Beni pubblici e privati. Criteri di individuazione della demanialita di un bene
L’affermazione delle Sezioni Unite civili n. 3665 del 2011 secondo cui devono ritenersi comuni, prescindendo dal titolo di proprietà, quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione, risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività ed alla realizzazione dello Stato sociale, enuncia nuovi criteri di carattere finalistico e funzionale nella individuazione della natura demaniale di un bene, sostanzialmente in linea con la proposta della Commissione Rodotà. Il concetto di funzione sociale della proprietà viene, quindi, ad evolversi, nel senso che non costituisce soltanto un limite esterno alla proprietà privata, ma rappresenta anche un parametro distintivo della natura pubblica di un bene.
In tema di beni pubblici, la sentenza delle Sezioni Unite civili n. 3665 del 14.2.2011 ha affermato – al pari di altre, analoghe, emesse nella stessa data – i seguenti principi di diritto:
• «il connotato della demanialità esprime una duplice appartenenza, alla collettività ed al suo ente esponenziale, dovendosi intendere la titolarità in senso stretto come appartenenza di servizio, nel senso che l’ente esponenziale può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la sua concreta possibilità di fruizione; ne consegue che la titolarità dei beni demaniali allo Stato o agli altri enti territoriali non è fine a sé stessa e non rileva solo sul piano della proprietà, ma comporta per l’ente titolare anche la sussistenza di oneri di governance finalizzati a rendere effettive le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene»;
• «dalla applicazione diretta degli artt. 2, 9 e 42 Cost. si ricava il principio della tutela della personalità umana e del suo corretto svolgimento, nell’ambito dello Stato sociale, anche in relazione al paesaggio, con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della proprietà dello Stato, ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione, risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività e che – per tale loro destinazione alla realizzazione dello Stato sociale – devono ritenersi comuni, prescindendo dal titolo di proprietà, risultando così recessivo l’aspetto demaniale a fronte di quello della funzionalità del bene rispetto ad interessi della collettività». La sentenza è stata emessa in una fattispecie in cui una società privata aveva chiesto accertarsi il proprio diritto di proprietà su una valle di pesca ubicata nella laguna di Venezia, deducendo la violazione dell’art. 42 Cost. in quanto nessun atto statale era mai intervenuto per dichiarare la demanialità della valle, dopo l’entrata in vigore dei due codici del ’42, e violazione dell’art. 829 c.c. non essendo necessario alcun atto formale di sdemanializzazione per la cessazione della demanialità. I resistenti (due Ministeri, l’Agenzia delle dogane e la Regione Veneto) avevano opposto che il bene apparteneva al cd. demanio necessario poiché già storicamente, all’epoca dell’impero austriaco, la laguna veniva considerata (in conseguenza delle sue connotazioni fisiche) appartenere al demanio, necessario e marittimo (secondo le previsioni dell’art. 28 del codice della navigazione). Dopo aver richiamato le tre categorie civilistiche dei beni pubblici (demaniali, patrimoniali indisponibili e patrimoniali disponibili) ed il relativo regime giuridico ed aver precisato che, per quanto riguarda il demanio marittimo, assumono rilievo gli artt. 28-35 c. nav., e, per quanto riguarda la laguna, l’art. 28, primo comma, lett. d), c. nav., la sentenza indica una lettura costituzionalmente orientata del quadro normativo, facendo leva sulla diretta applicabilità del principio della tutela umana della personalità e del suo svolgimento nello Stato sociale (di cui è parte integrante la tutela del paesaggio), con la conseguenza che hanno natura pubblica tutti quei beni che possono considerarsi funzionali al perseguimento ed al soddisfacimento degli interessi della collettività, con superamento di una prospettiva meramente patrimoniale e proprietaria ed accesso ad un’impostazione di tipo personale e collettivistico. Il principio per cui i beni non si devono classificare col criterio della loro