CRESPI, Benigno
Quartogenito di Antonio e di Maria Provasoli, nacque a Busto Arsizio (allora in provincia di Milano) il 6 luglio 1848.
Già il nonno Benigno (1777-1854) era entrato dall'inizio dell'Ottocento nel commercio dei filati di cotone che faceva tessere dagli operai a domicilio, producendo "fustagni, baseni, bombasin". Nel 1846 possedeva 153 telai. Disponeva forse anche di una piccola tintoria, e da ciò deriverebbe il soprannome in dialetto bustese di "Tengitt" dato a quel ramo della famiglia. Il figlio Antonio (1807-1883) incrementò l'azienda paterna, aprendo un magazzino a Lodi ed estendendo la vendita di tessuti al di là del Regno Lombardo-Veneto. Attorno al 1869 possedeva 240 telai a mano, di cui 210 a domicilio degli operai e 30 riuniti in un unico stabilimento, con una produzione media annua di circa 6.500 pezze di cotone. L'impresa di Antonio - che conservava il nome di "Benigno Crespi" - rimaneva comunque, secondo L. Ferrario, tra le "secondarie" di Busto Arsizio.
Il C. compì brevi studi tecnici, e già nel 1865 si trasferì a Milano presso il fratello primogenito Cristoforo Benigno che commerciava in filati e tessuti (i secondi erano quelli prodotti dal padre a Busto). Allo scoppio della terza guerra di indipendenza (1866) il C. si arruolò volontario nelle truppe di Garibaldi e combatté, tra l'altro, a Monte Suello. Ritornato a Milano, riprese la collaborazione con il fratello Cristoforo. Quest'ultimo però era sempre più assorbito da altre iniziative industriali, cosicché Benigno rimase presto solo a dirigere l'ufficio di Milano, finché nel 1878 iniziò la costruzione di un proprio stabilimento di filatura a Nembro in Val Seriana, una valle che offriva notevoli risorse idriche, utilizzabili come forza-motrice. Secondo alcuni autori il C. aveva ottenuto un finanziamento dal grande cotoniere A. Ponti, ma è più probabile che fosse decisivo l'apporto finanziario della ricchissima moglie, la nobile Giulia Morbio, che aveva sposato (non senza contrasti da parte dei Morbio) l'anno precedente.
La filatura di Nembro - che nel 1891 conteneva 12.000 fusi attivi e impiegava 240 operai - era ancora di assai modeste dimensioni nel 1900, quando i fusi erano cresciuti solo a 13.200. L'impianto di filatura fu però più che raddoppiato nel 1902 e i fusi salirono ad oltre 30.000, mentre gli operai occupati nell'azienda erano circa 480. Nonostante questo aumento del macchinario, la Crespi e C. - tale era il nome della filatura - continuò a produrre pochi articoli e filati dal numero basso (dal n. 4 al n. 40), né aggiunse mai allo stabilimento i reparti di tintoria e di tessitura. Lo stesso C. (che pure adottò a Nembro alcune misure "paternalistiche", come la costruzione di case operaie e di un asilo infantile) non si recava spesso alla filatura e preferì affidarsi, per gran parte della gestione di quell'impresa, a un procuratore e al direttore della filatura. Dedicò invece particolare attenzione ai beni agricoli nel Novarese portati in dote dalla moglie (e notevolmente accresciuti dopo la morte del suocero Carlo Morbio nel 1881) e a quelli da lui acquistati nel Bergamasco, soprattutto ad Albino. Fu comunque molto importante, per i suoi successivi sviluppi, la decisione del C. di costruire nel 1902-1903 una centrale idroelettrica a Gromo, sempre in Valle Seriana. La centrale, che doveva garantire l'energia motrice all'opificio tessile in caso di insufficienza della forza-motrice idraulica, fu il primo nucleo della futura Azienda elettrica Crespi e C. e disponeva di una linea di trasmissione tra Gromo e Nembro di 40.000 volt, tra le più potenti allora in Europa. Il C. partecipò, inoltre, alla costituzione della Fabbrica lombarda cementi, della Società elettrica per il canale Milani di Verona e del Cotonificio Valle Ticino.
