ANDREATTA, Beniamino (detto Nino)
Nacque a Trento l’11 agosto 1928, figlio unico di Beniamino, funzionario e poi direttore della Banca di Trento e Bolzano, e di Erica Montavon.
Durante la prima guerra mondiale il padre, suddito austroungarico, varcò il confine per arruolarsi nell’esercito italiano. Catturato dai tedeschi, fu deportato in Germania dopo aver rifiutato di rinnegare il giuramento di fedeltà a Vittorio Emanuele III. Rientrato a Trento al termine della guerra, proseguì la carriera di funzionario di banca.
Andreatta, concluso il liceo a Trento, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Padova, dove seguì, tra gli altri, il corso di filosofia del diritto di Norberto Bobbio e il corso di economia politica di Marco Fanno. Negli anni universitari sviluppò un progressivo impegno sociale e politico. Iscritto alla Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI), si avvicinò alla corrente dossettiana della Democrazia cristiana (DC) attraverso la rivista Cronache sociali. Nel 1950 conseguì la laurea, ottenendo il riconoscimento di «miglior laureato dell’anno».
Dopo la laurea iniziò a frequentare, come assistente volontario, l’Istituto di scienze economiche dell’Università del Sacro Cuore a Milano, attratto dai tentativi di conciliare le acquisizioni della dottrina sociale della Chiesa con le teorie di matrice keynesiana. All’università entrò in rapporto con personaggi chiave della cultura economica di orientamento cattolico come Pasquale Saraceno e Francesco Vito. L’interesse per le principali correnti del pensiero economico contemporaneo si rafforzò negli anni spesi per specializzarsi all’Università di Cambridge, dove collaborò con esponenti prestigiosi dell’economia postkeynesiana come Nicholas Kaldor, Richard Kahn e Joan Robinson.
Nel 1956 partecipò con altri studiosi, guidati da Achille Ardigò, alla stesura del programma elettorale di Giuseppe Dossetti – studioso, riformatore ed esponente di punta del mondo cattolico – candidato a sindaco di Bologna. Tra il 1958 e il 1967 pubblicò i primi importanti lavori accademici (Distribuzione del reddito e accumulazione del capitale, 1958; Calcolo economico e programmi di sviluppo, 1961; Il governo della liquidità, 1967). Nel 1961 sposò Giana Petronio. Subito dopo il matrimonio, dal quale nacquero i quattro figli Tomaso, Eleonora, Filippo ed Erika, fu chiamato dal Massachusetts Institute of technology (MIT) a far parte di un gruppo internazionale di consulenti della Plannig Commission del governo di Jawaharlal Nehru in India. Tra gli esperti del gruppo figurava anche il futuro premio Nobel per l’economia Amartya Sen.
L’anno successivo divenne professore ordinario di politica economica e finanziaria all’Università di Ancona, nella sede di Urbino. Nel 1962 partecipò al secondo convegno di studio organizzato dalla DC a San Pellegrino Terme, presentando una relazione in cui affrontò diversi aspetti del rapporto tra Stato e mercato, in particolare l’importanza della separazione tra potere politico e potere economico e la necessità di garantire la concorrenza attraverso la costruzione di regole di procedura imposte dall’autorità statale (Pluralismo sociale, programmazione e libertà, 1963). Il convegno segnò l’inizio della sua collaborazione con Aldo Moro, di cui divenne consigliere per la politica economica.
Negli anni successivi Andreatta fu attivo su vari fronti, conciliando l’attività politica con quella accademica e impegnandosi nella promozione di nuove istituzioni pubbliche e private dedite all’istruzione e alla ricerca. Nel 1963 ottenne la cattedra di economia politica all’Università di Bologna, città dove stabilì la residenza della sua famiglia. A partire dal 1968, con Bobbio e Marcello Boldrini, assunse la direzione dell’Istituto superiore di scienze sociali a Trento. Nel 1969, con Giuseppe Alberigo, Achille Ardigò e Nicola Matteucci riformò la facoltà di scienze politiche a Bologna e partecipò alla fondazione dell’Istituto di scienze economiche. Nel 1972 fondò, con Paolo Sylos Labini, l’Università della Calabria ad Arcavacata di Rende, in provincia di Cosenza, della quale fu rettore fino al 1975. Nel 1974, a Bologna, fu tra i fondatori di Prometeia, associazione di studi specializzata nel campo delle previsioni econometriche. Nel 1976 fondò a Roma l’Agenzia di ricerche e legislazione (Arel), con lo scopo di favorire il confronto tra intellettuali, politici e imprenditori sui principali temi all’ordine del giorno nel dibattito politico ed economico.