titolarità, bensì con quello della funzione e degli interessi ad essi collegati, viene tratto dalla Corte attraverso la ricostruzione del quadro normativo, per giungere alla conclusione che l’aspetto dominicale della tipologia del bene cede il passo alla realizzazione degli interessi fondamentali per il compiuto svolgimento della umana personalità. La conclusione, confermando con più ampia motivazione quanto già affermato dal giudice di merito1, è che le valli da pesca, essendo costituite da bacini di acqua salsa o salmastra comunicanti (anche se non per tutto l’anno, nonostante l’esistenza di chiuse e/o analoghi meccanismi idraulici approntati dai privati) con il mare, ne presentano le medesime utilizzazioni, secondo una oggettiva conformazione fisica ai servizi pubblici del mare, con la conseguente attrazione (ad eccezione delle zone emerse dall’acqua) alla relativa natura pubblica. Al di là della specifica vicenda concernente le valli della laguna di Venezia e della ricostruzione storica del quadro normativo2, la decisione, peraltro parzialmente sterilizzata3 dal legislatore con l’art. 2, co. 1 ter, del d.l. 29.12.2010, n. 2254, aggiunto dalla legge di conversione 26.2.2011, n. 10, è importante per l’affermazione dei criteri di individuazione della natura demaniale di un bene e per il fondamentale contributo al dibattito sul concetto di bene comune.
1.1 I criteri finalistico e funzionale nella individuazione della natura demaniale di un bene
Le Sezioni Unite ritengono che non sia più possibile limitarsi, in tema di individuazione dei beni pubblici o demaniali, all’esame della sola normativa codicistica del ’42, risultando indispensabile integrare la stessa con le varie fonti dell’ordinamento ed in particolare con le norme costituzionali. Anche se la Costituzione non contiene un’espressa definizione dei beni pubblici, né una loro classificazione, tuttavia, dagli artt. 2, 9 e 42 Cost., aventi diretta applicabilità, si ricava il principio della tutela della umana personalità e del suo corretto svolgimento nell’ambito dello Stato sociale, anche nell’ambito del paesaggio, con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della proprietà dello Stato ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività. La Corte pone, in particolare, l’accento sull’art. 9 Cost., per il quale la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione, affermazione contenuta nell’ambito dei principi fondamentali che negli ultimi anni ha costituito fondamento per una ricca legislazione culminata con il codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22.1.2004, n. 42). A sua volta l’art. 42 Cost., pur essendo centrato prevalentemente sulla proprietà privata, esordisce con la significativa affermazione secondo cui la proprietà è pubblica o privata, il che costituisce un implicito riconoscimento di una diversità di fondo tra i due tipi di proprietà. Più di recente, ancora, la riforma attuata con la l. cost. 18.10.2001, n. 3 , che ha modificato il titolo quinto della parte seconda della Costituzione, ha ricondotto alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (art. 117, co. 2), mentre ha stabilito la competenza concorrente dello Stato e delle Regioni per ciò che riguarda la valorizzazione dei beni culturali e ambientali (art. 117, co. 3); l’art. 118, co. 3, Cost. inoltre, dispone che la legge statale disciplina forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Da tale quadro normativo-costituzionale, e fermo restando il dato essenziale della centralità della persona (e dei relativi interessi), da rendere effettiva, oltre che con il riconoscimento di diritti inviolabili, anche mediante adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, emerge – ad avviso della Corte – l’esigenza interpretativa di guardare al tema dei beni pubblici oltre una visione prettamente patrimoniale proprietaria per approdare ad una prospettiva personale-collettivistica. Ciò comporta che, in relazione al tema in esame, più che allo Stato-apparato, quale persona giuridica pubblica individualmente intesa, debba farsi riferimento allo Stato-collettività, quale ente esponenziale e rappresentativo degli interessi della cittadinanza (collettività) e quale ente preposto alla effettiva realizzazione di