BENI CULTURALI.
- Beni culturali immateriali. Bibliografia
Beni culturali immateriali. – L’espressione beni culturali immateriali è entrata in uso nella seconda metà degli anni Novanta del Novecento come un’evoluzione del concetto di beni culturali.
Va ricordato tuttavia che già gli studi sul folklore tra Ottocento e Novecento avevano messo in evidenza come feste, riti, canti, proverbi, fiabe, leggende, giochi ecc., fossero parte integrante delle culture popolari locali. Negli anni Settanta del Novecento quegli stessi oggetti di ricerca cominciarono a essere visti come b. c. di tradizione orale o folklorici. Tale impostazione venne confermata con la nascita, nel 1978, delle prime schede di catalogo per i beni folklorici (FK), progettate dall’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD) in collaborazione con il Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari: accanto a una scheda (FKO) per la cultura materiale, tre schede (FKM-N-C) erano dedicate a musica, narrativa e cerimonie (Tucci 2006).
Alla fine degli anni Ottanta dello scorso secolo Alberto Cirese codificò, per i b. c. ormai chiamati demologici, la specifica categoria dei beni volatili: «canti o fiabe, feste o spettacoli, cerimonie e riti che non sono né mobili né immobili in quanto, per essere fruiti più volte, devono essere ri-eseguiti o rifatti» (Cirese 2007, p. 69).
Il passaggio dall’espressione b. c. volatili, interna a un ambito disciplinare italiano, all’espressione b. c. immateriali ha segnato una nuova fase, nella quale l’uso di un linguaggio standardizzato ha consentito una condivisione di significato ad ampio raggio, a livello nazionale e internazionale: l’aggettivo immateriale traduce l’inglese intangibile dell’espressione intangible heritage, coniata dall’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) sul finire degli anni Novanta in riferimento alla sua riorganizzazione interna e ad alcuni progetti, fra cui la Proclamation of the masterpieces of the oral and intangible heritage of humanity (1999).
In quegli stessi anni l’ICCD, superando la frammentazione delle FK, pubblicava la nuova scheda di catalogo BDI (Beni Demoetnoantropologici Immateriali; 2002, 2006): una scheda informatizzata fondata su una metodologia più aggiornata, applicata ai b. c. immateriali intesi in modo estensivo, colti nel vivo delle loro performances attraverso il rilevamento sul campo e la documentazione audiovisiva. Si tratta pertanto di uno strumento specialistico il cui uso richiede l’apporto di figure professionali di demoetnoantropologi. L’identificazione dei b. c. immateriali, infatti, presenta notevole complessità per via della loro instabile presenza sui territori, che per essi rappresentano dei vivai reali e potenziali. A fronte di una parte più visibile costituita da eventi connessi a scadenze cicliche (feste, riti), una larga parte meno visibile di saperi, tecniche, espressività ecc., legata alle dimensioni familiari, sociali e lavorative dei diversi contesti, emerge solo attraverso la ricerca e la costruzione di rapporti di collaborazione e di alleanza fra ricercatori e attori locali (Bravo, Tucci 2006, p. 37).
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (d. legisl. 22 genn. 2004 nr. 42 e successive modifiche e integrazioni) non prende in considerazione i b. c. immateriali. Riconosce tuttavia i b. c. etnoantropologici (art. 2), la cui specificità risiede proprio negli aspetti immateriali, tanto connessi alle produzioni materiali (si pensi, per es., a un ex voto), quanto del tutto autonomi (per es., un canto). I b. c. immateriali appaiono dunque implicitamente compresi nel Codice per la loro pertinenza con i beni etnoantropologici e, più in generale, per la loro adiacenza al patrimonio culturale nel suo complesso (beni storico-artistici, beni musicali, paesaggio ecc.).
La Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, promulgata dall’UNESCO nel 2003, ha provocato in Italia un ampliamento di interesse per il patrimonio culturale immateriale da parte dei territori, per il prefigurato coinvolgimento delle comunità nelle azioni di salvaguardia e soprattutto per la costituzione delle liste internazionali. Dopo la firma italiana (2007) è stato aggiunto al Codice l’articolo 7 bis, che tuttavia si riferisce alle sole testimonianze materiali connesse alle «espressioni di identità culturale collettiva». La firma della convenzione non ha dunque prodotto un cambiamento di rotta rispetto all’impostazione consolidata, incentrata sulla tutela delle «cose»: un tema oggi dibattuto dai giuristi, molti dei quali sottolineano la necessità di una revisione del testo di legge al riguardo (I beni immateriali..., 2014).