Nel 1976 fu eletto per la prima volta senatore, nelle liste della DC, nel collegio elettorale di Fidenza-Fiorenzuola, in provincia di Parma. A partire dal 1978 assunse un ruolo di primo piano nella politica nazionale, distinguendosi come uno dei più autorevoli fautori dell’adesione italiana al Sistema monetario europeo (SME), sostenendo l’utilità dei vincoli di cambio imposti dagli accordi internazionali per favorire il rientro dall’inflazione. L’importanza di mantenere l’Italia nell’ambito del Sistema monetario costituì un punto fermo della sua visione politica anche negli anni successivi. Convinto della necessità di un coordinamento tra le politiche economiche dei Paesi comunitari, dedicò particolari attenzioni ed energie al rafforzamento dello SME, anche nell’ottica di un’unificazione monetaria, già immaginata come possibile sbocco degli accordi di cambio (Le conseguenze economiche del sistema monetario europeo per l’Europa e per l’Italia, 1978).
Il 4 agosto 1979 divenne ministro del Bilancio e della Programmazione economica nel primo governo presieduto da Francesco Cossiga. La scelta di chiamare al governo economisti di professione (oltre ad Andreatta, facevano parte dell’esecutivo Franco Reviglio, Siro Lombardini e Filippo Maria Pandolfi) rifletteva la centralità conferita dal programma di governo ai problemi economici che, accanto alla questione dell’ordine pubblico, si ponevano come i principali nodi da sciogliere per rafforzare la democrazia italiana nel momento culminante della crisi iniziata durante gli anni Settanta.
Il mandato da ministro del Bilancio durò solo pochi mesi, a causa di una crisi di governo. Nel secondo governo Cossiga, formatosi nei primi giorni dell’aprile 1980, Andreatta assunse la carica di ministro senza portafogli con incarichi speciali. In questa veste – convinto del ruolo cruciale della statistica nel processo decisionale pubblico – promosse l’istituzione di una Commissione internazionale di statistica, presieduta dall’ex presidente dei Servizi statistici del governo britannico sir Claus Moser. La Commissione fu incaricata di studiare l’ampiezza, la precisione e la tempestività delle statistiche ufficiali italiane, per migliorarne l’efficienza e aumentarne la rilevanza per le decisioni di politica economica. Il ruolo propulsivo svolto dalla Commissione Moser nel processo di modernizzazione organizzativa, tecnica e metodologica della statistica italiana è stato riconosciuto unanimemente da tutti gli osservatori. Andreatta, dopo averne promosso l’istituzione, partecipò in prima persona alle riunioni, anche dopo la fine del mandato come ministro per gli incarichi speciali.
Nel settembre 1980 la presidenza del Consiglio fu assunta da Arnaldo Forlani – che formò un esecutivo con la partecipazione di DC, Partito socialista italiano (PSI), Partito socialdemocratico italiano (PSDI) e Partito repubblicano italiano (PRI) – del quale Andreatta divenne ministro del Tesoro e si trovò ad affrontare questioni cruciali di politica monetaria e di finanza pubblica, in un quadro congiunturale caratterizzato dalla recessione internazionale e dall’alta inflazione. A partire dalla stesura della legge finanziaria per il 1981, si pose l’obiettivo di avviare il risanamento della finanza pubblica, cercando di imporre il principio del contenimento delle uscite entro i confini del progetto di bilancio, per impedire che gli interventi di modifica in sede parlamentare si traducessero in decisioni aggiuntive di spesa.
Uno dei primi compiti che dovette affrontare dopo la nomina a ministro fu lo stanziamento dei mezzi finanziari per soccorrere le popolazioni e per ripristinare le infrastrutture e le abitazioni danneggiate nelle zone della Campania e della Basilicata colpite dal terremoto del 23 novembre 1980. Sostenitore di un controllo diretto sugli enti locali incaricati di gestire i finanziamenti, intuì che nella concessione di un’eccessiva autonomia agli organi preposti alla ricostruzione erano insiti i pericoli della dispersione dei fondi stanziati e dell’uso clientelare e illecito delle risorse.
