BENIGNO da Genova (al secolo Agostino Rosso)
Nacque nel 1575 nel ducato di Savoia, a Villa dei Gatti, presso Oneglia, o, secondo un'altra tradizione, a Sospello. Delle sue prime vicende si sa soltanto che visse per qualche tempo in Sicilia, lavorando come contabile presso un mercante genovese. Il 16 apr. 1603 (o 1604) pronuncio i voti nel convento francescano di Nicosia. Terminato il noviziato fu chiamato a far parte della segreteria del ministro generale, Arcangelo Gualtieri da Messina, per emergere poi nel 1613 alla carica di segretario del nuovo generale, Antonio Trejo y Paniagua. La lunga pratica degli affari dell'Ordine lo chiamò di lì a poco dai suoi compiti esecutivi alle massime responsabilità di governo: eletto dapprima definitore generale, il 2 giugno 1618 nel capitolo generale di Salamanca fu designato mnistro generale.
Tra le prime importanti iniziative del suo generalato è quella alla quale B. legò più durevolmente il suo nome: il 20 apr. 1619, dal convento di Ara Coeli in Roma, egli inviò a tutti i ministri provinciali una circolare con la quale fissava i criteri e le modalità per la più ampia raccolta in tutte le sedi dell'Ordine di documenti attinenti alla storia dei frati minori, in vista della redazione degli Annales Minorum, sin dall'inizio affidata ad una commissione diretta dall'irlandese Luca Wadding.
L'iniziativa, che già nel 1625 fruttava un primo volume dedicato a B., costituì il contributo dell'Ordine al generale risveglio di interessi eruditi per la storia della Chiesa, che aveva avuto le espressioni più cospicue nell'opera dei centuriatori di Magdeburgo e del Baronio.
Nel promuovere gli Annales B. era spinto, assai più che da intenzioni di cultura, da fini di edificazione spirituale e dall'esigenza pratica di mettere a disposizione dell'Ordine un repertorio il più possibile completo e attendibile di documenti e notizie sulla vita dei minori, al quale questi potessero fare riferimento nelle numerose questioni disciplinari che li dividevano. Fondamentale preoccupazione di B. fu infatti quella di ristabilire l'unità dell'Ordine, compromessa dalle polemiche tra la famiglia degli osservanti e quella dei riformati e dalle velleità autonomistiche di talune province, sulla base di una più rigida osservanza della regola, così come stabiliva una severa ordinanza da lui emanata nel giugno 1619 (Alli molto diletti padrie frati superiori..., Firenze 1619). In realtà il programma di riforma nell'unità perseguito da B. si rívelò subito di problematica attuazione, specialmente per l'appoggio che Gregorio XV diede alle pretese autonomistiche dei riformati.
Nel 1621 il pontefice concesse ai riformati di eleggere un vicario generale con piena giurisdizione sulla famiglia, l'autonomia della quale veniva ribadita dalla proibizione ai membri di essa di esercitare uffici e dignità nell'Osservanza. Non minori resistenze, B. incontrò nel suo proposito di ritornare all'integrale rispetto della regola, specialmente da parte delle province ultramontane per le quali promulgò nuovi statuti nel 1621, durante la visita d'ufficio alle province spagnole. In particolare i cordiglieri parigini rivendicarono contro il precetto della povertà rigidamente riaffermato da B. i loro tradizionali privilegi ed invano B., invitato alla visita ed alla riforma delle province francesi dallo stesso Luigi XIII, tentò di reprimere con aspre misure disciplinari un'opposizione che degenerò in aperta rivolta, sostenuta anche dal Parlamento di Parigi.
