beni culturali e del paesaggio, Codice dei
bèni culturali e del paesaggio, Còdice dei. – Il Codice dei beni culturali e del paesaggio – questo il nome completo del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 – è entrato in vigore il 1° maggio 2004. La legislazione in materia era sostanzialmente ferma alle cosiddette leggi Bottai del 1939 (dal nome dell’allora ministro per l’Educazione nazionale), rimaste pressoché inalterate per sessant’anni anche grazie al loro notevole disegno organico: disegno dovuto a Santi Romano, uno dei più grandi giuristi del 20° secolo, presidente della Commissione ministeriale incaricata di elaborarle. Prima del 2004 non sono mancate, per la verità, altre disposizioni legislative, che tuttavia non hanno deformato il quadro d’insieme, limitandosi a integrarlo o ad aggiornarlo al mutato contesto storico. Il Codice si apre con l’enunciazione, in una prima parte dedicata a disposizioni generali, di princìpi e nozioni fondamentali, destinati a ispirare l’intera normativa. La stessa utilizzazione del termine Codice rende conto dell’intento di non fermarsi alla mera consolidazione, in un unico testo, di una pluralità di disposizioni speciali, per costruire uno statuto normativo autonomo e innovativo (v. codici di settore). Dalla lettura dell’art. 1 emerge, come dato tra i più significativi, che l’attuazione dell’art. 9 della Costituzione passa non soltanto attraverso la tutela del «patrimonio culturale» (formula nella quale l’art. 2 compendia beni culturali in senso stretto e paesaggio), ma anche la relativa valorizzazione. E si può dire, in definitiva, che l’intera normativa ruoti intorno ai rapporti tra queste due attività, oltre che alla ripartizione delle rispettive funzioni tra Stato ed enti territoriali. La distinzione tra tutela e valorizzazione corrisponde, in effetti, a quanto previsto dall’art. 117 della Costituzione (nella versione introdotta dalla riforma, attuata nel 2001, del Titolo V della Parte II): norma che attribuisce allo Stato la potestà legislativa e regolamentare in tema di tutela e alle Regioni le competenze sulla valorizzazione («salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, sia riservata alla legislazione dello Stato»). La tutela dei beni culturali consiste, per l’art. 3, «nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, a individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione». Distinta dalla tutela, ma ad essa intimamente legata, è la valorizzazione, che per l’art. 6 «consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso». Le formule legislative appaiono, dunque, simmetriche e omogenee. Da un lato la tutela, che si svolgerebbe attraverso le potestà di individuazione, protezione, conservazione dei beni culturali; dall’altro la valorizzazione, che si tradurrebbe nel diffondere la conoscenza del patrimonio culturale presso la collettività (mediante pubblicazioni, attività didattiche e divulgative) e nell’agevolare l’accesso ai singoli beni (con apertura di musei, organizzazione di esposizioni, mostre ecc.). Qualche difficoltà di delimitazione poteva derivare, tuttavia, dal concetto di «fruizione pubblica», al pari introdotto dal Codice: suscettibile, in effetti, di incidere tanto sulle attività di tutela quanto su quelle di valorizzazione che, così, rischierebbero di sovrapporsi. È stato merito della migliore dottrina, allora, recuperare a ciascuna delle due nozioni, in via interpretativa, un significato coerente con la loro autonoma rilevanza costituzionale. Vi si è giunti, in particolare e tra l’altro, con l’introduzione di un ulteriore criterio di discrimine, fondato sul diverso rapporto tra interesse pubblico, perseguito mediante l’esercizio della relativa potestà (normativa e amministrativa), e situazioni soggettive degli amministrati. L’inequivoca subordinazione della valorizzazione alla tutela, del resto, si trae dal secondo comma dell’art. 6, per il quale la valorizzazione deve essere «attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze». Sicché, nel caso di rapporto conflittuale tra esigenze di protezione e di sfruttamento del bene culturale, va assegnata priorità alle prime: ciò che fissa un preciso limite a modalità di valorizzazione (quali l’eccessiva esposizione e destinazione alla pubblica fruizione) potenzialmente lesive dell’integrità o comunque rischiose per la conservazione del bene. Quest’ultima, comunque, va intesa non soltanto in senso fisico e materiale (custodia, manutenzione, restauro), ma anche nella prospettiva giuridica: in modo da impedire, o comunque sottoporre a rigorosi controlli, l’alienazione dei beni culturali demaniali.