questi ultimi; in tal modo disquisire in termine di sola dicotomia beni pubblici (o demaniali)-beni privati significa, in modo parziale, limitarsi alla mera individuazione della titolarità dei beni, tralasciando l’ineludibile dato della classificazione degli stessi in virtù della relativa funzione e dei relativi interessi a tali beni collegati. Ne deriva quindi che, là dove un bene immobile, indipendentemente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connotazioni, in particolar modo quelle di tipo ambientale e paesaggistico, destinato alla realizzazione dello Stato sociale come sopra delineato, detto bene è da ritenersi, al di fuori dell’ormai datata prospettiva del dominium romanistico e della proprietà codicistica, comune vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà, strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti i cittadini. Ad avviso della S.C. tale conclusione è confortata dalla recente evoluzione normativa. Ed infatti, già da tempo, dottrina e giurisprudenza hanno fatto propria l’idea di una necessaria funzionalità dei beni pubblici, con la conseguente convinzione che il bene è pubblico non tanto per la circostanza di rientrare in una delle astratte categorie del codice quanto piuttosto per essere fonte di un beneficio per la collettività, sino ad ipotizzare casi di gestione patrimoniale dei beni pubblici (come la loro alienazione e cartolarizzazione). In proposito vale la pena ricordare che già il codice prevede espressamente, all’art. 825, la figura giuridica dei diritti demaniali su beni altrui, disponendo che il regime del demanio pubblico si estende ai diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni quando essi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati negli articolari precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi. In tale prospettiva, la sentenza richiama gli istituti delle servitù pubbliche e dei diritti di uso pubblico, quali le strade vicinali, gli usi civici e le proprietà collettive, nonché la normativa in tema di aree protette (l. quadro 6.12.1991, n. 394). La conseguenza è che il solo aspetto della demanialità non appare esaustivo per individuare beni che, per loro intrinseca natura, o sono caratterizzati da un godimento collettivo o, indipendentemente dal titolo di proprietà pubblico o privato, risultano funzionali ad interessi della stessa collettività. In tal modo, risultando quest’ultima costituita da persone fisiche, l’aspetto dominicale della tipologia del bene in questione cede il passo alla realizzazione di interessi fondamentali indispensabili per il compiuto svolgimento dell’umana personalità. Ed è appunto in tale seconda prospettiva che vanno inquadrate le cd. valli da pesca che presentano (con esclusione delle zone emerse dall’acqua) una funzionalità e una finalità pubblica-collettivistica. Infatti, i requisiti della demanialità persistono sulla scorta della legislazione vigente, trattandosi in un bacino acqueo rimasto pur sempre in collegamento con la laguna aperta e quindi con il mare, nonostante la realizzazione di sbarramenti più efficienti rispetto alle antiche cogolere; permane anche l’idoneità a soddisfare gli usi marittimi, in particolare la pesca e la navigazione (quest’ultima, ovviamente, solo con modeste imbarcazioni). Dunque, la demanialità esprime una duplice appartenenza alla collettività ed al suo ente esponenziale, dove la seconda (titolarità del bene in senso stretto) si presenta, per così dire, come appartenenza di servizio che è necessaria, perchè è questo ente che può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la loro fruizione. Sicché, al fine di riconoscere se in concreto il particolare bene di cui si discute fa parte della realtà materiale che la norma, denominandola, inserisce nel demanio, si deve tener conto in modo specifico del duplice aspetto finalistico e funzionale che connota la categoria dei beni in questione. Ne consegue ancora che la titolarità dello Stato (come Stato-collettività, vale a dire come ente espositivo degli interessi di tutti) non è fine a se stessa e non rileva solo sul piano proprietario, ma comporta per lo stesso gli oneri di una governance che renda effettivi le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene.