Miglior sorte riservava al programma riformatore di B. il pontificato di Urbano VIII; alla speciale congregazione cardinalizia costituita dal pontefice per giudicare dei rapporti tra riformati ed osservanti B. sottopose un Apologeticum pro observantibus (pubblicato in estratto a Ronciglione nel 1624 e ristampato nel vol. XXVI degli Annales Minorum), chiedendo la soppressione del vicariato dei riformati. Urbano VIII, s., guendo il parere della commissione, acc:olse la richiesta, ma impegnò l'Ordine a ricercare un accordo tra le opposte correnti. Al capitolo celebrato nel 1625, nel quale B. ottenne l'elezione alla carica di ministro generale del portoghese Bernardino de Senis, che era stato suo segretario e condivideva i suoi propositi riformatori, l'esigenza unitaria risultò ancora riaffermata e lo stesso B. fu nominato commissario generale della famiglia cismontana, carica che gli consentiva di regolare l'indirizzo della riforma nelle province italiane e di esercitare più diretta influenza sulla Curia romana.
Con la vittoria conseguita sui riformati, le preoccupazioni unitarie di B. cambiarono nettamente bersaglio, rivolgendosi contro la preponderanza esercitata nell'Ordine dagli osservanti. In collaborazione con il procuratore generale dei riformati e coi consenso del nuovo generale, B. redasse un progetto di decreto per la famiglia cismontana il quale, dopo aver riaffermata l'autorità del ministro generale su tutto l'Ordine, stabiliva l'abolizione dei visitatori apostolici dei riformati, affidava a questi la formazione dei novizi, ordinava che preferibilmente tra loro fossero scelti i ministri provinciali ed infine aboliva i discreti locali sull'esempio della famiglia ultramontana. Il decreto, pubblicato il 27 sett. 1625, sollevò naturalmente il risentimento dell'Osservanza che veniva umiliata e appena tollerata nella prospettiva dell'estinzione. Ne seguì un'acre polemica, nella quale B. fu più volte direttamente attaccato dai libelli dei riformati, che infine ottennero nel 1628 di limitare la portata dei decreto per quanto atteneva alla direzione dei noviziati. Il de Senis tentò di applicare anche fuori della provincia cismontana la "riforma italiana" proposta da B., incontrando però dovunque violente resistenze: così in Baviera, dove nel 1625 l'inviato Antonio da Galbiate dovette ricorrere alla forza per farla accettare: così in Polonia, dove invece Antonio Strozzi dovette rinunziarvi, sebbene contro i ribelli fossero stati minacciati la scomunica e l'intervento di Sigismondo III.
Il 10 giugno 1628, compiuto il periodo del suo commissariato, B. si ritirò nel convento di Palermo, rimanendo lontano da ogni carica per oltre un decennio, verosimilmente in conseguenza dell'animosità dei riformati. Questi a quanto pare esercitarono contro di lui, in questo lungo periodo, ogni sorta di ritorsioni che provocarono l'intervento dei superiori dell'Ordine e della Congregazione dei regolari. Nell'anno 1636 B. si trovava a Messina, dove ricevette dalla Congregazione di Propaganda Fide l'incarico di promuovere indagini su un furto subito da un commissario di Terra Santa e dove l'anno seguente gli fu affidata la riforma del convento di S. Francesco di Montevergine. L'11 giugno 1639, al capitolo generale tenuto a Roma, B. ottenne di nuovo, su designazione di Urbano VIII, la carica di commissario della famiglia cismontana. In questo capitolo B. sostenne apertamente e con successo, contro il veto di Filippo IV, l'elezione a ministro generale del madrileno Giovanni Merinero, col quale collaborò poi alla redazione dei nuovi statuti della famiglia cismontana, approvati nella Congregazione generale di Roma dei 1642, ma revocati già dal capitolo generale di Toledo del 1645.
Confermatogli il commissariato il 7 giugno 1642, B. fu ancora protagonista di numerose polemiche con i suoi correligionari, i quali lo accusarono ripetutamente di procedimenti illegali e autoritari: persino il suo fedele Bernardino de Senis si appellò contro di lui alla S. Sede. Egli riuscì tuttavia a resistere a tutti gli attacchi e alla scadenza del suo terzo commissariato ottenne persino il titolo onorifico di "pater perpetui Ordinis".
Degli ultimi anni di B. si hanno scarse notizie. Nel 1649 indisse a Roma una congregazione per l'elezione di un nuovo vicario generale. Morì a Roma il 15 aprile 1651.
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