimo la tutela giurisdizionale ha assunto un ruolo di tutela non solo di interessi o di diritti del singolo, ma anche della collettività in modo diverso rispetto al passato. Ciò è avvenuto soprattutto dopo la costituzione del ministero dell'Ambiente, dopo alcune decisioni piuttosto incerte del Consiglio di Stato e della Cassazione (Sezioni Unite 8 maggio 1978 e Adunanza plenaria 19 ottobre 1979). Bisogna qui notare che l'impianto della legge istitutiva del ministero dell'Ambiente collega diversi complessi normativi preposti alla tutela di b. giuridici aventi un'autonoma configurazione, giustificando e autorizzando la possibilità di riferirla a soggetti diversi.
Nella volontà del legislatore del 1986 si può cogliere, specie analizzando il dibattito parlamentare e l'andamento dei lavori preparatori, la decisa configurazione della lesione degli interessi della collettività. A conferma di ciò basti ricordare che, nel testo approvato dalla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, tutta la materia relativa ai danni subiti dall'ambiente veniva affidata alla giurisdizione della Corte dei Conti, quale che fosse la qualifica del soggetto, pubblica o privata. Le modifiche, anche profonde, subite dal testo della Camera in sede senatoriale non hanno fatto venir meno tale carattere di fondo della nuova legge. La prima Commissione permanente del Senato, nello stabilire in materia la giurisdizione del giudice ordinario, si preoccupò piuttosto di rispondere a "esigenze di carattere e garanzia dell'ordinamento giuridico" che di alterare l'impostazione di fondo della legge. In tal modo i danni dell'ambiente, e perciò la sua tutela, sono stati qualificati come lesione del diritto dello stato, che obbligano gli autori al risarcimento nei confronti di quest'ultimo.
Il legislatore del 1986 ha sentito e in certa misura corrisposto alle tendenze politiche e dottrinali che pongono la partecipazione di tutti i cittadini al governo della cosa pubblica come elemento qualificante di un assetto normativo più aderente ai bisogni della tutela dell'ambiente in cui vive e opera la collettività. Anche se ridotto nella portata rispetto alla prima redazione del provvedimento approvato dalla Camera, non può pertanto essere negato il ruolo della partecipazione prevista, per le associazioni ambientali e i singoli cittadini, alla gestione dei poteri volti alla realizzazione del pubblico interesse.
Nel quarto e quinto comma dell'art. 18 della l. 349 si stabilisce infatti che le associazioni protezionistiche possano esercitare un ruolo di primo piano nella tutela dei b.c. e a. non solo nel "denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza", "al fine di sollecitare l'esercizio dell'azione da parte dei soggetti legittimati", ma anche "intervenire nei giudizi" e "ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi". Tutto ciò contribuisce a consolidare il convincimento che la tutela non può risolversi nella semplice conservazione, che bisogna definitivamente mettere da parte il concetto di b.c. come cosa e che esso vada sempre più concepito e tutelato come attività culturale della comunità.
Proprio per assicurare l'uso e la destinazione di tali b., è necessario quindi che la protezione si estenda ben oltre la cosa sottoposta a tutela, per investire l'intero ambiente in cui il b. è inserito. Ciò vale particolarmente per i palazzi storici, per le chiese, e per tutti quei monumenti la cui presenza caratterizza l'intero ambiente in cui sono collocati. Una tutela che non tenesse conto di ciò toglierebbe ogni funzione dinamica e vitale al b. e ne comprometterebbe ineluttabilmente il messaggio culturale. In questa prospettiva l'amministrazione, in forza della tuttora vigente legislazione del 1939, ha facoltà di prescrivere tutte le misure e regole volte a garantire non solo la conservazione ma la fruizione più completa del b.c. al quale la già citata l. 349 del 1986 ha fornito ulteriori elementi di tutela.
Il bene-ambiente non si identifica nei singoli oggetti (anche di proprietà privata) ovvero nelle res communes omnium che ne costituiscono il sostrato materiale, ma piuttosto nei valori ambientali. Il legislatore ha recepito con le leggi richiamate i nuovi criteri di disciplina del territorio, concepito come unitario contesto naturale, storico e giuridico. Proprio tale fine deve assicurare l'azione del ministero per i Beni culturali ed ambientali specie in relazione alle competenze regionali. Si deve a M.S. Giannini la più significativa esposizione di tale orientamento; proprio l'estensione della categoria "bene culturale" ha portato a una tutela più ampia e complessiva superando "una vicenda di limiti a proprietà pubbliche o private o di funzionalizzazione delle stesse" (Giannini 1976). È dunque il valore culturale, riferibile anche alla forma del territorio, che viene elevato a valore primario dell'ordinamento; alla sua tutela e promozione sono chiamate tutte le pubbliche istituzioni con particolare riguardo allo Stato e alle Regioni. Per conseguire pienamente tale risultato, appare pertanto indispensabile abbandonare il concetto di tutela in chiave conservativa e statica del b. e darsi carico della completa integrazione tra valore-paesaggio e valore culturale; integrazione che appare pienamente recepita dalla Corte Costituzionale che, con sentenza del 29 dicembre 1982 (Giurispr. Cost., 1982, 2037), a proposito del già citato art. 9 (comma 2) ha sottolineato l'interazione tra tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, e ciò al fine della protezione di valori di carattere culturale "capaci di contribuire all'elevazione spirituale della collettività".
Bibl.: G. Palma, Beni di interesse pubblico e contenuto della proprietà, Napoli 1971; M. S. Giannini, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trimestrale di Dir. Pubbl., 1973, pp. 15 ss.; Id., I beni culturali, ibid., 1976, pp. 20 ss.; M. Cicala, La tutela dell'ambiente, Torino 1976; S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in L'amministrazione dello Stato, Milano 1976; L. Barsotti, La protezione giuridica dei beni culturali, Roma 1980; T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali ed ambientali, Milano 1985; F. Giampietro, La responsabilità per danno all'ambiente, ivi 1988.
Beni archeologici. - L'uso dell'espressione b. archeologici per indicare, "indipendentemente dal loro pregio artistico, le cose immobili e mobili costituenti testimonianza storica di epoche, di ci viltà, di centri od insediamenti la cui conoscenza si attua prevalen temente attraverso scavi e rinvenimenti", compare per la prima volta nelle relazioni della Commissione Franceschini (v. sopra: Legislazione a tutela dei beni). Con una definizione quasi analoga i b. archeologici sono indicati nel testo della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico del Consiglio d'Europa, firmata a Londra il 6 maggio 1969. Ma qui la parola ''cosa'', relitto nel testo Franceschini della terminologia della legge di tutela (n. 1086 del 1 giugno 1939) tuttora vigente ("cose d'interesse archeologico"), è sostituita da "i resti, gli oggetti e ogni altra traccia di manifestazioni umane", ove l'ultima espressione allude più esplicitamente all'esistenza di b. 'immateriali'.
Queste definizioni, come peraltro il più esteso concetto di b.c. da cui discendono, esprimono una nuova filosofia della tutela maturata attraverso riflessioni e confronti nella dottrina giuridica, negli enti comunitari (UNESCO, Consiglio d'Europa, Comunità europea) e nelle coscienze individuali e recano elementi profondamente innovativi sia sotto l'aspetto ideologico che sotto quello pragmatico. I fattori che hanno contribuito a questo mutamento sono molteplici. Il concetto teorico della possibile 'immaterialità' del b. archeologico è mediato dalle scienze antropologiche affiancate all'archeologia nelle culture anglosassoni, in quelle extraeuropee e laddove le tradizioni orali hanno rappresentato per molto tempo una delle poche fonti valide per l'identificazione del patrimonio del passato. Oggi i nuovi mezzi di conoscenza forniti dalle cosiddette scienze sussidiarie dell'archeologia consentono precisazioni cronologiche e, quindi, una collocazione 'storica' anche per culture prive di connotati analogici e di espliciti riferimenti a eventi noti.
