Beni essenziali
Natura
La teoria giuridica della circolazione si è tradizionalmente disinteressata delle qualità intrinseche dei beni, quali il loro valore e importanza, in quanto le cose si porrebbero quali meri elementi descrittivi, neutri, di fattispecie giuridiche, non classificabili perciò in base all’uso che ne fanno gli uomini o per una gerarchia dei bisogni che soddisfano.
L’indagine del civilista, tuttavia, non si è per lungo tempo concentrata su quelle ‘cose’ per loro natura idonee a soddisfare bisogni umani, connotati di una particolare coloritura: l’essenzialità.
Sono entità, presenti allo stato naturale o create artificialmente dall’opera dell’uomo: è la storia dell’energia elettrica, dell’acqua, del gas; ma può riguardare anche l’etere, il petrolio e i mezzi di comunicazione e di trasporto.
La scarsa attività speculativa della civilistica si lega strettamente a ragioni storico-sistematiche: nel secolo appena trascorso, proprio rispetto a questi beni, il legislatore ha privilegiato un regime vincolato di diritto pubblico.
Sebbene risalendo nel tempo si scorga un’originaria pertinenza della materia delle acque e delle fonti energetiche alla sfera del diritto privato, le successive ragioni di una ‘statalizzazione’ corrispondono, secondo l’interprete pubblicista, all’esigenza di una più diffusa ed equa distribuzione. Il postulato sta in ciò: alcuni beni, ove lasciati al libero incedere del mercato, non sono fruibili dal maggior numero dei consociati. La riserva dell’attività produttiva e gestionale in ‘mano pubblica’ o, come si dice, il ‘monopolio naturale’, garantisce invece il soddisfacimento dei bisogni diffusi della collettività. È lo Stato imprenditore.
In punto di normativa ne è conseguito che tali beni siano stati oggetto di servizio pubblico, per cui al naturale regime privatistico relativo alla trasmissione di beni giuridici si è sovrapposto un modello di circolazione unilateralmente predisposto dallo Stato, attraverso sue articolazioni funzionali. La prevalenza delle prestazioni di facere nel servizio pubblico ha inoltre relegato le res somministrate a elemento che è attinente all’organizzazione degli enti erogatori. Questa situazione non ha dato stimolo a indagini tese a classificare i beni oggetto di erogazione per tracciarne una collocazione giuridica unitaria.
Oggi l’ordinamento giuridico ha previsto, con la privatizzazione a partire dalle fonti di approvvigionamento (energia elettrica), o rispetto ai soli enti erogatori (acqua e gas), la dismissione delle attribuzioni alle articolazioni dello Stato nella titolarità e nella gestione.
La caduta del monopolio pubblico con il suo apparato normativo di tutela dell’utenza (si pensi all’art. 2597 c.c., che impone all’erogatore monopolista l’obbligo a contrarre e la parità di trattamento) e l’odierno imperativo comunitario dell’apertura alla concorrenza induce a tracciare nel sistema attuale i nuovi modelli di tutela del fruitore.
Il punto di saldatura rispetto a questi settori non può che rappresentarsi nell’oggetto dell’erogazione, che, inalterato nel suo sostrato, resta il bene su cui il consumatore soddisfa il bisogno essenziale.
Tracce storiche
Si pone così la prospettiva di un ordine di importanza – giuridicamente rilevante – delle utilità che le cose per sé stesse producono; e se questa attitudine discenda da una qualche relazione tra il sostrato materiale della cosa e la sua disciplina giuridica, così da assegnare una rilevanza giuridica autonoma, o con espressione efficace un’esistenza solitaria, alla cosa in sé, a prescindere dall’uso che se ne voglia fare (Bretone 1998, p. 10).
Si distinguono tradizionalmente più significati giuridici del termine cosa. Con sguardo di sintesi, risalendo all’età classica si rilevano i concetti di res, bona e causae.
Traccia di un profilo funzionale, utile all’indagine, si riscontra nella definizione di singole classi e categorie di cose. Classi sono alcuni complessi di cose, unificate dalla loro comune destinazione e identificate con un nomen collettivo: instrumentum, suppellex, argentum, vestis; è l’uso quotidiano a circoscriverne i confini. Con categorie si individuano cose che rappresentano situazioni analoghe e come tali disciplinabili unitariamente.
Nel diritto antico, si riscontra la distinzione tra res in commercio (o in patrimonio) e res extra commercium (o extra patrimonium), con la quale si indicano le cose che, secondo la loro natura fisica o destinazione, possono o meno essere oggetto di scambio e di rapporti patrimoniali.
Una rilevanza socioeconomica delle cose, in rapporto alla disciplina giuridica della circolazione, in quanto si tratta comunque di cose in commercio, si propone nella distinzione tra res mancipi e res nec mancipi. I beni che rivestono importanza sociale seguono un modo di trasmissione soggetto a forma solenne. La categoria, in epoca primitiva, è rivelatrice di un’antitesi che rispecchia il grado di socialità dei beni e pare ripercorrere l’antica distinzione tra beni che appartengono alla familia e beni che, non appartenendovi, devono presumersi in pecunia. Sulle tracce delle intuizioni di Pietro Bonfante (Storia del diritto romano, 1903) si è considerato l’istituto non soltanto una categoria romana ma la prova di una costante applicazione, parallela in vari diritti e in varie epoche storiche, del principio sociale e del principio individuale in rapporto alla rilevanza dei beni: si danno così beni sociali e beni individuali, a seconda che il loro regime circolatorio sia determinato dall’influenza di una missione generale oppure da principi di libera iniziativa (Gambino 2004, pp. 46 e sgg.).
Le res extra commercium, nell’accezione di una loro destinazione pubblica, si assumono, in età giustinianea, nella categoria delle res communes omnium: sono le cose che ‘per natura’ non possono essere sottratte a nessuno, come l’aria, l’acqua fluente, il sole. Si tratta di entità che offrono utilità e sono indispensabili per la vita dell’uomo, ma la loro sovrabbondante disponibilità in natura implica l’assenza di un valore economico di scambio e sono dunque iure naturali destinate all’uso comune di tutti; non sono dunque considerate beni nell’accezione di «cose che possono formare oggetto di diritti» (art. 810 c.c.), che invece postulano una loro limitazione in natura e la possibilità di essere possedute in parti suscettibili di valore economico.