Nel febbraio 1981, per contenere le spinte inflazionistiche e scongiurare una svalutazione, annunciò una «stretta creditizia» che suscitò l’opposizione della Confindustria e dei sindacati, innescando accesi contrasti all’interno del governo. Le misure si rivelarono nondimeno insufficienti: nonostante i vincoli al credito e l’azione di difesa esercitata dalla Banca d’Italia, nel marzo 1981 le pressioni sulla lira portarono a una svalutazione del 6%, accompagnata da un forte aumento del tasso di sconto (dal 16,5 al 19%). Andreatta decise di porre un freno all’espansione della liquidità generata dal finanziamento del debito pubblico, che dal 1975 si fondava sulla prassi consolidata dell’acquisto da parte della Banca d’Italia dei titoli di Stato invenduti durante le aste pubbliche. Di concerto con l’allora governatore Carlo Azeglio Ciampi, adottò il provvedimento più importante e gravido di conseguenze della sua esperienza come ministro: il cosiddetto «divorzio» tra Banca d’Italia e Tesoro. Il 12 febbraio 1981, in una lettera al governatore annunciò l’intenzione di liberare la Banca dall’impegno a finanziare il Tesoro con l’acquisto dei titoli di Stato non collocati presso gli investitori. Attraverso questa decisione, Andreatta intendeva restituire autonomia alla politica monetaria e stimolare l’avvio di una riforma strutturale della finanza pubblica, nella convinzione che l’aumento del costo reale del debito, determinato dall’innalzamento dei tassi di interesse sui titoli di Stato, avrebbe indotto a un generale ripensamento delle politiche di bilancio, in direzione di un maggiore rigore finanziario: «Era mia intenzione drammatizzare la separazione tra Banca e Tesoro per operare una disinflazione meno cruenta in termini di perdita di occupazione e di produzione, sostenuta dalla maggiore credibilità dell'istituto di emissione una volta che esso si fosse liberato dalla funzione di banchiere del Tesoro» (Il Sole 24 Ore, 26 luglio 1991).
Nel maggio 1981, dopo che fu resa nota la lista dei 962 iscritti alla loggia massonica segreta P2 (Propaganda 2) di Licio Gelli, il governo Forlani fu costretto alle dimissioni. Per uscire dalla crisi, il presidente della Repubblica Sandro Pertini diede l’incarico al repubblicano Giovanni Spadolini, che per la prima volta dopo trentasei anni formò un governo non presieduto da un esponente democristiano, inaugurando la formula del «pentapartito» (DC, PSI, PRI, PSDI e Partito liberale italiano-PLI). Andreatta fu confermato ministro del Tesoro; nei primi giorni del luglio 1981, in seguito al crollo dei titoli alla Borsa di Milano, ordinò la sospensione delle contrattazioni per tre giorni, per esaminare la situazione e introdurre alcune misure di sostegno che favorissero nell’immediato la ripresa del mercato. Convinto della necessità di dover ampliare in tempi rapidi l’offerta di titoli, di introdurre nuove forme di investimento e di indurre alla quotazione un maggior numero di società – garantendo allo stesso tempo la «trasparenza del listino» – Andreatta si dedicò nei mesi successivi a studiare e mettere a punto una serie di provvedimenti, come i disegni di legge sull’identificazione dei soci delle società quotate e sull’istituzione dei fondi comuni d’investimento mobiliare.
Negli stessi giorni entrò in vigore il ricordato 'divorzio' fra ministero del Tesoro e Banca d’Italia. Per prevenire eventuali difficoltà nella collocazione dei titoli di Stato, Andreatta emanò un decreto che imponeva agli enti pubblici di depositare presso la Tesoreria di Stato i fondi provenienti dai trasferimenti e non ancora utilizzati, in modo da ridurre le necessità di emissione. Il provvedimento scatenò l’opposizione delle banche e degli enti coinvolti, ma riuscì a inaugurare un nuovo sistema di relazioni finanziarie tra l’amministrazione centrale e gli enti pubblici, poi sancita con l’istituzione della Tesoreria unica nel 1984.