Non è certo una contraddizione, ma il segno della pluralità di significati del termine, se l'attenzione della ricerca archeologica è volta oggi soprattutto agli strumenti della cultura materiale, mediante i quali vengono individuati i lineamenti di civiltà di cui possono essere recuperati lacerti che solo una paziente ricostruzione indiziaria rende meno lacunose. Le opere che hanno segnato il corso della storia nascono da questo "tessuto connettivo" (Bianchi Bandinelli 1943, p. 7), ma la loro genesi e il loro processo creativo non possono essere chiariti senza la conoscenza di quel contesto da cui emergono e in cui affondano le radici. Ne consegue una lettura eminentemente 'storica' dei resti del passato che sostituisce quella che tendeva piuttosto a metterne in risalto i valori estetici. L'obbiettivo della ricerca si sposta quindi dalla raccolta degli oggetti per un godimento elitario, che era stato il movente dell'archeologia del passato e che rimane ancora il retrivo e dannoso miraggio di alcuni complessi museali stranieri, alla raccolta dei dati finalizzata alla conoscenza storica.
L'accento posto sulla documentazione comporta l'impiego di accurate metodologie di scavo, facilitate da sempre più complessi supporti scientifici, sia nel campo dell'esplorazione preventiva che in quello della strumentazione, della catalogazione e dell'analisi dei materiali. L'aerofotografia, la fotogrammetria, le indagini geolo giche, le prospezioni elettromagnetiche, elettroacustiche, ecc., consentono la conoscenza della morfologia del terreno e dei suoi con tenuti prima d'iniziare il vero e proprio approccio operativo e ri ducono quel margine d'incognito che rendeva avventurosa, ma imprevedibile, l'archeologia del passato. Una scheda stratigrafica fis sa, volta per volta, la realtà mutevole dello scavo e la consegna al l'elaborazione finale per la sequenza diacronica dei singoli episodi. Parallelamente le schede di catalogo immettono i nuovi rinvenimenti in un più vasto circuito mirato alla documentazione di tutto il patrimonio archeologico. Il b. archeologico risulta così impaginato in una lettura globale della città (scavo urbano) o del territorio, ove le singole valenze si articolano e si ricompongono nella continuità della memoria storica. Diviene quindi difficile − e apparirebbe, peraltro, illogico − porre una soglia cronologica all'ambito specifico dell'archeologia e si tende a identificarla piuttosto con un metodo che con una determinata e limitata temperie.
Per definizione giuridica il b. è dispensatore di utili e di vantaggi. Anche il b. archeologico ha dunque una sua funzione sociale e una sua fruttuosità, altro dal mero valore venale del manufatto artistico che era alla base del collezionismo ottocentesco. Questi suoi ulteriori aspetti lo immettono nel processo dinamico dell'economia contemporanea e lo rendono partecipe dello sviluppo non solo culturale, ma anche produttivo del paese. Gli sforzi degli addetti ai lavori e degli operatori culturali sono oggi rivolti alla ricerca dei modi per rispondere a una domanda sempre più pressante d'informazione e di fruizione. Questa domanda, che rappresenta un acquisito diritto-dovere del cittadino, si scontra però spesso con le difficoltà obbiettive presentate dalla praticabilità e dalla capienza dei luoghi di scavo, dei monumenti e degli istituti museali, nonché dalla fragilità e dalla precarietà dei manufatti. Come recenti indagini hanno messo in evidenza anche sul piano economico, il rischio è che i poli ove più forte si presenta l'offerta e, di conseguenza, la domanda (Roma, Pompei, Ercolano, le necropoli etrusche di Tarquinia, di Cerveteri, ecc.) divengano una fonte rilevante di diseconomia (G. Roma, in Memorabilia, 1987, i, pp. 408-09). Antinomie di questa natura costituiscono una delle maggiori insidie per l'archeologia odierna insieme al degrado ambientale provocato dall'inquinamento atmosferico e dalla crescita abnorme dell'urbanizzazione: risvolti negativi di una migliore qualità della vita. Solo il superamento del concetto settoriale di b. archeologico e il riconoscimento della realtà culturale nel suo complesso come un unicum e un continuum potranno sanare queste contraddizioni.
Un itinerario storico e una crescita culturale che si sono ramificati nel tempo attraverso sempre più capillari specializzazioni si dovranno ricomporre in un panorama articolato, ma globale. La ricerca e la tutela dei beni archeologici muovono verso questi traguardi, nella dinamica di un pensiero critico in perenne evoluzione, che coincide, peraltro, con gli indirizzi della filosofia contemporanea.
Bibl.: R. Bianchi Bandinelli, Storicità dell'arte classica, Firenze 1943; Id., Archeologia e Cultura, Milano-Napoli 1961; M. Pallottino, Che cos'è l'archeologia?, Firenze 1963; AA.VV., Per la salvezza dei Beni Culturali in Italia. Atti e documenti della Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, Roma 1967; R. Bianchi Bandinelli, AA BB AA e BC. L'Italia storica e artistica allo sbaraglio, Roma-Bari 1974; Id., Introduzione all'archeologia, ivi 1976; P. Barker, Tecniche dello scavo archeologico, Milano 1977; T. Alibrandi, P. G. Ferri, I Beni culturali e ambientali, ivi 1978; A. Carandini, Archeologia e cultura materiale, Roma-Bari 1981; Id., Storie dalla terra, ivi 1981; E. C. Harris, Principi di stratigrafia archeologica, Roma 1983; Memorabilia. Il futuro della memoria, voll. i-iii a cura di F. Perego, vol. iv a cura di F. Perego e A. Clementi, Roma-Bari 1987-89.
Beni artistici. - La nozione di patrimonio artistico, modernamente intesa, trova le sue radici nel dibattito sul tema della tutela dei b. storici e culturali, avviato e sviluppato nei decenni immediatamente successivi all'unità d'Italia. Il problema era grave e pressante: il patrimonio, enorme nelle sue diverse specializzazioni disciplinari (i b. mobili, gli immobili, l'archeologia, i libri), era sottoposto a continue dispersioni e sottrazioni, soprattutto in mancanza di una legge nazionale di tutela. Tuttavia sul patrimonio artistico e culturale non si attuò nessuna grande indagine, nessuna sistematica opera di censimento paragonabile a quelle operate per la scuola, l'agricoltura, l'industria, la sanità, le ferrovie; e ciò malgrado le richieste, in questo senso, più volte avanzate da uno dei massimi studiosi e conoscitori italiani, G. B. Cavalcaselle.
Nei testi e negli interventi il patrimonio artistico rientrò in una delle definizioni più ampie allora in uso, quella cioè di "monumento", definizione oggi non sempre facilmente interpretabile, e che sembra includere l'archeologia e le testimonianze medievali e rinascimentali, settori emergenti negli interessi storici di quegli anni. Ancora per molto tempo però l'accento verrà posto prevalentemente sul patrimonio archeologico e classico. Solo nel 1885 l'archeologo G. Fiorelli esplicitò una dilatazione della nozione di "antico" anche verso il patrimonio monumentale medievale e moderno.