La pronuncia delle Sezioni Unite si colloca nello stessa prospettiva delle soluzioni adottate dalla Commissione Rodotà istituita presso il Ministero della giustizia, con decreto del Ministro, il 21 giugno 2007, al fine di elaborare uno schema di legge delega per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici5. Come si evince dalla relazione di accompagnamento alla proposta di disegno di legge, «la riforma si propone di operare un’inversione concettuale rispetto alle tradizioni giuridiche del passato. Invece del percorso classico che va dai regimi ai beni, l’indirizzo della Commissione procede all’inverso, ovvero dai beni ai regimi. L’analisi della rilevanza economica e sociale dei beni individua i beni medesimi come oggetti, materiali o immateriali, che esprimono diversi fasci di utilità. Di qui la scelta della Commissione di classificare i beni in base alle utilità prodotte, tenendo in alta considerazione i principi e le norme costituzionali – sopravvenuti al codice civile – e collegando le utilità dei beni alla tutela dei diritti della persona e di interessi pubblici essenziali». In particolare, è stata prevista «una nuova fondamentale categoria, quella dei beni comuni, che non rientrano stricto sensu nella specie dei beni pubblici, poiché sono a titolarità diffusa, potendo appartenere non solo a persone pubbliche, ma anche a privati. Ne fanno parte, essenzialmente, le risorse naturali, come i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque; l’aria; i parchi, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; le altre zone paesaggistiche tutelate. Vi rientrano, altresì, i beni archeologici, culturali, ambientali6. Sono beni che soffrono di una situazione altamente critica, per problemi di scarsità e di depauperamento e per assoluta insufficienza delle garanzie giuridiche. La Commissione li ha definiti come cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona, e sono informati al principio della salvaguardia intergenerazionale delle utilità. Per tali ragioni, si è ritenuto di prevedere una disciplina particolarmente garantistica di tali beni, idonea a nobilitarli, a rafforzarne la tutela, a garantirne in ogni caso la fruizione collettiva, da parte di tutti i consociati, compatibilmente con l’esigenza prioritaria della loro preservazione a vantaggio delle generazioni future. In particolare, la possibilità di loro concessione a privati è limitata. La tutela risarcitoria e la tutela restitutoria spettano allo Stato. La tutela inibitoria spetta a chiunque possa fruire delle utilità dei beni comuni in quanto titolare del corrispondente diritto soggettivo alla loro fruizione»7.
Tanto la soluzione delle Sezioni Unite, che i lavori della Commissione Rodotà, evidenziano la tendenza al superamento della tradizionale classificazione dei beni pubblici8. Alla base di tale tendenza vi è l’evoluzione del concetto di funzione sociale della proprietà al quale l’art. 42 Cost. fa espresso riferimento con riguardo alla proprietà privata9. In proposito si è sottolineato «lo stretto legame sussistente fra il precetto della funzione sociale e quello della generale accessibilità: la funzione (non solo individuale, ma anche) sociale della proprietà privata sarebbe primariamente garantita dalla configurazione di quest’ultima non come privilegio di pochi ma come diritto di molti (e potenzialmente di tutti). Del resto, la funzione sociale della proprietà privata neppure parrebbe esaurirsi nella massima estensione della sua titolarità e piuttosto sembrerebbe coincidere – in forza del ragionamento secondo cui la funzione sociale dovrebbe, ovviamente, essere una funzione (non dannosa, né indifferente, bensì) utile rispetto alla società (in altre parole, servente rispetto al bene comune) – con l’area denotata della utilità sociale di cui al secondo comma dell’art. 41 Cost.»10. Da tempo si osserva, peraltro, che «la Costituzione apre … un processo di trasformazione, basato sulla solidarietà e sull’accessibilità da parte di tutti all’uso dei beni, condizione intermedia tra la proprietà come dominio e la proprietà popolare ovvero la non proprietà»11 e che, in generale, la