PARAFERNALI, BENI
. Storia del diritto. - Parapherna (παράϕερνα) è parola greca, che indica etimologicamente una categoria di beni che è fuori, oltre la dote, παρὰ τὴν ϕερνήν: la parola ricorre più volte nei papiri greco-egizî dei primi secoli d. C., e poi nelle costituzioni romane dal Basso Impero. Ma, almeno nei papiri, παράϕερνα non sono tutti i beni che, non portati in dote, restano nella piena disponibilità della donna, non vincolati agli oneri del matrimonio; bensì un secondo apporto della sposa, aggiunto alla dote e comprendente oggetti di suo uso personale o una sommetta a uso di spillatico: di questi beni che, entrando in casa del marito, rischierebbero di confondersi col patrimonio di lui, gli si fa sottoscrivere un elenco, che ne garantisce la restituzione alla moglie o ai suoi eredi. Un apporto analogo era d'uso naturalmente anche in Roma, e per rimanere in proprietà della moglie si distingueva dalla dote, di cui invece diveniva proprietario il marito: in mancanza di un'apposita espressione tecnica, parrebbe che si usasse abusivamente la denominazione di peculium (che propriamente indicava tutt'altra cosa, v. peculio).
Nell'ultimo diritto romano (giustinianeo), pur adottandosi la parola greca, il significato se ne amplia notevolmente; ma non mai fino al punto da coincidere con l'insieme dei beni non costituiti in dote (res quae extra dotem sunt); infatti non era il caso di adottare un nome speciale quando il regime corrispondeva a quello d'ogni cosa normalmente goduta dal suo proprietario. L'estensione del significato originario è nel senso che, oltre allo spillatico di cui si è detto, altri e più importanti cespiti possono essere portati dalla donna nella casa coniugale loco paraphernarum, in modo da conferirne al marito l'amministrazione: la conseguenza rigorosa del loro carattere extradotale dovrebbe essere la spettanza esclusiva alla moglie, rispondendone verso di lei il marito come un qualsiasi mandatario; ma da questo rigore Giustiniano si allontana, almeno per il caso che i paraferni siano rappresentati da un credito, consentendo che gl'interessi siano dal marito stesso erogati a vantaggio comune della moglie e suo (circa se et uxorem); inoltre egli risponde non in relazione alla diligenza tipica di un buon padre di famiglia, bensì, come per la dote, nei limiti della diligenza che suole adoperare nelle cose proprie (culpa in concreto; v. colpa).
Diritto moderno. - Il codice civile italiano (art. 1425) definisce come beni parafernali tutti i beni della moglie che non sono stati costituiti in dote. Ne deriva che sono parafernali sia i beni appartenenti alla moglie per acquisto anteriore alla costituzione di dote e in essa non compresi, sia quelli da lei acquistati posteriormente alla costituzione, purché non abbiano carattere dotale, qualunque possa essere la natura e la provenienza di tali beni. Ne deriva altresì che il sistema dei beni parafernali può coesistere col regime dotale; ma può anche costituire da solo un regime patrimoniale fra i coniugi, anzi rappresenta il regime legale del nostro ordinamento positivo.
Dei beni parafernali la moglie ha la proprietà, come per la dote di specie, e anche la completa disponibilità dopo l'abolizione dell'istituto dell'autorizzazione maritale, dovuta alla legge del 17 luglio 1919, n. 1176. Con essi la donna è tenuta però a contribuire al mantenimento della prole (art. 138 cod. civ.) e, ove occorra, al mantenimento del marito (art. 132 capov.), nella misura fissata nel contratto o, in mancanza, in quella determinata dall'art. 138 del codice (art. 1426). Ove la misura sia fissata nel contratto, si discute se essa debba restare immutata o possa variare col modificarsi della posizione economica dei coniugi.
La moglie ha il diritto di amministrare personalmente i suoi beni parafernali; ma possono ancora darsi quattro ipotesi. La moglie può conferire il mandato ad amministrare i suoi beni parafernali con l'obbligo del rendiconto dei frutti e allora le regole del contratto di mandato trovano applicazione nei rapporti interni fra mandante e mandatario e fra quest'ultimo e i terzi (art. 1428 cod. civ.). La moglie può costituire mandatario il marito, senza obbligo di rendere conto dei frutti. Il marito può godere dei beni parafernali senza procura, ma senza opposizione della moglie. In tali casi egli o i suoi eredi non sono tenuti che a rendere conto dei frutti esistenti al tempo della prima domanda, anche non giudiziale, della moglie, oppure al tempo dello scioglimento del matrimonio, senza essere obbligati a rendere conto dei frutti già consumati, dovendosi ritenere per tali anche quelli investiti dal marito nell'acquisto di beni mobili o immobili (articoli 1427, 1428, 1429 cod. civ.). Infine il marito può godere dei beni parafernali, nonostante l'opposizione della moglie, e in quest'ultima ipotesi egli deve rendere conto dei frutti esistenti e dei consumati (art. 1430).
Al marito che goda dei beni parafernali, con o senza opposizione della moglie, la legge (art. 1431) impone tutte le obbligazioni di un usufruttuario; ma è questa una disposizione cui le parti possono espressamente o tacitamente derogare in tutto o in parte col contratto di mandato.
Per l'identità di situazione giuridica della moglie rispetto al marito, il codice (art. 1432) regola nel modo sopra indicato anche i casi in cui la moglie ha avuto l'amministrazione o il godimento dei beni del marito. Ma questi casi non rientrano però nel regime dei beni parafernali, caratteristici della donna maritata.
Bibl.: L. Mitteis, Reichsrecht und Volksrecht, Lipsia 1891, pp. 106, 285; O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte, II, Lipsia 1901, p. 191 seg.; M. Pampaloni, Questioni di diritto giustinianeo: Amministrazione dei beni parafernali, in Riv. ital. per le sc. giur., LII (1913), p. 162 segg.; G. Castelli, Ι παράϕερνα nei papiri greco-egizii e nelle fonti romane, Milano 1913 (ristampato in Scritti giur., Milano 1923, p. 1 segg.); P. Bonfante, Corso di dir. rom., I: Dir. di famiglia, Roma 1925, p. 373 segg.