La redazione dei primi testi della legge di tutela, nel 1902, poi nel 1909, non portò sostanziali novità nel definire la nozione di patrimonio artistico. Si insisteva soprattutto sulla conservazione del monumento o del capolavoro, anche perché l'utilizzo della produzione artistica per celebrare l'unità nazionale aveva contribuito a determinare una gerarchia dei valori in seno al patrimonio stesso. Più ampia fu la dizione adottata nel testo della l. 1089 del 1939, attualmente vigente, secondo la quale sono sottoposte a tutela le "cose" mobili e immobili di "interesse" artistico, storico, archeologico. L'importanza o il particolare interesse della cosa dipendevano poi sostanzialmente dalla competente discrezionalità dell'autorità tecnico-amministrativa rappresentata dalla Soprintendenza.
Nell'immediato dopoguerra una prima riflessione sullo stato del patrimonio artistico e culturale italiano è rappresentata dai lavori della Commissione Franceschini (v. sopra: Legislazione a tutela dei beni). Sono gli anni in cui il processo di industrializzazione e modernizzazione del paese ha effetti pesanti nel settore dei b.c. e segnatamente in quello del patrimonio storico artistico mobile, ovunque distribuito e più di altri massicciamente vulnerabile perché intimamente presente in ogni realtà urbana e territoriale.
Le migrazioni interne portano all'abbandono delle campagne e il collasso della struttura parrocchiale rurale comporta sostanzialmente la dispersione di innumerevoli oggetti mobili, specie di arte minore. Nuove norme liturgiche e il mutare del costume religioso come conseguenza dell'inurbamento o delle trasformazioni sociali e culturali significano di fatto la dismissione di riti e consuetudini e quindi la rovina di una grande quantità di opere d'arte e di arredi, travolti dai furti e dai fenomeni di commercio antiquariale in forme spesso discutibili o addirittura illecite. La linea quindi che emerge dai lavori della Commissione, soprattutto in relazione al patrimonio artistico ritenuto particolarmente vulnerabile, è sostanzialmente difensiva e di contenimento, per ovviare soprattutto al degrado e alla dispersione, per contenere un collasso che appariva imminente quanto certo. Tale compito è affidato allo stato e, in questa occasione, viene elaborato un progetto di riforma dell'amministrazione dei b.c., prevedendo una profonda trasformazione istituzionale e tecnica dell'organismo centrale direttivo, collocando al posto della vecchia Direzione tecnica generale il Consiglio nazionale dei b. culturali. Non vi si registra però alcuna sostanziale novità nella definizione del concetto di b.c., né tantomeno di patrimonio artistico. L'arte è ancora intesa come portatrice di un messaggio di civiltà, campo privilegiato per una ricerca sostanzialmente astratta, lontana da tensioni ideologiche e politiche. Sono peraltro anni in cui, ancora, solo ristretti gruppi intellettuali si interessano di tali problemi e le stesse forze politiche li ritengono marginali, mentre l'idea di una partecipazione diffusa e convinta della società civile alla salvaguardia del patrimonio storico della nazione appare ancora abbastanza lontana.
Occorre attendere i primi anni Settanta e il dibattito legato all'istituzione delle Regioni e ai temi del decentramento anche culturale, unitamente ai fenomeni di democratizzazione, ai vasti processi di delega dei poteri, alla moltiplicazione delle rappresentanze popolari, per assistere a una più approfondita riflessione sul concetto di b.c. e quindi di patrimonio artistico e a un forte rinnovamento nell'intero settore. Alla definizione di un nuovo, più vasto e articolato concetto di patrimonio artistico, che non mancherà di far sentire la propria influenza sia nel campo della ricerca scientifica storico-artistica sia, in modo particolare, nella pratica della tutela, non sono ovviamente estranei neppure i fermenti della ricerca storiografica generale, che si caratterizzano in questi anni, in senso economico, antropologico e microstorico, operando un allargamento del campo documentario, un diverso approccio alle fonti e una più marcata attenzione ai rapporti ed alle interrelazioni tra dinamiche locali o territorialmente definite e processi di carattere più generale.
Non è quindi difficile riconoscere che alla migliore conoscenza e quindi al miglior uso della nozione di patrimonio artistico nel paese, hanno contribuito non soltanto ricerche e dibattiti limitati alla speciale disciplina che alimenta questa materia, la storia dell'arte, ma anzi, assai più di questa, hanno contribuito altro genere di riflessioni e soprattutto il tentativo di definire antropologicamente quell'idea di cultura dalla quale direttamente discende la nozione moderna di b. culturale. Non minore importanza hanno rivestito il progressivo mutare del rapporto fra società e arte, l'allargamento di possibili fruitori grazie anche allo sviluppo dell'istruzione e alla scolarizzazione di massa, nonché alla domanda legata al fenomeno del turismo crescente, nazionale e internazionale.
Dall'interrelazione di tutti questi elementi scaturiscono la dilatazione e la precisazione cui il concetto di patrimonio artistico è stato sottoposto, all'interno della nuova articolazione assunta dal concetto di b.c. in questi ultimi anni, abbandonando la tradizionale definizione di monumento, capolavoro, opera d'arte, per abbracciare quelle testimonianze e quei manufatti che sono espressione di una cultura, di una società, di una storia. Gli oggetti d'arte sono considerati non più esclusivamente secondo un giudizio di valore prevalentemente estetico, ma anche per la relazione con una omogenea presenza culturale, tenendo conto quindi, per es., delle cosiddette arti minori, studiate sia negli aspetti dell'artigianato urbano sia nella tradizione 'povera' e popolare, i tessuti, gli arredi sacri − sempre molto esposti alle istanze del mercato e della dispersione −, così come i manufatti del quotidiano storico, dall'utensileria all'arredo.
Molti fattori quindi premono sulla storia dell'arte perché sia la nozione di patrimonio artistico, sia la disciplina si avviino a essere effettivamente globali. La massa dei materiali che si addensa nei luoghi e si stratifica nel tempo è enorme. Allo studio degli oggetti contenuti nel museo si affianca la salvaguardia delle città storiche, la preservazione del paesaggio: studio e tutela del patrimonio artistico significano sempre di più studio degli oggetti storici intrecciati nel contesto più vasto e articolato degli spazi organizzati. Alla narrazione artistica si affianca l'indagine sulla meccanica, le tecniche, i materiali della produzione e del lavoro artistico, superando la frattura apertasi fra le condizioni dell'arte intesa come 'meccanica' e quella intesa come 'liberale', frattura già presente in età medievale e successivamente sancita dalla Controriforma che, elevando lo spirito alle altezze dell'arte e condannando la materia, condannava con questa i trattamenti tecnici, i mestieri, le condizioni di vita dei lavoratori stessi. Al patrimonio storico artistico e quindi alla storia dell'arte viene recuperata anche quella dimensione spazio-temporale, entro la cui visione è possibile riconoscere il nostro territorio culturale. L'immensa sedimentazione tuttora contenuta nella grande riserva chiesastica, demaniale e privata, al di fuori delle mura dei musei, assume la dovuta evidenza nel proprio contesto di relazioni e complementarità. Infatti il patrimonio artistico italiano, che è contenuto solo in piccola e parziale quantità nei musei, e ciò che resta fuori − ed è quasi tutto − da quelle istituzioni è testimonianza imprescindibile della sedimentazione culturale italiana, non può essere frutto di una selezione massiccia, proprio perché la sua creazione fu effetto di un'azione corale e capillarmente diffusa. Dunque oggi conoscere il patrimonio extramuseale significa conoscere ben più intimamente la vicenda artistica e la nozione di patrimonio artistico si può dilatare anche fino a ricomprendere il complesso rapporto fra uomo e spazio creativo, e quella fitta azione individuale e collettiva che ha disegnato l'ambiente. Ogni opera d'arte quindi viene inserita, secondo queste ipotesi di metodo, nella variegata trama storica suggerita dalla sua originaria collocazione territoriale. Attorno alla produzione figurativa si recuperano le testimonianze di quelle presenze umane che ne determinarono la nascita e i valori materiali e simbolici ancora oggi leggibili.