concezione proprietaria emergente nell’ambito dei rapporti economici tende complessivamente a fini dichiarati di utilità sociale, escludendo «il diritto di proprietà come dominio assoluto ed illimitato su beni, caratterizzandone il contenuto attraverso un regime di limiti e funzioni che il costituente riserva alla determinazione del legislatore»12. Ecco quindi che il concetto di funzione sociale non costituisce soltanto un limite esterno alla proprietà privata, ma rappresenta anche un parametro distintivo della natura pubblica di un bene, ravvisabile laddove lo stesso, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per intrinseca natura o finalizzazione, risulti, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionale al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività e dei singoli che ne fanno parte, sì da rappresentare elemento essenziale per l’attuazione e la piena esplicazione dei loro diritti di personalità. Ne deriva che la proprietà pubblica non va intesa come «un insieme di facoltà garantite dall’ordinamento al loro titolare per la soddisfazione di un interesse proprio, bensì una situazione giuridica strutturalmente diversa, con marcati tratti di doverosità, e rivolta alla tutela di un interesse altrui (o comunque distinto da quello personale di colui che esercita il complesso delle relative facoltà)»13. Caratteristiche comuni dei beni pubblici così intesi sono le seguenti:
1) la qualità di bene pubblico «(il suo ricorrere in concreto in riferimento ad una singola cosa o porzione immobiliare) e dunque, l’ascrizione della cosa stessa alla categoria può essere accertata in via giurisdizionale (in caso di contestazione su di essa)»14;
2) gli atti amministrativi di classificazione del bene come pubblico e di delimitazione in concreto della loro sussistenza hanno valore dichiarativo15;
3) gli eventuali atti privatistici di trasferimento di detti beni sono nulli per impossibilità giuridica dell’oggetto, al pari di eventuali comportamenti concludenti posti in essere dalla pubblica amministrazione mediante suoi funzionari in quanto illeciti16.
3.1 Il paesaggio quale bene pubblico «plurifunzionale»
Tra i vari beni pubblici individuabili sulla base di criteri finalistico-funzionali cui fanno riferimento le Sezioni Unite, il paesaggio ha la caratteristica di venire in evidenza per la pluralità dei profili coinvolti17. Ed invero, l’originaria ragione di conservazione di beni e di località caratterizzati da un particolare pregio, presente nella l. 29.6.1939, n. 1497 fondata su una concezione meramente estetica del paesaggio (a valenza essenzialmente culturale18), in cui lo stesso veniva giudicato sul parametro del bello di natura dotato dei caratteri di non comune bellezza ed appartenente ad un quadro naturale, ha nel tempo subito spinte evolutive dovute alla consapevolezza dei limiti di un sistema di tutela incentrato sull’individuazione, di volta in volta, con provvedimento amministrativo, dei beni protetti. Si passò, quindi, con la l. 8.8.1985, n. 431 alla previsione di una serie di beni sottoposti a vincolo paesaggistico ex lege su tutto il territorio nazionale19. La Corte costituzionale, con la sentenza 27.6.1986, n. 156 definì la legge 431 cit. come una «innovazione legislativa di largo respiro, capace di ravvisare una inversione di tendenza sui processi economici, e di promuovere, sul piano sociale, le esigenze connesse ad una migliore qualità della vita. Questa è riferibile alla valenza ambientale degli ambienti naturali tutelati, salubrità e naturalità, più che a quella estetica». Peraltro la Corte considerò l’innovazione di contenuto ambientale come conseguente alla «tutela del paesaggio improntata a integralità e globalità, vale a dire una riconsiderazione assidua dell’intero territorio nazionale alla luce ed in attuazione del valore estetico culturale del quale viene affermata la primarietà». Questa concezione bipolare del paesaggio (aspetto culturale ed ambientale al tempo stesso) ha trovato conferma anche nella successiva evoluzione normativa, in quanto le categorie di beni tutelati ex lege dalla legge 431 sono state riprodotte nei testi unici Melandri (d.lgs. 29.10.1999, n. 490) ed Urbani (d.lgs. n. 42 del 2004, attualmente vigente) i quali hanno, sostanzialmente, unificato la tutela prevista per le singole bellezze naturali di cui alla legge n. 1497 del 1939 e quella di carattere generale prevista dalla legge Galasso n. 431 del 1985. È, quindi, acquisito che oggetto della tutela paesaggistica non è più soltanto la bellezza naturale con i valori storici e culturali di cui è portatrice, ma anche la valenza ambientale del territorio, in senso ampio, espressiva di una pluralità combinata di valori, quali:
a) la salubrità ambientale, concetto emerso con la storica sentenza della Cassazione 16.10.1979, n. 5172 che sottolineò come il diritto alla salute non rileva tanto come mero diritto alla vita e all’incolumità fisica, quanto come diritto all’ambiente salubre, fondato sugli artt. 2 e 32 Cost., azionabile da parte di qualsiasi cittadino in forza dell’art. 2043 c.c., con la conseguenza che il risarcimento del danno non può essere limitato alle conseguenze che incidono sull’attitudine a produrre reddito, ma deve autonomamente comprendere anche il cosiddetto danno biologico, inteso come la menomazione dell’integrità psico-fisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell’ambiente in cui la vita si esplica, ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica;
b) il valore d’uso, legato all’utilità percepita dai consumatori con la fruizione del bene ambiente;
c) il valore di lascito, legato al desiderio di assicurarsi la disponibilità del bene per poterne fruire in futuro e che assume rilevanza quando vi sono situazioni di incertezza sulla disponibilità futura della risorsa ambientale; che ha come preciso riferimento la possibilità di usufruire di un determinato bene da parte delle generazioni future;
d) il valore di esistenza o intrinseco, legato alla possibilità di preservare il bene da una possibile distruzione a prescindere da qualunque considerazione legata all’uso attuale o futuro di tale risorsa. Il valore di esistenza si riferisce, infatti, all’utilità percepita dai soggetti per il solo fatto che le risorse continuano ad esistere, indipendentemente dalla possibilità di trarne un beneficio dall’uso. Tale valore, che viene misurato dalla disponibilità a pagare per l’esistenza o la salvaguardia di determinati beni, è quindi indipendente da qualsiasi uso presente o futuro: è, quindi, riconducibile a posizioni di tipo etico, morale o ideologico20. In tale contesto, la valenza estetico-culturale del paesaggio, pur prevalente, non è esclusiva, stante la compresenza di valori più strettamente legati alla conservazione dell’ecosistema ed alla sua salubrità21. Sembra, allora, non in linea con tale prospettiva «plurifunzionale» caratterizzante la disciplina di gestione e tutela, la relativa definizione contenuta nell’art. 131 del codice Urbani, che sembra operare nell’ambito esclusivamente estetico-culturale, essendo riferita ad un territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni, con la precisazione che il presente codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali, che la tutela del paesaggio, ai fini del presente codice, è volta a riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare i valori culturali che esso esprime ed, infine, che la valorizzazione del paesaggio concorre a promuovere lo sviluppo della cultura. Analogo limite sembra caratterizzare i criteri dettati nel dicembre del 1992 dal Comitato del patrimonio mondiale della Convenzione sulla protezione del patrimonio naturale e culturale mondiale, approvata dalla Conferenza generale dell’UNESCO nel novembre del 1972, i quali ai fini dell’applicazione della convenzione, individuano le seguenti categorie di paesaggi culturali:
• il paesaggio evolutivo, risultante da un’esigenza sociale, economica, amministrativa e/o religiosa che ha raggiunto la sua forma attuale associandosi e adeguandosi al suo ambiente naturale;
• il paesaggio vestigia (o fossile), il cui processo evolutivo è stato interrotto ad un determinato momento;