Con l’evoluzione della società industriale, il crescente livello di utilizzazione di tali beni ne ha messo in luce un tratto sino a quel momento irrilevante: la scarsità.
L’esigenza di porre delle regole a garanzia della loro migliore allocazione ha comportato, nel caso delle acque, che la legge regolativa (art. 1, i° co., l. 5 genn. 1994 n. 36, relativa alla tutela ambientale delle acque pubbliche) recitasse che «Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà».
Una dottrina osserva che, con tale previsione, il criterio della ‘attitudine all’uso di pubblico interesse’ costituisce un ‘a priori normativo’; il termine risorsa assurge a ‘criterio di qualificazione del bene’ (Di Majo 1996, pp. 1 e sgg.).
Acqua, gas ed energia come beni essenziali
Il gas e l’acqua, nella loro conformazione naturale, sono considerati nelle fonti normative beni pubblici. L’energia elettrica è generata artificialmente in modi che, abitualmente, si sono organizzati secondo i dettami dello ius publicum.
Il carattere comune di acqua, gas ed energia elettrica consiste nell’essere entità che sono prodotte al fine del consumo dell’utenza, in quanto beni essenziali all’approvvigionamento dei bisogni primari degli individui. Tutte le tre entità possono contraddistinguersi in cose nelle differenti dimensioni di massa e di flusso. Il flusso giuridicamente rilevante è tuttavia soltanto quello utile. Massa è tutta l’energia che è sprigionata dal generatore; l’acqua nella sua portata complessiva; il gas condotto nelle tubature. Flusso utile è, invece, l’energia-corrente, l’aqua profluens, il gas sotto forma di pressione.
Nell’accezione di massa, la res rappresenta la disponibilità del produttore; in quella di flusso utile, la cosa non è individuabile secondo una definitività corporale: si conformerà a un quid definito solo con la misurazione che avverrà nella fase dell’erogazione all’utente. Il livello di misurazione è funzionale al grado di essenzialità del bene, la cui definizione normativa dovrà ottemperare a un’adeguata soddisfazione dell’utenza (Gambino 2004, pp. 41 e sgg.).
Rilevanza giuridica e mercato
Metamorfosi dell’obbligo a contrarre
L’apertura al mercato e la caduta del monopolio pubblico degli enti gestori comportano la concorrenza tra erogatori dei servizi pubblici relativi a beni essenziali e inapplicabilità delle misure di tutela dell’utenza previste dall’art. 2597 c.c. per carenza del presupposto della posizione monopolistica.
Limiti normativi alle facoltà dell’operatore si rinvengono, però, in ambito comunitario.
Si rileva in questo senso la genesi dell’espressione servizio pubblico universale, con la formula ‘servizio di interesse economico generale’, recepita in Italia dal legislatore antitrust, che determina l’esclusione applicativa delle regole concorrenziali alle imprese esercenti ‘servizi di interesse economico generale’. L’esenzione è stata giustificata per l’indispensabilità di assicurare con minimi costi di gestione una disponibilità del bene adeguata, per quantità e prezzo, alle esigenze di un equilibrato sviluppo economico del Paese.
Dai principi comunitari operativi negli ordinamenti degli Stati membri emerge una definizione dell’interesse pubblico come interesse alla libera concorrenza delle imprese (Irti 2003, pp. 435 e sgg.).
Tali esigenze hanno trovato dimora nella nozione di servizio universale.
Sulla scorta di una larga elaborazione, il diritto comunitario ha offerto, muovendo dal settore delle telecomunicazioni, alcuni elementi caratterizzanti, quali la ‘doverosità’, la ‘capillarità territoriale e sociale’ e la ‘abbordabilità sotto il profilo economico’.
Obblighi di servizio universale sono menzionati dalle direttive 2003/54/CE (energia elettrica) e 2003/55/CE (gas) entrambe del 26 giugno 2003 (per l’acqua si veda, nella legislazione interna, l’art. 8, 1° co., nel d.p.c.m. 4 marzo 1996). È un sistema elastico che si giustifica, a monte, per la concorrenzialità nell’accesso alle fonti di produzione e, a valle, per la competizione qualitativa delle offerte immesse sul mercato dell’erogazione del servizio.
La devoluzione di situazioni di potere gestorio e di titolarità a soggetti privati, con l’apertura alla concorrenza tra più operatori, ha comportato il mutamento del ruolo dello Stato: lo statuto normativo della circolazione è ora approntato dalle autorità di regolazione e, in particolare, dalle carte dei servizi, delle quali gli erogatori devono dotarsi (Giraudi, Righettini 2001; Lazzara 2001; Nicodemo 2002).
Alle autorità amministrative indipendenti è stato assegnato il compito di determinare gli indirizzi cui far conformare l’attività dei soggetti erogatori, già attribuito allo Stato. I compiti di pianificazione quale determinazione autoritativa dei fini dell’erogazione, propri dello Stato, sono stati sostituiti da un orizzonte di obiettivi generali, indicati nella legge.
Ciò che non muta rispetto al sistema precedente è l’oggetto stesso della missione dell’erogatore, rappresentato dall’assolvimento al fabbisogno collettivo.
Il sistema delle utenze, abbia come oggetto beni o servizi, è generalmente strutturato nello schema dei cosiddetti servizi ‘a rete’, dove si distinguono tre attività: produzione, distribuzione, erogazione (I servizi a rete in Europa, 2000, pp. 1 e sgg.). Si riscontrano così due soggetti della circolazione: il distributore, cui compete l’allestimento della struttura fisica necessaria per l’erogazione del servizio – essential facility – e il fornitore del servizio.
In questo sistema non è il tratto fisico della risorsa erogata a segnarne la scarsità, ma è lo strumento utilizzato per l’erogazione del servizio che limita la disponibilità; l’uso di una struttura fisicamente individuabile determina il numero delle prestazioni riproducibili.
I modelli definiti dalle normative di settore presuppongono dunque un’organizzazione a rete che veicola il servizio dalla fonte di produzione agli sbocchi distributivi.
Il profilo discriminante tra le situazioni relative ai beni essenziali e ai servizi in senso stretto, è rappresentato dal fatto che, per questi ultimi, l’entità erogata consiste in una prestazione dell’erogatore, mentre, nei primi, l’entità è costituita da una cosa, giuridicamente definita quale bene mobile.