A questa nuova e più vasta nozione di patrimonio artistico corrisponde quindi una prospettiva di tutela che, procedendo oltre il dato immanentemente fisico e materiale dell'oggetto, pretende d'investirne anche il significato sociale, la fruizione comunitaria, nonché le dinamiche cui questo è sottoposto in relazione alle modificazioni economico-sociali, senza trascurare l'incremento e l'aggiornamento delle attività tecniche di catalogazione e restauro per renderle sempre più rispondenti alle esigenze di un patrimonio artistico fra i più vari, stratificati e complessi.
Bibl.: G. B. Cavalcaselle, Sulla conservazione dei monumenti e degli oggetti d'arte e sulla riforma dell'insegnamento accademico, a cura di A. Tkalac, Roma 1875; A. Riegl, Der moderne Denkmalkultus. Sein Wesen und seine Entstehung, Vienna 1903 (trad. it., Il culto moderno dei monumenti, Bologna 1985); Per la salvezza dei beni culturali in Italia. Atti e documenti della Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, 3 voll., Roma 1967; La conservazione come pubblico servizio, a cura di A. Emiliani, Rapporto n. 8 della Soprintendenza per i beni artistici e storici di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna, Bologna 1971; R. Bianchi Bandinelli, AA BB AA e BC. L'Italia storica e artistica allo sbaraglio, Roma-Bari 1974; A. Emiliani, Una politica dei beni culturali, Torino 1974; Id., Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei beni artistici e culturali negli antichi stati italiani 1571-1870, Bologna 1978; AA.VV., La difesa del patrimonio artistico, Milano 1978; Verso una gestione dei beni culturali come servizio pubblico, a cura di A. Rossari, R. Togni, ivi 1978; A. Emiliani, Dall'ambiente al Museo, in Il patrimonio storico artistico, ivi 1979, pp. 8-31; G. Romano, Breve itinerario attraverso il patrimonio artistico italiano, ibid., pp. 32-62; F. Negri Arnoldi, Il catalogo dei beni culturali e ambientali, Roma 1981; A. Emiliani, Il museo alla sua terza età. Dal territorio al museo, Bologna 1985; AA.VV., Le mura e gli archi: Valorizzazione del patrimonio storico-artistico e nuovo modello di sviluppo, Roma 1986; A. Paolucci, Gli eccessi dell'uso e l'abbandono della nuova Italia, in Memorabilia: il futuro della memoria. Beni ambientali architettonici archeologici artistici e storici in Italia, Roma-Bari 1987, vol. 1, pp. 173-78; F. Moschini, I sentieri interrotti della salvaguardia e della conservazione, ibid., pp. 179-91.
Beni architettonici. - All'interno della nozione generale di b. c., così come si è recentemente venuta a configurare nella cul tura contemporanea e di conseguenza imposta nella legislazione di tutela (v. sopra, Legislazione a tutela dei beni), con il termine di b. architettonici si designa una serie complessa di manufatti, la cui scala dimensionale va dalla singola costruzione a estese parti dell'ambiente costruito.
Una definizione più precisa, all'interno dei b. c. d'interesse storico artistico, mette in evidenza le peculiari caratteristiche ed esigenze dei b. architettonici (Barbacci e Astengo 1967). Le architetture sono b. immobili, esposti sin dall'origine alle vicissitudini naturali e accidentali dell'ambiente esterno; i fattori atmosferici, sia naturali che straordinari (terremoti, catastrofi), ne possono determinare la rovina. Sono manufatti costituiti da materiali eterogenei a durabilità variabile: necessitano di manutenzione continua e della sostituzione periodica di alcuni dei loro elementi strutturali. Ospitano − quando non siano ridotti allo stato di rudere − ambienti interni che, in quanto tali, sono oggetto d'uso da parte degli uomini, con tutte le modificazioni materiali che, nel tempo, quest'uso comporta. Il loro regime proprietario può essere variabile nel tempo, ripartito tra più enti e soggetto quindi a diverse prescrizioni. I b. architettonici, tra i b.c., hanno quindi la marcata caratteristica di risentire fortemente del contesto in cui sono necessariamente e stabilmente immersi, di essere soggetti all'incidenza dell'uso e quindi alla variazione di significato che, con il tempo, il mutare delle funzioni che vi si svolgono eventualmente comporta.
I manufatti architettonici condividono con gli altri b. artistici le vicende storiche che hanno portato a un progressivo riconoscimento dell'esigenza della loro tutela, conservazione e valorizzazione. Alla tutela, esercitata a partire dalla fine del sec. 18° negli stati preunitari e limitata in un primo tempo a proteggere le sole architetture monumentali antiche e, nei primi decenni dell'Ottocento, estesa alle architetture del Rinascimento − intese allora entrambe quali apici insuperabili della produzione artistica − negli anni dell'unificazione della nazione fa riscontro un allargamento di interessi e di sensibilità verso epoche diverse − fondamentale è la riscoperta del Medioevo − che obbliga a un superamento del solo valore artistico: nella pratica corrente, nelle battaglie della pubblica opinione riflesse nell'attività pubblicistica, e quindi nella teoria italiana ed europea (Boito 1893; Riegl 1903), si affermano nuovi valori civici e storici connessi alla memoria collettiva.
Le trasformazioni territoriali innescate dall'unificazione, gli spostamenti della popolazione, il progresso tecnico − fenomeni comuni all'Europa intera, che arrivano in Italia in ritardo e quindi con più evidenza e meno gradualità − contemporaneamente all'elaborazione della cultura urbanistica moderna, che trasforma le città storiche per renderle congruenti ai nuovi bisogni, favoriscono la nascita di una maggiore sensibilità verso la conservazione: nel momento in cui estese parti delle città italiane vengono demolite per dar luogo ai nuovi assi viari, oltre ai valori artistici e storici dei singoli edifici, si prende coscienza dei valori dell'ambiente urbano che sta scomparendo. Nasce così la nozione di ''architettura minore'' (Associazione Artistica 1890-1928; Giovannoni 1913), un termine con cui si designano quelle architetture della città che formano il suo tessuto riconoscibile, le sue particolarità, i suoi accidenti e che comprende quelle architetture di epoche delle quali non si era ancora riconosciuto pienamente il valore e l'esigenza di classificazione tra i singoli monumenti. Al contempo, le analoghe trasformazioni cui è stato sottoposto il territorio hanno acuito la coscienza del valore del paesaggio e delle architetture rurali che andavano rapidamente scomparendo.
La l. n. 1089 del 1939 e la l. 1497 emanata nello stesso anno, comprendenti nella nozione di ambiente "i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale", sono gli strumenti legislativi attraverso cui, nel nostro secolo, ha trovato piena accoglienza il superamento del concetto di monumento singolo in favore di definizioni che prendono in considerazione un universo più vasto di manufatti architettonici. Inserito all'interno della più generale nozione di b. c., tale universo, nei più recenti orientamenti, si è ancora allargato, mettendo in evidenza tutti i problemi che ciò comporta: "la tutela non è più circoscrivibile a porzioni delimitate, nello spazio e nel tempo, di tessuti o di territorio, ma riguarda in modo diffuso i processi di trasformazione che interessano ampie porzioni dell'esistente, non facilmente connotabili attraverso le usuali categorie di analisi" (Padovani 1987).