• il paesaggio vivo, che conserva un ruolo sociale attivo nella società contemporanea, strettamente associato al modo di vivere tradizionale e in cui il processo evolutivo continua. In tale ambito si distingue tra:
• paesaggio chiaramente definito, concepito e creato intenzionalmente dall’uomo che comprende i giardini e i parchi;
• paesaggio culturale associativo elencato sulla lista del patrimonio mondiale per l’intensità dei fenomeni religiosi, artistici o culturali collegati con gli elementi naturali. Un diverso approccio si rinviene nella nozione di danno ambientale, da intendersi quale lesione all’ambiente in sé, come bene collettivo, da cui sorge il diritto dello Stato al risarcimento, a prescindere dalla compromissione della sfera individuale (autonomamente risarcibile). Tale nozione, enunciata dalla direttiva 2004/35/CE e confermata dall’art. 300 del d.lgs. n. 152 del 2006, fa, infatti, riferimento, oltre a fenomeni di inquinamento delle acque e del terreno, anche alla lesione di alcune categorie di beni paesaggistici, in cui vengono in evidenza particolari esigenze di salubrità ambientale, quali gli habitat e le aree naturali protette (i parchi). Non a caso l’art. 1 della legge quadro sui parchi (n. 394 del 1991) indica tra la sue finalità quella di attuare gli articoli 9 e 32 della Costituzione (rispettivamente in tema di tutela del paesaggio e del diritto fondamentale alla salute), facendo, quindi, riferimento ad una prospettiva combinata di tali due profili (uno storico-culturale, l’altro inerente alla salubrità ambientale) la cui compresenza identifica il patrimonio naturale del parco (definito come «le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale»). Ed è proprio il riferimento a queste due norme della Costituzione conferma che, in alcuni casi, il bene paesaggistico viene tutelato non solo per la dimensione estetico-culturale, ma anche perché a questa si collega, in modo inscindibile, l’esigenza di conservazione dell’ecosistema e della sua salubrità. La tutela del paesaggio costituisce, allora, un sistema autonomo, segnato dalla compresenza di una pluralità di valori, che si caratterizza per: a) la natura originaria, nel senso che il vincolo sorge anche se i procedimenti amministrativi che lo dichiarano (nel caso di bellezze individue o d’insieme) o lo disciplinano (nel caso di beni paesaggistici ex lege) non sono completati; b) una concezione evolutiva del paesaggio, tanto che secondo la Cassazione, la nozione di territori coperti da boschi, ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico, comprende sia il bosco naturale che quello artificiale22.
1 App. Venezia, 10.6.2008, in Dir. maritt., 2009, 782, con nota di Morbidelli, Sulla natura privata delle valli da pesca «morte» della laguna veneta.
2 Al riguardo si rinvia a T. Greco-M. Greco, La storia immutata delle valli da pesca dalla serenissima ad oggi, in Corr. giur., 2011, 799. In generale, sul demanio marittimo, si rinvia a Di Dio, Il quadro normativo sulla tutela del demanio idrico fluviale, in Riv. giur. amb., 2009, 189, ed ivi riferimenti.
3 Come evidenziato da Pierobon, Beni pubblici da rileggere in senso costituzionale: alcuni spunti di riflessione dalla lettura della sentenza della corte di cassazione, sezioni unite civili, n. 3665 del 2011, in www.lexambiente.it.
4 Recante Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie.
5 Per approfondimenti sui lavori della Commissione, si rinvia a Rodotà-Mattei-Reviglio (a cura di), I beni pubblici. Dal governo democratico dell’economia alla riforma del codice civile, Roma, 2010.
6 Per le linee guida di una teoria giuridica relativa ai beni comuni, strettamente correlata al soddisfacimento dei diritti fondamentali, cfr. Lucarelli, Note minime per una teoria giuridica sui beni comuni, in Quale Stato, 2007, 87.
7 Per quel che riguarda propriamente i beni pubblici, appartenenti a soggetti pubblici, la proposta abbandona la distinzione formalistica fra demanio e patrimonio ed introduce una partizione sostanzialistica, distinguendo i beni pubblici, a seconda delle esigenze sostanziali che le loro utilità sono idonee a soddisfare, in tre categorie: beni ad appartenenza pubblica necessaria; beni pubblici sociali; beni fruttiferi.