Il problema dei trasferimenti statali era considerato da Andreatta come un nodo centrale per risanare la finanza pubblica, avendo individuato un motivo della crescita dei disavanzi nel meccanismo che prevedeva l’accentramento delle entrate nel bilancio dello Stato e il successivo trasferimento di risorse verso enti privi di responsabilità finanziaria, sulle cui decisioni di spesa l’amministrazione centrale non aveva sufficiente potere di intervento. Per invertire la tendenza, Andreatta cercò di ripristinare il controllo dello Stato sui flussi di spesa degli enti pubblici, ai quali andava conferita una maggiore responsabilità finanziaria, sostituendo gli automatismi dei trasferimenti con una più razionale ed efficiente distribuzione delle risorse. In questa direzione andarono le misure inserite nella legge finanziaria per il 1982 e la legge sul finanziamento degli enti locali, le cui norme oltre a prevedere l’obbligo di deliberare in pareggio i bilanci di previsione dei Comuni e delle Province, imponevano alcune limitazioni alle spese correnti e conferivano agli enti locali la possibilità di incrementare il gettito fiscale, aumentando la propria autonomia finanziaria.
La stabilità del governo Spadolini era minata dalla contrapposizione tra Andreatta e i ministri del Partito socialista, che raggiunse il culmine nell’aprile 1982. Durante un intervento al congresso regionale della DC a Modena, Andreatta dichiarò che l’Italia correva il rischio di avvicinarsi a «una pericolosa avventura di nazional-socialismo», qualora il PSI avesse assunto una posizione dominante nella politica italiana, spostandosi verso il centro ed erodendo il tradizionale bacino di consenso della DC (Discorsi di un inverno, 1982). Benché nei giorni successivi Andreatta correggesse l'affermazione, le dure reazioni del PSI non si fecero attendere, a tal punto da mettere a rischio la sopravvivenza stessa del governo Spadolini. Solo la mediazione del presidente Pertini, che definì peraltro «disgustose» le affermazioni di Andreatta, riuscì a placare le polemiche evitando la crisi.
Il governo fu costretto alle dimissioni nell’agosto successivo, quando il PSI ritirò la fiducia in seguito alla mancata approvazione di una tassa sui petroli proposta dal ministro delle Finanze Rino Formica. La crisi fu ricomposta nei giorni seguenti con la formazione del secondo governo Spadolini, detto governo fotocopia poiché presentava gli stessi ministri dell’esecutivo precedente. Nell’estate del 1982, Andreatta ebbe un ruolo di primo piano nella soluzione delle vicende legate al fallimento del Banco Ambrosiano, quando, resistendo alle pressioni per un salvataggio pubblico dell’istituto bancario, decise di procedere alla liquidazione coatta amministrativa, promuovendo la nascita del Nuovo Banco Ambrosiano affidato alla guida di Giovanni Bazoli. Chiamato a rispondere alle interrogazioni parlamentari in merito alla vicenda, rivendicò la linea di fermezza tenuta durante gli sviluppi del «più grave scandalo finanziario del dopoguerra», difendendo la scelta della liquidazione che aveva impedito una ricapitalizzazione con fondi pubblici: «l’atteggiamento di fermezza delle autorità italiane, che non sempre la stampa internazionale ha mostrato di comprendere, è stato approvato dalle autorità monetarie di molti paesi. Anche la collaborazione mostrata di recente da ambienti bancari, solitamente chiusi e riservati, è stata aiutata dal nostro diniego di assumere obbligazioni al di là dei limiti cui ci sentivamo tenuti dagli accordi di Basilea e cioè soltanto nei confronti dei creditori esteri di istituzioni aventi residenza in Italia. Ma questa fermezza ha avuto effetti anche per assicurare alla giustizia uomini legati a questo e ad altri episodi che hanno turbato la vita del nostro paese. […] Nell’assumere questa posizione di fermezza ero consapevole dei rischi che il credito del paese avrebbe potuto correre. Le operazioni concluse sui mercati internazionali degli ultimi mesi mostrano che questi pericoli non dovevano essere sopravvalutati. L’Italia non è una repubblica delle banane; questa vicenda, come altre che ci stanno davanti, dovrebbe ricordarci che la fermezza non è la peggiore delle strade» (Atti parlamentari, Camera dei deputati, VIII legislatura, 8 ottobre 1982, p. 52661).