Al passaggio dalla nozione di monumento d'interesse storico-artistico a quella di b. architettonico, a un progressivo allargamento dei confini temporali e spaziali dei b. tutelati, non ha immediatamente corrisposto la progressiva assunzione della materialità stessa delle architetture all'interno della tutela: tale riconoscimento ha incontrato maggiori ostacoli, sia sul piano della comprensione sia, conseguentemente, all'interno degli strumenti legislativi. Alle architetture che non fossero di pubblica proprietà o monumenti considerati intangibili, il riconoscimento di pubblico b. è stato inizialmente limitato al solo elemento di più evidente figuratività, coincidente nella maggioranza dei casi con la sola facciata, tutelata nell'Ottocento attraverso lo strumento del regolamento edilizio e, con l'affermarsi nel nostro secolo della disciplina urbanistica, attraverso le norme appositamente promulgate per quelle parti di città individuate come ''centro storico''. Si è configurato così un doppio regime che dura sino a oggi: le architetture monumentali sono riconosciute b. da tutelare attraverso le leggi dello stato, mentre l'insieme dei b. architettonici comprendente i restanti manufatti edilizi è soggetto alle autorità locali. Ai sensi della cit. l. 1497 del 1939, le Sovrintendenze possono intervenire solo per vincolare gli esterni di tali edifici, che non sono quindi difesi da una eventuale distruzione o svuotamento del loro corpo di fabbrica; il ricorso al piano urbanistico, individuato dalla Commissione parlamentare istituita nel 1964 quale strumento idoneo a tale necessità (Astengo 1967) e impiegato in funzione del recupero previsto dalla l. 457 del 1978, se vanta interessanti applicazioni in alcune realtà locali, non ha trovato pienamente il suo uso quale strumento per circoscrivere, definire e quindi tutelare i b. architettonici (Fiore 1987).
La costruzione di un'architettura, per necessità di tempi e di risorse impiegate, difficilmente può essere fatta risalire a un'unica volontà artistica; quando ciò si sia verificato, la complessità stessa di ogni manufatto architettonico, se permette in alcuni casi di conoscere la forma iniziale dell'edificio così come è stata voluta dall'artefice, in quasi nessun caso permette di attingere alla materialità effettiva di quella costruzione originale: i restauri, o la necessaria attività di manutenzione che ne ha consentito la sopravvivenza, hanno, di necessità, modificato continuamente la struttura. Tale assunto, nella coscienza contemporanea, non costituisce un limite, bensì una parte integrante del concetto stesso di b. architettonici, nel quale il processo di conoscenza ha oggi una parte fondamentale, messa in luce da diverse, eppur convergenti esperienze. La presa d'atto del fallimento di alcune tecnologie moderne, utilizzate nel consolidamento delle strutture degli edifici antichi, ha favorito una maggiore attenzione verso il comportamento delle strutture tradizionali e quindi verso le tecniche edilizie premoderne (Croci 1986; Croci, Giuffré 1988): tale attenzione, volta alla proposta di sistemi di consolidamento congruenti alla struttura edilizia antica, ha di fatto ampliato notevolmente la conoscenza che si aveva degli stessi manufatti architettonici, mettendo in evidenza quanto l'analisi della storia materiale dell'edificio possa fornire nuove conoscenze sulle stesse intenzioni figurative iniziali (Marconi 1984 e 1988). Nello stesso tempo, un approfondimento delle conoscenze estraibili dal corpo del manufatto architettonico è offerto dal rinnovamento delle discipline archeologiche: l'estendersi dello scavo stratigrafico alle superfici verticali − alle pareti degli edifici oltre che agli strati di terreno − conseguente allo svilupparsi dell'archeologia medievale, ha permesso di raccogliere sia un gran numero di informazioni, difficilmente ottenibili altrimenti, sullo stato originario di edifici non monumentali, sia un'approfondita conoscenza dei riusi funzionali cui ciascun edificio è stato soggetto nel tempo (Francovich 1986). La ricerca documentaria infine che, sulla scorta del rinnovamento della storiografia francese, si è imposta anche nel settore della storia dell'architettura, ha esteso la ricerca dagli edifici notevoli al complesso di tutti gli edifici costruiti, promuovendo una migliore conoscenza delle fasi iniziali di ideazione e di costruzione delle architetture, unitamente alla messa in evidenza delle lunghissime fasi di manutenzione e trasformazione materiale e simbolica cui il manufatto è stato successivamente soggetto (Marconi 1984; Manieri Elia 1988). In definitiva si può dire che i moderni modi di conoscenza, sebbene sviluppatisi autonomamente all'interno di diverse discipline, hanno tutti insieme contribuito allo stesso modo a modificare la percezione stessa dell'oggetto indagato: nel b. architettonico, l'atto conoscitivo si è inestricabilmente legato a quello della sua individuazione come bene.
Bibl.: Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura, Annuario, Roma, anni 1890-1928; C. Boito, Questioni pratiche di Belle Arti, Milano 1893; A. Riegl, Der moderne Denkmalkultus. Sein Wesen und seine Ensthehung, Vienna 1903 (trad. it., Bologna 1985); G. Giovannoni, Vecchie città ed edilizia nuova, in Nuova Antologia, s. vii (1913), p. 449 ss.; Id., Il diradamento edilizio nei vecchi centri. Il quartiere della Rinascenza in Roma, ibid., p. 52 ss.; A Bonelli, Architettura e restauro, Venezia 1959; Id., Il restauro architettonico, in Enciclopedia Universale dell'Arte, Venezia-Roma 1963, s. v. Restauro; Per la salvezza dei Beni Culturali in Italia. Atti e documenti della Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, 3 voll., Roma 1967 (in particolare: A Barbacci e G. Astengo); CNR - Istituto di Studi sulle Regioni in collaborazione con gli uffici studi e legislativo del Ministero dei beni culturali e ambientali, Documenti sui beni culturali, ivi 1976; A. Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei beni artistici e culturali negli antichi stati italiani 1571-1870, Bologna 1978; F. Gurrieri, Dal restauro dei monumenti al restauro del territorio, Firenze 1983 (19721); P. Marconi, Arte e cultura della manutenzione dei monumenti, Roma-Bari 1984; Storia e restauro dell'architettura. Proposte di metodo, a cura di G. Spagnesi, Roma 1984; Anastilosi. L'antico, il restauro, la città, a cura di F. Perego, Roma-Bari 1986 (in particolare, per la catalogazione: O Ferrari; per i rapporti con l'archeologia: A. Carandini, R. Francovich, S. Settis; per la scienza e tecnica del restauro: G. Croci, P. Marconi, G. Urbani; per i rapporti con la città: G. Miarelli Mariani); M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e istituzioni, i, La nascita del servizio di tutela dei monumenti in Italia 1860-1880, Firenze 1987; Memorabilia: il futuro della memoria. Beni ambientali architettonici archeologici artistici e storici in Italia, vol. i-ii a cura di F. Perego, vol. iii-iv a cura di F. Perego e A. Clementi, Roma-Bari 1987-89 (in particolare: A Calvani, M. Manieri Elia, F. P. Fiore e L. Padovani e la bibl. ivi indicata); Problemi del restauro in Italia, Atti del Convegno Nazionale del CNR, Comitato Nazionale per le Scienze Storiche, Filosofiche e Filologiche, 3-6 nov. 1986, Udine 1988 (in particolare: G. Caniggia, G. Croci, A. Giuffré, M. Manieri Elia, P. Marconi).
Beni archivistici. - Negli ultimi quarant'anni il settore degli archivi ha subito importanti innovazioni per quanto attiene alla legislazione. Sotto il profilo teorico la pubblicazione di un cospicuo numero di guide e inventari e di saggi di archivistica ha contribuito ad approfondire gli aspetti metodologici dell'ordinamento e dell'inventariazione delle carte e i problemi inerenti alla connessione tra ordinamento e storia delle istituzioni. Infine l'introduzione dell'informatica e della telematica, trasformando radicalmente il sistema della comunicazione, ha già mostrato quali riflessi possano determinarsi nel processo di formazione e nell'uso dei documenti.