Nel caso dei servizi, allora, la rete infrastrutturale condiziona l’operatività del servizio che il produttore-erogatore intende distribuire; mentre, nel caso dei beni essenziali, l’essential facility veicola agli utenti la risorsa già venuta a esistenza.
In ambedue i casi, tuttavia, l’attività del distributore è condizionata dall’allocazione di elementi materiali scarsi. Tale condizione di scarsità, tuttavia, non deriva, come invece accade nella situazione dei beni essenziali, da una intrinseca scarsità naturale, ma piuttosto da limiti posti dall’opera dell’uomo.
Il tratto caratterizzante dei settori distributivi presi in considerazione può quindi sintetizzarsi nell’obbligo che ciascun gestore adegui la propria capacità distributiva al maggior numero di richieste di allaccio da parte degli erogatori. La disciplina di settore richiama anche quale limite la capacità di sistema. Il diritto dell’operatore di allacciarsi alla rete non è esercitabile dinanzi a situazioni irragionevoli che possano ledere il buon funzionamento della distribuzione.
L’individuazione di situazioni ostative è attribuita dalla legge all’autorità di controllo; l’obbligo a contrarre viene meno laddove un aumento di connettività sacrifichi la capacità distributiva con lesione di approvvigionamento.
Si riproduce così una situazione analoga a quanto avviene nel modello definito dall’art. 2597 c.c., l’obbligo a contrarre è condizionato da esigenze programmatiche individuate dall’autorità pubblica.
Rispetto all’attività degli erogatori opera la disciplina dei settori speciali.
Per l’energia elettrica e il gas, la normativa nazionale richiede che si garantisca una fruizione e diffusione omogenee sull’intero territorio nazionale con l’obbligo di prestare il servizio in condizioni di eguaglianza commisurate alle esigenze degli utenti finali (l. 23 ag. 2004 n. 239, i cui obiettivi sono elencati nell’art. 1, 3° co.). La menzione espressa di un obbligo del servizio universale si trova, da ultimo, nell’art. 1, 3° co., l. 3 ag. 2007 n. 125, che stabilisce che «l’Autorità per l’energia elettrica e il gas indica condizioni standard di erogazione del servizio e definisce transitoriamente, in base ai costi effettivi del servizio, prezzi di riferimento per le forniture di energia elettrica ai clienti […] e per le forniture di gas naturale ai clienti domestici, che le imprese di distribuzione o di vendita, nell’ambito degli obblighi di servizio pubblico, comprendono tra le proprie offerte commerciali contemplando anche la possibilità di scelta tra piani tariffari e fasce orarie differenziati».
Per l’acqua i criteri di erogazione sono stabiliti dal d.p.c.m. 4 marzo 1996 n. 47.
Per le telecomunicazioni, l’art. 2 nel d.p.r. 19 sett. 1997 n. 318, accomuna negli obblighi di servizio universale l’installazione, l’esercizio e la fornitura di reti di telecomunicazioni con le prestazioni dei servizi accessibili al pubblico.
Per i trasporti ferroviari la direttiva 1991/440/CEE del 29 luglio 1991, dispone che i «servizi di trasporto sufficienti siano garantiti dalle competenti autorità con contratti di servizio pubblico con un’impresa di trasporto» (art. 1, 2° co.). Si dispone a questo proposito che il contratto di servizio pubblico possa comprendere servizi conformi a «norme di continuità, regolarità, capacità e qualità; servizi di trasporto complementari, servizi di trasporto a determinate tariffe e condizioni, in particolare per talune categorie di passeggeri o per taluni percorsi; adeguamenti dei servizi alle reali esigenze» (art. 1, 4° co., regolamento n. 1893/1991/CEE).
Per i servizi postali, l’art. 3, 3° co., nel d. legisl. 22 luglio 1999 n. 261 stabilisce che il servizio universale è «prestato in via continuativa per tutta la durata dell’anno» su tutti i punti del territorio nazionale «secondo criteri di ragionevolezza attraverso l’attivazione di un congruo numero di punti di accesso».
La direttiva 2002/22/CE del 7 marzo 2002 relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, delega invece agli Stati membri l’individuazione delle modalità di garanzia; a essi spetta il compito di determinare «il metodo più efficace e adeguato per garantire l’attuazione del servizio universale, nel rispetto dei principi di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità» (art. 3, 2° co.).
Incidenza normativa dell’elemento della scarsità
I caratteri dei beni oggetto di indagine si individuano nella loro scarsità ed essenzialità, che, nel caso dell’acqua e del gas, discende dall’essere risorse naturali limitate; mentre per l’energia discende dalle caratteristiche del processo produttivo, che consiste nello sfruttamento di proprietà fisiche e condizioni climatiche di entità diffuse in natura, per lo più annoverabili tra le res communes omnium.
Affinché acqua, gas ed energia elettrica raggiungano una capacità produttiva idonea ad approvvigionare la collettività, così da potersi assegnare la caratteristica dell’essenzialità, occorre che siano prodotte in quantità adeguata al fabbisogno generale. Ciò comporta che vi sia una cesura tra momento della produzione e consumo finale. Ne consegue la rilevanza della fase in cui il bene viene ‘accumulato’: è il cosiddetto procedimento di stoccaggio; acqua, gas ed energia elettrica sono beni suscettibili, con forme diverse, di essere immagazzinati.
Il bene, dal momento della sua venuta a esistenza come entità separata è potenzialmente idoneo a soddisfare bisogni essenziali dei consociati. Da un punto di vista giuridico l’equiparazione fra i tre beni discende normativamente dall’analogo regime regolatorio delle fonti di produzione, che ne determina uno statuto circolatorio limitato. Si osserva a questo punto la diversità tra questi ultimi beni materiali e consumabili e i beni strumentali all’erogazione (le infrastrutture). L’esigenza di conservazione dei primi (nella loro dinamica riproduttiva) muove dal fatto della scarsità della risorsa (come pure è scarsa la risorsa infrastrutturale) ma segue un’altra logica rispetto a quanto accade per le essential utilities, che esigono, invece, la loro massima allocazione. Ciò del resto è coerente con la differente natura delle cose generate e le cose prodotte. La natura delle prime impone che, ai fini della generazione del maggior numero di beni (entità separate), si garantisca la sussistenza in natura di quelle entità materiali che sono alla base del momento creativo della res. Le infrastrutture, invece, come tutti i beni prodotti, sono cose definite, il cui processo produttivo si è esaurito; resta dunque da salvaguardare la compartecipazione massima allo sfruttamento, pur limitato, delle stesse.