Più che per la sua attività nel campo strettamente industriale, il C. è però noto soprattutto per essere divenuto comproprietario del Corriere della sera, cioè di quello che si sarebbe rivelato il più diffuso quotidiano italiano. Anzi, secondo la concorde testimonianza dei discendenti, il Corriere rappresentava la fonte più cospicua dei suoi profitti. Il che non è inverosimile, quando si osservi che già nel 1898-1899 il giornale milanese presentava un utile di circa 238.000 lire, una somma pari al 124% dell'intero capitale della società editoriale e corrispondente a quasi la metà degli utili realizzati nel 1898 dal Cotonificio Cantoni, che era il più grande cotonificio italiano.
Il C. era entrato nel Corriere spinto dalla moglie, il cui fratello, Pio Morbio, era fin dalla fondazione (1876) uno dei proprietari del giornale, assieme al Torelli-Viollier e ad altri. Poiché pochi anni dopo la fondazione il Morbio, e con esso il giornale, si trovarono in gravi difficoltà finanziarie, fu richiesto l'intervento del cognato, che nel 1882 acquisì una piccola partecipazione nel Corriere. Nel 1885 poi, partito il Morbio per gli Stati Uniti, il C. ricostituì con 100.000 lire il capitale della società, di cui divenne socio accomandatario il Torelli-Viollier. Quattro anni dopo, la sede del quotidiano fu trasferita in via P. Verri, in un palazzo attiguo a quello dei Crespi e anch'esso di proprietà dell'industriale. Anche grazie alla raggiunta stabilità finanziaria e agli investimenti effettuati dal C., fra il 1885 e il 1900 il quotidiano milanese aumentò di tre volte e mezzo la propria tiratura.
Sebbene nel 1898 (e con quote minori, acquistate dal Torelli-Viollier, sin dal 1895) fossero entrati nel Corriere come nuovi soci E. De Angeli e G. B. Pirelli, il C. mantenne la proprietà di metà del capitale sociale. Infine nel 1900, dopo la morte del Torelli e con l'ingresso di L. Albertini, raggiunse la maggioranza assoluta del capitale (esattamente il 57%).
È stato osservato da molti, e in particolare da L. Albertini, che il C., pur disponendo del controllo pressoché totale del giornale, ebbe doti di grande discrezione e non interferì mai nella linea politica, anche quando questa contrastava con i suoi interessi di industriale cotoniere.
Addirittura, secondo A., Albertini, il C. (che "non era un genio", ma "un'anima candida", un "uomo semplice", "modesto e fiducioso") in genere "al giornale bazzicava poco". Questa insistenza sulla "neutralità" politica del C. - che giunge quasi a sottolineare una sua scarsa consistenza intellettuale, presentato come un uomo ingenuo e bonario - è forse spiegabile come voluta contrapposizione al diverso atteggiamento tenuto successivamente dai suoi tre figli. In effetti Mario (1879-1962), Aldo (1885-1978) e Vittorio (1895-1963) cercarono, e in molti casi vi riuscirono, di influenzare fortemente l'indirizzo politico del giornale.
Il C. (che scriveva nel 1900a L. Albertini di non intendersi "affatto" di politica) non riuscì a far prevalere le sue idee nemmeno nell'unica occasione in cui, nel 1903, aveva "cercato con delicatezza l'appoggio del Corriere" a proposito della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, quando il cotoniere era contrario, a differenza di altri colleghi industriali, al lavoro notturno nelle fabbriche.
Il fatto che il C. non volesse, o non sapesse, imporre alcuna linea politica al quotidiano milanese, non significa però che non si interessasse della gestione "industriale" del Corriere.
I documenti rimastici sono scarsi, ma da essi risulta comunque che, oltre a partecipare assiduamente alle riunioni del consiglio di amministrazione della società editrice, si occupava personalmente e attivamente dell'acquisto di nuovo macchinario e che per questi suoi investimenti di capitale "fisso" richiedeva un interesse del 6%, una percentuale giudicata "eccessiva" dagli altri comproprietari. Inoltre, il C., estremamente sensibile all'andamento delle vendite, era capace di accusare ad esempio il Torelli-Viollier di "scarsa operosità... dannosissima al giornale "e lo minacciava perciò di negargli completamente la sua percentuale di utili. Tutti i suoi interventi insomma erano di ordine strettamente economico, ma non per questo erano meno autorevoli e determinanti per ciò che riguardava il Corriere come impresa editoriale. Al C. poco importava ciò che veniva scritto sul giornale, purché quest'ultimo vendesse molto e rendesse alti profitti. In tale visione "economicista" o prettamente "amministrativa", per l'industriale lombardo era evidentemente cosa irrilevante che il Corriere producesse carta stampata invece di filati.