Va precisato che nella Convenzione UNESCO del 2003 non si parla mai di b. c. immateriali, ma di «elementi» del «patrimonio culturale immateriale». Nel testo italiano l’espressione patrimonio culturale traduce l’inglese cultural heritage, assumendo così un significato diverso da quello che la stessa espressione ha nell’art. 2 del Codice. Si tratta di una discrasia che può generare confusione e per tale motivo nella Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società (2005) si è preferito tradurre cultural heritage con eredità culturale.
La Convenzione UNESCO del 2003 intende per patrimonio culturale immateriale ciò che le comunità riconoscono, creano, mantengono e trasmettono di generazione in generazione, nella cui inventariazione e nella cui gestione sono attivamente coinvolte (Il patrimonio immateriale..., 2008). Si è quindi molto distanti dal concetto dottrinale di b. c. secondo cui «spetta agli specialisti della materia [...] il compito di individuazione del singolo bene culturale in quanto tale» e di emissione della relativa valutazione tecnica (Vesci, Borioni 2014, p. 85).
L’insistenza sulla comunità ha dato luogo in Italia a una sorta di dicotomia fra l’azione dello Stato e l’azione dei gruppi sociali sul territorio; fra un patrimonio di b. c. e paesaggistici individuato e certificato a livello centrale in base alle norme e alla prassi tecnico-scientifica del MiBACT (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) e un patrimonio definito localmente in modo aperto, secondo i diversi, a volte opposti, punti di vista (Tucci 2013).
In questo senso, l’espressione patrimonio culturale immateriale priva di aggettivi, slegata da qualsiasi settore disciplinare o riferimento giuridico, sembra rinviare, nell’uso, a una prospettiva più ampia, che appare comunque necessario affrontare con una corretta professionalità. Le metodologie e le pratiche sviluppate e consolidate nel tempo per i b. c. demoetnoantropologici possono costituire un punto di riferimento anche per un patrimonio culturale immateriale inteso secondo l’accezione estensiva di cui si è detto.
Va aggiunto che in ambito accademico le nozioni di b. c. immateriali e di patrimonio culturale immateriale si differenziano ulteriormente e si ridefiniscono attraverso un approccio di antropologia politica, che dalla fine degli anni Novanta si concentra sui processi di costruzione e di oggettivazione del patrimonio culturale ( patrimonializzazione) visti come parte delle strategie di potere a livello locale (Palumbo 2011).
Bibliografia: G.L. Bravo, R. Tucci, I beni culturali demoetnoantropologici, Roma 2006; R. Tucci, Il patrimonio demoetnoantropologico immateriale fra territorio, documentazione e catalogazione, in Strutturazione dei dati delle schede di catalogo. Scheda BDI, Beni demoetnoantropologici immateriali, seconda parte, Roma 2006, pp. 20-29; A.M. Cirese, Beni volatili, stili, musei. Diciotto altri scritti su oggetti e segni, a cura di P. Clemente, G. Molteni, Prato 2007; Il patrimonio immateriale secondo l’Unesco: analisi e prospettive, a cura di C. Bortolotto, Roma 2008; B. Palumbo, Le alterne fortune di un immaginario patrimoniale, «Antropologia museale», 2011, 28-29, pp. 8-23; R. Tucci, Beni culturali immateriali, patrimonio immateriale: qualche riflessione fra dicotomie, prassi, valorizzazione e sviluppo, «Voci», 2013, 10, pp. 183-90; M.E. Vesci, R. Borioni, Guida allo studio della legislazione dei beni culturali, Roma 2014; I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche, a cura di A. Bartolini, D. Brunelli, G. Caforio, Napoli 2014 («Aedon», 2014, 1: http://www.aedon.mulino.it/ archivio/2014/1/index114.htm; 10 marzo 2015).