Ora, poste queste premesse descrittive circa la diversità dei fenomeni relativi alle cose fruibili (acqua, gas ed energia) e le cose strumentali alla fruizione (infrastrutture), si osserva la peculiare natura del servizio in senso stretto.
In tale settore, è lo stesso erogatore che produce il servizio in assenza di situazioni di materiale scarsità dell’entità erogata; il che comporta l’impossibilità di immagazzinamento, con il corollario della simultaneità del consumo e della produzione. L’erogazione all’utente si realizza però normalmente con la predisposizione di un apparato organizzativo (ove, invece, si riscontrano fattori di scarsità). Diversa è ancora la situazione di erogazione di servizi cosiddetti puri, come il servizio postale o la telefonia, dove si prescinde da una risorsa scarsa sia quanto a struttura organizzativa sia a entità erogata. Il carattere della prestazione interagisce con risorse intellettive e vi è larga riproducibilità delle prestazioni erogate. Si può a questo punto operare una prima classificazione dei servizi pubblici a contenuto industriale, in rapporto alla rilevanza degli elementi di materialità rinvenibili nelle prestazioni erogate: a) servizi che importano la somministrazione di entità fisiche (beni materialmente fruibili); b) servizi che forniscono prestazioni il cui oggetto è intangibile.
Nella classe sub b) sono ipotizzabili due situazioni specifiche a seconda che per l’erogazione del servizio sia necessaria o meno una infrastruttura. Nel caso sub a), invece, la tangibilità del bene erogato implica comunque un’infrastruttura che lo veicoli.
Le norme sin qui descritte relative alla catena della distribuzione e dell’erogazione, possono a questo punto suddividersi in due raggruppamenti: norme relative alla fase della distribuzione di servizi erogati con l’utilizzo di essential utilities (a monte del procedimento erogativo); norme relative alla fase dell’erogazione di beni, di servizi in senso stretto e di servizi puri.
Queste ultime (norme della erogazione), ove disciplinino beni materiali, ancorano l’attività del somministrante a obblighi di connessione senza compromissione della continuità dell’erogazione (energia elettrica; art. 9, 1° co., nel d. legisl. 16 marzo 1999 n. 79); adeguatezza della capacità alle forniture (trasporto, modulazione e stoccaggio del gas; art. 18, 6° co., nel d. legisl. 23 maggio 2000 n. 164), razionale utilizzazione delle risorse (acqua; punto 7.1, direttive allegate al d.p.c.m. 4 marzo 1996 n. 47).
Si rileva così una stretta connessione tra pienezza della capacità del sistema approntato e adeguatezza dello stesso alla domanda dell’utenza: l’operatore deve modulare la propria potenzialità erogativa alle esigenze di approvvigionamento della collettività, da cui proviene la domanda. L’obiettivo è la corrispondenza del quantum erogabile con le richieste dell’utenza, che perciò appaiono disattendibili solo in due casi: ove la fase a monte della connessione infrastrutturale incida negativamente sulla capacità erogativa dell’operatore; oppure in ragione del pericolo di un collasso del sistema dell’erogazione. Per i servizi in senso stretto erogati con essential utilities, la misura della necessarietà della prestazione si ricava invece dall’uso efficiente delle risorse (telecomunicazioni; art. 2, nel d.p.r. 19 sett. 1997 n. 318) o dall’utilizzo efficace e ottimale dell’infrastruttura (trasporto ferroviario; art. 8, 2° co., nel d.p.r. 16 marzo 1999 n. 146).
Il principio normativo dell’accessibilità al servizio si estrinseca nell’obbligo della predisposizione dei mezzi necessari all’erogazione della prestazione misurati sul parametro dell’efficienza, che, come si è osservato dalle definizioni normative del settore idrico, è «capacità di garantire la razionale utilizzazione delle risorse» e si distingue dall’efficacia che consta, invece, nella «capacità di garantire la qualità del servizio in accordo alla domanda delle popolazioni servite». Il parametro dell’efficienza non postula perciò determinazioni normative; è il mercato con le sue regole concorrenziali a determinarne i contenuti. Si valuta allora quale incidenza esplica l’infrastruttura, la cui efficienza è determinata dall’autorità che regola la fase della distribuzione.
In linea generale il grado di efficienza del distributore si ricava dal numero di connessioni utili offerte. Ora, il sistema normativo descritto, ha optato per una scelta generica della massimizzazione della allocazione della struttura a monte, che tuttavia lascia in concreto impregiudicato (come avveniva per l’art. 2597 c.c.) il potere dell’autorità pubblica di dare di volta in volta contenuto a tale scelta: valgono i criteri della razionalità organizzativa pubblica che possono anche disattendere l’obbligo a contrarre.
Ma la diversità strutturale di cose e servizi in senso stretto gioca un ruolo.
Rispetto al bene materiale, l’infrastruttura funge da mero veicolo per una risorsa che preesiste. Ciò significa che una volta connesso, sull’erogatore graveranno esclusivamente tutti gli obblighi normativi (a cominciare da quello della fornitura del servizio universale all’utenza) che non potranno essere disattesi se non in forza di un significativo sacrificio dell’utenza atto a vanificare la capacità del sistema dell’erogazione (è questo l’unico limite desumibile dal criterio della razionalità organizzativa normativa). Non rileveranno, invece, scelte di tipo programmatico, precluse in capo all’erogatore. D’altro canto, il distributore a monte, stante il suo mero compito di ‘conduttore di flusso’, potrà influire sulle scelte strategiche dell’erogatore soltanto con riferimento al fatto di una preclusione alla connessione con la rete, motivata da esigenze di razionalità organizzativa pubblica. La risorsa nella sua forma di elemento materiale generativo è così salvaguardata attraverso un’erogazione equilibrata, che rappresenta il solo parametro cui commisurare l’operatività dell’obbligo a contrarre dell’erogatore.