Alla luce di queste considerazioni è perciò comprensibile che il C., proprietario di un giornale rigidamente antigiolittiano, decidesse nel marzo 1910 (in ciò dimostrando di essere assai meno "anima candida" di quanto riteneva il fratello di Albertini) di acquistare quattro carature de La Stampa di Frassati, di cui erano note le forti e irriducibili simpatie per Giolitti. Il C. volle tuttavia che per il momento quell'atto di acquisto non fosse reso pubblico.
Il C. morì a Torino il 1º ott. 1910.
Fonti e Bibl.: Sull'attività industriale di Antonio Crespi, qualche documento, a partire dal 1854, è rimasto presso l'Arch. municipale di Busto Arsizio. Docc. per il C.: presso Giulia Maria Mozzoni, ma è stata concessa la consultazione solo dei verbali del Consiglio della società del Corriere dal 1898 al 1899. L'archivio del Corriere della sera non è consultabile. È stato possibile prendere visione di due lettere del C. (del 1892 e del 1898) dirette al Torelli-Viollier (attualmente conservate presso gli eredi). Nell'Archivio centrale dello Stato (Carte L. Albertini, Corrispondenti, sc. 5) sono custodite cinque lettere del C. ad Albertini, dal 1900 al 1903. Fatture e lettere d'affari del C., dal 1865 al 1876, si trovano nell'archivio della famiglia Caprotti a Milano. Alcune notizie sul C. sono contenute nelle memorie inedite del pronipote Benigno Crespi, figlio di Silvio. È stata utilizzata anche la testimonianza orale fornita dal nipote Mario Crespi, figlio di Vittorio. Cfr. inoltre, G. Frattini, Sulla filatura e tessitura del cotone in Lombardia e principalmente nella provincia di Milano nel 1845, in Atti della Soc. di incoraggiamento d'arti e mestieri di Milano, Milano 1846, p. 31; L. Ferrario, Busto Arsizio. Notizie storico-statistiche, Busto Arsizio 1864 ("Prospetto approssimativo dell'andamento annuale della fabbricazione dei tessuti di cotone in Busto Arsizio giusta i dati assunti nel principio del 1862"); Notizie sulle condiz. industr. della Provincia di Bergamo, in Annali di statistica, s. 4, 56. fasc. XXXVIII, Roma 1891, pp. 84 s.; Min. d. Agr. Ind. Comm., Direz. generale della Statistica, Statistica industriale. Lombardia, Roma 1900, p. 40; L'industria del cotone in Italia, in Annali di statistica, s. 4, n. 100, fasc. LXIV, Roma 1902, p. 49; Associazione fra gli industriali cotonieri e Borsa cotoni, Annuario dell'industria cotoniera in Italia 1908, Milano 1908, p. 44; necrologio del C. sul Corriere della sera, 2 ott. 1910; Associazione cotoniera italiana, Annuario dell'industria cotoniera in Italia, Milano 1912, p. 54; G. Treccani, Crespi, in Enc. Ital., XI, Roma 1931, p. 842; Consiglio degli Istituti ospitalieri di Milano, Ibenefattori dell'Ospedale Maggiore di Milano nel biennio 25 marzo 1929-25 marzo 1931 e i nuovi ritratti, a cura di S. Spinelli, Milano 1931, pp. 14 s.; A. Albertini, Vita di L. Albertini, Milano 1945, pp. 65 s.; L. Albertini, Venti anni di vita politica, I, 1, Bologna 1950, p. 3; P. Rossi, Dall'Olona al Ticino. Centocinquant'anni di vita cotoniera. Profili, Varese 1954, pp. 60 s.; Azienda elettrica Crespi e C. - Bergamo, Bergamo 1962; A. Lodigiani, Contributi alla storia dell'industria cotoniera. B. C. e la sua discendenza, in Indusrria cotoniera, IV, ottobre 1969, pp. 843, 859; R. Rogora, I Crespi-Tengiti, in Almanacco della famiglia Bustocca per gli anni 1971-1972, Busto Arsizio 1974, pp. 110-121; G. Licata, Storia del Corriere della sera, Milano 1976, passim; L.Frassati, Un uomo, un giornale. Alfredo Frassati, I, 1, Roma 1978, pp. 138 ss.