8 Già anticipato in dottrina da Cerulli Irelli, I beni pubblici nel codice civile: una classificazione in via di superamento, in Econ. pubbl., 1990, 523.
9 Sulla nozione di funzione sociale della proprietà, cfr. Rescigno, Proprietà, in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 273.
10 Pedrini, Note preliminari a uno studio sui diritti costituzionali economici, in www.forumcostituzionale. it.
11 Berti, Recenti scritti di giuspubblicisti intorno alla proprietà, in Quad. fior., 1976-77, 998, così citato da Lieto, «Beni comuni», diritti fondamentali e Stato sociale. La Corte di Cassazione oltre la prospettiva della proprietà codicistica, nota a Cass. n. 3665/2011, cit., in Pol. dir., 2011, II, in corso di stampa.
12 Lucarelli, La proprietà «pianificata », Napoli, 2010, 204, così citato da Lieto, «Beni comuni», cit.
13 Pedrini, Note preliminari, cit., così citato da Lieto, «Beni comuni», cit.
14 Lieto, «Beni comuni», cit.
15 Cerulli Irelli, Beni pubblici, in Dig. pubbl., II, Torino, 1987, 284.
16 Cass n. 3665/2011, cit.
17 Per una lettura costituzionale della nozione di paesaggio, cfr. Carpentieri, La tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione nell’articolo 9 della Costituzione, in www.giustizia-amministrativa.it.
18 Sulla natura pubblica dei beni culturali si rinvia, ex multis, a Lieto, «Beni comuni», cit. nonché a Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 3, N. Greco, Stato di cultura e gestione dei beni culturali, Bologna, 1981, 16 e Santoro Passarelli, I beni della cultura secondo la Costituzione, in Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea costituente, II, Firenze, 1969, 436.
19 Trattasi dei seguenti beni: a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare; b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi; c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d’acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna; d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole; e) i ghiacciai e i circhi glaciali; f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi; g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento; h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici; i) le zone umide incluse; l) i vulcani; m) le zone di interesse archeologico.
20 Le definizioni di cui alle lettere b) e d) sono di Pericola, Chi inquina paghi anche i danni esistenziali e i danni psichici, in www.ambientediritto.it.
21 Coglie tale prospettiva Predieri, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, II, 398, per il quale «il paesaggio è una porzione del territorio considerata dal punto di vista prospettico o descrittivo. In altre parole, il paesaggio è l’insieme delle fattezze di una località. Taluno aggiunge che esse debbono essere considerate nei loro aspetti caratterizzanti, ottenuti in via di astrazione o di generalizzazione, emancipandoli dagli aspetti di contingenza propri di un determinato paesaggio sensibile. Questo insieme di fattezze, ovvero questa forma composita, è il risultato di più forze interagenti e infrareagenti in varia misura. Il paesaggio è l’espressione di una dinamica di forze naturali ma anche, e soprattutto di forze umane. … Come risultante di forze umane e naturali che agiscono perennemente, come paesaggio integrale, perciò il paesaggio è un fatto fisico oggettivo, e al tempo stesso un farsi, un processo creativo continuo, incapace di essere configurato come realtà immobile, suscettibile di essere valutato diacronicamente e sincronicamente, sempre tenendo presente la sua perenne non staticità».
22 Cass. pen., sez. III, 12.7.2002, n. 26601, secondo cui «la nozione di territorio coperto da bosco, ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico, non può assumere una portata riduttiva, così da farvi rientrare solo i boschi in senso naturalistico, ma va intesa anche in senso normativo, perciò con riferimento agli elementi idonei ad individuare il suddetto territorio ricavabili da provvedimenti legislativi, nazionali e regionali, e da atti amministrativi generali e particolari» (conformi Cass. pen., sez. III, 23.1.2007, n. 1874 e 25.9.2007, n. 35495).