Nelle risposte alle interrogazioni della Camera dei deputati dell’8 ottobre 1982, Andreatta evidenziò anche le responsabilità dell’Istituto per le opere di religione (IOR) diretto da monsignor Paul Casimir Marcinkus, che aveva avuto un ruolo di primo piano nel fallimento dell’Ambrosiano. L’atteggiamento nei confronti della banca vaticana non mancò di suscitare reazioni di biasimo all’interno della DC e contribuì probabilmente alla mancata designazione di Andreatta nei successivi governi. Sulla carriera governativa di Andreatta ebbe un’influenza negativa anche l’aspra polemica che lo vide contrapposto al ministro delle Finanze nel novembre 1982. Lo scontro iniziò in seguito ad alcune dichiarazioni di Formica, che aveva ipotizzato l’avvio di un «grande concordato» per rimborsare solo parzialmente i detentori dei Buoni ordinari del Tesoro. Convinto che fosse necessario difendere la «buona fede» del rapporto contrattuale tra il cittadino risparmiatore e lo Stato, Andreatta respinse con decisione la proposta, diffondendo una nota in cui metteva in dubbio le capacità di governo del collega. La nota, scritta da Fabrizio Galimberti e approvata personalmente da Andreatta, fu pubblicata in forma anonima dal quotidiano della DC: «Quale governo, quale Parlamento potrebbero mai decidere un giorno consolidamenti o concordati quando si sa che il giorno successivo dovrà colmare un nuovo disavanzo, che certo non dipende solo dagli interessi ? [...] Invece di occuparsi di fantafinanza, il ministro delle Finanze farebbe bene ad occuparsi più modestamente delle statistiche mensili sulle entrate tributarie: fra smentite e conferme, fra recessione e previsioni sbagliate, il buco si è andato allargando, e ha dato un contributo non piccolo all’ingigantirsi di quei 'debiti di gioco' su cui oggi si esercita la fantasia della nouvelle vague riformista» (Il Popolo, 6 novembre 1982).
La polemica continuò nei giorni successivi, assumendo nel linguaggio giornalistico il nome di lite delle comari in seguito alla replica di Formica: «Se un professore che ha studiato a Cambridge e si è specializzato in India perde le staffe e usa un linguaggio da ballatoio, vuol dire che abbiamo una comare come Lord dello Scacchiere» (la Repubblica, 7 novembre 1982).
L’indisponibilità dei protagonisti a ritrattare le proprie affermazioni portò alle definitive dimissioni del governo Spadolini. Nella composizione del successivo governo, presieduto da Amintore Fanfani, Andreatta fu escluso da ogni incarico governativo, probabilmente a causa di un veto imposto dal PSI.
Nella IX legislatura Andreatta fu eletto deputato nel collegio di Bologna distinguendosi nell’attività parlamentare come uno dei maggiori sostenitori del risanamento della finanza pubblica, in anni di ulteriore espansione della spesa, di crescita del deficit e di aumento del debito. Dal 1983 al 1985 fece parte della Commissione per le riforme istituzionali (Commissione Bozzi), occupandosi in particolare della riforma dell’art. 81 della Costituzione sui vincoli della finanza pubblica. Il disimpegno dagli incarichi governativi gli consentì di riprendere l’attività teorica, come dimostrano gli studi condotti in collaborazione con Carlo D’Adda (Effetti reali o nominali della svalutazione? Una riflessione sull’esperienza italiana dopo il primo shock petrolifero, 1985).
In questi stessi anni svolse inoltre un ruolo di primo piano all’interno della DC. Dal 1984 al 1987 fu vicepresidente del Partito popolare europeo. Pur appoggiando la segreteria di Ciriaco De Mita, si fece promotore di una nuova linea politica per la sinistra democristiana, che avrebbe dovuto rinnovarsi abbandonando la tradizionale logica della 'mediazione corporativa' e promuovendo una modernizzazione in linea con gli indirizzi prevalenti in altri Paesi europei. Secondo Andreatta era essenziale che la DC non trascurasse le aspirazioni degli strati sociali e produttivi emergenti, evitando di lasciare che lo «spazio liberista» divenisse appannaggio di altri interlocutori politici e in particolare del Partito socialista (La sinistra democristiana e il governo del paese: riflessioni autobiografiche tra memoria e proposta, 1986).
Nel 1985 si presentò come candidato sindaco alle elezioni comunali di Bologna, roccaforte elettorale del Partito comunista. Pur non risultando eletto, la sua candidatura conferì al confronto una dimensione politica e mediatica di interesse nazionale. Nel collegio Castelnuovo ne’ Monti - Sassuolo, due anni più tardi, fu eletto senatore.