Per i servizi in senso stretto, invece, l’elemento infrastrutturale assume un grado di invasività ben maggiore. Se, infatti, si considera la natura del servizio come entità intangibile, ne consegue che l’infrastruttura funga da fattore necessario per l’espletamento del servizio, compenetrandosi nel servizio stesso; l’utenza fruisce del servizio solo attraverso il contestuale utilizzo dell’infrastruttura (che non funge più da ‘mero veicolo’ come si è osservato accadere nell’erogazione di entità materiali). La misura dell’approvvigionamento dell’utenza si determina allora in rapporto allo sfruttamento delle essential utilities. Ne consegue, così, che per i servizi in senso stretto l’esigenza di garantire un obbligo di connessione in capo al distributore sfumerà tanto più il mercato raggiunga alti livelli di concorrenzialità, allargandosi il ventaglio delle offerte all’utenza.
Per i servizi puri (posta e servizi elettronici), il legislatore si muove sul piano dell’adeguatezza dell’erogazione all’assolvimento dei bisogni attraverso meccanismi concorrenziali. Unico ostacolo all’attuazione del principio dell’allocazione più efficace del servizio, non esistendo fattori limitativi esterni all’attività svolta, è soltanto la capacità erogativa del distributore e la sua strategia operativa. Non vi è dunque un problema di rilevanza di elementi materiali sulla prestazione, in quanto questa, essendo indipendente da un fattore limitato, è liberamente riproducibile da qualsiasi operatore dotato delle caratteristiche organizzative idonee; l’eventualità della previsione di un obbligo a contrarre è scelta di indirizzo normativo di mercato.
Una nuova categoria
Lo statuto normativo dell’erogazione
Lo statuto regolatorio del mercato dei servizi relativi ai beni essenziali, definito da norme di diritto pubblico, si articola nella fase erogativa di istituti e regole peculiari ai tipi negoziali approntati dagli operatori, in cui si innestano elementi normativi delle discipline speciali. Si tratta di fattispecie composite legate tra loro dall’autonomia formale del tipo di prestazione che accomuna diversi schemi legali tipici (Azzaro 2000, pp. 323 e sgg.).
In particolare, l’elemento della continuità della prestazione, che accomuna beni essenziali e servizi in senso stretto nelle loro modalità erogatorie, indica la relazione che intercorre tra il sostrato dell’entità erogata e la disciplina dell’oggetto del rapporto sotto il duplice profilo, statico, del tipo negoziale e, dinamico, dell’equità contrattuale (Russo 2001).
Nel rapporto di utenza pubblica, infatti, l’oggetto (bene o servizio che sia) presenta i caratteri della consumabilità e misurabilità. La sua individuazione può realizzarsi in momento anteriore o successivo all’erogazione. Nel primo caso, l’erogatore ‘offre’, dietro corrispettivo, una prestazione che si realizza uno actu: si tratta di rapporto giuridico a esecuzione istantanea o differita, che consta di un facere o di un dare del prestatore del servizio (per le prime, si pensi al servizio di autorimessa in parcheggio pubblico, all’utilizzo di un’autostrada, al trasporto ferroviario o urbano, al servizio postale; per le seconde, si pensi all’acquisto di beni in regime di monopolio dello Stato). La valutazione dell’adempimento e dell’esattezza della prestazione si realizza nel confronto tra il contenuto specifico della dichiarazione proveniente dall’erogatore, in relazione all’oggetto individuato e il contenuto della prestazione eseguita (De Cristofaro 2000, pp. 80 e sgg.). Nel secondo caso, ove l’oggetto del servizio non consista in una entità specifica e dotata di autonomia, l’operatore offre una prestazione continuativa e determinata solo nel genere. Ciò si verifica nei rapporti negoziali aventi per oggetto quelli che si sono definiti beni essenziali (acqua, gas ed energia elettrica) e servizi durevoli (telefonia, servizi televisivi via satellite); per essi è necessario il richiamo all’aspetto della ‘misurazione della prestazione’.
Il giudizio sulla coerenza tra quanto effettivamente erogato e il contenuto dell’offerta dell’operatore-promittente si muove su binari rigidi. Da un lato, infatti, il contenuto negoziale deve adattarsi alla previsione di specifiche fattispecie, ‘monitorate’ per la loro adeguatezza agli standard normativi previsti; dall’altro, la conseguente progressiva cristallizzazione dei servizi offerti comporta l’emergere di un loro grado di standardizzazione, con riflessi sulla dimensione sociale del fenomeno, cui l’utente può richiamarsi ove non consideri adeguato il suo livello di soddisfazione.
In particolare il contratto di utenza (nel caso di energia elettrica) è stato inquadrato dalla giurisprudenza nel ‘contratto di somministrazione destinato a soddisfare a intervallo di tempo costante, bisogni periodici e continuativi attraverso la costituzione di un rapporto durevole’. La prestazione oggetto del contratto si realizza in due obbligazioni principali: una di facere, nel tenere a disposizione dell’utente la cosa da erogare; una di dare, nella consegna della cosa.
Elementi essenziali dell’oggetto della prestazione relativa alla somministrazione di beni universali sono dunque l’attività di erogazione e la risorsa da erogare, in correlazione biunivoca ma valutabili separatamente.
Rispetto agli obblighi incidenti su attività e risorsa erogata, per disposizione dell’art. 1570 c.c., la disciplina del contratto di somministrazione si lega al loro contenuto variabile: disciplina ed effetti mutano in relazione all’oggetto della prestazione negoziale, che, tanto nell’elemento del facere che in quello del dare, è determinata nei suoi contenuti da disposizioni normative speciali.
Il contratto di somministrazione di beni essenziali attribuisce all’utente-contraente un diritto soggettivo alla esatta prestazione con i parametri quantitativi e qualitativi stabiliti dalle discipline settoriali. Per i servizi durevoli l’esclusività di un’attività di erogazione, che assorbe elementi di materialità, ne implica l’inquadramento esclusivo nell’ambito delle prestazioni di facere; ma si applicano le norme sulla somministrazione di cose in quanto compatibili con quelle sull’appalto (art. 1677 c.c.), così segnando tratti omogenei di disciplina.
Anche nella somministrazione di servizi opera il rinvio ai contenuti delle normative di settore.
Ora, il carattere comune a servizi e beni essenziali è costituito dalla continuità del rapporto, che però si modula diversamente. Nei servizi vi è continuità nell’intero sviluppo della prestazione di facere; nei beni essenziali, invece, la continuità si coniuga nei due segmenti dell’obbligazione di facere e di quella di dare, che compongono la fase dell’erogazione del bene.