L'amministrazione degli Archivi di stato, che dal 1874 dipendeva dal ministero dell'Interno, è entrata a far parte nel 1975 del ministero per i Beni culturali e ambientali, istituito con D.L. 14 dicembre 1974 n. 657, convertito in l. 29 gennaio 1975 n. 5. Il nuovo ministero è stato organizzato con d.P.R. 3 dicembre 1975 n. 805, ma i compiti istituzionali e l'organizzazione degli istituti periferici (Archivi di stato e Sovrintendenze archivistiche) sono tuttora regolati dal d.P.R. 30 settembre 1963 n. 1409, che aveva abrogato le disposizioni normative del 1939. È tuttora in vigore il regolamento approvato con R.D. 2 ottobre 1911 n. 1163. Sono infine regolate dal d.P.R. 30 dicembre 1975 n. 854, le competenze in materia di archivi rimaste al ministero dell'Interno. Gli archivi, a differenza di quanto avviene per musei e biblioteche, non rientrano tra le materie elencate nell'art. 117 della Costituzione, sulle quali le Regioni possono emanare norme legislative. Ciononostante si è manifestato, a partire dal 1972 (d.P.R. 14 gennaio n. 3, e d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616), un crescente interesse da parte delle Regioni anche per il settore archivistico, che ha portato all'emanazione di disposizioni regionali − non sempre in armonia con la normativa vigente − tese a interventi di valorizzazione di fonti archivistiche d'interesse locale e comunque non prodotte da organi e uffici dello Stato. Per quanto attiene ai rapporti tra Stato e Chiesa in relazione agli archivi ecclesiastici, il Concordato del 1984 stabilisce all'art. 12 i criteri generali cui dovranno ispirarsi successive disposizioni − non ancora definite − e rinvia a future "intese tra i competenti organi delle due Parti" per favorire la conservazione e la consultazione degli archivi.
Nell'ambito del ministero per i Beni culturali e ambientali, l'amministrazione archivistica fa capo all'Ufficio centrale per i b. archivistici, articolato in cinque divisioni: Affari generali, Documentazione archivistica (i cui compiti più rilevanti riguardano l'attività degli Archivi di stato e l'attività internazionale), Vigilanza (esercitata dalle Sovrintendenze archivistiche sugli archivi non statali), Tecnologia archivistica, Studi e pubblicazioni. Dall'Ufficio centrale dipendono: il Centro di fotoriproduzione, legatoria e restauro che svolge le funzioni di istituto centrale per la tecnologia archivistica, sperimentando attrezzature e procedimenti per i servizi di fotoriproduzione, di restauro e di informatica applicata; l'Archivio centrale dello stato, retto da un dirigente generale; 95 Archivi di stato, istituiti nei capoluoghi di provincia e 40 Sezioni di Archivi di stato, in comuni dove esistono importanti archivi di magistrature statali; 18 Sovrintendenze archivistiche, una per regione (la Valle d'Aosta è unita al Piemonte, il Molise all'Abruzzo). Organo consultivo del ministero è, per quanto attiene ai b. archivistici, l'apposito Comitato di settore, costituito in seno al Consiglio nazionale per i b. culturali e ambientali, in base alla l. 805 del 1975. La stessa legge prevede anche Conferenze e Comitati regionali, organi collegiali periferici, in cui sono rappresentati sia gli uffici periferici dello Stato sia le Regioni.
I compiti istituzionali dell'amministrazione archivistica sono stabiliti dal d.P.R. 30 settembre 1963 n. 1409, noto comunemente come la 'legge sugli archivi'. In base all'art. 1 tali compiti si articolano in: a) conservazione degli archivi degli organi centrali e periferici dello stato italiano e degli stati preunitari e degli archivi e singoli do cumenti che lo stato abbia in proprietà o deposito per disposizione di legge o per altro titolo; b) vigilanza sugli archivi degli enti pub blici (territoriali e non territoriali) e sugli archivi privati dichiarati di notevole interesse storico.
a) Alla conservazione dei documenti provvedono l'Archivio centrale dello stato, gli Archivi di stato e le Sezioni di Archivio di stato. L'Archivio centrale dello stato, subentrato nel 1953 (l. 13 aprile n. 340) all'Archivio del Regno, che di fatto fino ad allora era stato unito all'Archivio di stato di Roma, ha cominciato a funzionare agli inizi del 1960. Conserva le carte degli organi centrali dello stato dopo l'unificazione del Regno. Hanno tuttavia un proprio archivio storico, non dipendente dall'Ufficio centrale per i b. archivistici, le due Camere del Parlamento e il ministero degli Affari esteri. Il ministero della Difesa versa agli Archivi di stato la propria documentazione di carattere amministrativo e gli atti dei tribunali militari, mentre conserva la documentazione di carattere operativo presso gli uffici storici degli Stati maggiori dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica. Dal 1968 esiste un Ufficio storico per l'Arma dei carabinieri.
Gli Archivi di stato e le Sezioni, oltre alla documentazione statale unitaria e preunitaria, risalente al Medioevo, conservano gli archivi notarili anteriori agli ultimi cento anni (l. 17 maggio 1952 n. 629): quelli degli ultimi cento anni si trovano negli appositi Archivi notarili dipendenti dal ministero di Grazia e giustizia, regolato dalla citata legge e successive modifiche. Gli Archivi di stato e le Sezioni conservano altresì gli archivi delle corporazioni religiose soppresse, i cui beni vennero confiscati dallo stato: questa documentazione, risalente in qualche caso al sec. 80, si riferisce alle soppressioni della seconda metà del sec. 180 e del periodo napoleonico e a quelle operate dallo stato piemontese poi italiano nel sec. 190. Gli Archivi di stato possono inoltre ricevere in deposito archivi di enti pubblici (vi si trovano infatti archivi di province, di comuni e di enti pubblici non territoriali) e archivi privati di famiglie, di persone, di imprese, di enti e istituzioni diverse. Gli archivi privati possono essere acquisiti dallo stato per acquisto, lascito, deposito, dono. Presso 40 Archivi di stato esistono Sezioni di fotoriproduzione, alcune delle quali dotate di laboratori di legatoria e restauro; tutti gli Archivi dispongono di un servizio di fotocopia. In 17 Archivi di stato sono istituite Scuole di archivistica, paleografia e diplomatica, alcune delle quali fondate da oltre un secolo, che rilasciano un diploma di cui debbono essere in possesso gli archivisti di stato e − nei casi previsti dalla legge − gli impiegati preposti agli archivi degli enti pubblici.
La legge del 1963 stabilisce che gli organi centrali e periferici dello sta to versino nei competenti Archivi di stato i documenti relativi agli affari esauriti da oltre 40 anni (è tuttavia ammessa la possibilità di accogliere documenti di data più recente). Tutte le funzioni inerenti alla sorveglianza sugli archivi statali correnti e di deposito, le operazioni di "scarto" (espressione con cui impropriamente si indica la selezione dei documenti destinati alla conservazione permanente rispetto a quelli destinati al macero) e quelle di "versamento" sono esercitate da apposite commissioni di sorveglianza istituite presso gli uffici centrali e periferici dello stato (art. 25 del d.P.R. 30 settembre 1963 n. 1409, e art. 3 del d.P.R. 30 dicembre 1975 n. 854). Il nulla osta per lo scarto dei documenti, proposto dalle commissioni, spetta all'Ufficio centrale per i b. archivistici.