Nella X legislatura fu presidente della Commissione bilancio e si impegnò a promuovere la strumentazione legislativa e regolamentare che avrebbe permesso l’aggiustamento dei conti pubblici in vista dell’ingresso nell’Unione Europea.
Nel 1992 si candidò nel collegio di Trento, sua città natale, ma non fu eletto, scontando gli effetti della crisi di fiducia dell’elettorato nei confronti dei partiti tradizionali, in seguito agli scandali di Tangentopoli. Tuttavia, nel contesto della crisi politica che avrebbe portato alla fine della cosiddetta Prima Repubblica, la figura di Andreatta rappresentava una risorsa per il governo, grazie alle riconosciute capacità tecniche e alla sua estraneità agli scandali. Per sostituire Franco Reviglio passato a guidare il ministero delle Finanze, il presidente del Consiglio Giuliano Amato si rivolse dunque ad Andreatta, che nel febbraio 1993 divenne per la seconda volta ministro del Bilancio e della Programmazione economica. La principale questione da affrontare, nel breve periodo in cui restò in carica, fu l’annoso problema dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Andreatta preparò uno schema di decreto che prevedeva il trasferimento delle competenze dell’Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno ai ministeri del Bilancio e dell’Industria, istituendo un sistema di controlli sui finanziamenti erogati alle «aree depresse», per prevenire nuove forme di clientelismo e spreco delle risorse. Alla base del progetto vi era l’idea che il passaggio al regime ordinario avrebbe consentito allo Stato di dirottare nel Mezzogiorno aiuti certi, invece di «megafinanziamenti» per la maggior parte rimasti sulla carta.
Il decreto, con alcune significative modifiche, fu approvato pochi giorni prima che il governo Amato, in seguito al referendum che introduceva in Italia il sistema elettorale maggioritario, rassegnasse le dimissioni. Nel successivo governo presieduto da Ciampi, Andreatta assunse il ruolo di ministro degli Affari esteri, aprendo una nuova fase della propria carriera governativa. Nell’estate del 1993 firmò il protocollo che impegnava il governo italiano a ridurre, entro il 1996, l’indebitamento delle imprese pubbliche a livelli accettabili per un investitore privato operante in condizioni di economia di mercato. Il protocollo, siglato in seguito all’accordo con il commissario europeo per la concorrenza Karel Van Miert, aprì la strada alla stagione delle privatizzazioni. Durante il mandato agli esteri elaborò anche un progetto di riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che prevedeva una nuova articolazione nella rappresentanza dei Paesi membri, in conseguenza dei mutamenti avvenuti nello scenario politico internazionale.
Nel 1994 fu eletto nuovamente deputato nella circoscrizione Friuli-Venezia Giulia e divenne capogruppo alla Camera per il Partito popolare, formazione politica alla cui fondazione aveva partecipato dopo lo scioglimento della DC. Nel dibattito interno al partito si schierò contro il segretario Rocco Buttiglione, fautore dell’alleanza con il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, appoggiando la candidatura di Gerardo Bianco. Dopo le dimissioni di Buttiglione, Andreatta fu uno dei protagonisti della costruzione dell’Ulivo, appoggiando la candidatura di Romano Prodi, suo allievo e amico, come leader della coalizione di centrosinistra alle elezioni del 1996. Nel primo governo guidato da Prodi, Andreatta divenne ministro della Difesa, promuovendo nei mesi successivi la riforma degli stati maggiori e dedicandosi in particolar modo alla missione internazionale Alba, la prima iniziativa multilaterale di protezione svoltasi sotto il comando militare italiano, su richiesta del governo albanese e su mandato delle Nazioni Unite.
Nell’ottobre 1998, dopo la caduta del governo Prodi, tornò all’attività di deputato, seguendo soprattutto i lavori parlamentari dedicati alle questioni internazionali ed economiche. Durante il dibattito per l’approvazione della legge finanziaria, il 15 dicembre 1999, fu colpito da un malore sui banchi della Camera dei deputati. Nonostante i soccorsi immediati entrò in una fase di coma cerebrale che durò ben sette anni, sino alla morte avvenuta a Bologna il 26 marzo 2007.