Vi sono così due modelli di continuità della prestazione: una relativa al fare, è omogenea per beni universali e servizi durevoli; una attinente al dare, risulta assente nei servizi e propria dei beni universali. La ricerca deve muovere dalla disciplina di settore relativa ai beni.
Per il gas, l’art. 14, 3° co., nel d. legisl. 23 maggio 2000 n. 164, statuisce: «Nell’ambito dei contratti di servizio […] sono stabiliti la durata, le modalità di espletamento del servizio, gli obiettivi qualitativi, l’equa distribuzione del servizio sul territorio, gli aspetti economici del rapporto, i diritti degli utenti, i poteri di verifica dell’ente che affida il servizio, le conseguenze degli inadempimenti, le condizioni del recesso anticipato dell’ente stesso per inadempimento del gestore del servizio».
Il richiamo all’‘equa distribuzione del servizio sul territorio’ implica un adeguamento della pianificazione dell’attività dell’erogatore a tale criterio, idoneo a identificare la misura minima delle prestazioni atte ad assolvere diffusamente i bisogni localizzati dell’utenza. In particolare, l’entità da erogare è determinata per relationem, alla luce del criterio della migliore allocazione equitativa della risorsa, intendendosi con tale espressione l’esigenza di individuare il bilanciamento tra livello di omogeneità della qualità erogata e l’effettivo soddisfacimento dell’utenza. Il gas può così trasmettersi soltanto nella sua conformazione di res misurata. Anche in questo caso, con i limiti precisati a proposito dell’acqua, rileva un principio di universalità: la definizione di bene universale è attribuibile alla forma dell’entità misurata secondo i parametri descritti nel contratto di servizio.
Per l’energia elettrica, l’art. 9, d. legisl. 16 marzo 1999 n. 79, dispone: «Le imprese distributrici hanno l’obbligo di connettere alle proprie reti tutti i soggetti che ne facciano richiesta, senza compromettere la continuità del servizio e purché siano rispettate le regole tecniche nonché le deliberazioni emanate dall’Autorità per l’energia e il gas in materia di tariffe, contributi ed oneri».
La misurazione dell’energia erogata avviene in termini di ‘potenza’: ciò che soddisfa le aspettative dell’utenza è infatti il mantenimento di un livello adeguato di emissione di energia. La qualità intrinseca del bene erogato si individua nella costante e continua erogazione a un dato livello di potenza. Peraltro la necessità di ‘non compromissione della continuità del servizio’, implica l’indicazione di un criterio di determinazione del flusso di energia obbligatoriamente offerto dall’erogatore. L’ottica della pianificazione è legata all’esigenza di non sacrificare il flusso erogato all’utenza: dovrà necessariamente operarsi una valutazione bilanciata del numero complessivo di utenti da connettere con il flusso di potenza che si può garantire. L’entità individuata con tale criterio rappresenta la risorsa-energia, alla quale attribuire la qualifica di bene universale.
Per l’acqua, il punto 8.2.1 delle direttive allegate al d.p.c.m. 4 marzo 1996, dispone: «Alle utenze potabili domestiche devono essere assicurati: a) una dotazione pro capite giornaliera alla consegna, non inferiore a 1501 ab./giorno, intesa come volume attingibile dall’utente nelle 24 ore. Il contratto con l’utente menzionerà il numero di ‘dotazioni’ assegnato all’utente e ad esso garantito». Dalla disposizione si evince l’obbligo di garantire all’utenza un quantitativo minimo di acqua. Si dà così rilievo normativo al punto di equilibrio tra libera disponibilità del bene e obbligo di fornitura dello stesso. Il principio di universalità trova quindi applicazione nell’espressa menzione del limite minimo dell’approvvigionamento dell’utenza. Il bene giuridicamente tutelato a garanzia del soddisfacimento dell’utente è rappresentato nei termini quantitativi menzionati.
La disciplina dell’oggetto specifico (acqua, gas ed energia) del rapporto di utenza conferma che il concetto di bene essenziale assume contenuto normativo.
Per l’acqua, la quantità obbligatoria da erogare si individua nella «dotazione pro capite giornaliera», che vincola l’erogatore con l’imposizione di un livello minimo da garantire. La qualità dell’erogazione è data dal rispetto del livello minimo, indicato dalla disciplina. Quantità da erogare e qualità del servizio sono perciò in correlazione biunivoca, rappresentandosi entrambi nel flusso.
Per il gas, l’adeguatezza della quantità da erogare si individua nel parametro dell’equa distribuzione, rilevando direttamente il contemperamento tra assolvimento dei bisogni dell’utenza e sopravvivenza della rete distributiva, principio cardine della circolazione del bene essenziale.
L’equità distributiva si manifesta anche nel settore dell’energia elettrica, con il richiamo alla qualità del servizio di erogazione. La sopravvivenza dell’assetto distributivo assume il significato normativo di ‘non compromissione della qualità del servizio’, confermando la prospettiva della relazione tra quantità da erogare e qualità del servizio.
La disciplina delle entità erogate relative ai beni essenziali consente quindi di rilevare la dinamica che lega il principio dell’equità distributiva dei beni universali e il rapporto tra quantità minima erogabile e qualità del servizio. Il principio dell’equità condiziona l’approvvigionamento dei beni universali, imponendone limiti quantitativi.
Nella fornitura di beni essenziali si realizza così la contestuale presenza di un’obbligazione continuativa di messa a disposizione della risorsa e di un’obbligazione periodica di consegna del bene. La prima consiste in una prestazione di facere, ancorata al parametro dell’efficienza; la seconda in una prestazione di dare, che si realizza nella traslazione dell’efficienza nell’efficacia del flusso.
Ne consegue che interruzioni di fornitura sono in grado di viziare il rapporto se hanno durata tale da comportare inadempimento della prestazione (composta di un facere e di un dare). Così, brevi interruzioni nell’erogazione, pur costituendo inadempimento dell’erogatore, non rilevano sulla prestazione continuativa di dare che, secondo una valutazione ancorata al parametro dell’efficacia, è adempiuta anche con un modesto differimento della consegna, quanto sulla prestazione di facere, relativa all’allestimento del servizio di erogazione, che rivela così un’inefficienza della continuità del servizio. La valutazione si fonda cioè su un bilanciamento con gli altri fattori della razionalità organizzativa pubblica.