I documenti conservati negli Archivi di stato sono liberamente consultabili a eccezione di quelli riservati per motivi di politica interna ed estera, che diventano liberamente consultabili 50 anni dopo la loro data, dei documenti riservati relativi a situazioni personali puramente private e di quelli dei processi penali, che lo divengono dopo 70 anni. Sono tuttavia ammesse autorizzazioni alla consultazione anticipata per motivi di studio. Le stesse norme possono essere estese agli archivi correnti e di deposito degli uffici statali e a quelli degli enti pubblici (artt. 20 e 21 del d.P.R. 30 settembre 1963 n. 1409). L'art. 12 della l. 24 ottobre 1977 n. 801, sull'istituzione e l'ordinamento dei servizi di sicurezza, disciplina il segreto di stato. In ordine al tema della consultabilità, con il passaggio dell'amministrazione archivistica al ministero per i Beni culturali e ambientali si è verificato un grave regresso: in base alla l. del 1963 per l'autorizzazione a consultare documenti riservati prima dello scadere dei 50 e 70 anni era necessario il parere di un organo collegiale costituito da archivisti e da storici, mentre attualmente questa competenza, così rilevante per gli studi di storia contemporanea, è affidata ai funzionari del ministero dell'Interno (artt. 1 e 6 del d.P.R. 30 dicembre 1975 n. 854).
b) Le funzioni della vigilanza sugli archivi non statali sono attribuite alle Sovrintendenze archivistiche (artt. 30-43 del decreto n. 1409 del 1963), la cui circoscrizione territoriale coincide con quella delle Regioni. Gli enti pubblici, territoriali e non territoriali, hanno l'obbligo di istituire separate Sezioni di archivio per la propria documentazione anteriore agli ultimi 40 anni e comunque di garantirne la conservazione e l'ordinamento, di seguire determinate procedure per lo scarto, di consentirne la consultazione agli studiosi. Quanto agli archivi privati la legge impone al proprietario o detentore l'obbligo di denunciare alla Sovrintendenza il proprio archivio, se contenga documenti anteriori agli ultimi 70 anni. La legge non offre sufficienti garanzie per la conservazione degli archivi di data più recente, molti dei quali sono di grande rilevanza: si pensi agli archivi delle imprese private o a partecipazione statale, agli archivi dei partiti e dei sindacati, agli archivi delle banche. I sovrintendenti in ogni caso hanno il compito di dichiarare di propria iniziativa l'interesse storico di archivi e documenti e quando sussista un presunto interesse, anche se si tratti di documentazione dell'ultimo settantennio.
A seguito della dichiarazione del sovrintendente sorgono per i proprietari o possessori obblighi particolari inerenti alla conservazione, allo scarto, alla consultabilità, all'alienazione e all'esportazione dal territorio nazionale dei documenti. Una norma tesa a favorire la conservazione degli archivi non statali è la l. 2 agosto 1982 n. 512, che prevede esenzioni dal pagamento di imposte dirette per gli immobili destinati a usi culturali e favorisce la cessione di b. culturali allo stato; non è tuttavia di facile applicazione perché non è stato ancora approvato il regolamento di esecuzione. Ulteriori disposizioni consentono allo stato l'erogazione di contributi per gli archivi privati dichiarati di notevole interesse storico e per quelli di enti ecclesiastici. Rientrano tra le funzioni delle Sovrintendenze archivistiche la concessione del nullaosta per lo scarto dei documenti degli enti pubblici e degli archivi privati dichiarati di notevole interesse storico, interventi di varia natura in caso di inadempienza degli obblighi stabiliti dalla legge, parere sulla richiesta di deposito volontario degli archivi negli Archivi di stato, trasmissione agli enti e ai privati delle richieste di consultazione dei documenti, recupero degli archivi e singoli documenti dello stato che si trovino fuori degli Archivi di stato.
L'Ufficio centrale per i b. archivistici svolge istituzionalmente una cospicua attività editoriale: oltre al periodico Rassegna degli Archivi di Stato, organo ufficiale dell'amministrazione, cura l'edizione di fonti e la pubblicazione di guide, inventari e repertori, di saggi di natura archivistica e storico-istituzionale articolati in quattro collane, cui si aggiungono anche particolari opere fuori collana. Dal 1966 l'amministrazione è impegnata nella pubblicazione, in più volumi, della Guida generale degli Archivi di Stato italiani che, oltre a costituire il censimento di tutte le fonti archivistiche conservate e gestite direttamente dallo stato, fornisce un sintetico profilo storico di tutte le magistrature di cui restano le carte. Nell'ambito dell'Ufficio centrale opera la Commissione per la pubblicazione dei carteggi cavouriani, istituita nel 1913.
L'amministrazione archivistica italiana ha stretti rapporti con le amministrazioni archivistiche straniere: è autorevolmente rappresentata negli organi direttivi del Consiglio Internazionale degli Archivi (CIA), fondato per iniziativa di un gruppo di esperti e archivisti convenuti a Parigi presso l'UNESCO nel 1948, nel quale sono rappresentati 134 paesi. Il CIA organizza periodicamente, a partire dal 1950, i Congressi internazionali degli archivi.
Una crescente attenzione viene dedicata alle nuove fonti: microfilm e microforme, archivi informatici, fotografie, fonti audiovisive e fonti orali. Sono allo studio sia gli aspetti giuridici, non ancora definiti, sia le questioni inerenti alla conservazione e all'inventariazione. L'informatica può trovare applicazione negli archivi tradizionali e nella gestione delle sale di studio, ma soprattutto negli archivi correnti: è proprio in questo settore che l'informatica, in via di espansione, determina un radicale mutamento nella forma del documento, da cui derivano complessi problemi giuridici in ordine alla certezza del diritto e nuovi e inquietanti problemi di conservazione. L'automazione infatti consente di conservare quantità enormi di informazioni in spazi molto ridotti, ma l'uso delle informazioni è condizionato da apparecchiature tecniche destinate a una rapida obsolescenza. A tutt'oggi sono state approvate una legge (l. 10 aprile 1981 n. 121) che prevede l'obbligo di segnalare al ministero dell'Interno l'esistenza di tutti gli archivi automatizzati che conservino informazioni personali, e varie norme che autorizzano l'uso dell'automazione in vari settori della pubblica amministrazione (per esempio nelle Tesorerie provinciali), in alcune delle quali si delineano elementi per definire la validità giuridica di questo nuovo tipo di documento. Con d.P.R. 20 gennaio 1984 n. 536 è stata istituita la Commissione per il coordinamento normativo e funzionale dell'informatica. Nel 1989 infine sono stati emanati provvedimenti che conferiscono al Dipartimento della funzione pubblica le funzioni di coordinamento per l'applicazione dell'informatica negli organi dell'amministrazione statale.
Bibl.: Ministero dell'Interno, Ufficio centrale degli Archivi di Stato, Gli Archivi di Stato italiani, Bologna 1944; Id., Gli Archivi di Stato al 1952, Roma 1954; L. Sandri, Archivi di Stato, in Enciclopedia del diritto, ii, Milano 1958; Ministero dell'Interno, Direzione generale degli Archivi di Stato, La legge sugli Archivi, Roma 1963 (rist. anast. 1980); A. Sandulli, Documento, in Enciclopedia del diritto, xiii, Milano 1964; G. Cencetti, Scritti archivistici, Roma 1970; P. D'Angiolini, C. Pavone, Gli Archivi, in Storia d'Italia, v, I documenti, Torino 1973; E. Lodolini, Organizzazione e legislazione archivistica italiana, Bologna 1980; Ministero per i Beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i Beni archivistici, Guida generale degli Archivi di Stato italiani, i, Roma 1981; ii, ivi 1983; iii, ivi 1986, iv (in corso di stampa); P. Carucci, Le fonti archivistiche: ordinamento e conservazione, ivi 1983; E. Lodolini, Archivistica. Principi e problemi, Milano 1984; Ministero per i Beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i Beni archivistici, La legge sugli Archivi. Aggiornamenti (1965-1986), Roma 1987; P. Carucci, Il documento contemporaneo. Diplomatica e criteri di edizione, ivi 1987; I. Zanni Rosiello, Archivi e memoria storica, Bologna 1987; I. Soffietti, Archivi di Stato, in Digesto delle discipline pubblicistiche, i, Torino 1988.