Distribuzione del reddito e accumulazione del capitale, Milano 1958; Calcolo economico e programmi di sviluppo, Milano 1961; Pluralismo sociale, programmazione e libertà, in La società italiana. Atti del secondo convegno di studi della Democrazia cristiana, S. Pellegrino ... 1962, Roma 1963, pp. 277-309; Il governo della liquidità, Milano 1967; Cronache di un’economia bloccata: 1969-1973, Bologna 1973; Le conseguenze economiche del sistema monetario europeo per l’Europa e per l’Italia, in Thema. Quaderni di economia e finanza dell’Istituto bancario San Paolo di Torino, 1978, n. 2, pp. 83-94; Problemi dello sviluppo nel mondo e del suo finanziamento e Linee essenziali della politica finanziaria e monetaria, in Bancaria, 1981, rispettivamente n. 2, pp. 129-131 e n. 4, pp. 348-367; Politica monetaria e lotta all’inflazione, in Pensiero economico moderno, 1981, n. 1, pp. 47-54; Il ruolo della Banca mondiale e l’Italia, in Rivista bancaria, 1981, n. 1-2, pp. 15-29 (con C.A. Ciampi - S. Golzio); Crisi e cambiamento dell’economia italiana degli anni Ottanta, in Gestioni pubbliche, 1981, n. 2, pp. 3-12; La manovra di politica economica per il controllo dell’inflazione, in Credito popolare, 1981, n. 2, pp. 15-18; Discorsi di un inverno, Roma 1982; Efficienza operativa ed economicità di gestione nella logica della ricapitalizzazione delle Casse di risparmio, in Banca impresa società, 1982, n. 0, pp. 41-47; Sistema finanziario privato e pubblico, in Credito popolare, 1982, n. 2, pp. 33-42; La politica economica e l'efficienza del sistema creditizio, in Bancaria, 1982, n. 4, pp. 374-380; Istituzioni creditizie e allocazioni delle risorse, in Credito popolare, 1982, n. 5-6, pp. 193-201; Effetti reali o nominali della svalutazione? Una riflessione sull’esperienza italiana dopo il primo shock petrolifero, in Politica economica, I (1985), 1, pp. 37-51 (con C. D'Adda); La sinistra democristiana e il governo del paese: riflessioni autobiografiche tra memoria e proposta, in Il Mulino, 1986, n. 2, pp. 263-278; interventoin Il sistema monetario europeo a dieci anni dal suo atto costitutivo: risultati e prospettive, Atti del Convegno, Roma ... 1988, [Roma] 1991, pp. 25-33; Una nuova architettura europea, in Affari esteri, XXV (1993), 100, pp. 659-663; Una politica estera per l’Italia, in Il Mulino, 1993, n. 5, pp. 881-891; Un anno per l’Italia: tra economia e politica estera, Roma 1994; Per un’Italia moderna. Questioni di politica e di economia, Bologna 2002; Discorsi parlamentari (1976-1999), a cura di E. Letta, I-II, Roma 2011.
Ricco di materiali utili è, a Roma, l’Archivio del Gabinetto del ministero dell’Economia e delle Finanze, Archivio inedito, consultato in occasione della monografia dello scrivente.
Per l'economia italiana: scritti in onore di N. A., a cura di C. D’Adda, Bologna 2002; M. Tesini, N. A. Appunti per una biografia intellettuale, introduzione a B. Andreatta, Per un’Italia moderna. Questioni di politica e di economia, Bologna 2002, pp. 7-69; I mercati finanziari internazionali: N. A. e la politica economica, a cura di P. Onofri, Bologna 2006; G. Bazoli et al., Un riformatore solido e geniale: in ricordo di N. A., Reggio Emilia 2007; G. Andreatta, N. A. e il «suo» Trentino, Trento 2009; F. Salsano, Andreatta ministro del Tesoro, Bologna 2009; Andreatta economista, a cura di A. Gigliobianco - S. Rossi, Bologna 2009; L’autonomia della politica monetaria. Il divorzio Tesoro-Banca d’Italia trent’anni dopo, Atti del Convegno tenuto a Roma nel 2011 e relazioni presentate a una giornata di studi tenuta a Roma nel 2008 per i trent’anni dal «divorzio» Tesoro-Banca d’Italia, Bologna-Roma 2011; Un economista eclettico: distribuzione, tecnologie e sviluppo nel pensiero di N. A., a cura di A. Quadrio Curzio - C. Rotondi, Bologna-Roma 2013; Gli allievi ricordano N. A., a cura di A. Quadrio Curzio - C. Rotondi, Bologna-Roma 2014.