Con riferimento alla prestazione relativa alla fornitura del bene essenziale opera l’art. 1564 c.c., per il quale può chiedersi la risoluzione del contratto «se l’inadempimento ha una notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti».
La reiterata situazione di inadempimento può comportare incertezza circa la precisa e puntuale esecuzione futura, con la conseguenza della risoluzione del contratto e del risarcimento del danno.
Ove vi sia successivo ripristino della buona erogazione non è invece ipotizzabile un’azione di adempimento, essendo venuto meno l’interesse dell’utente alla dazione di quell’entità nella potenza specifica. Se viene erogata l’esatta prestazione una sentenza di attuazione coattiva sarebbe inutiliter data.
Per la fase della continuità nel fare, sono adeguati i rimedi previsti dalla disciplina della somministrazione di servizi, come la richiesta di eliminazione di difformità e vizi a spese dell’appaltatore (art. 1668, 1° co., c.c.); nonché la domanda di risoluzione del contratto se difformità e vizi dell’opera sono «tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione» (art. 1668, 2 ° co., c.c.).
Se invece il calo di potenza non ha tali caratteristiche si può comunque opporre l’exceptio inadimpleti contractus, in quanto si è in presenza di un inadempimento parziale, che comporta anche il risarcimento del danno per il tempo in cui il somministrante era tenuto a prestare.
Limiti alla libertà negoziale
Il quadro normativo si completa con la disciplina del risparmio energetico. La portata del concetto di razionalizzazione della risorsa già definito nella l. 9 genn. 1991 n. 10 dal titolo Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, si completa con la l. 23 ag. 2004 n. 239, sul riordino del settore energetico, ove si stabilisce all’art. 119 che «Al fine di accrescere la sicurezza e l’efficienza del sistema energetico nazionale, mediante interventi per la diversificazione delle fonti e l’uso efficiente dell’energia, il Ministero delle attività produttive realizza […] un piano nazionale di educazione e informazione sul risparmio e sull’uso efficiente dell’energia». La normativa sul risparmio energetico esplicita, con disciplina specifica, l’obiettivo del contenimento dei consumi al fine di evitare sprechi della risorsa scarsa.
Le disposizioni sul risparmio energetico si propongono di garantire diffusamente il bene essenziale. Per l’energia elettrica si è prevista un’apposita disciplina di tutela di equilibrio tra salvaguardia del bene e idoneo sostentamento dell’utenza, con determinazione della misura del massimo fruibile.
Con il d. legisl. 19 ag. 2005 n. 192, in «attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia», sono state previste alcune ipotesi di nullità negoziale (fatte valere dall’acquirente e dal conduttore, art. 15, 8° co. e 15, 9° co.), per i casi in cui nel trasferimento o nella locazione di beni immobili non venga trasmesso l’attestato di certificazione energetica (art. 6, 3° co. e 6, 4° co.). La sanzione della nullità rende cogente l’attuazione di un fondamentale strumento di politica di risparmio energetico, quale è il certificato che in effetti «comprende i dati relativi all’efficienza energetica propri dell’edificio, i valori vigenti a norma di legge e valori di riferimento, che consentono ai cittadini di valutare e confrontare la prestazione energetica dell’edificio» ed «è corredato da suggerimenti in merito agli interventi più significativi ed economicamente convenienti per il miglioramento della predetta prestazione» (art. 6, 6° co.).
La disciplina specifica relativa all’oggetto dei beni essenziali consente di definirne un ulteriore carattere. Dai provvedimenti normativi di settore si conferma il principio che si esprime nei limiti normativi alla libera determinazione della quantità erogabile. Esso rappresenta un limite all’autonomia privata, in attuazione dell’esigenza di razionalizzare il sistema relativo alla erogazione. Ciò – come prevedono le norme indicate – al fine di garantire l’equa distribuzione del bene all’utenza. Nel caso della normativa sul risparmio energetico, il principio opera in via integrativa.
Si può allora considerare accanto al carattere essenziale – la scarsità – attribuibile ai beni universali, l’elemento della preziosità, da intendersi come proprietà di risorse dirette ad assolvere la funzione primaria dell’approvvigionamento di bisogni essenziali. La disciplina diretta alla conservazione di tali risorse e al loro razionale sfruttamento, secondo principi equitativi, determina i limiti alla libera disponibilità di acqua, gas ed energia elettrica; il carattere della preziosità attribuito a risorse scarse ne condiziona lo statuto regolatorio della circolazione.
Nella fase dell’esecuzione del contratto di utenza, con l’emersione del carattere della preziosità limitativo anche della disponibilità del fruitore, si rileva un contemperamento tra esigenze allocative del bene e mantenimento del livello di efficienza del sistema.
Nella somministrazione delle utenze, nella fase della messa a disposizione al pubblico del servizio, si rilevano meri principi di efficienza. Se invece l’offerta è relativa a beni essenziali, l’esistenza di disposizioni specifiche relative all’erogazione conformano, nella fase della esecuzione, il parametro dell’efficienza a quello dell’efficacia secondo i limiti stabiliti attraverso il rinvio normativo.
La valutazione dei limiti normativi nella circolazione dei beni essenziali, collegati alla missione assolta, consente di rilevare un loro peculiare statuto normativo, che, tuttavia, non ne muta la generica destinazione allo scambio tra i consociati. Essi, tuttavia, pur mantenendo la natura di beni commerciali, che dunque sono disponibili e si trasmettono secondo gli strumenti propri del diritto privato, non seguono le regole del mercato.
Sono presenti così due piani di rilevanza giuridica nei beni universali. Secondo il profilo della titolarità del bene, il principio di universalità non preclude l’operare di modelli normativi riguardanti beni privati o privatizzati; sotto il profilo della circolazione, invece, esso determina talune regole consuete ai beni ‘non liberalizzati’. Essi circolano entro un sistema normativo che risulta incardinato sulla predisposizione di strumenti di protezione degli interessi dell’utenza beneficiaria dei beni.
Nel microsistema del rapporto tra privati, le parti pongono in essere trattative, si accordano, eseguono le prestazioni secondo le regole comuni dei contratti. A tali rapporti, se hanno per oggetto servizi pubblici, si applica la disciplina generale dei rapporti di utenza. Se invece i rapporti di utenza hanno per oggetto beni essenziali, i rapporti devono sottostare, a causa di una loro funzione peculiare riconosciuta dalla legge, a un sistema normativo di protezione della sussistenza del bene stesso.