Beni librari. - Il b. librario costituisce nella cultura di una nazione la sua memoria scritta per quanto attiene alla tradizione storico-letteraria, e un supporto indispensabile a ogni tipo di attività educativa, culturale e scientifica, dalla divulgazione alla ricerca avanzata. Nei paesi di più forte tradizione culturale la consapevolezza del valore sociale del b. librario è largamente sentita e si concretizza in provvedimenti di legge, in regolamenti pubblici, in prassi e in comportamenti diffusi che tendono a garantirne da una parte la tutela e la conservazione e dall'altra un vasto uso sociale, correttamente inteso come fattore e garanzia di generale sviluppo della comunità nazionale.
Il patrimonio librario italiano rappresenta una delle maggiori ricchezze culturali del paese, costituito com'è da oltre venti milioni di volumi, circa 150.000 manoscritti, quasi 40.000 incunabuli noti, e circa 220.000 cinquecentine. Esso è disseminato sul territorio della penisola in modo estremamente discontinuo, secondo alternanze e contrapposizioni di zone o regioni di grande accumulo e zone o regioni intere di bassa concentrazione. Tale discontinuità non è casuale, ma riflette una delle principali caratteristiche della storia culturale italiana di età moderno-contemporanea: la contrapposizione fra aree tradizionalmente ad alta alfabetizzazione, cui corrisponde una forte concentrazione libraria, e aree a bassa alfabetizzazione, cui corrisponde un vero e proprio vuoto librario. Tale tendenza di fondo è comune sia al patrimonio librario manoscritto che a quello a stampa e caratterizza, pur se in modo meno evidente e immediato, anche quello documentario; non è certamente un caso che le regioni con il maggiore accumulo librario o documentario siano la Toscana, l'Emilia, la Romagna, la Lombardia e il Veneto, cioè quelle a più elevato livello di alfabetizzazione e di acculturazione. A ben vedere, sono infatti proprio queste le regioni d'Italia in cui la civiltà urbana elaborò sin dal Duecento una organica politica di accumulo e di conservazione della cultura libraria e della documentazione scritta, sentite ambedue come patrimonio comune e come ricchezza 'politica' dello stato cittadino o territoriale. Altrove, e soprattutto nel Mezzogiorno, la debolezza delle istituzioni bibliotecarie, la tendenza alla centralizzazione propria del Regno, l'indifferenza alla cultura scritta delle classi dirigenti locali, l'altissimo grado di analfabetismo contribuirono alla perdita, alla svendita, a volte alla distruzione fisica, spesso all'abbandono totale di un patrimonio comunque mai organicamente e capillarmente prodotto e distribuito nel territorio.
Lo stato unitario in questi ultimi centotrenta anni non volle e non seppe procedere a un razionale piano di salvaguardia e di censimento del materiale superstite, anzi, con una politica improntata all'indifferenza e all'ignoranza, ne ignorò le tradizioni storiche, ne accrebbe il disordine, ne peggiorò le condizioni fisiche e non riuscì a impedirne l'ulteriore distruzione o l'esodo all'estero. Ciononostante il patrimonio librario italiano rimane nel suo imponente complesso un monumento storico che proprio nella sua irregolare dislocazione territoriale riproduce le vicende e le principali caratteristiche della storia nazionale e ne rappresenta e conserva al vivo il riflesso e il prodotto più propriamente culturale, per quanto riguarda naturalmente la cultura scritta.
La natura giuridica del b. librario italiano è assai più differenziata che non in altri grandi paesi europei. Lo stato, attraverso la rete, tutt'altro che continua e uniforme, delle biblioteche statali (nazionali centrali, nazionali, universitarie e altre con finalità particolari), ne possiede soltanto una parte, anche se imponente; i Comuni e le Province ne controllano un altro vasto settore, di cui fanno parte biblioteche di antica tradizione, quali la Trivulziana di Milano, l'Archiginnasio di Bologna, la Comunale di Palermo, e così via; di grande importanza sono ancora, a dispetto delle cosiddette 'leggi eversive' di età risorgimentale, le biblioteche di proprietà di istituzioni e di enti ecclesiastici, in genere, tranne alcune eccezioni, di difficile accesso e in non buone condizioni di conservazione; innumerevoli, e di solito del tutto incontrollabili e incontrollate, sono quelle private, in genere in balia del mercato, che in Italia, per fortuna, è di deboli tradizioni e di scarsa forza di penetrazione.
La tutela dell'immenso patrimonio librario non statale è in Italia demandata per legge dal 1972 alle Regioni, che vi provvedono con propri appositi uffici, che hanno ereditato le competenze delle non più esistenti Soprintendenze alle biblioteche dipendenti dallo stato; il governo delle biblioteche statali è invece competenza dell'Ufficio centrale dei b. librari, organo del ministero per i Beni culturali e ambientali, istituito nel 1975. Due Istituti centrali, organi diretti del ministero stesso, provvedono l'uno (Istituto Centrale per il Catalogo Unico, ICCU) alla catalogazione nazionale del patrimonio librario e l'altro (Istituto Centrale per la Patologia del Libro, ICPL), all'elaborazione delle politiche di tutela e delle tecniche di conservazione e di restauro del b. librario.
Come accade in ogni campo, anche in quello librario l'utenza negata genera pericoli per la conservazione, in quanto impedisce la conoscenza diffusa del b. e la formazione di un'autonoma consapevolezza critica. In effetti, contrariamente a quanto potrebbe far supporre la sua imponenza quantitativa e la sua vasta (anche se irregolare) disseminazione, il patrimonio librario italiano è poco conosciuto e poco usato e dunque è poco presente nella storia complessiva dei processi culturali ed educazionali del paese. Esso dà l'impressione di un bene immobile e statico, privo di ogni dinamica partecipazione alla vita sociale, il che significa che non è (e non è sentito come) un elemento organico dello sviluppo generale della società italiana.
In effetti, perché un patrimonio librario delle dimensioni e del la ricchezza di quello italiano sia generalmente sentito e assunto come fattore dinamico della vita nazionale, occorre che esso sia stu diato e usato; ma perché ciò avvenga occorre che esso sia ben con servato, e dunque correttamente tutelato da una cultura della prevenzione, del rispetto, e del restauro; che esso sia consultabile, e dunque criticamente censito da una cultura tecnicamente avvertita dell'ordinamento e della catalogazione; e infine che esso sia conosciuto da una cultura diffusa del libro e dello scritto; il che nell'Ita lia unita non è mai avvenuto, non avviene tuttora ed è improbabile possa avvenire in futuro.
Bibl.: Oltre a quanto citato nella voce biblioteca, cui comunque si rinvia, si veda anche innanzitutto la relazione della cosiddetta Commissione parlamentare Franceschini: Per la salvezza dei beni culturali in Italia. Atti e documenti della commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, 3 voll., Roma 1967, in particolare i, pp. 567-672, con il coordinamento di A. Campana. Si veda anche l'Annuario delle biblioteche italiane, 5 voll., Roma 1969-81.