Il relativo contratto di utenza, così, pur avendo la causa tipica della somministrazione, presenta elementi peculiari in tema di obblighi del somministrante e del somministrato.
L’attività imprenditoriale del somministrante è limitata, per quanto riguarda la strategia di impresa, dall’obiettivo della massima allocazione del bene all’utenza, che preclude elementi di profittevolezza legati a una contrazione dell’offerta che non sia giustificata dall’attuazione del principio di universalità. Allo stesso tempo, opera una regolamentazione di tutela della fruizione che stabilisce limiti inderogabili alla circolazione dei beni essenziali suscettibili di godimento da parte dell’utenza.
Il contratto di somministrazione
L’incidenza di specifiche prescrizioni di legge nel settore dei beni essenziali, performative del sistema deviante dal regime ordinario della circolazione, ha effetto anche sul contenuto negoziale dei rapporti di utenza. La direttrice che elementi normativi siano in grado di caratterizzare la fattispecie astratta del contratto – nel caso di utenza di beni universali – si è da ultimo rafforzata con riferimento all’incidenza delle direttive sul diritto dei contratti (Buonocore 2000, pp. 81 e sgg.; De Nova 2000, p. 625; Breccia 2001, pp. 177 e sgg.; Perlingieri 2001, p. 227; Roppo 2002, pp. 10 e sgg.).
La ratio normativa, che si lega ai beni essenziali risiede nell’assunto che sull’oggetto del contratto di erogazione incide il consumo degli altri utenti con i quali l’erogatore si impegna contestualmente. La determinazione dell’entità erogata è dunque condizionata dal proficuo consumo dell’utenza nel suo complesso.
La particolare natura della prestazione erogata, come desumibile dai dati normativi caratterizzanti, consente di affrontare la definizione del tipo negoziale e la sua corrispondenza al contratto di somministrazione.
In effetti, la disciplina specifica dei beni essenziali condiziona le posizioni dei contraenti, determinando taluni effetti sul rapporto negoziale.
L’utilità di una categoria – beni essenziali – può ricavarsi quale valore ordinante a fronte di un carattere individuato nell’essenzialità che funzionalizza l’oggetto negoziale per scelta normativa (Orestano 2000, pp. 97 e sgg.; Gabrielli 2003, pp. 95 e sgg.). Al fascio di diritti e obblighi propri del tipo negoziale si aggiungono diritti e obblighi determinati dalla disciplina settoriale di circolazione della cosa, a essa strettamente correlati.
La facoltà di disporre del bene incontra limiti sia nella fase dell’offerta negoziale in capo all’erogatore, sia nella fase del godimento del bene in capo all’utente, in dipendenza della natura periodica e non continuativa della fase dell’erogazione.
Così l’obbligo di dazione continuativa in capo all’erogatore si specifica quale obbligo di continuità della prestazione, che implica l’assolvimento di particolari obblighi previsti dalle normative speciali. Così il diritto di disporre del bene da parte del somministrato si limita al godimento diretto, precludendo l’ulteriore circolazione del bene. L’utente non potrebbe assumere la qualità di redistributore, che richiederebbe nei suoi confronti una continuità effettiva delle prestazioni erogative, tale da consentirgli una ulteriore circolazione del bene essenziale.
Il nucleo fondamentale degli obblighi tipici del contratto di somministrazione rimane inalterato. Ciò che muta è la portata del diritto di disposizione, che è limitato da norme e principi normativi riconducibili alla funzione assolta dal bene. Una conferma si rintraccia nelle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE entrambe del 26 giugno 2003, che, negli allegati A, specificano a tutela degli utenti una serie di misure di garanzie aggiuntive rispetto alle norme di protezione già tipizzate per i consumatori dalle rispettive direttive 1993/13/CEE del 5 apr. 1993 e 1997/7/CE del 20 maggio 1997.
L’evoluzione legislativa ha sin qui dato vita a discipline di protezione del contraente ritenuto debole, deviando dagli schemi negoziali tipizzati nel codice civile, allo scopo di realizzare un controllo sostanziale sul contenuto del contratto, e predisponendo regole specifiche al suo modo di conclusione.
La ratio del riequilibrio tra posizioni negoziali impari ha così plasmato la lettura e i criteri interpretativi delle norme sulla categoria dei ‘contratti dei consumatori’. Ma altri esempi dello zelo ‘protettivo’ del nostro legislatore, perlopiù di derivazione comunitaria si riscontrano nella specifica regolamentazione di quelle offerte negoziali ‘aggressive’ che impediscono la riflessione del consumatore sulla ponderatezza dell’affare (è il caso delle cosiddette vendite porta a porta); ma anche nella valutazione negativa della complessità e poca familiarità del meccanismo di stipula (vendite telematiche); o, infine, per la constatata insorgenza di situazioni di abuso in un dato settore commerciale (multiproprietà, subfornitura).
In tutti i casi l’opzione del legislatore comunitario discende dalla constatazione della peculiarità dell’oggetto negoziale relativo ad alcuni beni che presentano caratteri tali da giustificare la disciplina deviante del relativo rapporto. È il particolare tipo di prestazione che unifica gli schemi legali tipizzati nelle direttive, avvicinandoli nella disciplina ad altre normative di protezione.
Ma nessuna di queste giustificazioni è rinvenibile per la disciplina di protezione dei beni essenziali. Il consumatore di beni essenziali è invece un consumatore qualificato per lo stretto collegamento tra l’oggetto di consumo e l’interesse alla sussistenza del bene, atto a giustificare la previsione di ulteriori obblighi e oneri informativi in capo all’erogatore.
Fonti normative
Le fonti più recenti per l’impalcatura normativa del sistema relativo all’erogazione dei beni essenziali sono: le direttive 2003/54/CE (energia elettrica) e 2003/55/CE (gas) entrambe del 26 giugno 2003; l. 23 ag. 2004 n. 239; l. 3 ag. 2007 n. 125; direttiva 2002/22/CE del 7 marzo 2002; d. legisl. 16 marzo 1999 n. 79; d. legisl. 23 maggio 2000 n. 164; d. legisl. 19 ag. 2005 n. 192.
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